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PASTORALE BOLLETTINO PARROCCHIA DI SAN TOMASO DI CANTERBURY - GAIARINE DIOCESI DI VITTORIO VENETO DOMENICA 23 AGOSTO 2020 XXI TEMPO ORDINARIO - ANNO A

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Anno XXVIII - Numero 34

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Messa del giorno: 1a lett.: Isaia 22,19-23 - Salmo: 137 - 2a lett.: lett. ai Romani 11,33-36 - Vangelo: Matteo 16,13-20 Liturgia della Settimana

D

OMENICA

23 A

GOSTO

2020

Scaricabile dal sito Web Unità Pastorale Gaiarine https://www.upgaiarine.it (sezione: Bollettino di Gaiarine)

La S.Messa delle ore 19.00

sarà ripristinata da domenica 6 settembre

n n n n

n Domenica 23 Agosto - XXI del Tempo Ordinario - ore 08.00 S. Messa festiva -

In suffragio: defunti della classe 1934 e 1938;

def.to Favero Giovanni (ord. Vie S. Rocco, Barsè, Bosco, Cortenuova); def.ti Segatto Agnese e Fantuz Antonio

ore 11.00 S. Messa festiva - per la parrocchia

n nn n

n Lunedì 24 Agosto - San Bartolomeo, apostolo

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.ti Pin Giuseppe e anime del Purgatorio; def.ta Luisotto Paola (ord. vicini di casa); def.ti CarnelosBattista, Maria e Flora; def.ti Cuch Emilio, Teresa, Gilda; def.to Tonon Ernesto

n n n n

n Martedì 25 Agosto

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.ta De Carlo Luigia

n nn n

n Mercoledì 26 Agosto

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.to Cappellotto Evaristo.

In ringraziamento alla Madonna per Feltrin Elisa- betta

n n n n

n Giovedì 27 Agosto - Santa Monica

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.ta Fresch Monica ore 20.00 A S. Zaccaria s. Messa per famiglie e defunti di

Via Terraglio

n n n n

n Venerdì 28 Agosto - Sant’Agostino

ore 9.00 S. Messa - In suffragio: def.ti Carnelos Maria e Sonego Giovanni Battista; def.to Andreetta Giancarlo; def.to Morandin Alberto

ore 18.30 Recita del S.Rosario

ore 19.00 S. Messa celebrata da padre Luigi

n nn n

n Sabato 29 Agosto - Martirio di S. Giovanni Battista ore 19.00 S. Messa festiva -

In suffragio: def.to Foltran Silvestro; def.ti Maset Giuseppe e Casagrande Rosanna; def.to Folegot Pietro; def.to Cappellotto Evaristo; def.ta Luisotto Paola; def.ti Buoro Elisa e Zaia Francesco

n n n n

n Domenica 30 Agosto - XXII del Tempo Ordinario - ore 08.00 S. Messa festiva -

S.Messa a San Zaccaria

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20.00

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sarà celebrata la Santa Messa con la benedizione pasquale delle famiglie e in suffragio ai defunti della via Terraglio che, quest’anno, causa l’emergenza sanitaria Covid-19 era stata sospesa.

La S.Messa verrà celebrata all’esterno della chiesetta, os- servando le norme di comportamento anti-Covid, e cioè man- tenendo la distanza di sicurezza di un mt., indossando la mascherina sul volto e igienizzando le mani.

In suffragio: def.to Piai Lucio (anniversario); def.ti Luisotto Antonio e Trivellato Antonietta; def.to Pessotto Angelo; def.to Polese Nicola (ord. Via Calderozze); def.ti Riva Luigia e Rover Giuseppe;

def.ti Segatto Antonio, sorelle e genitori; def.to Tondato Mario; def.ti Pasquali Antonietta e Barbaresco Renato

ore 11.00 S. Messa festiva - per la parrocchia

Venerdì 28 agosto, presso Chiesa parrocchiale - ore18.30 Recita del S.Rosario

- ore 19.00 Santa Messa

Affideremo alla Madonna le famiglie della nostra parrocchia, gli ammalati e la ripresa delle attività pastorali.

A seguire, nel parco dell’Oratorio, momento di fraternita e rinfresco, nel rispetto delle misure di sicurezza anti Covid.

E’ un appuntamento che si rinnova di anno in anno, a cui tutta la comunità parrocchiale è invitata a partecipare.

Famiglia del Cuore Immacolato di Maria Incontro di Preghiera per la Comunità

guidato da Padre Luigi

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pag. 2

Papa Francesco all’Angelus di domenica 16 agosto 2020 Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di questa domenica (cfr Mt 15,21-28) descrive l’incontro tra Gesù e una donna cananea. Gesù si trova a nord della Galilea, in territorio straniero per stare con i suoi discepoli un po’ lontano dalle folle, che lo cercano sempre più numerose. Ed ecco avvicinarsi una donna che implora aiuto per la figlia malata: «Pietà di me, Signore!» (v. 22). È il grido che nasce da una vita segnata dalla sofferenza, dal senso di impotenza di una mamma che vede la figlia tormentata dal male e non può guarirla. Gesù inizialmente la ignora, ma questa madre insiste, insiste, anche quando il Maestro dice ai discepoli che la sua missione è rivolta soltanto alle «pecore perdute della casa d’Israele» (v. 24) e non ai pagani. Lei continua a supplicarlo, e Lui, a questo punto, la mette alla prova citando un proverbio - sembra quasi un po’ crudele questo -: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (v. 26). E la donna subito, svelta, angosciata risponde: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v. 27).

Con queste parole questa madre dimostra di aver intuito che la bontà del Dio Altissimo, presente in Gesù, è aperta ad ogni necessità delle sue creature. Questa saggezza piena di fiducia colpisce il cuore di Gesù e gli strappa parole di ammirazione:

«Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (v. 28). Quale è la fede grande? La fede grande è quella che porta la propria storia, segnata anche dalle ferite, ai piedi del Signore domandando a Lui di guarirla, di darle un senso. Ognuno di noi ha la propria storia e non sempre è una storia pulita; tante volte è una storia difficile, con tanti dolori, tanti guai e tanti peccati.

Cosa faccio, io, con la mia storia? La nascondo? No! Dobbiamo portarla davanti al Signore: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”.

Questo è quello che ci insegna questa donna, questa brava madre: il coraggio di portare la propria storia di dolore davanti a Dio, davanti a Gesù; toccare la tenerezza di Dio, la tenerezza di Gesù. Facciamo, noi, la prova di questa storia, di questa preghiera:

ognuno pensi alla propria storia. Sempre ci sono delle cose brutte in una storia, sempre. Andiamo da Gesù, bussiamo al cuore di Gesù e diciamoGli: “Signore, se Tu voi, puoi guarirmi!”. E noi potremo fare questo se abbiamo sempre davanti a noi il volto di Gesù, se noi capiamo come è il cuore di Cristo: un cuore che ha compassione, che porta su di sé i nostri dolori, che porta su di sé i nostri peccati, i nostri sbagli, i nostri fallimenti.

Ma è un cuore che ci ama così, come siamo, senza trucco. “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”. E per questo è necessario capire Gesù, avere familiarità con Gesù. E torno sempre al consiglio che vi do: portate sempre un piccolo Vangelo tascabile e leggete ogni giorno un passo. Portate il Vangelo: nella borsa, nella tasca e anche nel telefonino, per vedere Gesù. E lì troverete Gesù come Lui è, come si presenta; troverete Gesù che ci ama, che ci ama tanto, che ci vuole tanto bene. Ricordiamo la preghiera: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”. Bella preghiera. Il Signore ci aiuti, tutti noi, a pregare queste bella preghiera che ci insegna una donna pagana: non cristiana, non ebrea, ma pagana.

La Vergine Maria interceda con la sua preghiera, perché cresca in ogni battezzato la gioia della fede e il desiderio di comunicar- la con la testimonianza di una vita coerente, che ci dia il coraggio di avvicinarci a Gesù e dirGli: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

continuo a pregare per il Libano, e per le altre situazioni drammatiche nel mondo che causano sofferenza alla gente. Il mio pensiero va anche alla cara Bielorussia. Seguo con attenzione la situazione post-elettorale in questo Paese e faccio appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto. Affido tutti i bielorussi alla protezione della Madonna, regina della pace.

Saluto con affetto tutti voi, romani e pellegrini dei diversi Paesi. In particolare, saluti i religiosi brasiliani presenti qui a Roma – con tante bandiere - questi religiosi seguono spiritualmente la Prima Settimana Nazionale della vita consacrata, che si celebra in Brasile. Buona settimana della vita consacrata. Avanti! Rivolgo un saluto anche ai coraggiosi ragazzi dell’Immacolata!

Questi giorni sono giorni di ferie: possano essere un tempo per ritemprare il corpo, ma anche lo spirito mediante momenti dedicati alla preghiera, al silenzio e al contatto distensivo con la bellezza della natura, dono di Dio. Questo non ci faccia dimenticare i problemi che ci sono per il Covid: tante famiglie che non hanno il lavoro, che lo hanno perso e non hanno da mangiare. Le nostre pause estive siano anche accompagnate dalla carità e dalla vicinanza a queste famiglie.

A tutti voi auguro una buona domenica e un buon pranzo! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Orario S.Messe festive nell’Unità Pastorale Campomolino - vigilie ore 17.30 - festive ore 9.30 Albina

- vigilie ore 19.00 - festive ore 10.00

Offerte della Settimana

Per la parrocchia: Nn.• 5 - 10 - 10- 10 - 30 - 40 - 10 - 10 Per l’oratorio: Signore della domenica • 55

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La Parola in Famiglia - 22a Domenica del Tempo Ordinario - 30 agosto 2020 - anno A

Mettiamoci attorno alla Parola di Dio come discepoli del Signore. Genitori e figli sono tutti ascoltatori di questa parola che è Gesù. Ci si sente uniti e incamminati sulla stessa strada verso un’unica meta: la perfezione nell’amore. In un mondo di tanta confusione, Gesù è la luce che illumina la strada.

Allora dedicate 10-15 minuti spesso, se non ogni giorno, ad ascoltare insieme la Parola di Dio, utilizzando questo piccolo strumento che ci propone la lettura e la riflessione su Gesù e sulla nostra vita secondo il vangelo di Matteo 16, 21-27 che sarà letto domenica prossima.

Le altre letture della Messa: 1a lett.: profeta Geremia 20,7-9 - Salmo: 62 - 2a lett.: lettera ai Romani 12,1-2

P

REGHIAMO

O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...

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LMESSAGGIODELLA

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AROLADI

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IOdi questa 22° domenica del tempo ordinario II discepolo, un sacrificio vivente gradito a Dio.

II profeta Geremìa, nella prima lettura, sperimentò l’emarginazione da parte dei suoi connazionali e - cosa ancora più grave, «il silenzio di Dio». In questa situazione, si interroga sulla sua vocazione e si lamenta con Dio.

II profeta desidererebbe un po’ di comprensione, vorrebbe che almeno Dio fosse dalla sua parte, ma alle volte anche Dio sembra assente. Tuttavia, i suoi propositi di abbandonare la missione ricevuta sono solo il segno di un momentaneo smarrimento:

Dio l’ha sedotto, ha fatto irruzione nel più profondo del suo essere al punto che la sua Parola è divenuta in lui come fuoco divorante: non può non proclamarla.

Il credente - scrive Paolo ai Romani nella seconda lettura - è colui che, rinunciando a sé stesso, si offre interamente a Dio in tutte le sue attività. Vivere da cristiani vuol dire cercare di conoscere la volontà di Dio e fare solo ciò che a lui piace. La sofferenza e la croce nella vita del cristiano hanno la loro ragion d’essere, ci dice il vangelo, nella partecipazione al mistero pasquale di Cristo. Il cristiano è tale proprio in forza di questa partecipazione che deriva dall’aver accettato Cristo nella propria vita. Seguire Cristo significa seguire il suo stesso cammino, essere disposti a seguirlo nel suo destino di morte e risurrezione.

Dal libro del profeta Geremia 20,7-9

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me. Quando parlo, devo gridare, devo proclamare: « Violenza! Oppressione! ». Così la parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.

Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! ». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 12,1-2

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Dal vangelo secondo Matteo 16, 21-27

In quel tempo, 21 Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.

22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non li accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.

26 Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?

27 Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

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OMPRENDOEMEDITO

Il brano evangelico della scorsa domenica riportava la confessione di fede di Pietro, portavoce dei Dodici: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” E Gesù, in risposta, rivelava l’identità e la missione dell’Apostolo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. In questo dialogo si avverte un’aria di festa e di entusiasmo per la scoperta che i discepoli hanno fatto.

Gesù però, pur soddisfatto per il traguardo che essi hanno raggiunto nel loro cammino di fede, sa che molta strada resta da fare perché tale fede, ancora acerba, diventi più chiara e matura. A tale scopo imprime una svolta alla sua opera educativa:

vv. 21 “Gesù cominciò a dire apertamente ai discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto...e

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pag. 4 venire ucciso e risuscitare il terzo giorno”.

E’ il primo dei tre annunci della passione- morte- risurrezione che Gesù in diverse riprese fa ai discepoli durante il viaggio verso la città santa.

Un tragico destino lo attende. Egli ne parla senza esitazione e con lucida consapevolezza. Sa bene che le sue scelte in favore dei peccatori e dei “lontani”, il suo stile di vita libero da ogni forma di legalismo, ma tutto incentrato nell’amore, provocano l’opposizione e la resistenza da parte dei responsabili di Israele. Sa di avere molti nemici, che cercano di eliminarlo e che presto o tardi ci riusciranno. Gesù intravede, quindi, il fallimento umano della sua missione: “doveva... soffrire e venire ucciso”.

Tale “necessità” non è legata però a un destino cieco e crudele, non è neppure soltanto la conseguenza “logica” del suo comportamento contro corrente. Ma il verbo “doveva”, che ricorre spesso sulle labbra di Gesù, indica il disegno di Dio, misterioso e insindacabile, che deve compiersi nella storia. Un disegno d’amore che si attua attraverso vie e modi non conformi alla logica umana, ma in stridente contrasto con essa. Tale piano divino, però, non riguarda soltanto la sconfitta umiliante del Messia, ma anche la sua suprema glorificazione: “doveva... risuscitare il terzo giorno”. Anche quest’ultima parte dell’annuncio rimane oscura, tanto che i discepoli non la prendono in considerazione. Sono invece “scioccati” dall’annuncio della passione e della morte.

Riconoscendo in Gesù il Messia promesso, Pietro e i suoi compagni pensavano al Liberatore politico e militare che con la forza di Dio avrebbe vinto tutti gli oppressori del suo popolo, instaurando una condizione di pace universale.

Gesù invece rivela un aspetto del Messia che li coglie impreparati e li “spiazza” radicalmente: il Salvatore inviato da Dio non sbaraglierà gli avversari con una vittoria totale. Ma subirà la sconfitta. E questo perché, in umile obbedienza al disegno di suo Padre, percorrerà la via dell’amore che si fa servizio fino al dono della propria vita.

In tal modo rivelerà un volto inedito e insospettato di Dio: non il Dio che schiaccia con la sua potenza, ma un Dio debole e

“perdente”, che condivide fino all’estremo la condizione dell’uomo peccatore e così lo ricupera.

L’incomprensione e il rifiuto di un Dio così si manifestano nella reazione di Pietro: “...questo non ti accadrà mai!”.

La contro-reazione di Gesù è però quanto mai forte: “Lungi da me, satana!”. Il contrasto con la scena precedente - in cui Gesù aveva proclamato “beato” l’Apostolo rivelandogli la sua missione nel piano di Dio - non può essere immaginato più netto e più crudo. Gesù lo chiama addirittura “satana”: il Nemico - che nel deserto aveva cercato di persuaderlo a imboccare la via del potere e del successo, boicottando il disegno del Padre - ora torna all’assalto con una forza di suggestione ancora maggiore, servendosi del discepolo stesso. Ciò spiega la sua risposta dura e perentoria: “Lungi da me, satana!”, che richiama il “Vattene, satana!” (Mt 4,10) con cui Gesù aveva liquidato il Tentatore.

Probabilmente, però, l’espressione può essere intesa in altro modo: “Dietro di me, satana!”. Gesù cioè richiama Pietro a mettersi di nuovo nella sua posizione di discepolo che non pretende di precedere il Maestro insegnandogli la strada, ma lo segue accettando umilmente di condividere la sua sorte.“Tu mi sei di scandalo”, cioè vuoi impedirmi di aderire pienamente al volere di mio Padre: “perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

Non può darsi che anche noi ragioniamo come Pietro e gli altri discepoli? Anche noi, come loro, spesso siamo prigionieri di un’immagine di Dio che - se è potente e buono - non può permettere il dolore in tutte le sue forme e dovrebbe sopprimere quanti operano il male. Questo Dio però non è il Dio di Gesù. Il rimprovero rivolto a Pietro è quindi anche per noi.

Ci siamo lasciati educare finora da Gesù a riconoscere questo aspetto essenziale nella figura del Salvatore e nel vero volto di Dio? Accettiamo che il Messia ci salva attraverso il dolore vissuto nell’amore? Siamo consapevoli che la gloria e la suprema felicità rimangono il traguardo certo per Gesù e anche per noi, ma la via per raggiungerle è la “via della croce”?

La tentazione di ritirarsi davanti alle difficoltà della missione non ha risparmiato neppure quel grande profeta che fu Geremia (20, 7-9:1a lettura). Il suo sfogo con Dio assomiglia a quello di un innamorato che è deluso del proprio partner: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre...”. Un verbo che conserva anche la sfumatura della “seduzione amorosa. Ma la Parola di Dio dentro di lui è come una lava incandescente che non riesce a contenere. È la forza di questa Parola che lo sostiene nella fatica del suo ministero. Allora al “Mi hai sedotto” si aggiunge “Grazie!” e si prega pure “Seducimi ancora, seducimi sempre di più!”.

Gesù, però, non si limita a esigere dai discepoli che lo riconoscano come il Messia crocifisso-risorto. Ma li chiama ad abbracciare le sue stesse scelte e il suo stile di vita, spiegati soltanto dall’amore: “Se qualcuno vuoi venire dietro a me...etc.”. Queste parole, di un radicalismo inaudito, le abbiamo già ascoltate da Gesù nel “discorso missionario” (Mt 10, 37- 39: domenica XIII). Qui Gesù aggiunge il “rinneghi se stesso”: il discepolo deve essere pronto a spostare ogni sua visione della vita, a dire di no a ogni suo progetto, che non collimino con quelli del suo Maestro. La vita si trova perdendola, cioè donandola per amore. Ciò può avvenire una sola volta con la morte fisica. Ma la vita può essere data anche goccia a goccia in ogni gesto quotidiano motivato dall’amore e compiuto con amore.

Si realizza in tal modo il programma di vita che Paolo ci offre nella II lettura (Rm 12,1-2): “Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio...”.

P

ERL

ATTUALIZZAZIONE Ricercare la perfezione

Aveva proprio ragione Don Primo Mazzolari!: “Fare il cristiano non è un mestiere comodo. E il Vangelo è tutt’altro che comodo, quando lo si prende sul serio “.

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Avete sentito: è un programma tutt’altro che confortevole, quello presentato da Cristo per quelli che lo vogliono seguire:

rinnegare se stessi, caricarsi della croce, perdere la propria vita...

Per la nostra mentalità, abituata a pensare in termini di guadagno, di piacere, di profitto, è duro accettare un discorso del genere! Rinnegare se stessi! E chi è capace? “Nella vita il grande problema è sbarazzarsi di noi stessi” (André Frossard).

Eppure, vedete, come diceva Gandhi: “Quando l’io muore, Dio ne riempie il vuoto. Trova se stesso chi perde il proprio io”.

Cristo esige dai suoi seguaci di non pensare a sé. Il pericolo, per noi cristiani, consiste nel seguire Cristo, parlare di lui, e continuare a pensare a noi stessi! “La vita cristiana è esigente; qualche volta davvero non e facile! Non si può togliere dal programma della vita cristiana il sacrificio e la croce. Eppure, la vita cristiana, se sempre non è facile, sempre può essere felice.” (Paolo VI).

Ecco, allora, l’invito della seconda lettura: “non conformatevi alla mentalità del mondo... “. Il modo più efficace per non conformarci alla mentalità comune è quello di fare la volontà di Dio.

E, l’avete sentito: la volontà di Dio è quella di cercare “ciò che è buono, a lui gradito e perfetto “ (2a lettura). Siamo chiamati alla perfezione! “La vita cristiana si può definire una continua ricerca di perfezione” (Paolo VI).

Dice l’Imitazione di Cristo: “Se ogni anno estirpassimo anche un solo vizio, presto diventeremmo uomini perfetti “.Guai, ad abituarci ad essere quello che si è, senza provare il desiderio di cambiare, di migliorare, di essere di più.

È necessario abituarci a pensare in grande con lo spirito, e allora saranno grandi anche i piccoli progetti, e sarà piena e felice anche la vita. Abituiamoci a pensare come pensa Cristo: perdersi, è il solo guadagno!

L’amore cristiano e i suoi fraintendimenti

Non a caso Gesù indica subito a tutto il gruppo dei discepoli quale sia l’amore richiesto: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). L’amore facilmente tende a ricercare l’ammirazione degli altri, non a spendersi per loro fino a dare la vita se necessario. I modi per cercare di salvare la propria vita sono tanti.

La ricerca spasmodica dell’apprezzamento degli altri, l’indifferenza o addirittura il disprezzo per le persone che non contano, la “carità” come occasione per farsi vedere, l’accumulo smisurato di beni quale espressione tangibile del valore della propria persona sono tutte forme nelle quali si manifesta il fraintendimento dell’amore cristiano. Ma forse la forma più sottile della cura egoistica solo per se stessi è quella espressa dal racconto che riporto.

Una rosa si gloriava della propria bellezza che attirava gli omaggi di tutti gli insetti del vicinato. Ma di ciò si reputava grandemente offesa, poiché avrebbe gradito soltanto il tocco di qualche farfalletta gentile o di qualche ape dorata. Perciò un giorno, chiamato a sé un abilissimo ragno, lo pregò di tessere intorno al suo gambo una rete, cosicché tutti gli insetti minori che avessero ardito avvicinarsi a lei, fossero puniti della loro temerarietà. Il ragno non si fece pregare, sapendo in quel modo di poter catturare prede abbondanti. Si mise subito all’opera, e in breve ebbe ordita una tela fittissima, con somma gioia della orgogliosa regina. La quale non tardò a compiacersi nel vedere quei meschinelli che incappavano ignari nei fili sottilissimi di quella rete. Non si commuoveva nel vederli crudelmente perire, ma anzi assaporava il piacere della vendetta, vagheggiando il momento di vedersi toccata e baciata dalla farfalletta e dall’ape. Ma in ciò s’ingannava, poiché quei teneri animalucci, nell’avvicinarsi a lei, avvistavano con raccapriccio i nudi scheletri e i miseri avanzi di tanti loro compagni, e subito intimoriti si allontanavano. Così la rosa altezzosa non conobbe la carezza del bombo dorato e trascorse in solitudine la sua breve e radiosa esistenza.

Il comportamento della rosa esprime in modo efficace l’amore narcisistico di chi ricerca solo l’ammirazione degli altri e non vuole costruire legami che impegnano per sempre nella buona e nella cattiva sorte. Questo atteggiamento, dettato in molti casi anche dalla paura della sofferenza che l’amore vero per gli altri sempre in qualche misura comporta, inevitabilmente condanna alla solitudine e allo spreco della propria vita. Volere il bene degli altri, sempre impone delle rinunce, richiede di portare la croce, richiede di non pensare a se stessi, alla propria realizzazione, al proprio divertimento, ma impone di spendere la propria vita per il bene degli altri. L’amore di Gesù per gli uomini fino alla fine, nonostante il loro rifiuto, è l’esempio emblematico e insuperabile di questo tipo di amore. Di conseguenza la quotidiana disponibilità a spendersi per gli altri privilegiando le persone che non contano, la scelta di una vita semplice e non appariscente, la disponibilità a condividere con gioia quanto si possiede, la speranza che non rinuncia a servire anche di fronte all’ingratitudine e ai fallimenti sono tutte espressioni significative dell’amore cristiano.

L’amore cristiano è molto esigente, ma è anche molto consolante. Solo cercando di viverlo in pienezza, l’uomo trova se stesso e la gioia. Senza dimenticare che il Signore non ci prova mai al di sopra delle nostre forze. Nessuna sofferenza è così pesante da non poter essere sopportata, quando alla sequela di Gesù impariamo a chiamarla croce che salva.

Stanco delle sofferenze e delle pene che gli riservava la vita, un uomo si lamentò con il Signore che lo ascoltò e gli disse:

«Domattina all’alba, trovati nella piazza della Chiesa: là c’è ogni anno il mercato delle croci. Ti potrai scegliere quella che ti va meglio. Lascerai la tua così scomoda e ne prenderai un’altra più leggera». L’uomo all’alba si recò nella piazza dove si svolgeva il mercato delle croci. Lasciò in un angolo la sua e si mise a cercarne una più adatta. La ricerca non si rivelò semplice: una era piccola, ma troppo ruvida; l’altra era leggera, ma scivolava e si portava male; alcune erano maneggevoli, ma troppo pesanti;

altre erano troppo nodose o troppo grandi. Cercò a lungo provando e riprovando un’infinità di croci e, quando disperava di trovare quella adatta, ne vide in un angolo una che poteva andar bene: la provò ed era proprio quella giusta, non molto pesante, levigata, abbastanza piccola. La prese e se ne uscì sereno. Ma non aveva fatto pochi passi che s’accorse d’aver ripreso la sua.

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pag. 6

Chiediamo al Signore la forza di portare con pazienza e serenità interiore le nostre croci. Cerchiamo di aiutare gli altri a portare le loro croci e anche le nostre diventeranno più leggere e sopportabili. Stiamo molto attenti che il nostro egoismo e il nostro narcisismo non rendano troppo pesanti le croci degli altri. Ricordiamo sempre che quando verrà il Figlio dell’uomo renderà a ciascuno secondo le proprie azioni.

Le conseguenze per chi segue Gesù

Prendere su di sé la croce di Cristo non significa soltanto accettare nel propria vita la sofferenza come elemento di redenzione, ma significa soprattutto condividere tutte le scelte di Cristo, la sua stessa sorte, per essere non solo «come» Lui, ma Lui al cospetto del mondo.

Meeting di Rimini 1990 - Interessante e significativa la testimonianza Suor Nijole Sadunaite, in Lituania, simbolo vivente della resistenza cristiana al comunismo. Il 5 febbraio 1986 ignoti energumeni (sicuramente poliziotti) l’hanno pestata selvaggiamente per la strada lasciandola in fin di vita. Convocata alla sede del Kgb le dissero: «Sono quattro anni che cerchiamo di prenderti, ora ci hai veramente stufato. Va all’estero, va dove vuoi, sparisci, se non vuoi finire di nuovo in galera». «Non voglio andarmene - rispose loro - perché vi voglio bene. Mettetemi pur in carcere, così sarò vicina a voi. E potrò forse convincervi della verità che io ho incontrato e voi no!».

In queste scelte è effettivamente in gioco tutto l’uomo: «Perché, dice Gesù chi vuol salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt. 16,25). È inutile guadagnare il mondo intero, se la propria vita risultasse il fallimento in eterno.

Margherita, la mamma di san Giovanni Bosco

«Mamma, - chiese don Bosco alla mamma - non verreste a fare da mamma ai miei poveri ragazzi?». «Se ti pare che tal cosa faccia piacere al Signore, io sono pronta a partire subito». Margherita lasciò le sicurezze di una vecchiaia gioiosa, attorniata dall’affetto dei suoi nipoti, e si dedicò ad altri figli per dieci lunghi anni, a partire da quel 3 novembre del 1846, quando si mise in cammino verso la grande città, Torino. Don Bosco e la mamma vissero in povertà e iniziarono a ospitare in casa i ragazzi orfani o privi di una educazione adeguata: il primo bussò alla porta in una sera piovosa e mamma Margherita gli preparò un lettuccio accanto al fuoco. Da quel giorno Margherita si diede da fare per la cucina e per rammendare gli abiti dei suoi nuovi figli, si dedicò all’orto dell’oratorio e, come una buona madre, si mise soprattutto a diffondere calore e affetto. Ebbe un momento di cedimento quando i ragazzi le devastarono l’orto, distruggendo l’ultimo legame che aveva con la sua vita contadina.

Disse: «Giovanni, sono stanca. Lasciami tornare ai Becchi!». Don Bosco guardò il volto di sua madre e le indicò il crocifisso sulla parete. Lei chinò la testa e tornò a ricucire i vestiti dei suoi ragazzi.

Un testimone

II vicebrigadiere di Torrimpetra (Roma), quel 22 settembre 1943, è solo in caserma. Ai piani inferiori esplode una bomba, uccidendo un soldato tedesco e ferendone un altro. Il brig. Salvo viene prelevato dai tedeschi con 21 civili e interrogato: chi ha teso l’agguato? Lui non sa nulla. Gli credono, ma agli altri viene ordinato di scavarsi la fossa. Verranno uccisi per rappresaglia.

Salvo capisce che non bastano parole di incoraggiamento. Prende una decisione: “Dite al comandante che sono stato io. Mi addosso la colpa in cambio della salvezza degli altri”. Il comandante tedesco intuisce che è un gesto di coraggiosa gratuità del carabiniere. “Bene! -urla - muori tu al posto di tutti questi!”. Un grido, una scarica di fucile. Salvo cade riverso nella fossa scavata da coloro per i quali dà la vita. Saranno gli uomini salvati dal suo sacrificio a testimoniare: “È morto come Gesù, per salvare tutti noi”.

Abbiamo bisogno di Gesù

In un contesto secolarizzato, dove il laicismo imbavaglia la parola di Dio; in un consorzio nel quale i suoi membri sono pronti a scagliarsi senza remora alcuna gli uni contro gli altri; in una società dove l’uomo ha perduto il suo naturale senso di umanità e di giustizia, e in sostanza va perdendo ogni giorno di più il senso di Dio, siamo tentati di credere che sia inutile l’annuncio del Vangelo o che sia preferibile adattarlo ai gusti del mondo. Ma ciò significa tradire il Vangelo e gli stessi uomini, che, per salvarsi, hanno bisogno del suo annunzio integrale e fedele.

Una sera, in parrocchia durante uno spettacolino ben riuscito e applauditissimo da grandi e piccini, mio fratello Michael lasciò tutti di sasso facendo uno strano discorso: «Perché nelle volte di questa chiesa sono dipinti soltanto angeli bianchi? Perché Dio non ha creato anche gli angioletti neri?». Fu come un fulmine a ciel sereno. Il sacerdote, negro come noi, sospese lo show e improvvisò un severo sermone per spiegare a tutti che i bambini del mondo sono tutti uguali, indipendentemente dal loro colore. Micheal, poco convinto, sbalordì ancora: «SI, siamo tutti uguali, ma perché allora tra gli angeli accanto alla Madonna non c’è mai un angelo nero?». (Latoja Jackson)

Bastava dire che gli angeli, essendo puri spiriti, non hanno corpo come noi e pertanto nessun colore.

Non ignoriamo il «gran buio a mezzogiorno», ma disposti sul fronte per il sacrificio e l’offerta, come Geremia, non perdiamo la fede negli ideali del Regno di Dio, né la certezza della vittoria.

Questa è una delle più grandi epoche della storia dell’umanità e i cattolici devono essere grati a Dio di averli riservati per questa ora. L’ora dell’impegno, del non dormire perché la salvezza è più vicina; l’ora delle dedizioni totali in cui la Chiesa è diventata la bandiera, che in un senso vincerà il mondo e nell’altro lo salverà.

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