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Il fenomeno sismico.

1.1 Cenni sull’origine dei terremoti.

La struttura della Terra è costituita da una parte esterna rigida detta crosta di spessore variabile dai 6-7 km al di sotto degli oceani, fino ai 40-50 km sotto i continenti. Al di sotto di essa si trova il mantello di rigidezza inferiore a causa del materiale che via via tende a diventare più plastico per effetto dell’aumento di pressione e temperatura. Andando più verso l’interno troviamo la parte centrale detta nucleo (distinta in nucleo interno ed esterno) caratterizzato dalla presenza di materiali pesanti quali ferro e nichel allo stato fluido.

La crosta e il mantello superiore costituiscono la litosfera, mentre la parte sottostante è detta astenosfera caratterizzata da rigidezza inferiore rispetto alla zona sovrastante. In questa zona si nota un’attenuazione delle onde sismiche a causa di meccanismi dissipativi legati alla diminuzione delle proprietà meccaniche delle rocce per l’avvicinamento della temperatura al loro punto di fusione.

L’attività sismica rappresenta, insieme al quella vulcanica, una delle manifestazioni della dinamicità della Terra più rilevante e più evidente.

I terremoti più numerosi ed anche i più temibili in quanto riguardanti le costruzioni, sono quelli che avvengono all’interno della crosta terrestre: essi si manifestano attraverso scuotimenti del suolo e sono caratterizzati da onde dette

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litosfera sottoposta a sforzi continuativi che oltrepassano il limite di deformazione elastica. La generazione di un terremoto, dunque, è legata al moto relativo delle masse, alla rigidezza del mezzo tale da consentire il lento accumulo di energia ed il conseguente rapido rilascio.

A profondità superiori ai 700 km non si ha la possibilità di fenomeni sismici in quanto il materiale ha un comportamento plastico: non possono quindi originarsi fratture e l’energia viene rilasciata in maniera progressiva.

Quando le rocce sono sollecitate da sforzi notevoli, dapprima si deformano e arrivano poi a rottura quando la deformazione supera una certa soglia che dipende dalle caratteristiche elastiche proprie del materiale. In questa fase, l’energia accumulata in precedenza si trasforma in parte in onde elastiche generatrici di terremoti e in parte viene liberata sotto forma di calore.

Gli effetti fisici del terremoto si traducono in un moto vibratorio caratterizzato da ampiezza, durata e frequenza, che interessa la zona circostante la sorgente, variabile da punto a punto. Si definisce ipocentro o fuoco il punto da cui partono i primi impulsi, epicentro il corrispondente punto in superficie posto direttamente sopra di esso.

Dagli studi effettuati sui terremoti è risultato che la profondità in cui si colloca l’ipocentro è variabile: in molti casi esso è situato a pochi chilometri al di sotto della superficie, in altri casi può raggiungere anche centinaia di chilometri. La frequenza di accadimento, invece, decresce velocemente quando si supera i 200 km di profondità. I terremoti più devastanti sono quelli il cui fuoco è posto di poco al di sotto la superficie terrestre: in questi casi l’energia liberata rappresenta una quota dominante di quella totale rappresentativa dei terremoti di tutto il mondo.

La frattura, generata in corrispondenza dell’ipocentro, si propaga in maniera radiale in tutte le direzioni; la rottura procede però in maniera non omogenea a causa delle diverse proprietà delle rocce interessate. La propagazione si manifesta quindi a scatti anche a seguito delle diverse condizioni di pressione e di temperatura assunte dalla massa rocciosa attraversata e terminerà laddove il materiale non ha subito deformazioni tali da provocare l’innesco.

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Nello studio dei terremoti spesso ci troviamo di fronte ad eventi caratterizzati da una scossa violenta preceduta da altre più lievi e seguita da numerose altre; altre manifestazioni invece sono legate ad una serie di numerose scosse di media intensità seguite da altrettante lievi.

Le onde sismiche generate nell’evento si distinguono, in base alla modalità di propagazione, in onde di compressione, di taglio, onde di Rayleigh e di Love. Le prime due si manifestano internamente alla struttura della Terra, le altre si propagano a livello superficiale e, a causa della loro ampiezza, sono responsabili dei gravi danni prodotti alle strutture.

Lo strumento che misura lo spostamento del terreno prende il nome di sismometro; se fornisce anche una registrazione delle onde sismiche è detto sismografo. In generale essi misurano solo una componente del movimento del terreno per cui è necessario prevederne tre (uno per ciascuna componente del moto) in modo da cogliere il movimento completo del terreno e restituire le registrazioni rappresentate nel cosiddetto sismogramma.

Per ottenere una misurazione dello spostamento del suolo con un errore accettabile occorre adottare un oscillatore che abbia la pulsazione naturale inferiore a quella predominante del moto del terreno in modo tale che misurando lo spostamento relativo otteniamo un valore che approssima bene lo spostamento assoluto del terreno. Allo stesso modo se impieghiamo un oscillatore caratterizzato da frequenze basse rispetto alla naturale pulsazione si ottiene, a meno di una costante moltiplicativa, che lo spostamento relativo approssima bene l’accelerazione del terreno.

1.2 Cos’è il rischio sismico.

Nel linguaggio comune il termine “rischio” individua la possibilità che una

situazione si traduca in un danno. Nel campo dell’ingegneria sismica, per rischio

associato al verificarsi di un evento sismico, si intende la “probabilità che le

conseguenze degli effetti di un certo terremoto sul piano economico e sociale superino, in un certo intervallo di tempo, una soglia prefissata”. Il rischio, legato

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alla correlazione tra evento sismico e ambiente, è misurato attraverso la stima di perdite umane e del danno agli edifici e alle infrastrutture. Il rischio dipende quindi dalla specifica tipologia di evento che in questo caso è rappresentato dal sisma; è correlato inoltre alla tipologia di beni esposti sui quali valutare il danno subito; da tenere in considerazione è anche l’intervallo di tempo a cui la perdita si riferisce: tanto più il periodo è lungo, maggiore sarà il rischio.

Il rischio sismico quindi si può esprimere come risultante della combinazione di tre grandezze: la pericolosità sismica, la vulnerabilità e l’esposizione.

La pericolosità sismica, dipendente dalle caratteristiche del terremoto, dalla distanza tra area colpita da terremoto ed epicentro, dalle condizioni geologiche del sito, rappresenta la probabilità che un fissato valore di scuotimento del suolo, in un certo intervallo temporale e in una certa area, venga superato a seguito di un evento sismico. Questo valore può essere espresso attraverso parametri fisici quali il picco di accelerazione orizzontale, il picco di velocità orizzontale (PGA) (grandezza utilizzata per la progettazione in quanto definisce le caratteristiche costruttive degli edifici), il picco di spostamento orizzontale, l’ordinata spettrale di uno spettro di risposta elastico in termini di velocità o accelerazione; può essere inoltre rappresentato da parametri macrosismici come l’intensità macrosismica più conosciuta come intensità nella scala Mercalli che descrive il grado di danneggiamento subìto nell’evento sismico.

I parametri che vengono registrati o determinati in maniera empirica, relativi allo scuotimento del suolo a seguito di un evento sismico, sono legati alle sole ampiezze assolute del moto del terreno nel caso dei valori di picco; tengono conto invece del contenuto in frequenza e dell’ampiezza del moto nel caso in cui si faccia riferimento allo spettro di risposta elastico (che approssima la risposta dell’edificio sollecitato da azioni sismiche) in quanto esso ci fornisce la risposta massima di una serie di oscillatori smorzati ad un solo grado di libertà con riferimento alla frequenza di oscillazione di ciascuno di essi.

A cura del Gruppo Nazionale per La Difesa del Territorio (GNDT), in Italia sono state elaborate le mappe della pericolosità sismica in riferimento all’accelerazione di picco orizzontale e all’intensità macrosismica con riferimento

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ad un tempo di ritorno pari a 475 anni. Il valore riportato in esse non è rappresentativo né del massimo valore relativo alla regione né del massimo valore storico osservato, ma è un parametro che è legato alla vita media presunta delle costruzioni.

Un altro elemento che concorre nella valutazione del rischio è la vulnerabilità

sismica che rappresenta la valutazione probabilistica della propensione di persone

o edifici a subire danni a seguito del verificarsi di un terremoto.

La vulnerabilità di un edificio è legata alla tipologia costruttiva che ne individua tre classi dalla A alla C, al numero di piani al tipo di materiale impiegato e alla tecnica tipici dell’epoca della costruzione, allo stato di conservazione ed esprime la propria capacità di resistere all’evento sismico. Non è da sottovalutare anche lo studio del sottosuolo di fondazione mediante l’acquisizione di informazioni sulle caratteristiche geologiche e fisico-meccaniche in modo da conoscere la risposta del terreno all’azione sismica.

La valutazione della vulnerabilità sismica richiede l’utilizzo di modelli matematici complessi capaci di rappresentare il comportamento delle strutture soggette al sisma e di valutare la risposta sia degli elementi che dei collegamenti.

L’esposizione urbanistica di una certa zona ci fornisce informazioni sui manufatti presenti e sul numero di persone che probabilmente saranno coinvolte nel terremoto. Con il termine esposizione si individuano, dunque, le caratteristiche legate sia al funzionamento delle strutture in caso di sisma, sia al comportamento delle utenze. In particolare sono classificati ad alta esposizione gli edifici per il commercio, per l’istruzione e quelli che in particolari periodi sono suscettibili di alto affollamento. Si attribuisce quindi, un valore economico, il cosiddetto “valore esposto”, ai manufatti esistenti all’interno del centro urbano. In sostanza esso rappresenta la misura dell’importanza, in termini di valore, assunta dall’oggetto esposto al rischio nell’eventualità di una sua alterazione dovuta al sisma.

Quando si parla di rischio sismico è da tenere presente che necessariamente devono esistere contemporaneamente le condizioni di pericolosità e di esposizione.

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In una zona priva di insediamenti o con manufatti di scarso valore, seppure classificata ad alta pericolosità sismica, il rischio sismico risulterà molto basso. Lo stesso può accadere se l’area è connotata a bassa pericolosità: la presenza di numerosi edifici o infrastrutture non influisce sulla valutazione del rischio sismico.

Se volessimo esprimere il rischio sismico in termini analitici basterà scrivere un’ espressione che lo lega alle tre grandezze sopra descritte:

Rischio sismico=pericolosità*vulnerabilità*esposizione

Il risultato ottenuto è espresso quindi in termini monetari. La valutazione dei danni attesi, correlati alle perdite conseguenti l’evento sismico, sono di aiuto nell’attuazione delle misure di intervento per la riduzione del rischio sismico atte ad intervenire proprio sui parametri sopra descritti. Nel caso di evento sismico le uniche possibilità sono quelle di agire sulla vulnerabilità o sull’esposizione.

Il concetto di rischio sismico, dal punto di vista operativo, non è poi così lontano dalla definizione di vulnerabilità: possiamo definire il rischio come l’esito dell’azione dell’uomo in una certa zona caratterizzata da pericolosità. Ecco perché, spesso, la riduzione del rischio si identifica con la riduzione della vulnerabilità.

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1.3 La vulnerabilità sismica degli edifici esistenti in

muratura.

Su gran parte delle costruzioni esistenti si presenta il problema della prevenzione dei danni da rischio sismico.

Nello studio di vulnerabilità degli edifici, di primaria importanza è la conoscenza della resistenza meccanica della muratura. In particolare lo studio deve interessare sia il sistema costruttivo, inteso come modalità di disposizione degli elementi (siano essi naturali o artificiali) a costituire la tessitura e lo spessore del paramento, sia la qualità.

I diversi materiali costituenti gli elementi, la loro forma e dimensione, la tecnica costruttiva variabile da zona a zona, la capacità costruttiva di chi opera, rendono la muratura un materiale composito, un vero e proprio prodotto artigianale che presenta caratteristiche meccaniche estremamente variabili.

Considerata la notevole varietà di materiali e tecniche, sia a livello geografico che storico, la qualità di una muratura è individuata attraverso le cosiddette “regole dell’arte”. L’osservazione e la sperimentazione del comportamento di edifici realizzati precedentemente ha portato, nel corso degli anni, ad un perfezionamento delle tecniche esecutive e di proporzionamento geometrico e all’impiego di materiali reperibili in zona. La constatazione che l’ edificio è stato realizzato a regola d’arte è sicuramente un’informazione preziosa nella valutazione della sicurezza; un altro elemento altrettanto importante da tenere in considerazione è il la testimonianza offerta dall’esistenza stessa della costruzione ovvero il “collaudo” del tempo trascorso che ci fornisce informazioni sull’opera. Da non sottovalutare però che i terremoti più violenti, quelli di maggiore intensità, hanno un periodo di ritorno pari a 475 anni e è probabile quindi, che la costruzione non ne abbia ancora subito gli effetti. Motivo per cui il “collaudo” della storia non può essere considerato elemento affidabile nei confronti della prevenzione del rischio sismico.

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L’esperienza ha portato, specialmente nelle aree ad elevata sismicità, ad impiegare soluzioni costruttive efficaci ai fini della riduzione della vulnerabilità come catene ed ammorsamenti, accorgimenti che fanno parte delle regole costruttive: sono quindi di supporto valido alla valutazione della sicurezza di una costruzione esistente, ma certamente è necessario procedere ad un’analisi strutturale che quantifichi, attraverso modelli di calcolo, il comportamento meccanico della costruzione.

Un altro aspetto da non sottovalutare che concorre nella valutazione della vulnerabilità sismica dell’edificio è la qualità e la tipologia delle connessioni degli elementi costituenti la struttura muraria.

Un edificio ben progettato presenta collegamenti lungo le intersezioni verticali tra i paramenti murari e connessioni tra pareti e solaio attraverso cordoli in c.a. in modo da realizzare il cosiddetto “funzionamento scatolare”.

Attraverso un buon grado di ammorsamento o incatenamento la parete investita dal sisma chiama a collaborare le pareti ad essa perpendicolari, trasferendo loro un’azione agente nel proprio piano riducendo il meccanismo di ribaltamento fuori piano. In questo modo la capacità di resistere alle azioni orizzontali è affidata ad un sistema di pareti verticali (disposte nelle due direzioni principali della pianta dell’edificio) che esplicano la loro naturale resistenza a taglio.

La necessità di collegare efficacemente la parete muraria alle pareti ortogonali è conseguenza della sua scarsa resistenza alle azioni ortogonali al proprio piano quando essa risulta isolata. Nel collegamento l’azione del sisma viene trasferita alle pareti ortogonali con resistenze di natura flessionale e tagliante con comportamento sicuramente migliore in quanto la rottura nel piano si manifesta per azioni molto più elevate rispetto al raggiungimento del meccanismo di ribaltamento fuori piano il quale è attivato con azioni sismiche di modesta entità. Non sono da ritenere efficaci le pareti di controvento che sono poste a notevole

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distanza fra loro o che, seppur ravvicinate, presentano aperture poco distanti dall’incrocio delle pareti.

L’altro contributo al funzionamento scatolare deriva dal comportamento a diaframma dei solai: in questo modo le azioni sismiche sono ripartite correttamente tra le pareti d’ambito.

Esistono poi una serie di fattori che influiscono negativamente sulla risposta sismica dell’edificio quali la mancata regolarità in pianta della struttura, la disposizione eccentrica degli elementi resistenti, la disposizione articolata delle aperture nelle pareti, la presenza di piani sfalsati che inducono fenomeni di martellamento, la presenza di elementi spingenti.

Gli edifici esistenti in muratura costituiscono quindi un insieme molto complesso; di conseguenza la valutazione della sicurezza risulta non priva di incertezze.

1.3.1 Indagini per la valutazione della qualità del tessuto

murario.

L’analisi dello stato di fatto della qualità della muratura rappresenta uno studio importante allo scopo di individuare le caratteristiche meccaniche dei suoi componenti quali malta e blocchi. Al fine di individuare la tessitura, è necessario procedere ad effettuare indagini volte a stabilire la disposizione dei blocchi e la presenza di giunti verticali opportunamente sfalsati. Altra operazione da effettuare è quella di controllare la presenza di elementi trasversali (denominati diatoni) di collegamento tra due fogli di muratura di uno stesso panello murario attraverso elementi lapidei continui da una faccia all’altra del paramento.

Nella maggioranza dei casi, le caratteristiche meccaniche della malta influiscono notevolmente sulla monoliticità dell’intero pannello murario e fanno da elemento discriminante tra una muratura buona e una cattiva: è necessario quindi provvedere ad effettuare saggi al fine della loro valutazione e della stima della resistenza caratteristica a taglio della parete; bisogna poi rilevare lo stato di

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conservazione della malta che nel corso degli anni ha subito gli effetti degli agenti atmosferici.

Negli edifici esistenti va posta particolare attenzione su quegli elementi che hanno subito interventi di recupero quali solai e coperture. Non è raro che nella sostituzione siano stati messi in opera materiali con rigidezza superiore a danno delle murature sottostanti chiamate adesso a resistere a carichi verticali superiori rispetto a quelli per i quali erano state originariamente progettate: in presenza di sisma esse possono essere sollecitate da forze d’inerzia che superano la loro resistenza a taglio e provocare quindi dannosi effetti di martellamento. Nella tendenza ad ottenere un comportamento a diaframma del solaio in modo da permettere così la ridistribuzione delle azioni orizzontali sulle singole pareti resistenti si può commettere l’errore di intervenire con materiali che si discostano da quelli originari per la loro maggiore rigidezza e resistenza. E’ buona regola effettuare indagini conoscitive sulla qualità dei materiali presenti e progettare l’intervento in modo da non creare discontinuità strutturali rispetto alla muratura originaria.

1.3.2 Indagini per la valutazione dei collegamenti tra gli

elementi strutturali.

Nello studio della struttura ed in particolare nella valutazione dell’efficace presenza di collegamenti tra le pareti, è opportuno innanzitutto valutare l’esistenza di ammorsamenti nei cantonali e nell’eventualità, valutarne la tecnica costruttiva; a tal fine devono essere previsti dei saggi in modo da interessare sia la parte esterna sia quella interna dell’angolata in modo da indagare sull’intero spessore della parete muraria.

In particolare è necessario procedere, in corrispondenza degli spigoli dell’edificio, con la rimozione dell’intonaco dove presente al fine di mettere a nudo gli elementi, siano essi naturali o artificiali, che vanno a costituire il cantonale; di solito è prescritta una scrostatura di 1 metro per 1 metro.

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Anche la presenza di catene metalliche fornisce un prezioso apporto ai collegamenti tra pareti: è necessario pertanto che esse siano disposte adeguatamente senza presentare frecce di inflessione a significare l’assenza di tiro e ancorate a pareti verticali funzionanti da elementi di contrasto.

Figura 1: Buon ammorsamento tra Figura 2: Catena metallica muri maestri ortogonali efficace.

e il paramento interno.

E’ opportuno effettuare anche dei saggi per sondare la tipologia del dettaglio costruttivo di collegamento tra pareti e orizzontamenti.Il collegamento deve trasferire l’azione orizzontale di piano alle pareti verticali sia a quelle su cui poggia il solaio sia a quelle in direzione parallela all’orditura. Vanno quindi messe a nudo le zone di contatto con rimozione di intonaco a livello del solaio. Nel caso di cordoli in c.a. lo studio è rivolto alla disposizione dell’armatura sia longitudinale che trasversale nonchè al loro diametro e passo e all’individuazione della qualità del calcestruzzo impiegato. E’ importante capire l’estensione del cordolo nello spessore della muratura e la sua presenza lungo tutti i lati del solaio: spesso negli edifici esistenti manca del tutto il collegamento tra il solaio e la

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di appoggio sulla muratura della struttura del solaio; non è raro il caso di orizzontamenti in legno o in profili metallici in cui i travetti sono appoggiati direttamente in scassi prodotti nelle pareti con lunghezza di appoggio insufficiente, con conseguente degrado nel caso di strutture lignee. In presenza di azione sismica questi elementi subiscono effetti di martellamento e sfilamento: questo fenomeno è più accentuato ai piani alti dell’edificio dove l’attrito dovuto ai carichi verticali soprastanti è sicuramente inferiore. Questo problema si presenta anche nel caso di intervento di sostituzione di solaio ammalorato con realizzazione di cordolo in breccia, amplificandosi nel caso di muratura a doppio paramento in cui è assente qualunque tipo di collegamento trasversale. L’effetto negativo che si viene a creare è quello di far scaricare il nuovo solaio solo sul paramento interno con sezione ridotta rispetto a quella totale della parete e contestualmente i carichi verticali dei piani superiori sono convogliati sul paramento esterno che può cedere per instabilità per carico di punta. Inoltre la presenza di un cordolo rigido in c.a. può innescare, durante il sisma, il fenomeno di martellamento con conseguente espulsione del paramento esterno.

Un aspetto da non sottovalutare è la presenza di strutture spingenti sulle quali è di particolare importanza il controllo sull’esistenza e l’efficacia di elementi atti ad eliminare la spinta, nei casi ricorrenti di tetti a padiglione, archi e volte; nelle indagini è necessario effettuare saggi per l’individuazione del tipo e della qualità dei materiali, del loro collegamento alla muratura e per il controllo sullo stato di conservazione.

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1.4 La risposta degli edifici al terremoto.

Il terremoto è un fenomeno naturale costituito da un movimento rapido del suolo. Le sue capacità distruttive non dipendono dal fenomeno in quanto tale ma dalla risposta degli edifici alla sollecitazione indotta dal movimento del suolo.

La possibilità di danno dipende dal rapporto tra il periodo di oscillazione del terreno e il periodo proprio dell’edificio: ciò significa che lo stesso tipo di scuotimento del suolo può suscitare risposte diverse di edifici differenti.

Ai fini ingegneristici di notevole importanza è l’accelerazione complessiva della struttura. Essa è la combinazione dell’accelerazione del terreno di fondazione con quella relativa tra struttura e terreno. Il caso peggiore che si può presentare è quando queste due si sommano tra loro dando origine ad un carico complessivamente maggiore di quello derivante dal solo movimento del terreno.

Per poter prevedere gli effetti che un terremoto può indurre su un edificio ed intervenire al fine di ridurre la vulnerabilità è necessario, quindi, prevedere quale sarà lo spettro del terremoto atteso.

Le informazioni sulla sismicità italiana a disposizione sono state uniformate attraverso un linguaggio standardizzato che consente la comparazione di descrizioni relative ad epoche diverse.

E’ nata così la “Scala di Intensità Macrosismica” che può essere vista come una raccolta di scene che si possono verificare in occasione dell’evento sismico ciascuna contraddistinta da un numero romano ed ordinate in modo crescente in funzione della severità di manifestazione dell’evento. In Italia la più usata è la scala proposta da Mercalli, Cancani e Sieberg, MCS (Fig.1):

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Figura 3: Scala delle intensità Mercalli- Cancani-Sieberg (MCS).

Misurare gli effetti di un terremoto utilizzando una scala di questo tipo equivale ad associare una delle scene sopra riportate alla descrizione dell’evento sismico effettuata da testimonianze disponibili.

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1.5 L’utilizzo degli spettri di risposta.

In molte applicazioni dell’ingegneria sismica specialmente nell’applicazione dell’analisi dinamica non lineare è necessario disporre di accelerogrammi reali che siano in grado di simulare, attraverso valori di picco, magnitudo distanza, le caratteristiche del terremoto che maggiormente influenza la pericolosità sismica del sito.

La severità di un accelerogramma è racchiusa nei parametri ad esso associati. Solitamente il valore più utilizzato è l’accelerazione di picco amax piuttosto che i

valori di spostamento e velocità massimi.

Il più semplice modello di struttura utilizzato nell’analisi sismica è l’oscillatore ad un grado di libertà. Nella progettazione è fondamentale conoscere il valore massimo della risposta al fine di ricavare le sollecitazioni massime agenti sulla struttura.

E’ necessario quindi costruire delle curve che individuano, per ogni accelerogramma, il luogo dei punti rappresentativi della massima risposta dell’oscillatore al variare della pulsazione naturale e del fattore di smorzamento. Tali curve sono dette spettri di risposta: esse variano in funzione del periodo dell’oscillatore una volta assegnato il valore dello smorzamento.

Lo spettro di risposta relativo ad un singolo accelerogramma è rappresentato da una funzione che oscilla al variare del periodo proprio; esso presenta un andamento piuttosto irregolare dovuto all’effetto di risonanza locale dipendente dal contenuto in frequenza dell’accelerogramma.

Generalmente non è conveniente nella pratica utilizzare questo tipo di funzione per il fatto che le irregolarità sono legate alla singola registrazione; ai fini della progettazione è più significativo utilizzare spettri generalizzati ottenuti come media di spettri relativi a diversi eventi registrati in una certa zona. Gli spettri così ottenuti sono normalizzati rispetto all’intensità e regolarizzati.

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1.6 La progettazione antisismica.

Generalmente, ad eccezione di particolari strutture progettate al fine di scongiurare la benché minima alterazione della costruzione o funzionalità, la progettazione prevede che ciascun elemento sotto l’azione del terremoto di progetto non debba necessariamente rimanere nel campo a comportamento elastico sfruttando quindi le proprie risorse di duttilità.

Una struttura si dice duttile se è in grado di mantenere la propria resistenza per grandi deformazioni come ad esempio l’acciaio; nel caso opposto è detta fragile ( è il caso della muratura e del calcestruzzo).

E’ definita duttilità richiesta µ in riferimento ad un diagramma forza-spostamento elasto-plastico il rapporto tra la forza Fm che si svilupperebbe per

effetto dell’eccitazione sismica prescritta se la struttura rispondesse in maniera interamente elastica e la forza di progetto Fp corrispondente ad un livello di

plasticizzazione significativa, definita come il livello che causa la formazione della prima cerniera plastica.

Secondo le moderne normative, la progettazione antisismica di una struttura si fonda sulle azioni interne derivanti dall’applicazione di un’analisi elastica lineare che impiega azioni introdotte attraverso lo spettro di progetto ed ipotizza che la struttura non si deformi oltre il punto P(fig. 4):

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Simultaneamente si assume però che la struttura possa raggiungere valori più elevati del corrispondente valore di spostamento uP al fine di tenere conto della

duttilità.

La filosofia che le attuali norme ci trasmettono è quella di mirare alla realizzazione di un organismo strutturale con caratteristiche di duttilità grazie alle quali si formano ulteriori cerniere plastiche che vanno ad aumentare il livello di resistenza fino a raggiungere un massimo dopodichè si arriva alla formazione di un meccanismo in cui la struttura risulta completamente labile.

In altre parole, la capacità di assorbire, in maniera controllata, ulteriori aliquote di carico attraverso la dissipazione di energia oltre il campo elastico permette alla struttura di acquisire la riserva di resistenza necessaria al fine di resistere alle sollecitazioni sismiche.

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