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Lo statuto dell'opposizione nell'ordinamento italiano Attuazione e prospettive di riforma

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Lo statuto dell’opposizione parlamentare

Attuazione e prospettive di riforma

Il Candidato

Il Relatore

Marco Bassi Chiar.mo Prof. Francesco Dal Canto

(2)

Alla memoria di mio fratello Matteo, colpito dalla

violenza umana e dall’indifferenza di chi avrebbe

dovuto rendergli Giustizia.

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“Se la opposizione intende l'importanza istituzionale della sua funzione, essa deve sentirsi sempre il centro vivo del parlamento, la sua forza propulsiva e rinnovatrice, lo stimolo che dà senso di responsabilità e dignità politica alla maggioranza che governa: un governo parlamen-tare non ha infatti altro titolo di legittimità fuor di quello che gli deriva dal superare giorno per giorno pazientemente i contrasti dell'opposizione, come avviene del volo aereo, che ha bi-sogno per reggersi della resistenza dell'aria”.

Piero Calamandrei, 1948

Opposizione: In politica, il partito che, tagliandogli le gambe, impedisce al governo di correre verso la rovina.

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2

INDICE

Prefazione ... 4

1. Introduzione ... 7

1. Cos’è l’opposizione? ... 7

2. Forme dell'opposizione parlamentare ... 9

3. L'opposizione nell'ordinamento italiano. ... 15

2. L'opposizione nella Costituzione ... 19

1. Quadro storico di riferimento ... 19

2. La “sovranità popolare” e i suoi limiti. ... 21

3. L'interpretazione dell'art.49 alla ricerca di un modello di opposizione ... 28

4.Minoranze politiche e maggioranze speciali ... 34

5. Quale opposizione? ... 38

3. "Conventio ad excludendum" e "centralità del parlamento" 1. I primi regolamenti parlamentari della Repubblica ... 42

2. Opposizione “consociativa”: una scelta obbligata. ... 48

3. governo debole e “questione di fiducia” ... 51

4. I Regolamenti del 1971: la formalizzazioni di una prassi. ... 55

5. Il ruolo del Presidente dell'Assemblea ... 65

6. L'abuso delle norme parlamentari per fini ostruzionistici: il caso dei Radicali ... 70

7. La crisi di un modello ... 75

8.Le modifiche degli anni '80: programmazione dei lavori, tempi, modalità di voto. ... 79

4. Dalla “consociazione” all’alternanza: il passaggio al maggioritario ... 85

1. Verso il bipolarismo ... 85

2. La modifica della legge elettorale: dal proporzionale al “Mattarellum” ... 90

3. L'evoluzione della forma di governo e le modifiche regolamentari del 1997 ... 97

4. Il rafforzamento del governo e la marginalizzazione della dialettica parlamentare ... 110

5. Tentativi di istituzionalizzare l'opposizione: la breve esperienza del “governo-ombra” ... 121

(5)

3

5.I tentativi di riforma costituzionale

e il futuro dell’opposizione ... 130

1.Trent'anni di tentativi falliti ... 130

2.Le riforme costituzionali del 2005 e del 2016 ... 140

3.Una nuova frammentazione politica: il “tripolarismo” ... 153

4.Il futuro dell'opposizione parlamentare: un problema aperto. .... 160

Conclusioni ... 168

(6)

4

Prefazione

Questo lavoro si è sviluppato nei mesi di campagna elettorale che ha portato al Referendum costituzionale del 4 dicembre scorso e al fallimento del tentativo di riforma Renzi-Boschi. Nel momento in cui ho iniziato la mia ricerca il favor dell’opinione pubblica verso la riforma sembrava piuttosto solido e il Referendum quasi una formalità. I fatti hanno dimostrato quanto fosse fallace questa sensazione, e la valanga di voti contrari che ha sommerso la riforma non lascia dubbi sul netto rifiuto che gli italiani hanno espresso verso un intervento sulla Costituzione adottato dalla sola maggioranza politica senza il coinvolgimento delle opposizioni. La riforma Renzi-Boschi finisce insomma nel cassetto delle “occasioni perdute” insieme al progetto della “bicamerale” e alla riforma costituzionale del 2005, anch’essa demolita dal voto referendario.

Ho dovuto quindi modificare in itinere un progetto di ricerca che voleva tracciare il quadro storico-evolutivo dell’ opposizione parlamentare nel nostro ordinamento per culminare nell’analisi di come le norme e la prassi su questo tema avrebbero potuto trasformarsi alla luce della riforma, che fra le altre cose conteneva la costituzionalizzazione dello “statuto delle opposizioni” e la fine del bicameralismo perfetto. Tuttavia è stato presto chiaro che da cambiare c’era ben poco. L’impatto che la riforma avrebbe potuto avere sull’oggetto della mia ricerca è piuttosto modesto, nel duplice senso di determinare un rafforzamento delle opposizioni o dell’asse governo-maggioranza politica. Soprattutto riguardo al secondo punto, la campagna referendaria, una delle peggiori che ricordi, ha sostenuto con forza che la riforma Renzi-Boschi avrebbe compromesso gli equilibri tra poteri dello Stato in favore del governo, mortificando il valore del confronto parlamentare e sostanzialmente svuotandolo di significato. Ho cercato di dimostrare nelle pagine che seguono che quanto i critici

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5 rimproveravano alla riforma Boschi è già avvenuto, o almeno sta già avvenendo. La riforma avrebbe reso forse più espliciti alcuni aspetti e legittimato alcune prassi che dominano le relazioni politico-istituzionali da molti anni.

Il mio lavoro vuol essere l’analisi di due evoluzioni incompiute, che riguardano l’opposizione parlamentare: quella verso un’opposizione “consensuale” o “consociativa”, di co-decisione dell’indirizzo politico tra le diverse forze parlamentari, che è naufragato alla fine degli anni ’70 con il fallimento del “compromesso storico”; e quella verso un’ “opposizione di controllo”, vigile e critica dell’operato del governo e della maggioranza, e portatrice di un indirizzo politico alternativo credibile e stabile. Un’evoluzione quest’ultima che resta sospesa, incompiuta, appunto, per la pervicace ostinazione della cultura politica del nostro tempo, non importa se di destra o di sinistra, nell’ignorare che la ricerca di un corretto equilibrio istituzionale nel nostro ordinamento passa per il rafforzamento dell’opposizione, e non del governo e della maggioranza politica, come invece si è fatto o tentato di fare costantemente negli ultimi vent’anni.

Inutile dire che questa ricerca rappresenta anche il momento finale di un percorso di studi lungo, faticoso, appassionante. Ci tengo molto a ringraziare chi mi ha permesso di avvicinarmi a ventisette anni allo studio del diritto e di innamorarmi di una disciplina che solo uno sguardo distratto e superficiale può considerare tecnica e arida, essendo invece un ambito di studi dominato dalla logica e dal ragionamento, un campo del sapere ricco e complesso, che richiede una notevole quantità di passione e abnegazione: per questo, e non solo per questo, il mio primo ringraziamento non può che essere per Andrea, senza il quale, forse, non sarei mai arrivato qui.

Un grazie va inoltre al mio relatore, il Prof. Dal Canto, per avermi guidato nella realizzazione di un lavoro difficile e impegnativo, e al Prof. Vincenzo Casamassima, che ha condiviso con me in un colloquio

(8)

6 alcuni dei risultati a cui è giunto nel corso dei suoi studi sul tema dell’opposizione. Il suo aiuto è stato prezioso.

Marina di Campo, 13/01/2017

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7

1

Introduzione

1. Cos’è l’opposizione?

Il momento storico e politico che il nostro paese sta vivendo1 ha portato a un rinnovato interesse per le questioni attinenti i rapporti di forza tra gli attori politici nella dialettica necessariamente conflittuale che è propria degli ordinamenti liberal-democratici. Il conflitto politico, in tali ordinamenti, è infatti condizione imprescindibile per il funzionamento di quel particolare sistema di gestione del potere che chiamiamo “democrazia”. Si potrebbe anzi dire che la logica del conflitto, e dell’alternanza come suo corollario, è uno dei fondamenti di ogni ordinamento democratico.

Il principio maggioritario2 ne è certamente il perno centrale, ma il fenomeno democratico non può essere compreso se non postulando la presenza di un’attenzione costante, a livello politico-istituzionale, verso la partecipazione della minoranza alla gestione del potere, quantomeno sottoforma di controllo, di critica, e di credibile alternativa al governo della maggioranza3.

1

Mi riferisco sia alla recente riforma Costituzionale “Renzi-Boschi”, respinta dagli elettori nel Referendum confermativo del 4 dicembre sia al mutamento del quadro politico nazionale, con la nascita di un inedito “tripolarismo”. Entrambi questi aspetti saranno diffusamente trattati nel prosieguo.

2 Il principio maggioritario “è quello in base al quale l'ambito di una qualsivoglia

collettività la volontà espressa dai più deve prevalere ed essere perciò considerata come volontà di tutti ai fini dell'assunzione delle decisioni collettive” in BARBERA A., FUSARO C., DENICOLO V. (a cura di) “Enciclopedia Treccani delle scienze

sociali” Istituto Treccani, 1996.

3“è la concezione liberale dello Stato […] che permette di collegare sempre più

strettamente la sovranità popolare con la differenziazione delle opzioni politiche espresse dal popolo e quindi il riconoscimento dell'esistenza e dell'azione delle minoranze politiche” SICARDI S., “Maggioranza, minoranze, opposizione nel

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8 In questo contesto, è bene chiarire che la “minoranza” di cui si discute non è una minoranza genericamente intesa, descrittiva di qualunque gruppo legato da interessi o caratteristiche comuni (linguistici, etnici, religiosi, culturali, politici ecc.), e che, come tale, gode delle tutele approntate dalle Costituzioni liberali a salvaguardia, appunto, delle minoranze. La “minoranza” qui in esame ha una precisa caratterizzazione istituzionale: si tratta di quella parte della composizione dell'istituzione rappresentativa dei cittadini, il parlamento, che non ha ottenuto abbastanza suffragi nella competizione elettorale per assumere la guida politica del paese; non è quindi sufficiente neppure una generica minoranza espressa per una o più determinazioni parlamentari singolarmente intese, una minoranza per così dire “occasionale”, ma è necessario che essa riguardi l'indirizzo politico nel suo complesso4. Siamo di fronte alle forze politiche che in un dato momento storico sono portatrici di un complesso di istanze politiche, culturali ed assiologiche minoritarie rispetto al sentire della maggioranza del corpo elettorale.

Anche se così circoscritto, però, il concetto di minoranza aiuta solo in parte a comprendere la portata del fenomeno. Infatti il termine “minoranza” ha un valore semantico meramente descrittivo, statico, quasi una semplice qualificazione aritmetica dei rapporti di forza in seno a un parlamento. Ed invece ciò che interessa in questa sede, e che è parte dell'architettura costituzionale di ogni democrazia, è il profilo dinamico della “minoranza”, come questa si atteggia concretamente nelle relazioni istituzionali soprattutto nei confronti di chi, in virtù del mandato elettorale, ha il compito di dare l'indirizzo politico al Paese. E' quando la minoranza viene presa in considerazione sotto questo profilo attivo, di attore politico-istituzionale che non si limita a subire le scelte della maggioranza, la quale legittimamente esercita le proprie

4 In questo senso GENNUSA M.E., “La posizione Costituzionale dell'opposizione”

Milano 2000 p 16-17; e PIZZORUSSO A,“Le minoranze nel diritto pubblico interno” Milano 1967 p. 179.

(11)

9 prerogative, ma dialoga con essa, le si contrappone, ne condiziona in varia guisa l'esercizio del potere, la sottopone a quel controllo permanente che è anche il più robusto argine a difesa della democrazia, che essa diviene opposizione, e, con la stessa logica con la quale si è circoscritto l'ambito di indagine riguardante le minoranze, è necessario sottolineare che l'opposizione così descritta è “opposizione parlamentare”5. Ciò non significa certo che l'opposizione che agisce in parlamento (i rappresentanti) non sia strettamente collegata con i propri referenti sociali (i rappresentati), e che non vi sia una contiguità e talvolta una sovrapposizione tra opposizione parlamentare e opposizione tout-court (intesa come critica sociale e culturale al potere); anzi, com'è stato osservato, come il radicamento sociale dell'opposizione costituisce la precondizione per il suo radicamento istituzionale, a sua volta il radicamento istituzionale rafforza quello sociale6. Tuttavia, l'opposizione parlamentare, vale a dire l'opposizione più o meno formalmente istituzionalizzata, merita di essere considerata come oggetto di studio a sé poiché il suo agire costituisce uno dei punti nodali dell'ordinamento costituzionale di uno Stato, idoneo a condizionare non solo l'esercizio del potere, ma anche la sua stessa organizzazione.

2. Forme dell'opposizione parlamentare

Affinché il ruolo dell'opposizione si dispieghi nel modo descritto è anzitutto necessario che l'attività oppositoria sia svolta legittimamente7, nelle forme previste dall'ordinamento positivo.

Preliminarmente, occorre che maggioranza e opposizione condividano un retroterra assiologico comune, che è dato solitamente da una

5“quel soggetto politico […] che elabora ed attua un'azione o una strategia di

contrasto con quella posta in essere da un altro soggetto che […] determina la condotta del governo” CAZZOLA F., “governo e opposizione nel parlamento

italiano” Milano 1974.

6 PASQUINO G., “L'opposizione”, Bari, Laterza 1995 p.15.

7

Sul punto si veda CASAMASSIMA V., “L'opposizione in parlamento”, Torino, Giappichelli 201, pp.25-34.

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10 Costituzione scritta, come nel nostro Paese, ma che può essere anche non scritta, come ad esempio nel Regno Unito. Sono le costituzioni a custodire quei principi fondamentali, la Grundnorm teorizzata da Hans Kelsen8, che fanno in modo che maggioranza e opposizione si riconoscano come parte di un medesimo sistema di organizzazione sociale, si sentano cioè attori di un'unica rappresentazione, ingranaggi di una macchina destinata a rompersi se privata di qualche pezzo. E' questo mutuo riconoscimento il punto di partenza per l'analisi del fenomeno oppositorio in democrazia; al di fuori non si può più parlare di opposizione “nel” potere costituito, ma dobbiamo piuttosto parlare di opposizione “al” potere costituito, e in questo ultimo caso la logica che nuove l'agire politico è completamente diversa: non si tratta più di contribuire al corretto funzionamento di un sistema, ma si è in presenza del rifiuto radicale di quel sistema, e della contestuale volontà di sostituirlo con un altro. La dinamica è quella delle rivoluzioni, che mirano a mutare in modo più o meno violento l'ordinamento dato, per ragioni che possono riguardare svariate disfunzioni istituzionali e sociali, una delle quali è proprio l'insufficiente valorizzazione delle minoranze e delle opposizioni.

Si è chiarito che l'oggetto del nostro lavoro è quella minoranza dinamica in seno all'organo legislativo, l' opposizione parlamentare , che agisce entro i confini che la Costituzione e il diritto positivo sub-costituzionale approntano a tutela dell'ordinamento, quindi un' opposizione parlamentare legittimamente esercitata.

Facendo un passo avanti, chiediamoci ora in che modo, con quali forme, può essere esercitata l'opposizione in parlamento, e se vi sono ricorrenze sistematiche e influenze reciproche tra i modi dell'agire oppositorio, la forma di governo e i sistemi partitici ed elettorali. Senza voler essere esaustivi sul punto, e senza addentrarci nelle dettagliate classificazioni tipologiche elaborate dalla scienza politica

8

(13)

11 soprattutto a partire dagli anni '70 del XX secolo9 , possiamo distinguere due macro-tipologie di opposizione parlamentare, che in varia guisa ricorrono (non necessariamente escludendosi a vicenda) in tutti gli ordinamenti democratici: si tratta diun'opposizione che potremmo definire “di controllo”, e una opposizione che potremmo chiamare “consociativa10”.

Se il nomen attribuito a tali macro-categorie può cambiare e se gli stessi contorni definitori sono fluidi ed evanescenti, è comunque possibile individuare un nucleo di caratteristiche che distingue in modo piuttosto netto l'una dall'altra.

L'opposizione di controllo è caratteristica dei regimi costituzionali regolati da norme elettorali a vocazione maggioritaria, con una chiara e definita maggioranza parlamentare omogenea nei suoi tratti politico-ideologici, la quale consente al governo, che dirige e indirizza in modo più o meno intenso l'azione legislativa del parlamento, di avere un accentuato grado di autorevolezza e stabilità tale da consentire la realizzazione di un'azione politica strutturata a medio termine; in questi sistemi, il fulcro della sovranità, l'ago della bilancia, pende decisamente dalla parte del governo, e l'opposizione non viene coinvolta se non marginalmente nelle dinamiche decisionali e di gestione del potere. Il suo ruolo in questi casi, è quello di esercitare una valutazione critica dell'operato del parlamento e del governo, mettendone in luce le contraddizioni e le aporie entro l'istituzione stessa e nei confronti dell'opinione pubblica, presentandosi costantemente come alternativa di governo non conciliabile con l'attuale maggioranza, come due rette parallele che, pur muovendosi

9

Solo per fare un esempio GRAHAM G.J., in “ Consenso e opposizione: una

tipologia” in “Rivista italiana di scienza politica”, 1971, sulla base del disporsi

dell'attività oppositoria sotto il duplice profilo della propria legittimazione e dell'accettazione dei fondamenti costituzionali, distingueva i tipi di opposizione parlamentare lungo un continuum che va da “intrapartitica” (massima condivisione di valori e collaborazione) a “anomica” (massima estraneità); si veda anche LIJPHART A., in “le democrazie contemporanee”, Bologna, Il Mulino 1988.

10

Così ad esempio in LIPPOLIS V., “Partiti, maggioranza, opposizione”, Napoli, Jovene 2007.

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12 nella stessa direzione (i confini dell'ordinamento), non si incontrano mai11.

Con specifico riguardo alle democrazie parlamentari una parte della dottrina ha profilato una significativa evoluzione del principio di separazione dei poteri: alla tradizionale contrapposizione illuministica tra governo e parlamento ove “la separazione [dei poteri] avrebbe significato opposizione [tra i due organi]”12

, si affiancherebbe fin quasi a sostituirla una nuova contrapposizione, quella tra l’asse “governo-maggioranza politica” da una parte, e l’opposizione parlamentare dall’altra13.Sulla base di questo assunto “ alle tradizionali categorie dell’esecutivo e del legislativo si [sostituirebbero quelle più adeguate del “governo” e del “controllo sul governo”, l’una rispondente alla necessità di unità dell’indirizzo politico, l’altra alla logica garantistica della separazione”14

Si può arrivare a configurare in talune circostanze un parlamento inteso come mero esecutore o ratificatore della volontà del governo, o, più spesso, del leader dello stesso. E' chiaro che questo processo, se portato oltre un certo limite, come in quest'ultimo caso, costituisce una pericolosa patologia della vita democratica, mentre per converso se incanalato in un corretto fair play istituzionale, può portare a quella chimera che molti dicono imprescindibile per l'efficienza dell'azione politica (ma che spesso nasconde la ricerca di un potere dai limiti attutiti): la governabilità.

Dare una definizione di “governabilità” non è semplice, e ciò può

11 Nella descrizione tipologica delle “democrazie” operata da LIJPHART A., op.cit.,

questo tipo di ordinamento viene definito “democrazia maggioritaria”.

12 DE VERGOTTINI G., “Opposizione parlamentare”, in “Enciclopedia del diritto”,

Roma, Giuffré 1980 p.534

13 “nello Stato democratico moderno il rapporto maggioranza-opposizione tende ad

assumere sotto alcuni aspetti il rilievo che aveva una volta il rapporto governo-parlamento” e “ La decisione [parlamentare] non si stabilisce più tra il governo e il parlamento preso nel suo complesso, ma si svolge all'interno del parlamento, tra maggioranza e opposizione” BASSO L., “Natura e funzioni dell'opposizione nello

ordinamento costituzionale” in AA.VV., “Studi sulla Costituzione”, Roma, Giuffré

1958.

14

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13 apparire paradossale considerando che è ormai un concetto centrale di ogni dibattito relativo alla forma di governo (compreso quello relativo alla riforma “Renzi-Boschi”). In prima approssimazione può valere quello che si è detto poco sopra: per “governabilità” si intende quell'attributo dell'ordinamento caratterizzato dall'autorevolezza e stabilità di un governo che può progettare il suo agire politico a medio termine (di legislatura).

Altrettanto paradossale, o almeno non così intuitivo, è il fatto che, proprio in virtù della torsione e dello snaturamento del rapporto governo-parlamento, l'opposizione c.d. “di controllo”, la quale all'apparenza potrebbe apparire più passiva, meno coinvolta nell'esercizio del potere, di pura protesta in attesa di diventare (auspicabilmente) maggioranza, assurge invece ad una posizione di fondamentale rilievo costituzionale, venendo a controbilanciare il monolite governo-parlamento15.

Per proseguire con le metafore euclidee, è su questo triangolo governo-parlamento-Opposizione che pare muoversi il bilanciamento dei poteri nel modello descritto. Avremo modo di approfondire questi aspetti più diffusamente nel prosieguo di questo studio, poiché non sveliamo alcun mistero se anticipiamo che è in questa direzione che si è mosso, e continua a muoversi, il nostro ordinamento.

L'altra forma di opposizione, l’opposizione “consocitiva” è propria invece degli ordinamenti regolati da modalità di elezione di tipo proporzionale, caratterizzati da una forte frammentazione politica e da una intensa disomogeneità di valori e di fini. In questo contesto le maggioranze sono instabili e variabili, e di rimando lo è anche il governo, incapace di esercitare la sua funzione di indirizzo politico, perennemente precario e quasi ininfluente nelle dinamiche decisionali, che si svolgono in buona parte in seno al parlamento (o almeno entro i circuiti partitici). L'opposizione, come la maggioranza, può essere

15

(16)

14 variabile, discontinua, molto frammentata, può godere di ampi spazi di manovra per vedere realizzate alcune delle proprie istanze, in una logica di “contrattazione” politica permanente. L'opposizione ha quindi la possibilità se non di co-esercitare il potere, almeno quella di essere in vario modo coinvolta nella sua gestione16.

E' fin troppo facile enucleare le caratteristiche di questo modello: instabilità di governo, politiche di breve respiro, ampio potere nelle mani di piccoli gruppi parlamentari in grado di paralizzare o quasi l'azione del parlamento; ma anche minor rischio di concentrazione del potere e alta rappresentatività.

Alla luce di quanto esposto appare abbastanza chiaro lo stretto legame esistente tra sistemi elettorali (e partitici) da un lato, e forme e modi dell'agire oppositorio dall'altro (un agire che come abbiamo visto si riverbera poi sul ruolo stesso dell'opposizione nell'assetto costituzionale).

La scelta di un sistema elettorale maggioritario o proporzionale, ben lungi da essere solo una questione di metodo nel selezionare la rappresentanza politica, ha un'influenza determinante sui rapporti istituzionali e sulla continuità di indirizzo, lungo l'asse che muove da un massimo di governabilità e stabilità, ad un massimo di rappresentatività e frammentarietà. Si intuisce, in modo lapalissiano, che le scelte in materia elettorale si muovono entro questi due poli, e che possono darsi, come è spesso è accaduto, sistemi misti articolati in vario modo (come ad esempio la legge elettorale italiana del 1993, c.d. “Mattarellum”, che avremo modo di analizzare17

).

Accanto ai sistemi elettorali, un altro aspetto che deve essere tenuto in grande considerazione nello studio delle forme dell'opposizione parlamentare, almeno nel nostro paese, è quello afferente alla disciplina dei regolamenti parlamentari

16 Nella classificazione di LIJPHART A., op cit., tale ordinamento viene definito

“democrazia consensuale”.

17

(17)

15 Fonte normativa peculiare, perché di rango sub-costituzionale ma non soggetta al vaglio critico della Corte Costituzionale in virtù dell'autonomia del parlamento rispetto agli altri organi dello Stato (autodichia)18, condiziona in modo spesso determinante l'andamento dei lavori dell'organo legislativo, anche con riguardo alla dialettica tra maggioranza e opposizione.

Come vedremo nel corso di questo studio, talvolta i regolamenti parlamentari sono stati modificati per cristallizzare una prassi già consolidata nel tempo, altre volte invece la modifica regolamentare ha preceduto e influenzato il mutamento dei modi di fare opposizione. Un' ulteriore distinzione che è necessario operare in questa panoramica del fenomeno oppositorio, è quella tra ordinamenti che riconoscono l'opposizione formalmente come soggetto istituzionale, investendola di poteri peculiari e di una rappresentanza che spesso appare speculare al rapporto tra maggioranza parlamentare e governo, in termini rigorosamente definiti (è il caso del modello inglese con il suo shadow

cabinet), nel quale l'opposizione viene espressamente responsabilizzata

come “specchio” della maggioranza. Oppure vi sono ordinamenti quale il nostro ove invece la disciplina riferita specificamente all'opposizione parlamentare è carente, talora assente, a partire dal testo costituzionale.

3. L'opposizione nell'ordinamento italiano.

Non si deve cadere nell'errore di pensare che per il fatto che la Costituzione non qualifica espressamente l'opposizione parlamentare, questa non si giovi delle garanzie previste dalla Carta; di più, non si deve pensare che dalla Costituzione non possano essere ricostruite

18Sent. Corte Cost. 154/1985; a parziale evoluzione di tale orientamento è giunta la

sentenza 120/2014 che introduce una sorta di “sindacato indiretto”, in quanto afferma che “l'indipendenza delle camere non può […] compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l'attuazione di principi inderogabili”. Nonostante l'importanza di tale giurisprudenza sotto il profilo dell'inquadramento sistematico del regolamenti parlamentari tra le fonti normative, non sembra che, con riguardo al tema in esame, possa avere particolare rilievo, poiché si riferisce in modo peculiare ai rapporti del parlamento con i terzi (es. dipendenti).

(18)

16 norme che la tutelano direttamente.

E' indubbio infatti che anche in un contesto di (parziale) vuoto normativo, l'opposizione gioca comunque quel ruolo necessario e imprescindibile nell'ordinamento democratico di cui abbiamo parlato. Ed è appunto Il ruolo, l'evoluzione, le garanzie dell'opposizione parlamentare nel nostro paese dall'avvento della Costituzione fino ad oggi è il tema specifico di questo lavoro; una sorta di “Storia Costituzionale dell'opposizione” che non vuol essere una mera elencazione di fatti e norme, ma tenterà di testare sul campo quanto si è detto fin ora, cercherà cioè di mostrare come al mutare delle dialettica e della sensibilità nel rapporto triangolare governo-parlamento-Opposizione, possa evolversi in modo significativo anche la forma di governo, pur non cambiando una virgola del testo costituzionale.

A tal proposito, è doveroso da parte mia considerare che questo studio, come ho detto all'inizio, viene alla luce in un momento molto particolare della vita politico-istituzionale del nostro paese.

Di recente il corpo elettorale ha respinto a larghissima maggioranza19 la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi che le camere avevano licenziato in seconda lettura nell'aprile 2016. Si trattava di una delle riforme costituzionali più significative della storia della nostra Repubblica, che ridisegnava in modo sostanziale l'architettura del nostro ordinamento contenuta nella seconda parte della Carta, intervenendo su numerosi aspetti dei rapporti tra istituzioni.

A una simile fase era arrivata anche la riforma costituzionale approvata nel 2005 su input del governo di Centrodestra, di contenuti in parte diversi ma di analoga portata20, che fu poi cassata anch'essa dall'esito negativo del Referendum, peraltro di proporzioni analoghe.

Tuttavia, senza per il momento entrare nel merito della riforma Renzi-Boschi, che sarà oggetto di specifica trattazione, nel corso di questo

19

L'esito referendario è stato per il 59,8% per il no alla riforma.

20

(19)

17 lavoro tenteremo di dimostrare come, con riguardo allo specifico profilo in esame, la riforma non sarebbe intervenuta in modo radicale a modificare il rapporto dialettico governo-Maggioranza-Opposizione; piuttosto, avrebbe reso palese, istituzionalizzandola e cristallizzandola, una dialettica già evoluta nel corso della Seconda repubblica, una evoluzione di cui la riforma sarebbe stata in qualche modo il punto di arrivo21, peraltro in conformità con alcuni precedenti tentativi di riforma costituzionale egualmente naufragati22

Cionondimeno, la riforma conteneva anche significative novità circa il valore e il ruolo assegnato all'opposizione, che a mio avviso sono il corollario necessario dell'evoluzione appena descritta. Si trattava in larga misura di asserzioni di principio che poi le fonti normative sub-costituzionali avrebbero dovuto riempire. Data la pesante bocciatura referendaria, la riforma Boschi cadrà presto nell'oblio, e tuttavia non è inutile ricostruire l'atteggiamento che mostra nei confronti del problema di cui ci occupiamo, proprio perché evidenzia un orientamento politico inerente la forma di governo e il fenomeno oppositorio che è ancora attuale e consente in una certa misura di prevedere le evoluzioni future.

L'ordinamento italiano viene preso qui in considerazione perché è quello che ci riguarda direttamente, ma per un fortunato caso si presta ad essere un campo privilegiato di studio del fenomeno oppositorio. Infatti, nella sua relativamente breve vita repubblicana, l'Italia ha sperimentato, per ragioni endogene ed esogene all'ordinamento, modi radicalmente diversi di intendere e di fare opposizione parlamentare, ed è ben visibile in questo senso il rapporto tra le forme dell'opposizione, la forma di governo e il mutare dei rapporti istituzionali.

Un ultimo punto merita di essere trattato in questa breve introduzione:

21 In questo senso, sia pur con accenti molto critici, ZAGREBELSKY G.,

PALLANTE M., “Loro diranno, noi diciamo”, Bari, Laterza 2016.

22

Ci riferiamo in particolare alla “riforma Berlusconi” del 2005 e al progetto della “bicamerale D’Alema” nel 1997.

(20)

18 fin ora si è parlato di “opposizione parlamentare” come se si trattasse di un monolite, un' unica entità contrapposta alla maggioranza. E' quasi pleonastico, ma comunque necessario, rimarcare come invece nella vita politica di uno Stato l'opposizione parlamentare può essere molto frammentata, talvolta convergente riguardo l'atteggiamento da tenere nei confronti della maggioranza, talora invece radicalmente divergente; si dovrebbe parlare, in questi casi, di “opposizioni” e non di “opposizione” .

Tuttavia, senza mai dimenticare questo incontrovertibile dato di fatto, dovendo analizzare l'opposizione intesa come “istituzione”, ci riferiremo ad essa come se fosse una entità (fittiziamente) omogenea, tranne nei casi in cui la distinzione si rivelasse determinante per la comprensione di taluni aspetti dell'evoluzione del fenomeno.

Com'è stato acutamente sottolineato, è indubbio come “ogni paese ha l'opposizione che si merita23” ed altrettanto certo è che l'autorevolezza e la forza di un'opposizione, la sua capacità di essere realmente quel fondamentale pilastro costituzionale che abbiamo descritto, dipende in larga misura dai soggetti che la incarnano. Eppure, le norme che regolano l'esercizio dell'opposizione, i sistemi elettorali, le forme della dialettica istituzionale, ne possono influenzare l'agire e l'efficacia in modo sorprendente e per nulla intuitivo, ed è da tale complesso normativo che deve scaturire quell'equilibrio istituzionale senza il quale si minano in radice le fondamenta di una democrazia.

23

(21)

19

2

L'opposizione nella

Costituzione

1. Quadro storico di riferimento

Il 2 giugno 1946 gli italiani vennero chiamati a decidere la forma istituzionale che avrebbe assunto il nuovo Stato italiano all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, e a scegliere i propri rappresentanti in seno all'Assemblea Costituente1. Gli esiti di quel voto, il primo a suffragio universale nel nostro paese, partecipato peraltro in modo amplissimo dalla popolazione2, portarono la Costituente a strutturarsi lungo tre grandi correnti politico-ideologiche: quella cattolica, quella comunista e socialista e, seppure con minore forza delle altre due, quella liberale3.

Dobbiamo brevemente ricordare che l'Italia della Costituente era una Nazione appena uscita da un ventennio di dittatura fascista, dal conflitto bellico più devastante della storia dell'umanità4, da una guerra civile e dall'occupazione straniera sul proprio territorio. Inoltre, l'ideologia nazifascista aveva perpetrato e tentato di avallare scientificamente aberranti teorie di superiorità razziale che avevano

1 Decreto Luogotenenziale 151 del 25/06/1944.

2 Il dato dell'affluenza sfiorò quasi il 90% degli aventi diritto, con circa 25 milioni di

votanti.

3

GHISALBERTI C., “Storia costituzionale d’Italia 1848-1994” Bari, Laterza 2002, pp. 411 e ss.

4 Complessivamente si calcola che la IIª guerra mondiale portò alla morte di circa 50

milioni di persone; il precedente triste primato apparteneva alla Iª guerra mondiale, con circa 5 milioni di morti.

(22)

20 consentito la discriminazione, la deportazione e lo sterminio di milioni di persone. In questo contesto appariva chiara la necessità di creare una discontinuità con l'assetto costituzionale dello Statuto Albertino, il quale non aveva saputo arginare l'affermarsi di una dittatura e aveva mostrato di non essere un efficace strumento per contrastare il compiersi dei terribili fatti accennati. La prima preoccupazione fu quella di porre al centro dell'intero nuovo assetto costituzionale la centralità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, anzi inalienabili, come recita l'art. 2, il quale non attribuisce tali diritti, ma li “riconosce e garantisce”, con ciò mostrando di considerarli diritti pre-politici legati alla natura stessa dell'essere umano.

Per rendere effettiva questa dichiarazione di principio, nel disegnare l'architettura della neonata Repubblica Italiana i costituenti si mossero lungo due direttrici: da una parte si doveva creare un sistema di garanzie, una serie di anticorpi per impedire il ripetersi dell'esperienza dittatoriale; dall'altra si voleva riportare il parlamento al centro della dialettica istituzionale, superando il c.d. “parlamentarismo debole5”, proprio del vecchio Stato liberale. In quest'ottica, si collocano le scelte del Costituente circa il bicameralismo perfetto, i poteri assegnati all'esecutivo e il rapporto fiduciario tra governo e parlamento. Tali scelte di fondo sono fondamentali nella nostra analisi, poiché, incanalando l'esercizio del potere verso specifiche modalità istituzionali, modellano anche il modoo i modi dell'agire oppositorio. Nell'analizzare le norme costituzionali in relazione al tema di cui ci stiamo occupando, dobbiamo partire dal fatto che dell' “opposizione parlamentare” come soggetto istituzionale l'Assemblea Costituente non si occupa affatto, quindi di tale qualificazione nella Carta non vi è traccia, né dal punto di vista soggettivo, né dal punto di vista funzionale; invero, nei 139 articoli che la compongono la parola

5

Sul tema del “parlamentarismo debole” si veda CARBONI A., “Alla ricerca di uno

(23)

21 “opposizione” non compare mai6

.

Non vi è dubbio che l'intero impianto della Costituzione sia mosso da una marcata sensibilità verso i diritti di libertà, e come corollario di siffatta sensibilità è evidente la profonda attenzione verso le “minoranze” genericamente intese. Tuttavia, più complessa a prima vista può essere la ricostruzione dell'atteggiamento del Costituente verso quella particolare species di minoranza che è la minoranza politica (e parlamentare).

Necessario è risalire, attraverso un ragionamento di tipo induttivo7, alle norme costituzionali che regolano il fenomeno oppositorio e i rapporti istituzionali tra forze politiche

2. La “sovranità popolare” e i suoi limiti.

La ricognizione non può che partire dall'art.1, il quale, nel secondo comma, dopo aver solennemente enunciato il principio democratico (“la sovranità appartiene al popolo”), statuisce che il popolo può esercitare la sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Per poter comprendere pianamente il significato della locuzione “sovranità popolare” non si può prescindere dall'analisi del concetto di “popolo”, inteso non in senso assoluto, ma con riguardo al significato ad esso attribuito dal legislatore costituente. Al proposito ci è molto utile una riflessione di uno dei più autorevoli rappresentanti della Costituente, Lelio Basso, il quale rilevò come in luogo di una visione artefatta di popolo, artificialmente rappresentato come unitario ed omogeneo dall'ideologia fascista, si delineò nei lavori dell'Assemblea una concezione di esso come “entità concreta, fatta di una collettività di

6Come rileva opportunamente GIANNUSA M.E. “La posizione costituzionale

dell'opposizione” Milano 2000 p.93 “a differenza del sistema inglese […] il nostro

ordinamento è del tutto privo di riferimenti espliciti al fenomeno oppositorio, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello funzionale”

7

GIANNUSA M.E., op. cit., p. 93 al riguardo parla di sistemazione dell'istituto (dell'opposizione parlamentare) al livello interpretativo e deduttivo; tuttavia trattandosi di un'analisi che parte dal testo costituzionale e dal dibattito in Costituente per risalire ai princìpi del fenomeno oppositorio, dal punto di vista logico-sistematico ritengo sia corretto parlare di ragionamento induttivo.

(24)

22 cittadini, ognuno diverso dall'altro, […] ognuno con propri interessi, propri ideali, proprie volontà8”, con ciò volendo sottolineare come lo spirito pluralistico e dialettico, che è alla base del fenomeno oppositorio, fosse ben presente e radicato fin nel primo tra i princìpi fondamentali dell'ordinamento.

E' fin dall'esordio della Costituzione, quindi, che possiamo iniziare a tracciare una disciplina costituzionale dell'opposizione. Come detto, però, è lo stesso articolo 1 a delineare i limiti all' esercizio della sovranità popolare, nonché i limiti alle forme nelle quali questa può essere svolta. Per tornare alle parole di Basso, non tutti gli interessi, non tutti gli ideali e non tutte le volontà possono essere rivendicate legittimamente dai cittadini e dagli enti che li rappresentano in seno alle istituzioni, i partiti. E' questo il limite per così dire esterno delle manifestazioni oppositorie, le c.d. “opposizioni antisistema9”, le quali hanno come fine politico non la prevalenza delle proprie istanze entro l'ordinamento dato, ma la sostituzione di quell'ordinamento con un altro.

A differenza di altre Costituzioni, come quella tedesca, che da questo punto di vista ha molti punti di contatto con la nostra, essendo nata sulle macerie di un'esperienza dittatoriale simile a quella italiana, la Carta non vieta esplicitamente e di per sé un'aggregazione politica che si ponga in contrasto con i suoi princìpi, con ciò rifiutando qualunque impostazione di “democrazia protetta” L'unico limite formalmente normato è quello della XIIª disposizione transitoria, la quale vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Tuttavia, se tale norma costituzionale pare occuparsi di escludere la legittimazione per un solo, determinato movimento politico, quello fascista, è interessante notare che la disciplina sub-costituzionale

8

BASSO L.,”Natura e funzioni dell'opposizione nell'ordinamento costituzionale

italiano” in AA.VV., “Studi sulla Costituzione”, Roma, Giuffré 1958, II, p.377.

9

Così descritte ad esempio in CASAMASSIMA V., “L’opposizione in parlamento” Torino, Giappichelli, 2013.

(25)

23 chiamata a darle attuazione, contenuta nella legge n.645/1952 (c.d. Legge Scelba) sembra d'altro canto avere una portata più ampia, dichiarando nel primo articolo che si ha ricostituzione del partito fascista “quando un'associazione, un movimento […] persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza [...]”10

.

A nostro giudizio11 in tale norma è possibile ravvisare, almeno in astratto, il divieto di costituzione di partiti politici che, pur non essendo “fascisti”, perseguano finalità antidemocratiche con le modalità che la norma stessa descrive, al di là del nomen assunto e dei contenuti ideologici della proposta politica. Nonostante ciò, non solo tale norma non è mai stata applicata nei confronti di movimenti politici diversi da quelli di ispirazione fascista, ma anche nei confronti di quest'ultimi si è assistito a un graduale depotenziamento della sua portata precettiva. Nella consapevolezza che una norma di questo tipo pone delicate questioni di bilanciamento con altri principi costituzionali, quali la libertà di associazione (art.18) e la libertà di manifestazione del pensiero (art.21), già nel 1957 la Corte Costituzionale si vide sollevare la questione di legittimità; in quel caso, discutendo non della ricostituzione del partito fascista ma dell'apologia di fascismo (art 4 della medesima legge), la Consulta ebbe a dire che per apologia debba intendersi non una mera “difesa elogiativa, [ma una] istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla [riorganizzazione] e a tal fine idoneo ed efficiente”12

Sia la giurisprudenza costituzionale che quella di merito hanno finito per qualificare il reato di riorganizzazione (e apologia) ristretto al solo “disciolto” partito fascista e solo nel caso in cui gli scopi politici

10 Legge 20 giugno 1952 art.1.

11 In senso conforme RIZZONI G. in “Commentario alla Costituzione”, Torino, Utet

Giuridica 2001, Art 49, p. 991.

12

(26)

24 qualificati dalla Legge Scelba fossero perseguiti attraverso l'uso delle armi, con ciò svuotando di fatto la norma, dal momento che già l'articolo 18 proibisce le associazioni che perseguano scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. L'applicazione della XIIª disposizione transitoria, mediante la Legge Scelba, ha avuto un unico esito nello scioglimento di “Ordine Nuovo”, gruppo terroristico fascista, nel 197413.

Le ragioni per le quali il Costituente ha ritenuto di non inserire, nella Legge Fondamentale, un divieto generale di legittimazione rivolto a forze politiche “antisistema” sono state ricercate, da storici e giuristi, nella peculiarità del contesto storico-politico di quel momento. La presenza di un forte e radicato Partito Comunista, protagonista principale della Resistenza e per questo legittimato, a pieno titolo, a far parte delle forze politiche fondative del nuovo ordinamento, non consentiva di formulare un generalizzato, divieto come quello esistente in Germania. Infatti, la proposta politico-ideologica del P.C.I. aveva come punto nodale, a medio-lungo termine, la sostituzione dell'ordinamento liberal-democratico e capitalistico disegnato dalla Costituzione, con un ordinamento di ispirazione socialista, con tutto ciò che ne consegue. In tale contesto sarebbe stato impossibile costituzionalizzare un divieto che avrebbe potuto delegittimare uno dei partiti che aveva maggiormente contribuito alla formazione della Costituzione stessa.

Il richiamato art.18, oltre a vietare associazioni che perseguano scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare, prevede due ulteriori limitazioni alla libertà di associazione, e quindi indirettamente alla libertà di formazione di movimenti politici. La prima non crea particolari problemi interpretativi, riguardando il divieto di associazione per fini vietati ai singoli dalla legge penale; la seconda, più significativa sotto il profilo che ci interessa, riguarda il divieto di

13

Tribunale di Roma Sentenza del 9.02.1974 con una nota di PETTA P., in

(27)

25 formazione di associazioni segrete.

Si badi bene che tale divieto non prende in considerazione il fine dell'associazione, lo scopo che essa persegue, ma pone l'attenzione esclusivamente alle modalità attraverso le quali la sua attività si riverbera sull'ordinamento. Nel caso di associazioni politiche è stato osservato che il divieto in parola voglia impedire che un movimento politico, attraverso la segretezza della sua azione, possa “detenere un potere ed una autorità capaci di agevolmente sostituirsi al potere statale”,14

e, mentre una parte della dottrina ha voluto vedere in questo uno strumento di contrasto alle associazioni antidemocratiche in genere15, altri hanno attribuito un valore meno dirompente alla norma, sottolineando che il fine della stessa sarebbe piuttosto quello di impedire la creazione di poteri occulti, non trasparenti, che si sottraggano, attraverso la segretezza, al confronto democratico, mettendo in tal modo a rischio la stabilità dell'ordinamento. 16

E' ragionevole ritenere che l'interpretazione per così dire “restrittiva” sia maggiormente corretta sia dal punto di vista testuale che sistematico e si deve aggiungere che la normativa sub-costituzionale di riferimento (L. 17/1982) limita il divieto di formazione di associazioni segrete a quelle che svolgano un'attività “politicamente rilevante”, con ciò intendendosi “attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni degli organi Costituzionali” 17

In questo senso quello dell'art.18 appare uno dei più significativi divieti che l'ordinamento pone alla formazione di movimenti politici, con ciò palesando l'accentuato valore conferito alla dialettica istituzionale

14 PACE A., in “ Art.18 - Commentario alla Costituzione” , Roma-Bologna 1977 p.

219.

15

PETTA P., in “Le associazioni anticostituzionali nell'ordinamento costituzionale

italiano” in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1973, sosteneva che nei divieti

prescritti dall'art. 18 fossero ravvisabili “mezzi di difesa dell'ordinamento contro i movimenti antidemodratici, e garanzia offerta a tutti i partiti politici di rispetto delle regole del gioco”.

16 In questo senso SUMMA A., “Divieto di associazioni segrete” in VIOLANTE L.

(a cura di), “Il parlamento”, Torino, Einaudi, 1990 pp. 48-49 e CURI U., “La

politica sommersa” in “Lab..Pol. 1981”pp 233 e GIANNUSA op cit., p 107.

17

(28)

26 opposizione(i) per il corretto funzionamento del sistema istituzionale. In altre parole, nel divieto sopra richiamato si rileva un implicito riconoscimento del ruolo del fenomeno oppositorio, negando legittimazione a quelle formazioni politiche che, in virtù della segretezza, si sottrarrebbero alle dinamiche proprie di tale fenomeno. Un ulteriore profilo, che è interessante valutare nell'analisi dei “limiti” costituzionali all'attività politica, è quello concernente la genesi e l'interpretazione dall'art. 49, il quale recita “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Tale norma, molto rilevante per il nostro discorso, pone una serie di delicate questioni. Anzitutto occorre focalizzare l'attenzione sulla prescrizione che vuole che i partiti concorrano “con metodo democratico” a determinare la politica nazionale.

C'è da chiedersi se tale prescrizione inerisca ad un profilo esterno alla singola forza politica, vale a dire se voglia semplicemente che nelle relazioni tra forze politiche diverse siano da tutti rispettate le regole che l'ordinamento democratico prescrive (da ricondursi essenzialmente al rispetto delle istituzioni statali e al divieto dell'uso della violenza come strumento di lotta politica), o se invece sia da attribuirsi anche ad un profilo interno al singolo partito, di talché nella sua organizzazione interna questo sarebbe tenuto a dotarsi di strumenti atti a riprodurre, in piccolo, la dialettica maggioranza-opposizione, con le relative garanzie a tutela dei diritti delle minoranze interne e dei singoli iscritti.

Si tratta di un problema molto rilevante, poiché, se si accogliesse l'interpretazione che impone la democraticità interna, potrebbero essere dichiarati incostituzionali tutti i partiti a cui venisse attribuito un deficit di afflato democratico. Invero in Assemblea Costituente la questione è stata ampiamente discussa ed infine risolta con l'esclusione del requisito della democraticità interna. In particolare, il testo dell'art 49

(29)

27 proposto da Mortati e Ruggiero18, stabiliva che “tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nella azione diretta alla determinazione della politica nazionale” 19

. Mortati argomenta sostenendo che l'intensa democraticità che la Costituzione vuol dare all'ordinamento giuridico non deve coinvolgere solo gli organi statali, ma deve estendersi “a tutti gli organismi inferiori di carattere non solo pubblico, ma anche privato. Abbiamo infatti stabilito l'obbligo di democratizzazione dei sindacati, delle aziende private […], perfino dell'esercito. Mi pare che sarebbe assai strano prescindere da questa esigenza di democratizzazione proprio nei riguardi dei partiti, che sono alla base dello Stato democratico”20

Nonostante la fondatezza di tali argomentazioni, già nel dibattito della Costituente si optò per rigettare tale impostazione, sulla base della oggettiva difficoltà nel determinare, con certezza e uniformità, le caratteristiche che avrebbero dovuto rendere un partito “democratico”; inoltre fu ritenuta problematica l'individuazione degli organi deputati a questa valutazione. In generale, sia per la democraticità interna che per quella esterna al partito, la Costituzione e la successiva legislazione sub-costituzionale, nonché la giurisprudenza, hanno sempre rifiutato l'impostazione di “democrazia protetta”21

, e ciò in ragione delle già richiamate peculiarità storico-politiche del nostro paese e di una generale sfiducia verso il controllo esterno ed autoritativo sulle forze politiche.

Abbiamo quindi un quadro abbastanza chiaro delle forme che può

18 In “La Costituzione nei lavori preparatori” dibattito sull'art. 49 che nei lavori

preparatori figura come numero 47, in virtù di una successiva modifica della numerazione.

19 Seduta dell'Assemblea Costituente del 22 maggio 1947.

20 In “La Costituzione nei lavori preparatori” dibattito sull'art. 49 pp. 1881 e ss. 21 RIZZONI G., Art.49 in “Commentario alla Costituzione” pp. 991 e ss. scrive in

proposito che “La scelta fatta propria […] nel nostro sistema individua nel libero confronto fra le diverse posizioni politico-ideologiche presenti nella società la risorsa per la più ampia integrazione delle forze politiche nel sistema democratico. Sulla base di queste premesse, viene pertanto esclusa la possibilità di istituire qualunque forma di controllo sugli scopi e l'orientamento ideologico dei partiti”.

(30)

28 assumere l'esercizio della sovranità popolare nel nostro paese secondo la Costituzione. Grande importanza viene assegnata a quelle particolari associazioni di cittadini che sono i partiti. Ogni partito ha diritto a svolgere la propria attività politica con esclusione di qualunque controllo da parte dell'autorità statale, sia riguardo la forma che la sostanza di tale attività, ad eccezione delle limitazioni poste dalla Costituzione e validi per ogni associazione ex art. 18 (divieto di perseguimento di scopi politici mediante l'uso delle armi, divieto di scopi associativi che costituiscano reati e divieto di associazioni segrete22 ), divieti ai quali possono essere ricondotti, alla luce dell'elaborazione successiva, sia le prescrizione circa il “metodo democratico” di cui all'art. 49, sia il divieto di ricostituzione del partito fascista di cui alla XII disposizione transitoria.

Dopo aver delineato quali possono essere i soggetti chiamati ad incarnare la dialettica maggioranza-opposizione e aver visto come, fin dall'art.1, la Costituzione attribuisca a tale dialettica un rilievo preminente entro l'ordinamento, dobbiamo ora valutare se, e come, la Costituzione indirizza le modalità e le forme attraverso le quali tali dialettica si dispiega.

3. L'interpretazione dell'art.49 alla ricerca di un modello di

opposizione

L'art. 49 rappresenta un terreno di studio privilegiato per chi si proponga la ricostruzione dell'atteggiamento del Costituente in relazione al fenomeno oppositorio; si tratta della norma costituzionale che fa il più esplicito riferimento alle necessarie relazioni tra le forze politiche, in vista di una finalità istituzionale. L'interpretazione di tale norma dovrebbe consentire di riconoscere il tipo di interazioni tra maggioranza e opposizione che la Costituzione avrebbe disegnato per l'ordinamento italiano. Sennonché, ad opera degli interpreti, si è giunti

22

Con i limiti introdotti dalla Giurisprudenza alle sole associazioni politicamente rilevanti.

(31)

29 a due interpretazioni sostanzialmente opposte, che possono giustificare il favor costituzionale per entrambi i tipi di opposizione che abbiamo enucleato nell'introduzione, quella “consociativa” (che prevede la compartecipazione dell'opposizione al processo decisionale della maggioranza) e quella “di controllo” (che riguarda il caso di un'opposizione “vigile” nei confronti dell'operato della maggioranza e che si pone costantemente come credibile alternativa alla maggioranza stessa)23. Le divergenze interpretative riguardano il valore di attribuire al concetto di “concorso” e di “politica nazionale”, e di conseguenza la ricostruzione della norma sottesa all'art. 49. La prima interpretazione volge lo statuto (implicito) dell'opposizione nel testo costituzionale verso una direzione nettamente “consociativa”.

Prendendo le mosse dalla visione della “politica nazionale” come “ una [e una sola] politica, “la” politica nazionale”24, che “deve risultare dal concorso [di tutte le] forze politiche”25

si riconduce il concetto di “concorso” ad una “ sintesi di un accordo di continuo raggiunto e ridiscusso di indirizzi politici diversi ed anche contrapposti”26

, di talché i rapporti tra maggioranza e minoranza parlamentare si atteggerebbero non come dialettica oppositiva tra orientamenti politico-ideologici confliggenti, ma come continua ricerca di una sintesi, di un compromesso tra le forze politiche, un compromesso che in quest'ottica non sarebbe una fase temporanea ed eventuale della dialettica politica, ma assurgerebbe a paradigma delle relazioni dei partiti in seno al parlamento. In questo modo, il contributo del singolo partito “perde la propria specificità e la propria imputabilità, per riemergere irriconoscibile, insieme a tutti gli altri, in un prodotto compatto”27

finalizzato a confluire in un fine unitario, necessariamente

23 Vedi infra- Introduzione.

24 MANNINO A., “indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra governo e parlamento”

Milano 1973 p. 12.

25 ROHERSSEN C., “L'opposizione Oggi” in “Politica del diritto” 1977 p 408.

26 COLONNA F., “Comunisti e parlamento” in “Studi parlamentari e di politica

costituzionale”, 9-1976 p.10.

27

(32)

30 omogeneo e monolitico, che è appunto “la” politica nazionale, intesa come “le scelte e i fini fondamentali della Repubblica”28

. Negli esiti di tale confluenza, in questa sorta di fusione tra orientamenti politici divergenti ove ogni partito deve cedere una parte delle proprie pretese ed avallare una parte delle pretese degli altri, gli assertori di una siffatta interpretazione vedono realizzarsi la politica nazionale descritta ex art.49 ; ne consegue che l'unica interpretazione coerente del “concorso” tra i partiti è quella di un negoziato senza soluzioni di continuità.

A sostegno di questa proposta interpretativa si porta il disposto dell'art 64 co. 3 e 94 co.4 , laddove il primo prevede come regola generale per le deliberazioni parlamentari la maggioranza semplice29, mentre il secondo statuisce l'assenza di un obbligo per il governo alle dimissioni in caso di voto contrario ad una sua proposta da parte di uno o entrambi i rami del parlamento. Da una parte, si sostiene, il principio generale della maggioranza semplice , senza alcuna connotazione politica, permette la ricostruzione dei rapporti maggioranza-minoranza in termini meramente numerici e mobili, di conteggio aritmetico dei rapporti di forza riferiti ad ogni singola deliberazione, dall'altra l'esclusione dell'obbligo di dimissioni in capo al governo confermerebbe l'assenza di un vincolo tra una specifica maggioranza e il governo. E' stato infatti osservato che “la Costituzione […] vuole che in ogni momento del mandato governativo vi sia la fiducia “delle camere”, non che la fiducia debba essere concessa, mantenuta e revocata da una certa maggioranza assolutamente immutabile”30

. Non solo la Costituzione non imporrebbe l'obbligo maggioranze stabili ed omogenee, ma anzi avrebbe come implicito presupposto proprio la

28 COLONNA, op. cit., p.10. 29

Per essere valida una deliberazione parlamentare deve essere assunta in presenza della maggioranza dei componenti e con il voto favorevole della maggioranza dei presenti salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale (art. 64 co.3).

30

LAVAGNA C., “Maggioranza di governo e maggioranze parlamentari” in

(33)

31 circostanza della loro mutevolezza31 In linea con tale assunto si arriva alla conclusione che l'unico momento della vita politica nel quale si ha una vera dialettica tra maggioranza e opposizione è quello del conferimento della fiducia, momento in cui si palesa l'esistenza “di un'opposizione portatrice di una linea alternativa di politica generale”32 Tale ultima affermazione appare difficilmente condivisibile quale che sia l'interpretazione che si voglia dare all'art.49 ; anche avallando l'ipotesi ricostruttiva di cui stiamo discutendo ci pare riduttivo, anche alla luce di quanto detto in precedenza, circoscrivere l'opposizione al fenomeno di contrapposizione di principio tra “linee alternative di politica generale”. È corretto sottolineare che tale ricostruzione della norma modella un rapporto maggioranza-opposizione in termini nettamente consociativi, ma non è sostenibile parlare di “assenza” dell'opposizione all’infuori del momento fiduciario . In questo senso non si può non convenire con Mannino, il quale sostiene che “non si può fare a meno di notare che la realizzazione di un compromesso, in virtù del quale il governo è costretto a modificare, seppur in parte, il proprio indirizzo è […] il frutto di un comportamento senz'altro oppositorio, indice concreto e al contempo positivo che l'attività delle opposizioni ha avuto33.

Una siffatta interpretazione dell'art. 49, che tende a sminuire il valore costituzionale dato all'opposizione parlamentare, attribuendogli il ruolo di “opposizione consociativa” o addirittura negandole qualunque valenza giuridica al di fuori del momento fiduciario34, è stata ampiamente criticata da una parte della dottrina, la quale ha invece operato, a partire dalle medesime norme, una ricostruzione affatto

31 LAVAGNA C., op. cit., p.211.

32MANZELLA A., “Maggioranza ed opposizione in parlamento” in “Studi

parlamentari e di pol. Cost.” 1969.

33

MANNINO A., “Rapporti tra Maggioranza e opposizioni in Italia.-

dall’Assemblea Costituente ai regolamenti parlamentari del 1971” in LABRIOLA S.,

(a cura di) “Il parlamento repubblicano” , Milano 1999 , p.194.

34

COLONNA F., “la regola della maggioranza e della democrazia” in ”Critica

(34)

32 diversa. Anzitutto, sì è criticato il valore attribuito alla locuzione “politica nazionale” di cui all'art. 49 sostenendo che questa sia non già il frutto unitario ed omogeneo della (com)partecipazione dei partiti alla vita parlamentare, ma “la compresenza […] di quei contrapposti orientamenti […] non, o non ancora, assurte a livello di indirizzo politico e [che quindi] costituisce la cornice e la conseguenza del concorso partitico”35

.

Si tratta di una ricostruzione diametralmente opposta a quella precedente, dalla quale discendono a cascata una serie di logiche conseguenze. Essendo la “politica nazionale” non più il risultato unitario e compromissorio derivante dalla commistione e dalla contaminazione dei diversi indirizzi politici in capo ai partiti, ma venendo ora a designare la semplice compresenza di tali indirizzi sulla scena parlamentare, ne consegue logicamente che anche il termine “concorso” assume un significato molto diverso, non più di negoziato in vista di un fine unitario, ma di competizione conflittuale per la prevalenza di un indirizzo politico rispetto agli altri, e la “determinazione” (della politica nazionale) altro non sarebbe che la semplice attestazione dello svolgersi fisiologico della dialettica partitica, una dialettica che in relazione a un dato momento può essere più o meno conflittuale, ma pur sempre improntata all'alterità tra indirizzi politici diversi36

In accordo con questa lettura, si fa discendere dalle formalità proprie del conferimento della fiducia al governo ex art.94 (in particolare alla prescritta votazione per appello nominale), la volontà del Costituente di creare una relazione stabile e non occasionale tra le forze politiche che sostengono il governo (la maggioranza) e chi invece non lo

35 SICARDI S., op cit., p.267.

36 Scrive SICARDI S., op. cit., p.267 che “La politica nazionale non è che la

registrazione del molteplice atteggiarsi-caratterizzato da momenti di divergenza quanto di convergenza e reciproco condizionamento, favorito dalla simultanea presenza delle forze politiche in corpi rappresentativi deliberanti - dell'azione politica e programmatica dei partiti i quali nel concorso-cioè nella regolata competizione fra essi- con metodo democratico trovano la norma fondamentale della loro azione”.

(35)

33 sostiene (l'opposizione). Parimenti deve essere inquadrato l'obbligo di motivazione che deve accompagnare una mozione di fiducia o sfiducia: in entrambi i casi, attribuzione e revoca della fiducia parlamentare, si paleserebbe il favor costituzionale verso la creazione di un indirizzo politico stabile e definito. Il principio di maggioranza semplice di cui all'art. 64 andrebbe letto nel senso di una pragmatica presa d'atto della complessità della politica, per cui non sarebbe utile alla stabilità istituzionale legare sempre e comunque le sorti del governo al voto

favorevole della “maggioranza politica” (le forze che hanno prestato la

fiducia) in una qualunque deliberazione, ma è invece opportuno permettere la formazione di maggioranze variabili e contingenti sulle singole votazioni, senza per questo mettere in discussione quel circuito preferenziale tra governo e maggioranza politica di cui abbiamo parlato. Si potrebbe dire, in altri termini, che la fiducia concessa al governo dalla maggioranza politica riguarda gli obiettivi a medio termine, le linee guida dell'indirizzo politico che ne muove l'azione, e di converso il fenomeno oppositorio riguarda il rilievo critico di tali obiettivi e di tale indirizzo politico; il voto favorevole dell'opposizione politica alla singola iniziativa promossa dal governo non scalfisce questa impostazione dialettica e conflittuale, come al contrario il mancato sostegno di una parte della maggioranza politica in un singolo voto non importa la rottura del vincolo fiduciario. In entrambi i casi siamo di fronte ad un momento fisiologico della vita politica, nel quale, ferme le distanze politiche e ideologiche di fondo, si possono avere convergenze o divergenze più o meno ampie sulle singole decisioni, e l'art. 64 permetterebbe all'ordinamento di essere flessibile sotto questo profilo.

Prendendo le mosse dalle medesime norme, i due filoni interpretativi che abbiamo descritto viaggiano paralleli, senza che nessuno dei due, pur escludendosi a vicenda, prevalga con decisione. Prima di giugnere a qualche conclusione, è opportuno valutare se le norme costituzionali

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