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CAPITOLO 1 Riferimenti normativi per le strutture dedicate alla nautica da diporto

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Riferimenti normativi per le strutture dedicate alla nautica da diporto

1.1 La recente legislazione nazionale in materia portuale

1.1.1 Suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni in materia portuale

Analizzando nel dettaglio le previsioni del D.Lgs. 112/98 rilevanti in tema di opere portuali, viene subito in rilievo la formulazione dell'art. 105 che, alla lett. e), attribuisce alle Regioni le funzioni di "programmazione, pianificazione, progettazione ed esecuzione degli interventi di costruzione, bonifica e manutenzione dei porti di rilievo regionale ed interregionale e delle opere edilizie a servizio dell'attività portuale ". Alla lettera l), poi, si conferiscono alle Regioni le competenze in materia di "rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale … tale conferimento non opera nei porti e nelle aree di interesse nazionale individuate con il D.P.C.M. 21.12.95". Competenze, poi, attribuite in chiave "sanzionatoria" ai Comuni con il D.Lgs.96/99.

Quindi la previsione originaria dell' art. 105, lett. l), riproduceva sostanzialmente, estendendola, quella dell'art. 59, D.P.R. 616/77, laddove si era già affermato il principio che i porti, anche quelli turistici di sicuro rilievo regionale, erano sottratti alla delega svolta in applicazione dell' art. 117 Cost., riguardante l'attribuzione di livello costituzionale della materia del turismo alle Regioni.

Così che, l'art. 9, della L. 88/2001 ("Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime" ), nel precisare, modificando l'art. 105, lett. l), che "tale delega non opera nei porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonché nelle aree di preminente interesse nazionale"; ha di fatto operato la definitiva separazione dei porti di rilievo regionale ed interregionale, dalle altre categorie; la legge 88/2001 ha così dato senso compiuto all'intero impianto delle attribuzioni regionali operate con il D.Lgs.112/98.

Quindi, a partire dalla data dell’ 1.1.2002, non può residuare dubbio sulle competenze regionali in materia di opere portuali, dalla programmazione, pianificazione fino all'esecuzione dell'opera.

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In sintesi, il percorso normativo, allo stato attuale delle legislazione, riguardo l'attribuzione di competenze regionali in materia di opere marittime di interesse regionale,stante l'iscrizione delle stesse nella materia dei trasporti, può così riassumersi:

- gli artt 4 e 5, L.84/94, che recano la classificazione dei porti, la programmazione e la realizzazione delle opere portuali, la relativa pianificazione, nonché l'attribuzione di competenze per i porti di II categoria, classi II e III;

- l'art. 2 della L. 59/97, che detta la disciplina legislativa delle funzioni e dei compiti conferiti alle Regioni, ispirandosi e dettandone i contorni, al principio di “coerenza” che contiene oltre ad una norma ricognitiva della potestà legislativa regionale, una disposizione innovativa, per la quale “in ogni caso la disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni”è posta in capo alle Regioni;

- l'art. 1, l c., D.Lgs. 442/97 che, in attuazione degli artt.1, 3 e 4, III e IV C., L. 15.3.97 n.59, individua le funzioni ed i compiti che sono conferiti alle Regioni in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati;

- l'art.6, II c., in combinato disposto con l'art. 10, D.Lgs. 422/97, recanti delega alle Regioni dei compiti di programmazione, nonché delle funzioni amministrative in materia di servizi marittimi;

- l'art.5, L.84/94 che precisa che sono di competenza regionale le funzioni amministrative concernenti le opere marittime relative ai porti di cui alla categoria II classi II e III come definiti nell'art.4, stessa legge;

- gli artt.104 e 105, D.Lgs. 112/98, recante ulteriore delega e conferimento di funzioni alle regioni in materia di trasporto, con specifico riferimento all'aspetto dell'organizzazione dei servizi marittimi. Con specifica attribuzione delle competenze per le opere marittime e connesse concessioni dalla programmazione alla realizzazione;

- l'art.9, della L.88/2001, che opera la netta separazione, ai fini dell'assetto di competenze,dei porti di rilievo regionale ed interregionale, da quelli di rilievo nazionale, etc. riservati alla competenza statale.

- L'art. 6, III c., L. 493/94, inerente la formazione del piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo da destinare alle strutture portuali, mediante il coinvolgimento degli enti locali.

Tale assetto di competenze, per quanto riguarda sia la pianificazione che la concessione per l'esecuzione, non sembra dover essere scalfito dalla promulgazione del D.Lgs. 96/99.

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Con tale decreto delegato il Governo ha esercitato il potere sostitutivo (sanzionatorio) recato nell'art. 4, V c., L. 59/97, per la ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locali, individuando le competenze assegnate a questi ultimi, in base al principio di sussidiarietà. Competenze valevoli fino alla promulgazione delle leggi regionali di governo della materia.

1.1.2 La classificazione dei porti secondo la normativa vigente

La vigente classificazione dei porti è stata introdotta dalla legge 28.1.1994 n. 84 ("Riordino della legislazione in materia portuale") che, all'art. 4, ha ripartito i porti marittimi nazionali in categorie e classi individuando, più compiutamente, rispetto alle normative precedenti, le funzioni cui i porti stessi e le aree portuali in genere possono essere destinati e indicando tra esse, finalmente, anche la destinazione turistica e da diporto.

In particolare la predetta legge distingue i porti marittimi nazionali in due categorie: nella prima sono compresi i porti o specifiche aree portuali finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello stato; nella seconda categoria i porti o specifiche aree portuali delle classi I ( di rilevanza economica internazionale), della II (di rilevanza economica nazionale ), della III (di rilevanza economica regionale ed interregionale) aventi le funzioni a) commerciale, b) industriale e petrolifera, c) di servizio passeggeri, d) peschereccia e) turistica e da diporto.

Occorre peraltro evidenziare che il D.P.R. del 2.12.1997 n°509 ("Regolamento recante la disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto"), introduce la distinzione tra "porto turistico", "approdo turistico" e "punto di ormeggio". Il fine di tale distinzione è quello di indicare l'ambito di applicazione del citato regolamento specificando che il medesimo si applica solo a quelle strutture che sono definibili porti o approdi turistici in quanto complessi (porti turistici) o porzioni di complessi (approdi turistici) di strutture amovibili ed inamovibili destinati in maniera esclusiva o precipua alla nautica da diporto. Il regolamento quindi non si applica alle strutture caratterizzate da totale rimovibilità delle opere (punti di ormeggio).

Ai sensi dell’art.2 del sopraccitato DPR, sono strutture dedicate alla nautica da diporto:

a) il "porto turistico", ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o

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precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;

b) "approdo turistico", ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all'articolo 4, comma 3, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;

c) i "punti d'ormeggio", ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.

Come è stato accennato nel paragrafo precedente, in Italia è diventata ormai impellente la necessità di separare le strutture rivolte ad accogliere la nautica maggiore da quelle rivolte alla nautica minore. Nell'operare questa separazione, che come indicato nel seguito è di tipo sostanziale, in quanto limita tra l'altro le dimensioni dei natanti che possono accedere in ciascun tipo di struttura, si è ritenuto opportuno utilizzare la terminologia corrente, che distingue i porti dagli approdi turistici, abbandonando il significato adottato dal D.P.R. del 2.12.97 n°. 509, che da un punto di vista pratico risulta di scarsa utilità.

In conclusione si può affermare, in maniera semplice, che i "porti turistici" possono essere considerati le strutture rivolte ad accogliere la nautica maggiore, mentre gli "approdi turistici" sono costituiti dalle strutture rivolte ad accogliere la nautica minore. Pertanto non viene operata alcuna distinzione in base alla localizzazione delle strutture (interne od esterne a porti polifunzionali). Si osserva che le definizioni adottate non sono in contrasto con la citata legge del 28.1.1994 n. 84.

1.1.3 Aspetti legislativi e pianificatori in materia di portualità turistica

Attualmente, l’art. 5 della predetta legge 84/1994, al punto 1, precisa : nei porti di cui alla categoria II (cioè nei porti commerciali), classi I, II e III, con esclusione di quelli aventi le funzioni turistica e da diporto, “l’ambito e l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono rispettivamente delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale, che individua altresì le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate”. Da quanto riportato si evince che i porti turistici ( di conseguenza anche le darsene interne ad uso turistico di cui ci

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occupiamo specificatamente ) non sono sottoposti direttamente alla redazione di un piano regolatore portuale.

Nella maggior parte dei casi un porto turistico è realizzato su territorio demaniale marittimo a seguito del conseguimento di una concessione ministeriale poliennale (al massimo cinquantennale). In questo periodo di tempo i promotori dell’iniziativa, riuniti generalmente in forma di Società per Azioni, beneficiano della struttura, costruita a loro cura e spese. Al termine del periodo della concessione il bene deve essere restituito allo Stato che ne disporrà nel miglior modo,anche rinnovando la concessione per un periodo di tempo da negoziare con il concessionario. Il concessionario si impegna per tutto il periodo dell’uso della struttura a corrispondere allo Stato un canone annuo variabile secondo la superficie occupata dall’opera ed i lavori realizzati a proprie spese. Il concessionario nel contempo assicura una gestione privatistica del bene eseguendo i necessari lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e di adeguamento ed offrendo i servizi richiesti dall’ utente diportista. Il regolamento per l’ottenimento della concessione demaniale per i porti turistici è caratterizzato dal già citato D.P.R. n. 509/1997 .Esso trova univoco riferimento tecnico negli allegati 1 e 2, approvati con Decreto lnterministeriale del 14 Aprile 1998, rispettivamente riguardanti la standardizzazione dei requisiti dei progetti preliminare e definitivo. Dalla visione di detto Regolamento ci si accorge dell’elevata razionalizzazione della procedura tecnico-amministrativa, mediante il ragionato utilizzo dello strumento della conferenza di servizi. La standardizzazione dei contenuti della progettazione preliminare e definitiva costituisce l’indispensabile premessa per garantire la compiutezza della proposta tecnica, perlomeno sotto l’aspetto formale. L’istituzione di un doppio livello di definizione progettuale ( preliminare e definitiva ) risponde alla necessità di pervenire ad una preliminare scelta dell’istanza ( scelta propedeutica all’atto formale della concessione vera e propria) sulla base di proposte tecniche formalmente compiute, che garantiscano la fattibilità dell’intervento e la tutela del bene demaniale marittimo, proposte caratterizzate da un onere di progettazione relativamente contenuto. Ciò costituisce un importante elemento di novità. Solo successivamente, accertata la generale disponibilità delle amministrazioni competenti al rilascio della concessione (anche con la formulazione di mirate prescrizioni sul progetto) è richiesta la redazione della proposta tecnica nella sua forma definitiva, nella quale viene data particolare rilevanza agli studi specialistici di idraulica marittima come supporto dell’attività di ottimizzazione progettuale. Il doppio livello di progettazione inoltre, si adatta bene alla procedura di valutazione di impatto ambientale, se resasi necessaria ai sensi del D.P.R. del 12 aprile 1996.

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1.1.4 Assoggettibilità alla V.I.A. dei porti turistici

Oggi per la realizzazione di un porto turistico è necessario uno studio di impatto ambientale, a causa delle potenziali ripercussioni dell’infrastruttura sul delicato equilibrio biologico e fisico delle aree costiere. Le verifiche di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) per i porti turistici sono regolate dal D.P.R. del 12 aprile 1996 (pubblicato sulla G.U. n. 210 del 7.9.1996).

I principali aspetti da valutare sono, per quanto riguarda le conseguenze ambientali di tipo naturalistico, la qualità dell’acqua, la conservazione della fauna e della flora marina e terrestre, l’impatto sul paesaggio, sull’idrogeologia del luogo, sull’equilibrio morfologico del litorale; devono altresì essere studiati gli impatti di tipo socio-economico che la realizzazione del porto può avere sulla società e sull’economia locale. I fattori di impatto sulle varie componenti ambientali vanno riferite sia alla fase di costruzione (es. dragaggi) sia a quella di esercizio. Infatti proprio nella fase in cui l’opera viene delineata si possono ottenere i maggiori benefici ambientali; nelle fasi successive (progetto esecutivo) gli interventi possono essere solo compensativi e/o mitigativi di ripercussioni ambientali inevitabili.

Nel processo di inserimento ambientale di una infrastruttura portuale è necessario eseguire la valutazione delle alternative tecniche di progetto secondo quanto previsto dall’art. 4 del Quadro di Riferimento Progettuale del DPCM 27/12/88 relativo alle “Norme tecniche per la redazione degli Studi di Impatto Ambientale (S.I.A.)”.

L’analisi delle varie alternative tecniche progettuali investe tutta una serie di aspetti correlati ed interagenti fra loro, che non si limitano alla sola geometria e collocazione fisica del progetto; tali aspetti, ai sensi della normativa vigente, sono:

a) localizzazione territoriale; b) configurazione planimetrica; e) standard funzionali;

d) tipologie di progetto e strutturali; e) materiali e tecniche costruttive.

Ognuno dei suddetti aspetti può presentare varianti che devono essere evidenziate dallo Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.), per suggerire la soluzione che assicuri il maggior beneficio o “risparmio” ambientale. Lo studio di impatto ambientale avrà, quindi, come elemento cardine, il confronto tra le diverse soluzioni prospettate, tra cui l’individuazione della migliore dovrà essere affidata ad un procedimento, meglio se di comprovata validità. Ad es. per un confronto più dettagliato fra le diverse

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soluzioni, inizialmente per la localizzazione generale ed in seguito per l’ottimizzazione della configurazione plani metrica, si può seguire il metodo detto usualmente della “check list” o lista di controllo. Secondo tale metodo la valutazione delle diverse soluzioni ammissibi1i si esegue individuando una serie di “elementi di impatto” o di “fattori” ed attribuendo a ciascuno di essi un peso e, per ognuna delle soluzioni ammissibili, un valore o voto; la sommatoria algebrica dei prodotti (peso x valore) rappresenta un indice, ponderato e complessivo, della validità di ciascuna localizzazione. Tale indice va assunto come indicativo in quanto è suscettibile di ulteriori verifiche; ovviamente l’attribuzione di “pesi” e “valori” è in parte soggettiva. E’ pertanto opportuno sottoporre la “check-list” a commissioni di esperti che, ognuno indipendentemente dagli altri, proceda alla predetta attribuzione. Il risultato finale deriva da un’opportuna operazione di media. E’ correntemente accertato che il risultato di tali valutazioni è abbastanza indipendente dal numero degli esperti; esso è anche poco sensibile a piccole variazioni dei pesi o dei valori, in altre parole il metodo indirizza la scelta verso quella che appare anche intuitivamente la soluzione migliore.

In definitiva, secondo quanto riportato dal già citato D.P.R. del 12/4/1996, “lo studio di impatto ambientale deve contenere almeno le seguenti informazioni:

a) la descrizione del progetto, con indicazione dei parametri ubicativi, dimensionali e strutturali, e le finalità dello stesso;

b) la descrizione dei potenziali effetti sull'ambiente, anche con riferimento a parametri e standard previsti dalla normativa ambientale, nonché ai piani di utilizzazione del territorio ( modalità delle descrizioni indicate nell’ Allegato C del suddetto decreto);

c) la rassegna delle relazioni esistenti fra l'opera proposta e le norme in materia ambientale, nonché i piani di utilizzazione del territorio;

d) la descrizione delle misure previste per eliminare o ridurre gli effetti sfavorevoli sull'ambiente.”

Il giudizio di compatibilità ambientale, una volta esaminato lo studio di cui sopra, verrà dato dall’autorità competente, laddove per autorità competente si intende “l'amministrazione o l'organo che provvede alla valutazione di impatto ambientale” nella zona in esame. Secondo quanto riportato nell’art.7 del suddetto decreto, la procedura di valutazione di impatto ambientale deve concludersi con un giudizio motivato prima dell'eventuale rilascio del provvedimento amministrativo che consente in via definitiva la realizzazione del progetto e comunque prima dell'inizio dei lavori”. Sempre l’art.7 recita: ”l'amministrazione competente all'autorizzazione definitiva dell'opera, o che provvede alla sua realizzazione, acquisisce il giudizio di compatibilità

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ambientale comprendente le eventuali prescrizioni per la mitigazione degli impatti ed il monitoraggio delle opere e/o degli impianti”, per questo l’alternativa progettuale ipotizzata come migliore e sottoposta alla valutazione non è chiaramente definitiva in ogni suo aspetto, ma dovrà essere modificata secondo quanto riportato nel giudizio di compatibilità, anche se di esito positivo.

1.2 Normativa di riferimento per la regione Toscana in materia di portualità turistica

Poiché nel proseguo della relazione faremo riferimento a casi reali di studi di fattibilità e/o progettazione di darsene ubicate in zone della fascia costiera toscana, si riportano di seguito alcune indicazioni sugli aspetti normativi che regolano la realizzazione di tali opere nella regione di riferimento, con rimando anche a leggi nazionali riguardo alla nautica da diporto.

In particolare si riportano le indicazioni che regolano la classificazione dei bacini portuali turistici, al fine di individuare la normativa di riferimento per le singole tipologie di approdo che andremo ad analizzare.

Prendendo principalmente in esame i vincoli ambientali che regolano la realizzazione di porti ed approdi turistici, vediamo che tali vincoli sono essenzialmente costituiti dalle prescrizioni di carattere territoriale degli atti di programmazione regionale (Piano di Indirizzo Territoriale P.I.T.), provinciale (Piano Territoriale di Coordinamento P.T.C.) e comunali (Piano Regolatore Generale P.R.G., Piano Strutturale P.S. e Regolamento Urbanistico R.U.), nonché dai piani di coordinamento specifici per questo tipo di opere.

In questo caso, se facciamo riferimento alla sola regione Toscana, quale regione di collocazione delle ipotesi progettuali di darsene turistiche che andremo di seguito a considerare, il piano di coordinamento specifico per tali opere è il PRCPAT, introdotto con L.R. n° 36/79 “Ordinamento dei Porti e degli Approdi turistici della Toscana. Piano regionale di coordinamento di Porti e degli Approdi Turistici della Toscana”, approvato con Deliberazione C.R.T. n° 258 del 27 maggio 1992 e vigente fino all’approvazione del PREPAT - Piano Regionale dei Porti e degli Approdi Turistici (ai sensi della L.R. n° 68/1997 ).

Relativamente alle unità portuali turistiche, il Piano di Indirizzo Territoriale – PIT (approvato con Deliberazione G.R.T. n° 10 del 12 gennaio 1998) assume l'organizzazione d'insieme della portualità turistica determinata dal Piano Regionale di

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Coordinamento dei Porti e degli Approdi Turistici con le relative previsioni localizzative e dimensionali. Il PIT indirizza la programmazione della rete delle unità portuali turistiche nel contesto della promozione e qualificazione della costa toscana attraverso l'organizzazione e l'integrazione delle strutture e dei servizi a supporto delle attività turistiche nel loro complesso.

Per quanto concerne gli strumenti di programmazione provinciali, si tengono presenti le istruzioni tecniche della DGR 1541/98 che mettono in luce uno dei ruoli fondamentali attribuiti al Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) dalla LR 5/95: quello di stabilire criteri e parametri per le valutazioni di compatibilità tra le varie forme e modalità di utilizzazione delle risorse essenziali del territorio (art. 16 comma 4), fornendo il quadro conoscitivo delle risorse essenziali del territorio e il loro grado di vulnerabilità e di riproducibilità in riferimento ai sistemi ambientali locali ed ai bacini idrografici, nonché indicandone le relative condizioni d’uso, ai fini delle valutazioni.

La collocazione dell’opera, quindi, deve essere effettuata previa attenta valutazione delle problematiche ambientali inerenti l'inserimento della darsena interna nella zona scelta, alla luce di uno scrupoloso esame delle norme e delle cartografie dei vari strumenti programmatici (P.I.T., P.T.C. e P.S.).

Importante, quindi, è l’analisi delle tavole del Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale del Comune di collocamento, che nel dettaglio descrivono la pianificazione esistente, il sistema vincolistico sovra - ordinato e comunale, i caratteri ambientali di base nonché le criticità territoriali. Allo stesso tempo, però, è necessario porre attenzione alle indicazioni del P.I.T. della regione di interesse, per valutare che l’area di inserimento della darsena non sia soggetta a vincoli delle direttive comunitarie in esso riportate, es. "Habitat" (DIR 92/43/CEE) o "Uccelli" (DIR 79/409/CEE), né sottoposta a vincolo idrogeologico.

Entrando più nel merito degli argomenti che verranno affrontati nel proseguo dello studio, notiamo da un esame dei piani di programmazione sopraelencati, che il fenomeno dell’intrusione salina, correlato alla realizzazione di darsene interne, è specificatamente elencato tra i problemi da affrontare nella pianificazione territoriale nel P.I.T. (sempre in riferimento alla regione Toscana). Infatti all’art.54 del P.I.T. stesso, viene posto tra gli obiettivi generali la difesa della linea costiera dai fenomeni di erosione e dal cuneo salino, secondo gli indirizzi contenuti nella D.C.R. 47/90. Inoltre particolare rilevanza viene posta anche nei confronti di un altro degli aspetti che verranno di seguito affrontati, ovvero la qualità dell’acqua nei bacini portuali.

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Infatti, l’art. 14 (“Ricambio ed ossigenazione delle acque marine”), capo III , dell’Allegato II (“Direttive e standard per la pianificazione e progettazione dei porti ed approdi turistici” ), intitolato recita:

“1. Un ridotto ricambio delle acque interne portuali può produrre concentrazione di sostanze inquinanti e riduzione del tasso di ossigeno disciolto pertanto nei mari a bassa escursione di marea è necessario favorire artificialmente la circolazione delle acque in ambito portuale, utilizzando una o più delle seguenti soluzioni:

– collegamento idraulico dello specchio acqueo interno con il mare a mezzo di tubazioni di diametro variabile, localizzate in corrispondenza dei punti più ridossati e lontani dall'imboccatura;

– installazione di diffusori a pale inseriti nelle predette tubazioni (o di altro dispositivo di pompaggio), al fine di aumentare artificialmente il flusso, contribuendo al completo ricambio delle acque in tempi ragionevolmente contenuti (12-48 ore); – installazione di ossigenatori in zone particolarmente ridossate. Detti dispositivi pompano, dalla superficie libera sul fondale, aria in bolle di piccolo diametro, rimescolando con moti verticali ed orizzontali l'acqua circostante e producendo così un aumento della percentuale di ossigeno disciolto nell'acqua. Gli ossigenatori sono alimentati con motori elettrici subacquei, costruiti per resistere all'ambiente aggressivo marino;

– creazione di un ampio bacino lontano dall’imboccatura ( piallazza ) per aumentare lo scambio idrico prodotto dal gradiente di marea”.

Gli stessi articoli 11, 12 e 13 del medesimo capo III regolano rispettivamente la raccolta dei rifiuti, la raccolta delle acque nel porto ( piovane, nere, di sentina, acque oleose ) prescrivendo l’installazione di appositi impianti di raccolta e depurazione per le varie tipologie sovraelencate e la raccolta degli oli esausti delle imbarcazioni

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