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Partenariato Pubblico Privato e comuni. Il rapporto delle Fondazione IFEL

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Academic year: 2022

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Quarta edizione - 2020

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Il Capitolo 1 è di Tommaso Dal Bosco e di Federico Sartori (IFEL);

il Capitolo 2 è di Francesco Monaco e di Simona Elmo (IFEL);

Il Capitolo 3 è di Carla Giorgio (IFEL);

il Capitolo 4 è di Claudio Lucidi (Esperto IFEL);

il Capitolo 5 e il Capitolo 6 sono di Lorenzo Bellicini (Cresme).

Si ringraziano per la collaborazione Simona Albanesi e Giovanna Montanucci (IFEL).

Le elaborazioni statistiche si chiudono con i dati disponibili al 31 ottobre 2020.

La pubblicazione si chiude con le informazioni disponibili al 15 gennaio 2021.

Progetto grafico:

Giuliano Vittori, Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli cpalquadrato.it

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Prefazione Introduzione

Capitolo 1

Il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, il rilancio degli investimenti e il PPP

1.1 Uno scenario evolutivo del Partenariato Pubblico Privato 1.2 Alcune considerazioni di contesto

1.3 L’approccio al PPP da parte della pubblica amministrazione 1.4 Verso un nuovo paradigma

1.5 Le caratteristiche generali del modello

1.6 In conclusione: un esempio applicato al PUMS della Città Metropolitana di Milano

Capitolo 2

Strumenti finanziari cofinanziati da Fondi Sie:

da Jessica ad InvestEU 2.1 Premessa

2.2 I Fondi di Sviluppo Urbano (FSU): gli SF del ciclo di programmazione 2007-2013

2.3 Gli Strumenti finanziari nel ciclo 2014-2020 2.4 Il Programma InvestEU 2021-2027

Capitolo 3

Il Piano per gli investimenti dell’Europa: una buona formula da consolidare?

3.1 Perché un Piano per gli investimenti 3.2 I risultati del Piano

3.3 Alcuni aspetti critici del FEIS

3.4 Il successore del Piano per gli investimenti: il programma InvestEU

3.5 InvestEU e Next Generation UE

7 13

19 21 23 25 28 30 32

37 39 40 49 58

63 65 67 71 72 73

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4.1 Premessa

4.1.1 Il PPP per infrastrutture sociali 4.1.2 Sussidiarietà orizzontale 4.1.3 Il baratto amministrativo

4.2 Le novità in materia di PPP introdotte dal decreto

“semplificazioni”

4.2.1 Articolo 183, comma15 del Codice dei contratti in materia di proposte spontanee

4.2.2 Articolo 151 comma 3 del Codice dei contratti, sponsorizzazioni e forme speciali di partenariato per i beni culturali

4.3 Il PPP dopo la pandemia 4.3.1 La fase post Covid

Capitolo 5

Investimenti e mercato delle opere pubbliche dei comuni.

Una nuova stagione per il PPP?

5.1 Reset Covid-19: ripartire con il piede giusto

5.2 Le nuove emergenze e la collocazione del Partenariato Pubblico Privato: verso un PPP diffuso e maggiormente attento all’interesse del “bene comune”

5.3 Una nuova stagione di investimenti pubblici: e il PPP?

In disuso o mega-volano?

5.4 Sviluppo sostenibile, infrastrutturazione, città, servizi, opere pubbliche, risorse e PPP

5.5 Partenariato Pubblico e Privato: cosa si può fare?

5.6 Dalla crescita 2002-2019 alla frenata del 2020: la crescita delle risorse pubbliche porta alla rinuncia del PPP?

5.7 Considerazioni sulle criticità del PPP 5.8 PPP e rigenerazione urbana e territoriale

81 84 91 93 97 97

99 101 103

107 109

110 116 118 121 128 137 146

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151 157 160 163 165 173 173 180 182 188 192 202 204 209 211 6.1.1 I bandi per OO.PP. e PPP: il trend 2002-2019

6.1.2 L’incidenza del PPP sulle opere pubbliche 6.1.3 I committenti

6.1.4 I settori di intervento 6.1.5 Le procedure

6.2 Il PPP e i comuni committenti

6.2.1 I bandi dei comuni per OO.PP. e PPP: il trend 2002-2020 6.2.2 L’incidenza del PPP sulle opere pubbliche

6.2.3 Un’analisi territoriale e per ampiezza demografica comunale

6.2.4 I settori di intervento 6.2.5 Le procedure

6.2.6 Le classi di importo

6.2.7 Lo stato di avanzamento dei procedimenti attivati dai Comuni

6.2.8 I tempi di aggiudicazione dei bandi di PPP dei comuni Appendice

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Trasformiamo il momento pandemico che stiamo vivendo in un’opportunità

L’emergenza economica seguita a quella sanitaria avrà delle conseguen- ze durature e dirette sia nell’economia reale (PIL, occupati, investimenti e consumi), sia sul quadro di finanza pubblica (deficit e debito). È facile presumere che gli interventi pubblici nel campo dell’economia continue- ranno a crescere attraverso incentivi e politiche di sostegno ma anche mediante l’ingresso dentro i capitali delle aziende delle filiere strategiche che sono andate in difficoltà a causa del Covid-19. Quando tireremo le somme ci ritroveremo un Paese che produce di meno, che consuma di meno, che esporta di meno, che avrà più debito pubblico e soprattutto ci ritroveremo con un peso della spesa pubblica e dell’intervento pubblico nell’economia reale maggiore di quello di oggi.

In Italia, se prima del Covid a 1.600 miliardi di euro di PIL corrispondeva- no 800 miliardi di spesa pubblica, è facile presumere che dopo la pande- mia la prima cifra andrà in discesa, mentre la seconda salirà sia in termini assoluti che in termini relativi. La Nadef proposta dal Governo conferma questo trend. La stragrande maggioranza delle aziende saranno condizio- nate dalle misure assunte dal Governo e dalla Commissione Europea e di conseguenza la loro capacità di stare nel mercato dipenderà sempre di più anche dalla capacità di interagire con il sistema pubblico.

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Allo stesso modo anche il sistema pubblico dovrà necessariamente miglio- rare il modo attraverso il quale interagisce con il mercato per evitare di es- sere un ulteriore peso alla ripresa e allo sviluppo e dovrà cercare di essere attivo per reperire risorse e per costruire forme di collaborazione con le comunità locali. È palese ormai la necessità che il sistema Paese sia sem- pre più il frutto di una alleanza fra imprese e sistema pubblico, ciascuno con la propria missione, ma alleati per generare valore condiviso e diffuso.

“Ci ritroveremo a ricostruire ma non ci saranno macerie. Le macerie le avremo dentro, per questo il nostro compito è iniziare ad immaginare il futuro”. Secondo il prof. Mauro Magatti(1) è fondamentale avere una visione del futuro che non si limiti alla scelta degli strumenti finanziari.

Le risorse che arriveranno dall’Europa ci daranno ossigeno ma aumente- ranno il debito. Occorrono invece nuove prospettive in grado di produrre lavoro e ricchezza. Una visione nuova che non si limiti a difendere il no- stro patrimonio, anche quello economico, ma che immagini di rinnovarlo ed incrementarlo.

Il tema, quindi oggi è come ci rimettiamo insieme e soprattutto come pos- siamo rimettere insieme economia e società e, sempre secondo Magatti, è abbracciare il paradigma della generatività sociale, che rappresenta un processo aperto, in dialogo continuo con il contesto e le circostanze che si vengono a creare, assumendo la caratteristica di una forma di vita dina- mica, che si sviluppa nel tempo.

“Gli effetti devastanti della pandemia da Covid-19 hanno spinto i governi ad iniettare stimoli nell’economia per proteggere la popolazione e sal- vaguardare la struttura produttiva, perché possa ripartire non appena il virus abbia allentato il suo impatto sull’intero sistema sociale; tuttavia”, afferma l’economista Mariana Mazzucato(2), “perché gli stimoli iniettati nel sistema risultino efficaci richiedono una struttura organizzativa, eco-

1 “Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro”, di Mauro Magatti, ed. Fel- trinelli, 2017.

2 “Non sprechiamo questa crisi”, di Marianna Mazzucato, Ed. Laterza, 2020.

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nomica e sociale molto diversa rispetto a quella all’interno della quale i governi hanno sinora effettuato le scelte di intervento”. Per far torna- re lo Stato allo svolgimento delle sue funzioni fondamentali i governi dovrebbero, secondo la fine analista, investire o creare, istituzioni che contribuiscano a prevenire le crisi e a facilitarne la gestione, in secondo luogo, dovrebbero coordinare meglio l’attività di ricerca e sviluppo verso obiettivi di salute pubblica, ed in terzo luogo, “dovrebbero strutturare meglio i Partenariati Pubblico Privato, al fine che ne traggano vantaggio sia i cittadini, che l’economia”. Per Mazzucato, la sfida che tutti i governi si trovano ad affrontare è enorme; per affrontarla, soprattutto nel mondo post Covid-19, è necessario “rivitalizzare gli investimenti privati e pub- blici, l’innovazione e le collaborazioni”; ciò non significa un maggiore intervento dello Stato nell’economia, ma di “uno Stato di tipo diverso:

uno Stato che sia in grado di agire come investitore di prima istanza, catalizzando nuovi tipi di crescita attraverso il coinvolgimento del settore privato sul fronte degli investimenti nell’innovazione. Per questo è neces- saria una nuova forma di collaborazione fra Stato e imprese”.

Il Covid-19 ha ingigantito e accelerato la necessità, non solo di una nuo- va organizzazione del sistema economico, ma anche di quello politico, orientato quest’ultimo ad affrontare le sfide del futuro. Ci troviamo di fronte ad un’emergenza, non solo pandemica, che provocherà danni inenarrabili all’economia italiana se i processi non saranno governati a dovere. Questo è il momento in cui occorre far sì che le risorse prove- nienti dall’ampliamento del debito pubblico siano concentrate su obiet- tivi strategici e non dispersi in una serie di interventi a pioggia ma che generino un flusso di investimenti che agiscano come volano per l’intera economia. A parte gli interventi di sostegno alle categorie produttive più gravemente incise dai provvedimenti di contenimento della pandemia, occorre avere un progetto per l’Italia del futuro per utilizzare al meglio i sette anni di grandi risorse economiche messe a disposizione.

Sarà importante la strategia che il Governo adotterà per i piani del Next Generation EU, per l’utilizzo delle risorse provenienti dal MES e da quelle

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che arriveranno dalla programmazione dell’Unione Europea nei prossimi anni, nonché dalle risorse aggiuntive stanziate con la legge di bilancio.

La sinergia pubblico-privato può dare i suoi frutti soprattutto nel settore delle infrastrutture, si pensi a quelle altamente tecnologiche e che miri- no a ridurre il digital divide, e dei servizi pubblici, in considerazione del fatto che il Partenariato Pubblico Privato deve conciliare le esigenze del pubblico interesse con le aspettative dell’investimento fatto dai privati.

In particolare, la concessione di lavori pubblici e il project financing po- trebbero realizzare questi obiettivi. Tuttavia, le realizzazioni che addossa- no l’investimento di strutture e servizi pubblici alle imprese, in cambio della possibilità di sfruttare i proventi dell’attività realizzata attraverso le strutture stesse, si trovano in una situazione di accentuata crisi. Non c’è dubbio che innanzitutto si riscontra una certa diffidenza delle ammini- strazioni pubbliche ad avvalersi di questi strumenti.

Le criticità e i ritardi nell’utilizzo del Partenariato Pubblico Privato sono ben note a tutti. Squilibrio nell’allocazione dei rischi tra partner pubblico e privato soprattutto quando si tenta di usare il PPP come grimaldello per la privatizzazione dei profitti e la collettivizzazione delle perdite, ad esempio.

Inoltre, lo strumento in considerazione è un ambito complesso e necessita di elevata specializzazione, richiedendo professionalità ad hoc con la giu- sta esperienza, di cui spesso la pubblica amministrazione non dispone o non dispone in misura sufficiente. I numerosi contenziosi generano ritardi e l’instabilità politica e programmatica possono incrementare i costi o ren- dere non più conveniente l’iniziativa e determinarne anche il fallimento.

Ma devono essere considerati anche i numerosi vantaggi di questo stru- mento in mano alle amministrazioni pubbliche per produrre crescita e svi- luppo. L’addizionalità di risorse private, che amplificano la capacità d’in- cidenza delle risorse pubbliche è tra questi vantaggi prodotti, così come il patrimonio di know how che produce professionalizzazione dell’interven- to pubblico che aggiunge alle proprie competenze ed informazioni quelle che mutua dagli operatori di mercato. Ciò produce maggiore garanzia

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di realizzazione nei modi e nei tempi concordati e di gestione efficiente dell’opera o del servizio. Infine, le partnership pubblico-private dovreb- bero agire da moltiplicatore sia delle risorse a disposizione sia dell’effi- cienza del loro impiego.

In conclusione, si dimostra sempre più necessario, ed IFEL, con Anci, lo ha sostenuto con forza in più sedi anche istituzionali, agire sulla capacità amministrativa e sulle competenze tecniche, sempre aggiornate e for- mate al meglio, degli enti concedenti al fine di garantire lo svolgimento di una efficace ed efficiente funzione di programmazione, progettazione valutazione e controllo degli investimenti pubblici in un’ottica di incenti- vazione degli investimenti privati.

Alla luce delle recenti modifiche alla normativa di riferimento con l’appro- vazione del Dl semplificazioni(3) e delle modifiche apportate al Codice degli appalti(4), sempre da parte delle istituzioni pubbliche è inoltre necessaria l’incentivazione della capacità di dialogare con le controparti sviluppan- do costantemente le analisi dei fabbisogni e le linee d’azione perseguite dall’ente, anche attraverso processi partecipati, al fine di orientare un’in- novazione coerente da parte del settore privato e operazioni equilibrate.

Solo così emergerà un nuovo e moderno approccio da parte dell’impren- ditorialità qualificata e qualificante, quel tanto auspicato cambiamento del paradigma descritto da Mauro Magatti, premiando l’assunzione di rischio e l’innovazione da parte del privato anche attraverso i benefit sharing.

Di volta in volta sarà necessario la valutazione del progetto, nel suo insie- me e in tutte le alternative possibili, valutando soprattutto lo strumento necessario allo sviluppo dell’idea progettuale per verificare che il PPP ga- rantisca il miglior rapporto benefici-costi e tutela dell’interesse pubblico.

3 Legge 11 settembre 2020, n. 120. conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali» (Decreto Semplificazioni), G.U. 14/09/2020.

4 Decreto legislativo, 18/04/2016 n° 50, G.U. 19/04/2016.

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In più sedi si è anche tanto discusso sull’importanza dello sviluppo di una banca dati per il monitoraggio del rischio sia in fase di costruzione che di gestione, anche utilizzando i dati raccolti da ANAC su variazione dei contratti, per costruire metriche dell’impatto del rischio e delle sue probabilità di accadimento che possono facilitare la valutazione di con- venienza “risk adjusted” delle operazioni di PPP rispetto ad altre forme di procurement (Value for Money). Altro punto fondamentale il supporto ai committenti con strumenti standardizzati non vincolanti, come procedure standard e contratti tipo e supporto che potrebbero permettere, anche ai piccoli enti ed a personale non del tutto esperto, di fare delle valutazioni.

Per dare risposte concrete IFEL non si è fermata sotto Covid-19 e ha mes- so in campo le proprie competenze e professionalità. Con il DL 124/2019 è stato assegnato alla Fondazione il compito di supportare i Comuni nei processi di investimento. A tale scopo, la Fondazione ha attivato il Pro- getto “Easy” per supportare le amministrazioni locali lungo tutto il ciclo di investimento dalla programmazione, al finanziamento, alla progetta- zione, all’affidamento, nonché l’esecuzione e il monitoraggio. Il progetto prevede la modellizzazione dei processi di investimento sulla base della normativa esistente e della rilevazione delle prassi effettivamente utiliz- zate. Da questa fase si ricaveranno delle roadmaps adattabili a ciascun tipo di processo, che possa fungere da guida per gli enti locali.

Inoltre, è in fase di realizzazione una piattaforma web-based che ospite- rà la modellizzazione dei processi, gli schemi d’atto, i casi rilevati, una community e una sezione dedicata all’accesso ai bandi di finanziamento rivolti alle amministrazioni locali. Perché la ripartenza inizi dai territori e funga da volano per la ripresa economica del Paese.

Angelo Rughetti

Responsabile Osservatorio Investimenti IFEL

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I dati illustrati in questo Rapporto giunto alla sua quarta edizione consen- tono di sostenere che il PPP è un mercato importante per il nostro Paese, in particolare per il comparto dei comuni.

Tra gennaio 2002 e dicembre 2019 i “procedimenti in corso”, ovvero le gare aggiudicate e gare in corso, sono 39mila e l’importo complessivo in gara ammonta a circa 109miliardi di euro.

Si passa da 330 bandi di PPP e un importo di 1,3 miliardi del 2002 a 3.794 bandi e un importo di 17 miliardi nel 2019, i valori più alti dal 2002.

In tale mercato l’81,1% dei bandi è in capo ai comuni, a cui corrisponde un valore pari al 38,3% degli importi complessivi.

Nel 2020 il mercato del PPP rallenta: sono stati indetti 2.699 bandi per un valore di circa 6,1 miliardi, quantità in calo del 28,9% riguardo al numero (3.794 bandi nel 2019) e del 64% riguardo all’importo (17,0 miliardi).

Se da un lato il crollo registrato nel 2020 è fisiologico, considerando il va- lore record del 2019, dall’altro è certamente condizionato dall’emergenza Covid-19, che ha rallentato l’attività delle stazioni appaltanti, e dalle misu- re di semplificazione e velocizzazione contenute nel decreto semplifica- zioni che sembrano favorire il ricorso agli appalti tradizionali.

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Infatti in base ai primi risultati relativi al 2020, si rileva la forte crescita degli importi degli appalti di lavori tradizionali e di quelli di costruzione/

manutenzione e gestione ma non per i PPP.

Complessivamente nel 2020 sono stati indetti 21.784 bandi di OO.PP. per un valore di circa 45 miliardi che, rispetto ai valori del 2019, corrispon- dono a un calo del 7,4% riguardo al numero (23.532 bandi) ma ad una sostanziale stabilità degli importi (45,1 miliardi; -0,2%).

Anche dal lato dei comuni i dati sui PPP mostrano per il 2020 una contra- zione: si riducono del 29% per numero e del 31% dal lato degli importi.

Il numero di bandi di OO.PP. dei comuni passa da 13.762 a 12.094 (-12%) e per gli importi da 9,1 miliardi a 7,3 miliardi (-19%).

L’analisi dei bandi del periodo pre-pandemia (2002-2019), articolati per gruppi di stazioni appaltanti, evidenzia però l’importanza della domanda espressa dai comuni sia nell’ambito dell’intero mercato delle opere pub- bliche e ancor più nel PPP.

Nell’intero periodo in osservazione, ai comuni spettano quote medie del 58,1% per numero di bandi e del 25,4% per importo rispetto al mercato complessivo delle opere pubbliche e dell’81,1% per numero e del 38,3%

per importo rispetto ai PPP.

I comuni sembrano aver maggiormente attinto a questa modellistica per dare risposte ai cittadini: nel 2002 i comuni committenti di bandi PPP rappresentavano appena il 3%; nel 2010 sono arrivati a rappresentare il 20% e nel 2019 il 24%. Nell’intero periodo in esame il 73% dei comuni italiani ha sperimentato almeno una volta il PPP. In particolare quasi tutti i comuni con più di 10.000 residenti hanno attivato almeno una volta una procedura di PPP nel periodo in osservazione.

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Inoltre l’analisi territoriale mostra come nel nostro Paese il ricorso al PPP è diffuso e non circoscritto ad una specifica area, con delle aree ad alta densità come la Puglia e la Toscana.

La domanda dei comuni è volta a soddisfare un fabbisogno locale in vari settori.

Dall’analisi delle classifiche dei bandi di PPP dei comuni dell’ultimo quin- quennio per servizio prevalente, si rileva:

- la prima posizione dei servizi di gestione degli impianti sportivi riguar- do al numero;

- la prima posizione del servizio di distribuzione del gas riguardo all’im- porto.

Certo i dati di questo Rapporto mostrano un 2019 in forte crescita e un 2020 in forte frenata per quanto riguarda il ricorso al PPP.

L’aggiornamento dei dati nei prossimi mesi e nei prossimi anni ci dirà se si tratta di una particolarità determinata dalla pandemia, o di un vero e proprio cambiamento nella strategia delle stazioni appaltanti e dei comuni.

In sintesi potrebbe risultare che la maggiore disponibilità di risorse renda meno interessante il ricorso al PPP rispetto alla possibilità di spesa tradi- zionale, dando conferma alle ipotesi che attribuivano il ricorso al PPP a semplici convenienze di bilancio.

Si tratta dunque di capire se la dinamica rilevata per il 2020 sia indicativa della traiettoria che sarà seguita anche nei prossimi anni con l’ulteriore disponibilità di risorse in arrivo dall’Europa.

Questo, potrebbe significare la perdita della possibilità di integrare risor- se pubbliche con le risorse private, con la mancanza di un forte volano aggiuntivo in termini di investimenti alla spinta pubblica.

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È noto che il PPP non è un ambito di attività semplice, la cui complessità si evince dalla sua stessa definizione che gli consente di avere delle po- tenzialità d’impiego praticamente illimitate.

Il PPP, rispetto al tradizionale appalto, non è la riduzione dei costi di rea- lizzazione di una determinata opera, quanto la certezza e l’ottimizzazione dei costi riferiti all’intero ciclo di vita del progetto, la sicurezza dei tempi di realizzazione dell’iniziativa e del livello qualitativo e quantitativo dei servizi resi, la consegna on time and on budget delle opere realizzate in PPP rispetto a quelle tramite appalto tradizionale.

Una delle sue funzioni principali è però quella di svolgere un’azione di mol- tiplicatore delle risorse. Il PPP come potenziale volano in grado di incremen- tare le risorse investite in un determinato contesto territoriale, potrebbe rappresentare nei prossimi quattro o cinque anni un forte parametro com- petitivo. Purché lo si utilizzi nel modo appropriato, quando è conveniente:

“L’approccio al PPP, lungi dall’essere meramente ideologico, deve scatu- rire da un’attenta verifica e ponderazione delle condizioni di mercato e di scenario, nella consapevolezza che l’opzione per il PPP o per sistemi di tipo tradizionale deve ottimizzare per la pubblica amministrazione il Value for Money (VfM), ossia il vantaggio derivante dal confronto tra il costo di ricorrere al PPP e quello di ricorrere a strumenti più tradizionali di affida- mento e di finanziamento, quali l’autofinanziamento o l’indebitamento(1)”.

Per fare questo e se non si vuole perdere l’effetto moltiplicatore delle risorse pubbliche, sarà necessario accompagnare il PPP con presidi or- ganizzativi e strumenti di supporto, come formazione, tutoraggio, linee guida, format contrattuali tipo, tools per elaborare piani economico fi- nanziari guidati.

1 Capitolo 4 Vantaggi, struttura finanziaria e incentivi pubblici del Partenariato Pubblico Privato di Marco Nicolai in Partenariato Pubblico Privato e project financing, Nicolai M e Tortorella W, Maggioli, 2020.

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In questo importante passaggio verso un uso consapevole ed efficiente del PPP la Fondazione si trova in prima linea con il Progetto Easy, che ha l’obiettivo di supportare le amministrazioni locali lungo tutto il ciclo di investimento, oltre che con le consuete iniziative formative e divulgative quali questo lavoro.

Il volume fornisce un quadro di riferimento sulle forme di partenariato del pubblico con il privato, attraverso una panoramica del mercato del PPP, anche al confronto con l’evoluzione dei bandi di gara relativi al com- plesso delle opere pubbliche e offre degli spunti riflessione sulle que- stioni che ci attenderanno con la ripresa una volta usciti dalla pandemia.

Siamo di fronte al ritorno dell’intervento dello Stato nel mercato, a un forte incremento della spesa pubblica finanziato dall’aumento del debito;

le grandi risorse che arriveranno potranno vantare anche un moltiplicato- re frutto della collaborazione tra pubblico e privato; in alternativa saran- no “solo” spesa pubblica.

Il primo Capitolo, prova a delineare alcuni tratti di un possibile e auspicabi- le scenario evolutivo del PPP partendo da quelle che sono le sue indubbie potenzialità, in particolare si propone e si descrive un possibile modello applicativo attraverso il quale tentare di superare i limiti dello strumento;

il secondo Capitolo effettua una panoramica degli Strumenti finanziari cofinanziati dalle risorse finanziarie UE nel corso dei vari cicli di program- mazione comunitaria a partire dal 2007-2013. Anche i fondi SIE, infatti, potenzialmente “azionabili” attraverso gli Strumenti finanziari possono rappresentare una fondamentale fonte di risorse per realizzare investi- menti territoriali, attuabili tuttavia con la complessa formula del Partena- riato Pubblico Privato.

Il terzo Capitolo illustra i risultati del Piano per gli investimenti dell’Eu- ropa (conosciuto anche come “Piano Juncker”), i suoi aspetti di criticità e le sue prospettive evolutive nell’ambito della nuova programmazione comunitaria 2021-2027. Si tratta di un modello che nel nostro Paese ha funzionato bene riuscendo a finanziare progetti infrastrutturali oltre che sostenere le imprese.

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Il quarto Capitolo è dedicato a quelle nuove forme di partenariato, a cui sempre più spesso i comuni ricorrono, dando così concreta attuazione al principio di sussidiarietà introdotto nella carta costituzionale, e che sem- brano rappresentare un efficace rimedio per far fronte alle innumerevoli istanze che provengono dai territori amministrati, di carattere essenzial- mente sociali e ambientali: rientrano in questi ambiti il baratto ammini- strativo e la sussidiarietà orizzontale.

Nel quinto Capitolo ci si interroga su quale sarà lo spazio per il Partena- riato Pubblico Privato alla luce dei megatrends in atto anche a seguito della pandemia: se sarà uno spazio che si ritrae o che si allarga. La rispo- sta non può essere facile e sarà necessario del tempo per capire quello che è destinato a cambiare “strutturalmente” e quello che cambierà solo congiunturalmente.

Il sesto Capitolo infine fornisce un quadro d’insieme del mercato del PPP:

il trend dei bandi di gara e delle aggiudicazioni dal 2002 al 2019, con delle anticipazioni sui dati del 2020, in termini sia di numero che di importi, i tipi di servizi gestiti, le procedure utilizzate, i tempi medi di aggiudicazio- ne. Una sezione del capitolo è dedicata all’analisi delle sole procedure di Partenariato Pubblico Privato attivate dai comuni, che rappresentano in termini di numero di bandi la parte più consistente del mercato.

Alessandro Canelli Presidente IFEL

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1

il rilancio degli investimenti e il PPP

1

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sificata, ed esprimere un giudizio di valore sulle sue diverse forme di utilizzo, in particolare dell’uso che ne viene fatto da parte delle ammini- strazioni locali, risulta quanto mai complesso.

Nonostante lo straordinario lavoro svolto dal Cresme presso tutte le am- ministrazioni, per quel tipo di valutazioni sarebbero necessarie informa- zioni ulteriori, utili a capire se si tratti di un utilizzo virtuoso ed efficace oppure di un utilizzo acritico, ispirato dai vantaggi che il PPP promette (almeno in linea di principio), ma tradito da esecuzioni imperfette.

I dati analizzati, che mettono in evidenza la dimensione quantitativa del PPP in Italia, non restituiscono informazioni sul come questi strumenti incidano sulla qualità delle opere, sui tempi di realizzazione o sul loro costo com- plessivo, ma addirittura sembrano suggerire che a causa dei trasferimenti inediti avvenuti nel 2020 le amministrazioni abbiano finito per utilizzare meno gli strumenti di PPP (si veda il Capitolo 6). Se tale dinamica dovesse trovare conferma anche nel corso dei prossimi anni, nei quali è prevista

1 Questo contributo sconta un debito intellettuale verso l’arch. Roberto Malvezzi (ITC-CNR) e all’arch. Roberto Nastri, soprattutto per le questioni legate al caso qui brevemente richia- mato del PUMS di Milano. Qualsiasi merito è quindi da considerarsi condiviso, ogni difetto soltanto degli autori.

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una ingente immissione di risorse pubbliche nell’economia, probabilmen- te non si sbaglierebbe a sostenere che le amministrazioni locali vedano nel PPP nient’altro che un surrogato all’attrazione di risorse pubbliche, limi- tandone in questo modo la portata. Tuttavia, al fine di poter approfondire questi aspetti e poter fare valutazioni comparative attendibili, sarebbe ne- cessario estendere l’indagine anche al closing finanziario e all’execution.

Di conseguenza, benché i dati analizzati non permettano di poter espri- mere valutazioni in questo senso, vanno qui citate le raccomandazioni formulate dalla Corte dei Conti Europea sulle criticità nella applicazione del PPP con la relazione speciale del 2018(2). Nonostante l’analisi sopra- citata abbia riguardato esclusivamente opere la cui taglia media era di diversi ordini di scala superiore di quelle che analizziamo in questo rap- porto, non è comunque possibile ignorare come molte delle osservazioni svolte in quella relazione trovino effettivo riscontro nella percezione di molti osservatori e addetti ai lavori anche nelle applicazioni di scala ridot- ta che qui prendiamo in considerazione.

Percezioni che provocano atteggiamenti ambigui, che rimandano da un lato alla voglia crescente di sperimentare le potenzialità del PPP da parte delle amministrazioni e delle imprese, dall’altro ad approcci operativi e valutativi incerti (talora sospettosi) che portano a considerare questi stru- menti come un’eterna promessa non mantenuta.

Per questo motivo, in questo breve contributo, al di là della dimensione strettamente analitica del rapporto molto ben condotta nel capitolo 6 de- dicato al mercato dei PPP, vorremmo provare a delineare alcuni tratti di un possibile e auspicabile scenario evolutivo di questo strumento partendo da quelle che sono le sue indubbie potenzialità. A tale scopo, una prima analisi si concentra sui limiti che hanno gli strumenti attraverso i quali sono attuati gli interventi di PPP, così da comprendere se tali limiti siano

2 Relazione speciale n. 09/2018: Partenariati Pubblico Privato nell’UE: carenze diffuse e be- nefici limitati, Corte dei Conti Europea, 20/03/2018.

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connaturati agli strumenti stessi o se, piuttosto, non siano prevalentemen- te ascrivibili a una impropria o distorta applicazione che ne fa la P.A., in modo particolare quella locale, sempre più povera di competenze tecniche e manageriali a causa del lungo blocco del turnover. Successivamente, verrà proposto un modello applicativo attraverso il quale tentare di supe- rare i limiti emersi in una prospettiva evolutiva degli strumenti di PPP.

1.2 Alcune considerazioni di contesto

Si parta da una considerazione scontata ma che costituisce uno dei pre- supposti principali di questa analisi: l’ormai ultradecennale crisi econo- mica, con i picchi del 2008 e del 2011 e acuita ora dalla crisi pandemica, ha spinto il debito pubblico italiano - già tra i più alti a livello mondiale - verso soglie mai raggiunte prima (oltre il 150%), aggravando una situa- zione di finanza pubblica che già da tempo, anche per via dei patti di sta- bilità esterno e interno, avevano portato a una diminuzione progressiva e sostanziale dei fondi per gli investimenti pubblici.

L’Unione Europea ha però allentato tutti i vincoli di finanza sovranazionali, consentendo a tutti i livelli amministrativi di potersi indebitare. Tuttavia, allo scopo di ripagare il debito che verrà così a generarsi, è fondamentale disallineare la sua curva da quella del PIL, attraverso investimenti pub- blici in grado di generare effetti più che proporzionali sul PIL nazionale.

In questo quadro il PPP potrebbe essere un valido strumento a supporto degli investimenti, se non altro per produrre, attraverso le risorse pubbli- che, un “effetto leva” per attrarre investimenti privati.

Ma anche quest’ultima osservazione, apparentemente di buon senso so- prattutto per la rilevanza particolare che in questo periodo riveste l’ur- genza di sostenere la ripresa economica, rischia di proporre una prospet- tiva di valutazione estremamente limitata e parziale del PPP.

Infatti, queste osservazioni di carattere generale sulle virtù del PPP, con- nesse ai principi generali che ne hanno consigliato l’introduzione nell’or-

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dinamento, non risultano particolarmente significative se non vengono valutate con riferimento alla correttezza della loro applicazione. Corret- tezza non solo (e non tanto) sotto il profilo procedurale, quanto piuttosto dal punto di vista sostanziale, avendo a riferimento programmi di investi- mento specifici e non modelli o astrazioni di carattere generale.

D’altro canto, il Codice dei contratti pubblici (d. lgs. 50/2016, art. 181 com- ma 3) richiede specificamente alle amministrazioni aggiudicatrici di “veri- ficare la convenienza del ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato in alternativa alla realizzazione diretta tramite normali procedure di appal- to.” Verifica che non si esaurisce nell’analisi dei soli aspetti economico- finanziari dell’intervento in PPP, ma anche di quelli economico-sociali.

Proprio in ragione della natura e della sofisticatezza delle valutazioni giu- ridiche, economico-finanziarie ed economico-sociali che gli interventi di PPP di volta in volta richiedono, probabilmente tali interventi dispie- gherebbero al meglio tutte le loro potenzialità in operazioni di scala più ampia che non in quelle riguardanti una singola opera. Non si intende ovviamente criticare a priori né delegittimare le operazioni che si riferi- scono a singole opere, quali in particolare gli impianti sportivi, le struttu- re cimiteriali o gli interventi di efficienza energetica negli edifici pubblici.

Tuttavia, a fronte del citato obbligo di valutazione della convenienza a cui tutte le amministrazioni sono tenute ad attenersi, probabilmente gli stru- menti del PPP sarebbero in grado di esprimere un potenziale maggiore in interventi che raggruppano più opere.

Al fine di poter sostenere adeguatamente tale posizione sarebbero co- munque necessari ulteriori dati analitici, ad esempio sul numero di pro- cedure aperte di riequilibrio dei piani economico-finanziari, così come sa- rebbero utili delle valutazioni strutturate sull‘impatto degli investimenti eseguiti con quelle formule, anche in relazione ad altre procedure.

Al netto di queste osservazioni, non possiamo non rilevare che alcuni ele- menti strutturali possono rivelarsi manifestamente incongruenti, ingene-

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rando rapporti non sempre limpidi tra gli enti coinvolti. È il caso delle concessioni di costruzione e gestione, in cui alla società proponente (in genere anche costruttrice) subentra una Special Purpose Vehicle (SPV) solitamente partecipata o controllata dalla società proponente al fine del- la separazione economica e giuridica dei flussi di cassa del progetto da quelli della società stessa. Da questo punto di vista, le transazioni interne al sistema “Società proponente - SPV” possono risultare opache.

In questo caso, la formale separazione tra società costruttrice e SPV non appare una garanzia sufficiente per un equilibrato rapporto tra cliente e fornitore, in quanto rimane tra loro una relazione organica dalla quale la società costruttrice potrebbe trarre vantaggio tramite l’incremento dei costi di costruzione. In definitiva, gli strumenti di PPP, ancorché presenti- no degli innegabili vantaggi che si andranno via via a delineare nel pro- sieguo di questo contributo, presentano anche delle storture che neces- sitano di essere corrette. Ne è esempio proprio il rischio di opportunismo che fa leva sulla asimmetria informativa tra concessionario e concedente qui citato, che appare assai maggiore rispetto a quanto avviene negli appalti tradizionali. In questo senso non aiutano nemmeno le norme che regolano i requisiti per la eleggibilità dei concessionari, che finiscono spesso per generare un mercato degli avvalimenti, invece di favorire la formazione di “investitori professionali” capaci di progettare e realizzare programmi di investimento ampi e complessi.

1.3 L’approccio al PPP da parte della pubblica amministrazione

Oltre a questo genere di rischi connessi alla inclinazione speculativa degli operatori economici, esistono una serie di carenze nella pubblica ammi- nistrazione italiana, che si rivela sempre meno in grado di rispondere con la necessaria tempestività alle rapide trasformazioni tecnologiche e organizzative della società. Inutile fare l’elenco dei motivi che in un arco temporale più che ventennale hanno finito per impoverire la pubblica amministrazione di risorse, sia umane che strumentali. Appaiono lontani i tempi in cui la pubblica amministrazione costituiva, certo per motivi di stabilità ma anche di prestigio, il più ambito dei posti di lavoro. Ma vi è

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anche un elemento oggettivo a giocare un ruolo importante, che riguarda il modello organizzativo a cui si ispira la sua azione.

L’approccio in larga parte ancora vigente all’interno delle nostre pubbli- che amministrazioni può essere a buona ragione definito “burocratico”, in quanto impostato sulla suddivisione delle attività amministrative in centri di azione separati (dipartimenti/uffici), ciascuno dei quali respon- sabile di singoli settori di programmazione privi di un coordinamento reciproco. Secondo questo modello, lo sviluppo di piani e programmi avviene in maniera indipendente l’uno dall’altro sulla base degli obietti- vi e delle competenze interne ai singoli uffici, attraverso un percorso di consultazioni ristretto al sistema di relazioni/interessi connessi a quello specifico centro gestionale.

Un’ulteriore caratteristica del modello “burocratico” è l’attuazione dei piani secondo una logica “per singoli progetti” attivati indipendentemen- te l’uno dall’altro, in base alle regole amministrative dell’affidamento di appalto, una volta maturate determinate condizioni di fattibilità (es. tec- nica: disponibilità dei beni immobili; programmatica: disponibilità degli attori essenziali; finanziaria: disponibilità di fondi pubblico/privati). La conseguenza di questo approccio è la produzione di un elevato numero di strumenti di pianificazione poco o per nulla integrati tra loro, se non addirittura in mutua contraddizione, e la loro ulteriore segmentazione in pratiche progettuali a loro volta scarsamente integrate. Si tratta di un sistema ancora ispirato alla capacità dell’ente pubblico di provvedere in maniera autonoma all’attuazione dei piani sulla scorta di una ampia di- sponibilità di fondi (secondo le premesse keynesiane della “terza via”

italiana), e alla presenza di amministrazioni solide, in grado di incarnare un mandato politico forte, condiviso e integrato.

Nella lunga fase di contrazione delle risorse pubbliche, l’approccio buro- cratico si è tradotto in una sostanziale paralisi della capacità di investi- mento e di innovazione della P.A. Questo si riflette nella sistematica de- bolezza, se non nella vera e propria assenza, di schemi attuativi credibili

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e convincenti nei piani/programmi approvati, e sull’eccessiva confidenza nella capacità del “mercato” di intervenire nelle maglie del piano, facen- dosi carico anche degli interessi pubblici da esso prefissati.

A questo si aggiunge il quadro di una tendenziale frammentazione politi- ca anche a livello amministrativo, con il risultato che raramente le ammi- nistrazioni riescono a produrre un’efficace sintesi delle diverse sensibilità e dei diversi interessi per dar così vita a un mandato politico omogeneo capace di dare coerenza all’azione dei singoli uffici.

Il risultato è una elevata frammentazione della filiera amministrativa in un fascio di rivoli burocratici paralleli (caratterizzate per prassi e pratiche differenti), in cui la maturazione delle condizioni di fattibilità dei singoli progetti (tecnica, programmatica, finanziaria ecc.) avviene in un momen- to sistematicamente successivo all’approvazione dei piani, e persino alla definizione dei singoli progetti. Di conseguenza, nessuno di questi rivoli preso singolarmente sarà mai in grado di perseguire adeguatamente la maturazione delle condizioni necessarie alla propria attuazione, date le ri- sorse e le competenze limitate che ognuno di essi può esprimere, né sarà capace di concretizzare quella integrazione delle politiche che costituisce il cardine di ogni progresso autentico. L’approccio “burocratico” così lar- gamente diffuso nel nostro Paese è quindi alla radice della sostanziale incapacità delle nostre amministrazioni di far fronte efficacemente alle profonde e urgenti istanze di innovazione e rigenerazione che provengo- no dalle nostre città e dai nostri territori.

In un quadro di questa natura, con l’evoluzione che nel tempo ha caratte- rizzato questo modello (parcellizzazione dei processi, divisione del lavoro e delle responsabilità) i passaggi necessari alla programmazione, proget- tazione, affidamento ed esecuzione necessitano di tempi medi piuttosto lunghi. Infatti, si arriva al completamento di un’opera in tempi non compa- tibili con la domanda di infrastrutture e servizi, correndo il rischio concre- to che le opere realizzate non risultino più utili, o rispondenti ad un preci- so bisogno, proprio in ragione dei tempi richiesti per la loro realizzazione.

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1.4 Verso un nuovo paradigma

Il PPP mal si adatta a questo schema, tutto basato sulla correttezza forma- le dei procedimenti amministrativi e che si preoccupa poco della sostanza dei processi. Un utilizzo pieno e consapevole degli strumenti del Partena- riato Pubblico Privato non può limitarsi ad una pedissequa applicazione, ancorché corretta, delle regole sulla valutazione e sulla distribuzione dei rischi, assicurando per questa via il semplice apporto delle risorse finan- ziarie che mancano al completamento di un’operazione pensata e con- dotta secondo lo schema burocratico precedentemente descritto.

Questo tipo di applicazioni sono certamente corrette, tuttavia le potenzia- lità di quegli strumenti possono andare ben oltre. In particolare, esse ri- guardano il superamento del vecchio modello “burocratico” in favore di una nuova dimensione in cui anche l’investimento pubblico (o di pubblica utilità) sia misurato per la sua produttività e progettato perché consegua dei risultati misurabili. Un modello che responsabilizzi maggiormente le amministrazioni locali e riconosca al medesimo tempo il loro potenziale generativo, rimettendo al centro la loro autonomia programmatoria.

Un modello in cui la spesa sul territorio non sia più guidata dall’offerta di capitale e allocata prevalentemente secondo criteri statistici che iden- tificano i beneficiari (piccoli comuni, città capoluogo, montagna, ecc.) o, addirittura, il tipo di opere da realizzare (scuole, ERP, efficienza energeti- ca, sicurezza del territorio), ma si indirizzi verso una spesa guidata dalla domanda rilevata localmente.

In quest’ottica, l’applicazione degli strumenti di PPP è orientata al proces- so prima che al progetto, al programma strategico più che al singolo inter- vento, proponendo così un modello volto alla governance dei processi ad alta complessità invece che alla gestione settoriale, all’attivazione di stra- tegie finanziarie articolate invece che al finanziamento pubblico a piè di lista, passando in definitiva da spesa pubblica a spesa per pubblica utilità.

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Il principale volano per il profilarsi di un nuovo paradigma per gli investi- menti pubblici che incorpori le grandi trasformazioni economiche e sociali di questo scorcio di millennio è dato dalla grande disponibilità di risorse economiche riconducibili al risparmio gestito e può far leva, quindi, proprio sul Partenariato Pubblico Privato. L’Italia presenta infatti un risparmio pri- vato particolarmente rilevante, il maggiore in proporzione al PIL tra i Paesi del G8. Si tratta di una cifra superiore ai 4 trilioni di euro, in larga parte (oltre 2.3 T€) nella disponibilità di Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR), i quali corrispondono a un profilo di tipo non speculati- vo, ideale per mettere a disposizione di città e territori quei “capitali lenti e pazienti” in grado di dare una risposta alle loro istanze di rigenerazione.

Tuttavia, si tratta di fondi oggi sostanzialmente estranei al circuito dei pro- getti di interesse pubblico. Pertanto, riuscire a modificare questa situazio- ne attivando anche in piccola parte questa immensa ricchezza finanziaria è un obiettivo vitale per un paese come l’Italia, in quanto consentirebbe di surrogare la tradizionale formula dell’investimento pubblico senza dover sottostare a vincoli di bilancio né accumulare ulteriore indebitamento.

Per ottenere questo risultato è però necessario ripensare in profondità il modello sul quale si sono consolidate le strutture e le prassi amministrati- ve del nostro Paese. Occorre a tal fine operare (e adoperarsi!) per un vero e proprio cambio di paradigma, in grado di rendere le politiche pubbliche, in primis quelle urbane e territoriali, piattaforme strategiche credibili e at- trattive per investitori istituzionali, mentre la prevalente applicazione che oggi si rileva tende a mobilitare i capitali di singoli imprenditori (o delle banche che li finanziano) per promuovere la propria attività caratteristica.

La progettualità necessaria ad attrarre e coinvolgere il risparmio gestito è molto diversa da quella che siamo abituati a concepire nel paradig- ma della spesa pubblica, in quanto non sono indispensabili il progetto urbanistico o quello edilizio che siamo abituati a considerare. Tali stru- menti risultano essere estremamente rigidi e costosi, sono realizzati da professionisti iper-specializzati che non sono chiamati ad approfondire la

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sostenibilità spesso data per scontata e considerata come una funzione precedente di pertinenza dell’amministrazione.

Di converso, al fine di mobilitare risorse di diversa natura, la progetta- zione deve piuttosto riguardare un programma strategico utile a struttu- rare la domanda che deriva dalla rilevazione del fabbisogno territoriale, abbinata a una definizione delle tipologie di opere che rispondono a tale domanda e ad una ipotesi credibile della loro localizzazione.

La logica è quindi “sistemica” e cioè tesa a considerare insiemi integrati di opere piuttosto che opere singole. Tale ottica sistemica non solo con- tribuisce alla razionalità nella distribuzione di investimenti e infrastruttu- re sul territorio - una funzione molto utile anche a favorire aggregazioni territoriali - ma permette anche di raggiungere le dimensioni di scala che sono essenziali per attrarre investitori “puri”, ovvero soggetti interessati esclusivamente al profilo rischio/rendimento dell’operazione e che per ciò stesso diventano, per contrasto di interessi, garanzia di efficienza e trasparenza dell’investimento. All’interno di un modello così sviluppato sarà quindi compito dell’investitore quello di redigere gli appalti per la costruzione, avendo l’unico interesse di mantenere un rapporto tra spesa e qualità dell’opera, come sarà compito suo quello di perseguire una ge- stione efficiente e orientata a mantenere valore nel tempo.

La chiave di questo approccio è una concezione del Partenariato Pubblico Privato quasi immanente, che precede e va oltre lo schema contrattuale e vede in ogni fase, dalla programmazione alla attuazione, un coinvolgi- mento ampio di attori pubblici e privati: l’amministrazione locale (spesso più d’una), le imprese (comprese quelle pubbliche o partecipate), il terzo settore e i corpi intermedi in rappresentanza di tutte le articolazioni sociali.

1.5 Le caratteristiche generali del modello

Esistono già dei modelli istituzionali di PPP che rispondono a queste ca- ratteristiche, ovvero i cosiddetti fondi immobiliari ad apporto pubblico. Si

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tratta di OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) pro- mossi da enti locali e amministrazioni pubbliche che vi apportano risorse economiche, beni immobili o aree, partecipati anche da altri investitori privati che si incaricano di realizzare i piani di investimento e di valorizza- zione territoriale decisi a monte dall’amministrazione.

Questi fondi sono governati da SGR (Società di gestione del Risparmio) vigilate dalla Banca d’Italia e dalla Consob che, essendosene aggiudicate la gestione sulla base di una gara pubblica, potranno agire con procedure privatistiche (più snelle, flessibili ed efficienti).

Sono particolarmente adatti per affrontare investimenti complessi con articolati sistemi di opere, quali tipicamente sono le operazioni di rige- nerazione urbana, di cui non si può prevedere con precisione le possibili traiettorie di evoluzione: definiscono una massa finanziaria di riferimento disponibile per successivi sviluppi - un cash da “richiamare” secondo ne- cessità - e operano per approssimazioni successive (closing), adattandosi al bisogno del momento. Così si evitano opere sottodimensionate per mancanza di fondi, ma anche sovradimensionate perché un “progetto edilizio” redatto troppo presto ha tenuto conto di un futuro improbabile, ed è perciò ipertrofico. Questi fondi per operare hanno bisogno che siano soddisfatte poche ma essenziali condizioni:

• presenza di uno scenario stabile sul medio-lungo periodo: questo favorisce comportamenti di tipo non speculativo, in quanto fondati su rendimenti contenuti, a fronte di garanzie nel tempo sulla loro tenuta;

• basso rischio connesso al conseguimento degli obiettivi prefissati, con particolare riferimento alle tempistiche relative alla concretizzazione degli investimenti e alla attivazione e gestione ottimale delle funzioni da insediare;

• elevato impatto dell’investimento, ovvero necessità di non disperdere la gestione in una molteplicità di investimenti di piccola taglia, che farebbe aumentare costi e rischi, abbattendo il margine operativo;

• interlocutore unico (o prevalente) con il quale dialogare per far maturare rapidamente le condizioni per il coinvolgimento di uno o più investitori istituzionali.

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In realtà, a ben vedere, si tratta di condizioni che dovrebbero essere garantite anche per una efficiente gestione del “paradigma burocratico”

all’interno del quale però, a causa della sequenzialità dei processi, si scopre troppo tardi quando una o più di queste condizioni non sono soddisfatte.

Nella figura 1 è riportato uno schema sintetico che riassume il modo in cui il fondo ad apporto pubblico può soddisfare le condizioni essenziali richieste dal mercato dei capitali privati.

1.6 In conclusione: un esempio applicato al PUMS della Città Metropolitana di Milano

I Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS) rappresentano, in que- sto momento, il più avanzato esempio di progettualità diffusa e parteci- pata esistente in Italia in quanto riguardano tutti i comuni italiani con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti e sono uniformati ai medesimi e dettagliati criteri stabiliti dalla Unione Europea nelle sue linee guida(3).

3 Eltis, 2014. Linee guida. Sviluppare e attuare un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile.

Figura 1. Schema-tipo di un fondo immobiliare ad apporto pubblico

Fonte: elaborazione propria Distribuzione degli asset

tra diversi proprietari

Unificazione della proprietà degli asset tramite l’apporto al Fondo

Un solo centro decisionale per l’attuazione (SGR sorvegliata da Bankitalia)

Adeguatezza e certezza delle risorse finanziarie private

Orientamento al risultato della gestione privatistica Molteplicità e varietà dei centri

decisionali per l’attuazione degli investimenti

Inadeguatezza ed aleatorietà delle risorse finanziarie pubbliche

Orientamento alla correttezza formale dei procedimenti

nella gestione pubblica

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La loro particolare natura e la molteplicità di opere “calde”, “tiepide” e

“fredde” che comprendono ne fanno un ottimo campo di sperimentazio- ne di nuove forme di partnership pubblico-privato e di nuovi strumenti finanziari. Al tempo stesso, i PUMS offrono l’occasione per la ricerca di economie di scala tramite l’aggregazione di più amministrazioni locali in un medesimo progetto, dal momento che i flussi di persone e di merci interessano aree vaste, di dimensioni assai maggiori dei singoli comuni.

La Città Metropolitana di Milano insieme ad AUDIS (Associazione Aree Urbane Dismesse) e all’Università di Parma, con la collaborazione di IFEL, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Struttura di missione della Pre- sidenza del Consiglio dei Ministri-Investitalia, ha avviato una sperimenta- zione che ha l’obiettivo di verificare la possibilità di realizzare gli investi- menti necessari all’attuazione del proprio PUMS mediante lo strumento di un fondo ad apporto pubblico.

L’esperimento non vale solamente come soluzione funzionale al progetto di investimento della Città Metropolitana di Milano, il suo portato è piut- tosto quello di definire e testare un modello replicabile al fine della pos- sibile costituzione di una pipeline di classe globale che comprenda tutte le infrastrutture per la mobilità del Paese basata sui PUMS. Lo strumento di PPP proposto (il fondo ad apporto pubblico), si è rivelato molto più che un mezzo per raccogliere denaro, ma un nuovo e più efficace metodo di governo del territorio basato su un approccio tecnico scientifico (di natu- ra finanziaria ed organizzativa) ai problemi ed alle soluzioni.

Ciò che caratterizza questo strumento è il suo grande spettro d‘azione, che comprende infrastrutture per la mobilità ma anche innumerevoli infrastrutture sociali come, ad esempio, quelle della sanità territoriale (l’importanza del cui ruolo è stata resa evidente dalla crisi pandemica) ed anche luoghi per il lavoro flessibile di nuova generazione.

https://www.eltis.org/sites/default/files/sump_guidelines_it.pdf (ultimo accesso 01/12/20).

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A valle dell’adozione del PUMS metropolitano e della identificazione degli asset necessari per attuarlo (svolte in tempi rapidi direttamente dai fun- zionari della Città Metropolitana), sembra poter iniziare immediatamente il percorso di strutturazione dello strumento di PPP costituito dal fondo, che è assai simile a un processo di sviluppo precompetitivo, il quale pre- cede (di poco) l’attuazione della strategia. Si tratta di un processo del tut- to nuovo - fluido, rapido, orizzontale - che consiste nella prototipazione finanziaria e di prodotto (i tipi d’infrastrutture), avendo a riferimento il piano territoriale strategico da una parte e la domanda di investimenti SRI (Sustainable and Responsible Investments) dall’altra.

Nel confrontare il processo proposto e quello attuale - farraginoso, lento, verticale e per di più ripartito tra amministrazioni, ciascuna delle quali opera per conto proprio - lo scarto di efficienza è macroscopico: se nel primo caso può intercorrere circa un anno dalla conclusione del piano territoriale strategico alla sua attuazione, nel secondo i tempi risultano essere più dilatati, per di più con l’alea del disallineamento tra ammi- nistrazioni che hanno avuto successo nell’acquisizione delle risorse ed altre che non lo hanno avuto. È facile immaginare cosa accada se una stessa pista ciclabile ricade nel territorio di più comuni, non tutti “virtuo- si” e non tutti ugualmente favoriti dalla sorte.

In sintesi, lo OICR opera una deframmentazione del processo che è qua- si sempre indispensabile per conseguire il risultato desiderato in tempi ragionevoli.

Contro la maggiore efficienza del nuovo modello rispetto all’attuale si può ritenere che la rapidità possa andare a discapito della partecipazione democratica alle scelte di trasformazione del territorio. In realtà, l’espe- rienza della Città Metropolitana di Milano non sembra essere particolar- mente carente da questo punto di vista. Infatti, a differenza degli stru- menti di piano tradizionali che prevedono una fase di partecipazione e di ascolto preventiva all’approvazione e all’attuazione del piano, la fase attuativa di questi strumenti avviene per step progressivi, che mettono

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in condizione di inserire dei correttivi di volta in volta. Il fondo, infatti, tramite la dinamica dei closing, ossia dei successivi richiami di capitale di volta in volta che nuove scelte giungono a maturazione, da vita ad un percorso circolare che consente di migliorare le scelte precedenti sulla base dell’esperienza sedimentata ai vari livelli del processo (strategico, attuativo, di comunità), durante l’intero periodo - almeno 20 anni - in cui esso rimane in vita. A tale scopo possono essere previsti specifici percor- si partecipativi per il recepimento di osservazioni e di istanze anche su specifici progetti, oltre a quelli di carattere generale raccolti preventiva- mente. In questo senso, è possibile notare come il processo di attuazione risulti essere più vicino ai cittadini in queste circostanze anziché in quelle della pianificazione convenzionale.

Il caso della Città Metropolitana di Milano dimostra che è possibile af- frontare con efficienza programmi di grande scala e di grande importo (le prime proiezioni “traguardano” un capex poco sotto al miliardo di euro) nel rispetto dei bisogni del territorio e dei livelli decisionali locali, senza dover ricorrere ad alcuna soluzione dirigistica. Non sfugge tuttavia quan- to un aiuto dello Stato al pagamento dei canoni, condizionato alla parte- cipazione a programmi d’investimento di area vasta come quello che qui si prospetta, possa essere rilevante per il funzionamento finanziario del modello ed anche costituire un potente incentivo per il superamento dei particolarismi e per la progettualità del territorio.

Su quest’ultimo aspetto, la Fondazione IFEL sta lavorando per compren- dere gli impatti sui bilanci dei comuni della trasformazione della spesa in conto capitale in spesa corrente in relazione alla corretta applicazione dei principi contabili. Per restare all’attualità, tale aiuto potrebbe giungere at- traverso un oculato impiego delle risorse provenienti dal Next Generation EU, lo straordinario programma di sostegno che l’Europa ha dedicato ai Paesi membri per aiutare la ripresa dopo la gelata dovuta alla crisi sanita- ria che ha duramente provato le economie continentali. I vincoli qualitativi e temporali a cui tali risorse sono sottoposte - di cui l’Italia sarà il maggio- re beneficiario - richiedono soluzioni che i processi tradizionali evidente-

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mente non sono in grado di assicurare. Ma soprattutto, al di là dei vincoli, dovrebbe far premio la determinazione a cambiare passo strutturalmente da parte delle amministrazioni pubbliche sul tema degli investimenti. Que- sta è la prospettiva di evoluzione che si auspica per il Partenariato Pubbli- co Privato, allo scopo di recuperarne la missione originaria e coltivarne le grandi opportunità, sottraendolo alle micragnose logiche speculative (sia pubbliche che private) e spingendolo verso un nuovo protagonismo nel paradigma degli investimenti sostenibili per pubblica utilità.

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da Fondi Sie:

da Jessica ad InvestEU

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ha avviato un’attività di analisi e monitoraggio dedicata agli Strumenti finanziari cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei (da ora: fondi SIE) e al ruolo che essi possono svolgere a supporto degli in- vestimenti per lo sviluppo territoriale.

Negli ultimi anni, l’attenzione degli operatori si è concentrata sull’individua- zione delle varie fonti potenziali di finanziamento degli investimenti pubbli- ci, mediante l’analisi dei contenitori (come, ad es., i Programmi Operativi della Politica di coesione) nei quali reperire le risorse finanziarie necessarie.

L’esperienza sin qui percorsa, ha invece fatto emergere un fabbisogno ulte- riore del sistema dei comuni, legato alla strutturazione di competenze spe- cialistiche e know-how per accedere alle risorse finanziarie dei fondi SIE, ma anche di altre fonti una volta programmate e messe a disposizione.

Anche il tema degli Strumenti finanziari (da ora: SF) dunque è stato affron- tato e sviluppato dal punto di vista dei comuni potenziali beneficiari delle risorse finanziarie, con l’obiettivo di rilevare i fabbisogni di conoscenza, competenze e supporto dei comuni e realizzare servizi formativi/informati-

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vi e strumenti operativi da mettere a loro disposizione. In questo contesto si inserisce la pubblicazione del primo Vademecum sugli SF dal titolo “Gli Strumenti finanziari nella Programmazione 2014-2020 - Uno strumento operativo per i Comuni”(1), che intende offrire ai comuni un primo contri- buto operativo, mettendo a disposizione strumenti conoscitivi di supporto per l’avvio di attività, piani e programmi necessari e propedeutici all’acces- so degli Strumenti finanziari cofinanziati dalle risorse finanziarie UE.

2.2 I Fondi di Sviluppo Urbano (FSU): gli SF del ciclo di program- mazione 2007-2013

Gli Strumenti finanziari sono delle misure di sostegno finanziario degli investimenti che, anche attraverso l’utilizzo dei Fondi strutturali e di in- vestimento europei (SIE), finanziano i c.d. progetti generatori di entrate, ovvero progetti che riguardano opere/servizi in grado di generare red- dito, attraverso la loro gestione e data la loro sostenibilità economico- finanziaria nel tempo.

Si tratta di prestiti, garanzie e capitale azionario e altri meccanismi di assunzione di rischio, abbuoni di interesse o abbuoni di commissioni di garanzia, eventualmente associati a misure di assistenza tecnica.

Per gli enti locali, dunque, anche i fondi SIE potenzialmente “azionabili”

attraverso SF possono rappresentare una fondamentale fonte di risorse per realizzare investimenti territoriali, attuabili tuttavia con la complessa formula del Partenariato Pubblico Privato.

La cornice di regole nonché il circuito finanziario e di controllo legato all’utilizzo di queste forme dei fondi SIE presenta perciò una complessità tale da renderli difficilmente accessibili da parte dei comuni diversi da quelli di grandi dimensioni e/o dotati di competenze e know-how ade- guati allo scopo.

1 Il Vademecum è scaricabile liberamente dal portale IFEL, sezione Pubblicazioni.

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Infatti, l’esperienza sin qui percorsa ha fatto emergere nei fatti un fabbi- sogno importante del sistema dei comuni, legato soprattutto alla struttu- razione di competenze specialistiche e di know-how tecnico indispensa- bile per accedere agli SF, ma in generale per attrarre capitali privati.

Già sperimentati nel ciclo 2007-2013 con diversi fondi rotativi (di natu- ra revolving, cioè non “a fondo perduto”) destinati sia alle PMI, sia ai comuni attraverso i “Fondi di sviluppo urbano” per il finanziamento di interventi di rigenerazione urbana e di efficientamento energetico nelle aree urbane, gli Strumenti finanziari cofinanziati da fondi SIE vengono attivati con un fondo rotativo che le Autorità di Gestione nazionali e re- gionali (AdG) istituiscono nell’ambito dei rispettivi Programmi Operativi (PO), previa la valutazione ex ante richiesta dalla Commissione europea, in modo da strutturare adeguatamente il Fondo ed indirizzarlo su settori capaci di produrre rendimenti apprezzabili e di attrarre capitali privati.

Con il maggior ricorso al sostegno finanziario rotativo in luogo del con- tributo “a fondo perduto”, non solo si può incrementare l’attrazione di risorse private per il co-finanziamento degli investimenti pubblici, ma anche moltiplicarne il rendimento, fornendo ai Programmi Operativi (sia nazionali che regionali) nuove risorse finanziarie per investimenti, con il

“ritorno” nel fondo delle risorse investite.

Dal lato comuni, l’osservatorio privilegiato per valutazioni e proposte sugli Strumenti finanziari rimane tuttora il Fondo JESSICA - Joint European Sup- port for Sustainable Investment in City Areas attivato nel ciclo 2007-2013.

Il Fondo è stato creato nel 2006 da Commissione Europea, BEI e CEB (Council of Europe Development Bank) allo scopo di promuovere l’utiliz- zo rotativo dei fondi europei destinati a progetti di investimento in ambi- to urbano, favorendo inoltre la creazione di Partenariati Pubblico Privati.

Si trattava di uno Strumento di ingegneria finanziaria che investiva in PPP e in altri progetti inclusi in “piani integrati per lo sviluppo urbano sostenibile”, per finanziare in maniera rotativa (non più a fondo perduto) i progetti di sviluppo urbano economicamente sostenibili.

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In Italia, nel periodo di programmazione 2007-2013, i programmi JESSI- CA hanno rappresentato l’esperienza più importante di Strumenti finan- ziari per il settore pubblico. Sono stati infatti costituiti 6 Fondi di Sviluppo Urbano (FSU), di cui 2 costituiti dalla Regione Sicilia, 2 dalla Regione Campania, 2 dalla Regione Sardegna, tutti sotto la regia della BEI, per oltre 300 milioni di euro di risorse dei rispettivi POR FESR. I settori di investimento, a geometria variabile nelle 3 Regioni, sono stati quelli del- la rigenerazione e sviluppo urbano, delle fonti energetiche rinnovabili e dell’efficientamento energetico.

L’esperienza italiana dei Fondi JESSICA può essere considerata per lo più positiva, in quanto ha permesso di realizzare progetti sostenibili, sia nel settore dell’energia che della riqualificazione urbana, altrimenti non finanziati dal settore bancario ed ha creato un effetto leva sia a livello di FSU che, nei casi di operazioni realizzate con schemi di PPP, a livello di singolo progetto.

Volendo schematicamente illustrare vantaggi e criticità emerse dall’espe- rienza dei fondi JESSICA il quadro che ne deriva è il seguente.

Vantaggi

I principali vantaggi rilevati a valle dell’uso delle risorse finanziarie di JESSICA risultano essere i seguenti:

• l’effetto leva per gli investimenti, data la possibilità di attrarre investi- tori privati e pubblici in settori di investimento prioritari per la UE e di accrescere l’impatto degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali;

• l’investimento delle risorse pubbliche su progetti più efficienti: ven- gono finanziati i progetti che hanno una maggiore sostenibilità finan- ziaria e nel tempo, ripagando il capitale investito e producendo effetti sociali; a ciò connessa, la maggior consapevolezza da parte delle am- ministrazioni locali dell’importanza della fase di gestione delle opere realizzate e dei relativi costi (valutazione preventiva della sostenibilità economico-finanziaria del progetto);

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• processi di selezione dei progetti da finanziare più efficaci: i soggetti pubblici gestori delle risorse finanziarie (AdG dei POR) possono bene- ficiare dell’esperienza di soggetti intermediari specializzati (soggetti gestori del Fondo), con vantaggi in termini di qualità dei criteri di se- lezione, tempistiche e monitoraggio della realizzazione dei progetti;

• crescita delle competenze: poiché gli Stati membri, le Autorità di ge- stione dei Fondi strutturali e i comuni interagiscono con il settore pri- vato e quello bancario, ciò determina l’acquisizione di know how e un miglioramento delle capacità tecniche e finanziarie di progettazione, implementazione e gestione dei progetti; a maggior ragione quando l’AdG del POR, una volta istituito il Fondo, attiva anche l’Assistenza tecnica a beneficio dei Comuni potenziali destinatari delle risorse; ne deriva anche lo sviluppo di buone pratiche;

• la disponibilità anticipata delle risorse comunitarie: le risorse FESR vengono trasferite nel Fondo di gestione dello strumento finanziario, al momento della istituzione del Fondo, superando così i problemi le- gati alla anticipazione dei costi dei progetti.

Criticità

Molte le criticità evidenziate, ancora adesso attuali, che rappresentano fattori di contesto rilevanti sui quali permane l’esigenza di intervenire.

• La struttura organizzativa degli SF che vede la compartecipazione, con diversi ruoli e competenze, di una molteplicità di operatori, ha rappre- sentato, in alcuni casi, un elemento di rallentamento dell’operatività dello SF, in quanto molte decisioni richiedono la condivisione ed ap- provazione di diversi soggetti con obiettivi ed interessi differenti;

• I tempi di attuazione dei progetti urbani nel nostro Paese sono ancora troppo lunghi, rispetto ai cronoprogrammi di attuazione degli inter- venti cofinanziati dai fondi SIE:

- dal lato regioni, per esempio, tra le principali debolezze riscontrate vi è l’assenza di una programmazione di medio/lungo periodo in grado di dare certezze nelle strategie operative del FSU, con numerosi cambi di procedure, oppure modifiche delle priorità di investimento a livello locale

Riferimenti

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