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Università LUMSA Dipartimento di Giurisprudenza, Economia, Politica e Lingue moderne.

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1 Lezioni 15 – 16 marzo 2021

Argomenti trattati:

- Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale - Il diritto all’unità familiare

1. Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale.

Gli hot spot previsti dall’Agenda europea per le migrazioni (2015).

Abbiamo già parlato degli sbarchi e dell’obbligo di salvataggio in mare e di sbarco in luogo sicuro.

Gli HOT SPOTS (punti di crisi) sono appunto i centri in cui vengono accolti e viene data prima assistenza ai migranti sbarcati.

A maggio 2015 l’UE ha elaborato un piano per affrontare e gestire le migrazioni, sulla base dell’urgenza di dare una risposta alla c.d. “crisi migratoria” (un milione di arrivi in UE nel 2015): l’Agenda europea per le migrazioni.

Uno dei punti del piano era l’istituzione nei Paesi con massicci arrivi via mare (Italia e in Grecia) proprio degli hot spots, centri in cui le autorità nazionali, affiancate dalle agenzie EASO, FRONTEX ed EUROPOL, potessero non soltanto fornire assistenza, ma anche compiutamente identificare i migranti ed effettuare una prima suddivisione in richiedenti asilo e non richiedenti asilo (c.d. migranti economici), indirizzando i primi verso il circuito di accoglienza e la procedura asilo, assoggettando i secondi a provvedimenti di rimpatrio (tecnicamente, abbiamo già visto, con respingimento differito).

A settembre 2015 l’Italia ha risposto all’Agenda europea predisponendo delle misure di attuazione di tipo pratico operativo, c.d. “Roadmap italiana”, ancor prima di modificare la propria legislazione interna allo scopo di fornire una base giuridica agli hot spots, i quali, come andiamo a vedere, presentavano problematiche giuridiche legate alla limitazione della libertà personale.

Una semplice circolare ministeriale, all’epoca (ottobre 2015) li definiva centri chiusi, ove gli stranieri nell’arco di 24-48 ore avrebbero dovuto venire sottoposti a screening sanitario, pre identificazione, registrazione e foto-segnalamento, per ingresso illegale, in Eurodac.

Ø Due le problematiche legate alla limitazione della libertà personale garantita dall’art.

13 Cost.: la prima è la restrizione in centri chiusi senza provvedimento di un’autorità e senza convalida giurisdizionale; la seconda è l’obbligo di sottoporsi al prelievo delle impronte digitali, se necessario anche con “moderata” costrizione fisica.

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Ciò premesso, quelli che in passato erano stati Centri, aperti, di primo soccorso ed accoglienza, situati nei maggiori luoghi di sbarco (in primis Lampedusa), furono trasformati negli hot spots di LAMPEDUSA, POZZALLO, TRAPANI, PORTO EMPEDOCLE (ma anche Messina, Taranto).

Tali hot spots, soprattutto quello di Lampedusa, sono stati oggetto di rapporti molto critici da parte di varie organizzazioni non governative che hanno denunciato periodi di trattenimento degli stranieri di gran lunga superiori alle 48 ore (a volte anche per settimane) e l’uso della forza per il rilievo delle impronte digitali.

La mancanza di base giuridica per trattenere i migranti, peraltro, è stata rilevata anche dal Garante per le persone private della libertà personale.

Soltanto nel 2017 il c.d. Decreto Minniti (L. 46/2017) ha introdotto l’art. 10 ter del T.u., fornendo una prima, sebbene insufficiente, base giuridica, nel prevedere che lo straniero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare sia condotto per le esigenze di soccorso e prima assistenza presso appositi punti di crisi. Lo stesso articolo prevede, inoltre, che, qualora lo straniero si rifiuti di sottoporsi al prelievo delle impronte digitali ricada nella ipotesi di rischio di fuga e possa quindi essere trattenuto in un CPR per massimo 30 gg., con provvedimento del questore sottoposto a convalida del giudice di pace (o del tribunale se il trattenuto è richiedente asilo).

Ciò premesso, tuttavia nessuna base giuridica veniva fornita per il trattenimento nell’hot spot, a prescindere dal prelievo delle impronte digitali.

Infine, nel 2018, il primo c.d. decreto sicurezza (D.L. n. 113/2018 conv. in l. 138/2018) ha fornito base giuridica al solo trattenimento del richiedente asilo negli hot spots, modificando all’art. 6 del dlgs n. 142/2015 sull’accoglienza dei richiedenti asilo.

La norma introdotta prevede che il richiedente asilo possa essere trattenuto, questa volta all’interno dell’hot spot, ai fini identificativi per il tempo strettamente necessario e comunque per un periodo non superiore a 30 gg. Inoltre, in determinate ipotesi, il richiedente asilo può essere trattenuto in un CPR per ulteriori 90 gg. prorogabili di altri 30, (al posto dei precedenti 180 gg,) secondo le modifiche apportate dal d.l. 130/2020 (quindi in totale per un periodo di tempo addirittura superiore a quello dello straniero irregolare che abbia ricevuto un provvedimento di respingimento differito o espulsione).

Lo stesso decreto sicurezza (D.l. n. 113/2018) ha introdotto, inoltre, una nuova forma di trattenimento per cittadini stranieri sottoposti a provvedimenti di rimpatrio. È ora possibile, a determinate condizioni e con specifici limiti, la detenzione degli stranieri in attesa della convalida dell’accompagnamento immediato alla frontiera presso «luoghi idonei», nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza, diversi dai CPR, e dunque anche negli hot spots.

Il trattenimento è sottoposto a convalida dell’autorità giudiziaria.

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3 Resta ancora privo di base giuridica il trattenimento negli hot spot prima della identificazione e attribuzione dello status di richiedente protezione internazionale oppure di irregolare destinato al rimpatrio.

Come visto, infatti, la normativa prevede, da un lato, la possibilità di trattenimento del richiedente protezione ai fini della determinazione o verifica dell’identità e della cittadinanza e, dall’altro, la possibilità di trattenere in hotspot o in altro luogo idoneo i cittadini stranieri classificati come irregolari in caso di assenza di posti nei centri di permanenza per il rimpatrio.

Il trattenimento dei cittadini stranieri prima della identificazione e attribuzione dello status sfugge, dunque, all’applicazione della legge 132/2018.

A tale proposito occorre ricordare che l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la nota sentenza Khlaifia del 15.12.2016, per aver violato: l’art. 5 della CEDU con l’ illegittimo trattenimento dei ricorrenti, poiché privo di base legale, a Lampedusa e nelle navi ormeggiate a largo durante la crisi migratoria della c.d. primavera araba del 2011;

l’art. 3 per aver sottoposto a trattamenti inumani e degradanti i ricorrenti nel centro di accoglienza di Lampedusa, l’art. 4 del Protocollo 4 per aver espulso collettivamente i i ricorrenti, cittadini tunisini; l’art. 13 per non aver apprestato un rimedio effettivo avverso l’espulsione. 1

1 Con la sentenza Khlaifia la Corte ha ritenuto che la detenzione dei ricorrenti fosse illegittima. Non erano stati informati dei motivi della loro detenzione, per i quali non esisteva una base legale, e non erano stati in grado di contestarla. Per quanto riguarda le condizioni di detenzione nel centro di accoglienza, la Corte ha tenuto conto dell'eccezionale crisi umanitaria che ha colpito l'Italia nell'isola di Lampedusa nel 2011 a seguito della primavera araba (55.298 migranti sono sbarcati all'incirca nel periodo in cui i richiedenti asilo erano presenti). La Corte ha tuttavia concluso che le condizioni di detenzione dei richiedenti asilo hanno ridotto la loro dignità umana, sebbene ciò non sia avvenuto a bordo delle navi ormeggiate nel porto di Palermo.

La Corte ha inoltre ritenuto che i ricorrenti avessero subito un'espulsione collettiva, in quanto le loro decisioni di respingimento non facevano riferimento alla loro situazione personale - la Corte ha ritenuto, in particolare, che una procedura di identificazione non fosse sufficiente a confutare l'espulsione collettiva. Inoltre, la Corte ha rilevato che all'epoca un gran numero di tunisini era stato espulso con tali procedure semplificate. Infine, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti non avessero beneficiato di alcun rimedio effettivo per presentare un reclamo, in quanto, ai sensi dell'articolo 13, per essere considerato effettivo nel caso di un'espulsione collettiva, un rimedio doveva avere un effetto sospensivo automatico - il che significava, in questo caso, che avrebbe dovuto sospendere il respingimento verso la Tunisia - e ciò non era avvenuto.

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Lo sbarco in Italia in tempo di pandemia da Covid19

A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza (31 gennaio 2020), un successivo decreto interministeriale2 ha di fatto chiuso i porti per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana (7 aprile 2020), dichiarando a tal fine i porti italiani non classificabili come Place of Safety (POS).

Il Dipartimento di Protezione Civile3 il 12 aprile 2020 ha adottato un provvedimento per deliberare l’utilizzo di navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (PoS), indicando quale soggetto attuatore il Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione. A settembre 2020 le navi quarantena risultavano essere 3.

Invece, ”relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo”, il Capo del Dipartimento “individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime”

In ogni caso, le misure di emergenza, più in generale, prevedono il controllo sanitario tramite il confinamento in centri quarantena – tanto nelle navi quanto in CAS, CPSA, Hotspot o altre aree di centri di accoglienza o detenzione.

Le misure di quarantena o di isolamento per la prevenzione della diffusione della covid-19 non sono disciplinate dall’acquis dell’Unione europea in materia di asilo, tuttavia la direttiva europea sull’accoglienza (2013/33/UE) prevede di stabilire, in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più breve possibile, modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle normalmente richieste.

2 Decreto interministeriale adottato il 7.4.2020 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero dell’Interno e il Ministero della Salute.

3 Decreto del Capo Dipartimento della Protezione civile n. 1287 del 12 aprile 2020.

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5 I centri di prima accoglienza e di accoglienza straordinaria.

Lo straniero richiedente asilo, una volta uscito dall’hot spot (in caso sia giunto in Italia via mare), ha accesso alle misure di accoglienza, i cui standard sono fissati dalla direttiva europea n. 2013/33/UE così come recepita dal decreto legislativo n. 142/2015.

Il sistema di accoglienza ha una governance multilivello costituita da un Tavolo di Coordinamento Nazionale, presso il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, e dai Tavoli di coordinamento regionali, insediati presso le prefetture, che individuano i criteri per stabilire i centri di accoglienza e la ripartizione dei posti all’interno della regione.

Il sistema si articola in una prima accoglienza in centri denominati CPSA (centri di primo soccorso ed accoglienza) ove il richiedente asilo è accolto per il tempo necessario all’identificazione, ove già non sia avvenuta nell’hot spot, ed alla formalizzazione della domanda di asilo tramite presentazione del modello C3.

Tali centri, (un tempo denominati CARA – centri di accoglienza per richiedenti asilo) , sono aperti e permettono ai richiedenti di uscire nelle ore diurne con obbligo di rientro in quelle notturne.

Successivamente, in seconda accoglienza i richiedenti asilo sarebbero destinati ai progetti SAI (ex SPRAR), o, in caso di mancanza di posti nel SAI, dovrebbero essere ospitati nei CAS – centri di accoglienza straordinaria (anch’essi aperti con obbligo di rientro in orario notturno), attivati dalle prefetture.

I Cas invece rappresentano la forma prevalente ed ordinaria di accoglienza, sebbene la peggiore in termini qualitativi, perché si tratta per lo più di grandi centri (i Cas possono ospitare fino a 300 ospiti), in quanto per le economie di scala i grandi centri rendono possibile il rientro economico degli enti gestori.

Si dovrebbe trattare di un’accoglienza a carattere straordinario e residuale, in caso di incapienza del sistema SAI (ex Siproimi ed ex Sprar) (v. infra) che dovrebbe costituire, invece, la forma privilegiata di seconda accoglienza .

La rete SAI (EX SIPROIMI - ex SPRAR).

Cenni sull’evoluzione del sistema di seconda accoglienza diffusa.

2001 PNA – Programma Nazionale Asilo

A partire dalle esperienze di accoglienza decentrata e in rete, realizzate tra il 1999 e il 2000 da associazioni e organizzazioni non governative, nel 2001 il Ministero dell’Interno Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) siglano un protocollo d’intesa per la realizzazione del PNA – Programma Nazionale Asilo, il primo sistema

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pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’Interno ed enti locali.

2002 SPRAR – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati

La legge n.189/2002 ha successivamente istituzionalizzato queste misure di accoglienza organizzata, prevedendo la costituzione dello SPRAR – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Attraverso la stessa legge il Ministero dell’Interno ha istituito la struttura di coordinamento del sistema – il Servizio Centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali – affidandone ad ANCI la gestione.

2018 SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati

Il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in Legge 1 dicembre 2018, n. 132, rinomina il Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati – SPRAR in SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati. L’accesso al Sistema oggi è riservato ai titolari di protezione internazionale e a tutti i minori stranieri non accompagnati. Inoltre, la nuova disposizione normativa prevede che possano accedere ai servizi di accoglienza integrata del SIPROIMI anche i titolari di permesso di soggiorno per: vittime di violenza o tratta, vittime di violenza domestica, motivi di salute, vittime di sfruttamento lavorativo, calamità, atti di particolare valore civile.

2020 SAI - Il D.L. 130/2020 rimodella il sistema, rinominandolo SAI – SISTEMA DI ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

Di seguito le modifiche intervenute ad opera del D.L. 130/2020 convertito dalla legge n.

173/2020:

Ø Ripristino di misure di integrazione per i richiedenti asilo anche nella prima accoglienza, che erano state eliminate dal d.l. n. 113/2020: prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e servizi di orientamento legale e al territorio (art.

4, comma 1, lettera a);

Ø Ripristino dell’accoglienza dei richiedenti asilo nel sistema di seconda accoglienza e integrazione (ex SPRAR, ex SIPROIMI) ora rinominato SAI, che ne erano stati esclusi dal d.l.

113/2018. Le misure di integrazione nel SAI sono tuttavia differenziate per richiedenti e titolari di protezione internazionale: i richiedenti non hanno accesso alle misure di orientamento al lavoro e formazione professionale (art. 4, comma 3, lett. c)).

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7 Ø Previsti percorsi di integrazione dopo la seconda accoglienza, da inserire nel piano nazionale integrazione per i titolari di protezione internazionale stimolo quanto meno alla rimodulazione, se non alla emanazione di un nuovo Piano nazionale integrazione (art. 5).

• Ripristinata l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo (articolo 3, comma 2, lett.a)), che il d.l. 113/2020 aveva eliminato con disposizione già dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2020. Si prevede l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente del richiedente protezione internazionale al quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta asilo o il certificato/la “ricevuta attestante” la presentazione della richiesta di protezione internazionale. Ai richiedenti protezione internazionale che abbiano ottenuto l'iscrizione anagrafica è rilasciata una carta d'identità, di validità triennale, limitata al territorio nazionale. Negli ultimi due anni l’impossibilità di iscrizione all’anagrafe aveva comportato notevoli ostacoli ai richiedenti asilo per l’accesso all’assistenza sanitaria e sociale, alle opportunità lavorative e di formazione (borse lavoro e tirocini), alla possibilità di avviare un vero e proprio progetto di integrazione.

Andando un poco più nel dettaglio del Decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 ha sostituito la precedente normativa che aveva completamente smantellato il sistema di accoglienza ed ha istituito il nuovo “Sistema di accoglienza e integrazione” – SAI4 .

Le misure per l’integrazione del SAI sono state comunque differenziate per i richiedenti e i titolari di protezione internazionale: i primi sono esclusi dalle misure di orientamento lavorativo e della formazione professionale (art. 4, comma 3, lett. c)). Si ricorda che il precedente decreto (D.L. 113 del 2018) aveva ridotto la possibilità di avviare tali percorsi, privando di tutele i richiedenti, che erano lasciati in una condizione di stallo normativo e di accoglienza in strutture idonee. Quindi l'inserimento nelle strutture del nuovo circuito viene ampliato, oltre che ai titolari di protezione internazionale e ai MSNA, ai richiedenti la protezione internazionale, ai titolari di diverse categorie di permessi di soggiorno previsti dal TU immigrazione5 e ai neomaggiorenni affidati ai servizi sociali.

Il SAI si articola in due livelli di prestazioni:

o Primo livello: riguarda i servizi essenziali a cui tutti i richiedenti asilo indistintamente possono accedere come l’accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria e psicologica, il sostegno legale, la mediazione linguistico-culturale, i corsi di italiano lingua seconda;

o Secondo livello: si rivolge a coloro che vengono riconosciuti titolari di protezione internazionale e ai beneficiari della protezione speciale dove si ritrovano un orientamento rafforzato alla formazione al lavoro e meccanismi di integrazione e inclusione diffusivi soprattutto nel sostegno all’inserimento nel tessuto sociale, economico, culturale e politico del paese di accoglienza;

L’accesso al Sistema oggi è riservato a:

4 Sostituisce Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati-SIPROIMI, precedentemente SPRAR.

5 D.L., testo coordinato, 25/07/1998 n° 286, G.U. 18/08/1998, see

https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1998-08- 18&atto.codiceRedazionale=098G0348&atto.articolo.numero=0&qId=b4ac8256-ce86-4641-b465- ef76595692d0&tabID=0.942327553488677&title=lbl.dettaglioAtto

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1. Richiedenti protezione internazionale;

2. titolari di protezione internazionale 3. titolari di protezione speciale

4. minori stranieri non accompagnati (richiedenti asilo e non) 5. neomaggiorenni affidati ai servizi sociali fino ai 21 anni

6. titolari di permesso di soggiorno per casi speciali, ossia vittime di sfruttamento lavorativo, vittime di violenza o tratta, vittime di violenza domestica, qualora non accedano ai percorsi specificamente dedicati,

7. titolari di permesso di soggiorno per cure mediche, calamità, atti di particolare valore civile.

La permanenza all’interno dei centri SAI è prevista di norma per sei mesi, prorogabili per successivi sei mesi in casi particolari.

Il sistema del SAI è gestito da una struttura di coordinamento - chiamata Servizio Centrale - di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali – la cui gestione è affidata dal Ministero dell’Interno all’ANCI, che a sua volta si avvale della Fondazione Cittalia.

I progetti del SAI sono riservati agli enti locali, che volontariamente aderiscono alla rete partecipando ai bandi annuali indetti dal Ministero dell’Interno. Naturalmente gli enti locali si avvalgono a loro volta di enti del terzo settore per la gestione dell’accoglienza.

Il SAI è finanziato dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’Asilo.

Quella proposta dal SAI è un’accoglienza “integrata”. Questo comporta che gli interventi materiali di base, quale la predisposizione di vitto e alloggio, siano contestuali a servizi volti a favorire l’acquisizione di strumenti per l’autonomia.

I servizi garantiti nei progetti territoriali possono essere raggruppati nelle seguenti aree:

- accoglienza materiale;

- mediazione linguistica e interculturale;

- orientamento e accesso ai servizi del territorio;

- formazione e riqualificazione professionale;

- orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo;

- orientamento e accompagnamento all’inserimento abitativo;

- orientamento e accompagnamento all’inserimento sociale;

- orientamento e accompagnamento legale;

- tutela psico-socio-sanitaria.

Il SAI, per sua stessa natura, a partire dalla titolarità degli enti locali, è parte integrante del welfare locale e, come tale, complementare agli altri servizi pubblici alla cittadinanza garantiti sul territorio.

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2. Il diritto all’unità familiare.

Il diritto all’unità della famiglia e al ricongiungimento familiare, corollario al diritto alla vita familiare, è diritto fondamentale della persona umana, previsto e tutelato dal diritto internazionale e dell'UE (nonché del diritto interno degli Stati UE, di recepimento, e non, della normativa europea)6.

Quadro normativo a livello Nazioni Unite

Tale diritto è tutelato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, dal Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e naturalmente dalla Convenzione ONU sui Diritti del fanciullo (CRC), oltre che dalla Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti (la quale tuttavia non è stata ratificata da alcuno stato membro dell’UE).

La CRC approfondisce più di altri strumenti legali internazionali la definizione di ciò che comporta il diritto alla vita familiare.

In primo luogo, si riferisce al diritto del minore a non essere separato contro la sua volontà dai suoi genitori, a meno che, in base alla legge, le competenti autorità abbiano stabilito che tale separazione risponda al superiore interesse del minore7.

In secondo luogo, afferma che ogni minore separato dalla propria famiglia ha il diritto di mantenere relazioni personali e contatti diretti e regolari con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario al suo superiore interesse.

Infine, essa riconosce in modo specifico il diritto
di entrare e rimanere in un territorio in modo che il minore possa ricongiungersi ai propri genitori.

Quadro normativo a livello del Consiglio d’Europa

A livello del Consiglio d’Europa, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Convenzione dell’Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori del 19.10.1996 (ratificata in Italia con l. n. 101/2015) e la Carta Sociale Europea tutelano il diritto alla vita familiare.

Quadro normativo a livello UE.

Ampia è la normativa dell’UE a tutela del ricongiungimento familiare, a partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui art. 7 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni - equivale all’art. 8 Cedu, in quanto

6F. Nicholson, “The Right to Family Life and Family Unity of Refugees and Others in Need of International Protection and the Family Definition Applied”, UNHCR DIVISION OF INTERNATIONAL PROTECTION PPLA/2018/01, JANUARY 2018

7 Sul principio del così detto best interests of the child si rimanda a: E. Lamarque, Prima i bambini, Il principio del best interests of the child nella prospettiva costituzionale, FrancoAngeli, 2016

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11 ai sensi dell’articolo 52, laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. Ricordiamo, inoltre, che la Carta si applica agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione, ai sensi dell’articolo 51.

Ai sensi dell’articolo 6 del TUE, la Carta ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, mentre i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.

Le direttive ed i regolamenti pertinenti sono i seguenti:

• la Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari,

• la Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,

• il Regolamento n. 2201/2003/CE “Bruxelles II bis” sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e genitoriale

• il Regolamento 604/2013/UE “Dublino III” relativamente al diritto al ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo all’interno degli Stati dell’area Dublino.

Ø Ciò premesso, la norma internazionale di riferimento maggiormente rilevante è l’ art. 8 della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo. La stessa direttiva 2003/86/CE al punto 2 dei considerando prevede che le misure in materia di ricongiungimento familiare debbano essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale.

Afferma altresì che la direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Art. 8 CEDU:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società

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democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. “

La protezione offerta da questo articolo riguarda, dunque, la vita privata, la vita familiare, il domicilio e la corrispondenza.

Il diritto alla vita familiare e all’unità familiare è dunque un diritto condizionato, il cui esercizio può essere appunto condizionato da un bilanciamento con altri diritti/interessi e/o per tutelare la collettività.

Per derogare a tale diritto occorre che la misura di ingerenza nella sua fruizione soddisfi tre requisiti: sia prevista dalla legge; segua uno o più finalità legittime; sia necessaria in una società democratica (art. 8, § 2, CEDU). Tali requisiti sono stati costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte nel modo di seguito indicato. 8

Ø Misura prevista dalla legge:

a.1.La legge deve essere sufficientemente chiara e dare ai cittadini delle indicazioni adeguate sulle circostanze e le condizioni in cui le pubbliche autorità possono ricorrere a tale ingerenza.

a.2. La base legale deve, quindi, essere adeguatamente “accessibile” e “prevedibile”

dal cittadino

Ø b. Misura avente le finalità legittime:

della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza, del benessere economico del paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute o della morale, della protezione dei diritti e delle libertà altrui.

8 Sent. Halford c/ Regno Unito del 25.6.1997, ric. 73/1996,, par. 49, sent. Malone c/ Regno Unito del 2.8.1984, ric.

8691/79, par. 67, sent. Stefanov c/ Bulgaria del 22.5.2008, ric. no. 65755/01, par. 35, sent. Amann c/ Svizzera del 16.2.2000, ric.27798/95, parr. 55-56, sent. C. c/ Belgio del 7.8.1996, ric. 35/1995, par.31.

Sent. Uner c/ Olanda del 18.10.06, ric. 46410/99, §§ 56-59, in cui la Corte Europea definisce la nozione di “vita privata”

con particolare riferimento alle condizioni degli immigrati e ad al fine di valutare la congruità della misura di ingerenza (necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito) nella fruizione del diritto alla vita privata e familiare indica la necessità della valutazione delle condizioni personali dell’immigrato (similmente a quanto previsto dalla Direttiva UE)

Sent. C.G. e altri c/ Bulgaria del 24.4.2008, ric. 1365/07, §§55-57 e 62, in cui la Corte Europea afferma chiaramente che in materia di immigrazione, ove l’espulsione può violare il diritto dello straniero al rispetto della sua vita privata e familiare, l’art. 13 della Convenzione in congiunzione con l’art. 8 richiede che gli Stati debbano fornire alla persona l’effettiva possibilità di impugnare l’espulsione o il rigetto del permesso di soggiorno, nonché darle la possibilità che le questioni di merito vengano esaminate con sufficienti salvaguardie procedurali e in ogni casto da un competente tribunale domestico che offra adeguate garanzie di indipendenza e imparzialità.

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13 Ø c. Misura necessaria in una società democratica e proporzionata

misura giustificata da una pressante necessità sociale e proporzionata allo scopo legittimo perseguito.

Il concetto di vita familiare secondo la Corte di Strasburgo.

Il diritto alla vita familiare comprende un concetto ampio per il quale non esiste una definizione esaustiva, in quanto si tratta essenzialmente di una questione di fatto dipendente dall’esistenza reale nella pratica di stretti legami personali (K. c. Regno Unito, decisione della Commissione). Il concetto di vita familiare è un concetto autonomo (Marckx c. Belgio, rapporto della Commissione, § 69). Conseguentemente la questione dell’esistenza o meno di una “vita familiare” è essenzialmente una questione di fatto dipendente dall’esistenza reale nella pratica di stretti legami personali (K. c. Regno Unito, decisione della Commissione) e quindi anche in assenza di convivenza possono esistere legami sufficienti a costituire una vita familiare (Kroon e altri c. Paesi Bassi, § 30);

La sfera familiare comprende, tra l’altro, anche:

Ø i legami familiari de facto, quali la convivenza dei ricorrenti, in assenza del riconoscimento giuridico di una vita familiare (Johnston e altri c. Irlanda, § 56);

Ø il mutuo godimento da parte del genitore e del figlio della reciproca compagnia (si vedano, tra molti altri precedenti, Kutzner c. Germania, § 58; Monory c. Romania e Ungheria, § 70; Zorica Jovanović c. Serbia, § 68); il legame naturale tra una madre e il proprio figlio (Marckx c. Belgio, § 31; Kearns c. Francia, § 72);

Ø il vincolo tra figli e genitori, che non può essere sciolto da successivi eventi, salvo in circostanze eccezionali (Ahmut c. Paesi Bassi, § 60; Gül c. Svizzera, § 32; Berrehab c. Paesi Bassi, § 21; Hokkanen c. Finlandia, § 54);

Ø il legame tra una famiglia affidataria e il minore che le è stato affidato (Moretti e Benedetti c. Italia, §§ 48-52);

Ø i matrimoni non conformi al diritto nazionale, come quelli solo religiosi, (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, § 63);

Ø le relazioni omosessuali stabili, allo stesso modo della relazione di una coppia eterosessuale (Schalk e Kopf c. Austria, §§ 92-94; P.B. e J.S. c. Austria, § 30; X e altri c. Austria [GC], § 95);

(14)

Ø il legame tra fratelli e sorelle (Moustaquim c. Belgio, § 36; Mustafa e Armağan Akın c. Turchia, § 19), tra zie e/o zii e nipoti (Boyle c. Regno Unito, §§ 41-47);

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo è quanto mai ampia sul concetto di vita familiare ed anche di vita privata, e in più di una pronuncia ha riguardato il bilanciamento tra il diritto in esame e la sovranità statale sulla regolamentazione dei flussi migratori.

Tale giurisprudenza, inoltre, è particolarmente significativa in materia di tutela del diritto dei minori all’unità familiare.

In materia di controllo dei flussi migratori, la Corte ha affermato che lo Stato, ai sensi del diritto internazionale e salvi gli obblighi derivanti da trattati, ha il diritto di controllare l’ingresso degli stranieri nel suo territorio e il loro soggiorno nello stesso (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, § 67; Boujlifa c. Francia, § 42). Inoltre la Convenzione non garantisce il diritto del cittadino straniero di entrare o di risiedere in un determinato Paese.

In materia di trattenimento di minori, la Corte ha affermato che qualora uno Stato trattenesse sistematicamente i minori immigrati accompagnati, in assenza di elementi indicanti l’intenzione della famiglia di fuggire, la misura del trattenimento per quindici giorni in una struttura di sicurezza era sproporzionata al fine perseguito e costituiva violazione dell’articolo 8 (e (Popov c. Francia, § 140). La Corte ha inoltre riscontrato la violazione dell’articolo 8 qualora delle famiglie fossero state trattenute in detenzione amministrativa rispettivamente per diciotto e nove giorni, duranti i quali le autorità non avevano adottato ogni misura necessaria all’esecuzione della decisione di espulsione e non sussisteva un particolare rischio di fuga (A.B. e altri c. Francia, §§ 155-156; R.K. e altri c.

Francia, §§ 114 e 117).

In materia di ricongiungimento familiare, la Corte ha affermato che la portata dell’obbligo dello Stato di accogliere nel proprio territorio i congiunti di persone residenti in esso varia a seconda delle particolari circostanze in cui si trovano le persone interessate e dell’interesse generale (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, §§ 67-68; Gül c. Svizzera, § 38;

Ahmut c. Paesi Bassi, § 63; Sen c. Paesi Bassi; Osman c. Danimarca, § 54; Berisha c. Svizzera,

§ 60).

I fattori di cui tener conto in tale contesto sono:

- in quale misura sia effettivamente compromessa la vita familiare;

- la portata dei legami con lo Stato contraente;

- l’esistenza di ostacoli insormontabili che non permettono che la famiglia viva nel Paese di origine di uno o più dei suoi membri;

- la sussistenza di fattori relativi al controllo dell’immigrazione (per esempio, precedenti violazioni della legislazione in materia di immigrazione) o considerazioni di ordine pubblico che depongano a favore dell’esclusione

(15)

15 (Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, § 38; Ajayi e altri c. Regno Unito (dec.); Solomon c. Paesi Bassi (dec.)).

2.1. La normativa nazionale sul ricongiungimento familiare.

Passando ad analizzare la normativa interna, occorre prima di tutto ricordare che gli artt. 29 e 30 della nostra Costituzione riconoscono i diritti della famiglia e dei genitori:

Art.29

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Art. 30

E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Per quanto concerne la disciplina del TUI, ricordiamo che abbiamo già incontrato alcune norme derogatorie riguardanti il diritto all’unità familiare, in quattro diversi casi:

- Requisiti di ingresso ex art. 4, c. 3, t.u.: il familiare non è ammesso solo quando rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello stato (no automatismo tra condanna penale e rifiuto di ingresso per ricongiungimento);

- Art. 5, c. 5, t.u.: nell’adottare il provvedimento di rifiuto, revoca o diniego di rinnovo del p.d.s. dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento o del familiare ricongiunto, si tiene conto dei vincoli familiari e della durata del soggiorno in Italia.

Attenzione: questa norma nel 2013 è stata estesa dalla C. Cost.le a qualunque straniero che abbia legami familiari sul territorio indipendentemente dal tipo di permesso di soggiorno, a prescindere se abbia o meno esercitato il diritto al ricongiungimento9. Inoltre va valutata la durata del soggiorno in Italia anche a prescindere dai vincoli familiari.

9 C. Cost. sent. N. 202/2013

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- Art. 13, c. 2 bis, t.u. prevede la stessa disposizione per l’adozione del provvedimento di espulsione dello straniero entrato o trattenutosi illegalmente sul territorio dello stato.

- A ciò va aggiunto quanto descritto riguardo alla protezione speciale di cui all’articolo 19 del TUI, come introdotta dal D.L. n. 130/2020.

I requisiti per il ricongiungimento del familiare straniero con uno straniero presente in Italia sono dettati agli articoli 28, 29, 29 bis, 30 del TUI.

Ø L’art. 28 prevede il diritto all’unità familiare, riconosciuto agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per lungo soggiornanti o titolari di permesso di soggiorno della durata non inferiore a un anno, per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per studio per motivi religiosi o motivi familiari.

In ogni caso la giurisprudenza prevalente ritiene che qualsiasi titolo di soggiorno non inferiore a un anno legittimi il titolare al ricongiungimento familiare.

Fanno eccezione i titolari di p.d.s. per ricerca scientifica e titolari di Blue card, che possono richiedere il ricongiungimento familiare anche se il p.d.s. ha durata inferiore ad un anno.

Lo stesso articolo 28 t.u. prevede la priorità del superiore interesse del fanciullo, quale sancita dall’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali volti a dare attuazione al diritto all’unità familiare in cui siano coinvolti i minori.

2.1.1. Ricongiungimento del familiare che si trova all’estero.

Ø L’ art. 29, conformemente alla direttiva 2003/86/CE prevede i requisiti che lo straniero deve possedere per richiedere il ricongiungimento familiare, ossia:

- Alloggio conforme ai requisiti igienico sanitari e dotato di idoneità abitativa, entrambi accertati dai competenti uffici comunali. Non è prevista tale attestazione nel caso di ricongiungimento di figlio di età inferiore ai 14 anni, per il quale basta il consenso del titolare dell’alloggio in cui il minore dimorerà;

- Reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato della metà per ogni familiare da ricongiungere. La soglia di reddito viene bloccata se si tratta di ricongiungimento di ulteriori figli minori infra quattordicenni oltre ai primi due.

I familiari che è possibile ricongiungere sono i seguenti:

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17 - Coniuge o persona legata da unione civile (non legalmente separati), con espresso divieto di “altro coniuge” rispetto a quello già soggiornante in Italia (divieto di poligamia);

- Figli minori non coniugati, a condizione che l’altro genitore abbia dato il suo consenso.

- Minori di età affidati o sottoposti alla tutela del richiedente il ricongiungimento, a condizione che l’affidamento sia accreditato da un’autorità pubblica competente del paese da cui proviene il minore (es. istituto della “kafala” 10, previsto anche dalla Convenzione dell’Aja del 1996).

- Figli maggiorenni, a condizione che siano totalmente invalidi e non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita.

- I genitori, solo se:

a) a carico del richiedente e non abbiano altri figli nel paese di origine;

oppure

b) ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute. In questo ultimo caso è necessaria altresì la stipula di un’assicurazione sanitaria ovvero l’iscrizione del genitore al SSN previo pagamento di un contributo.

Ø I medesimi familiari per cui è ammesso il ricongiungimento possono fare ingresso a seguito dello straniero titolare del p.d.s. lungo soggiorno o di un visto relativo alle tipologie di p.d.s. sopra indicate.

10 Nel diritto islamico la Kafala è quell’istituto che prevede che chiunque, per mezzo di una dichiarazione solenne da rendersi dinanzi ad un giudice o ad un notaio, può rendersi kafil, assumendo l’impegno di provvedere alle esigenze di vita di un makfoul, un minore abbandonato, fino al raggiungimento della maggiore età, con l’obbligo di accudirlo con le stesse modalità di un padre. In conseguenza a tale promessa, il kafil è personalmente obbligato nei confronti del minore a provvedere alle sue esigenze ed alle sue necessità, ma non sorge alcun vincolo di filiazione, né vengono meno i rapporti giuridici eventualmente esistenti con la famiglia d’origine. Va però rilevato che fra le legislazioni dei vari Stati islamici in merito alla kafala ci sono alcune differenze.

Vi sono due modi di applicazione della kafala:

• attraverso un contratto da concludersi dinanzi ad un notaio e che, in un momento successivo, viene solitamente omologato da un giudice (kafala «consensuale» o «notarile»);

• attraverso un provvedimento dell'Autorità giudiziaria emanato al termine di una procedura volta all'accertamento dell'idoneità del kafil (persona singola o coppia di coniugi) a prendersi cura di un minore preventivamente dichiarato “abbandonato” dal competente Tribunale per i Minorenni (kafala «giudiziale»

o kafala «pubblicistica»).

(18)

Eccezione: Art. 29, co. 5: diritto dell’altro genitore presente all’estero di ricongiungersi con il figlio minore presente in Italia e convivente con l’altro genitore, qualora i due genitori non siano uniti in matrimonio. Il genitore può fare ingresso a condizione che dimostri i requisiti di reddito e alloggio, ma ai fini della dimostrazione può far valere il possesso di tali requisiti da parte dell’altro genitore.

Ø Il ricongiungimento dei familiari di titolari di protezione internazionale, anche sur place (v.

infra), è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 29 bis e 22 del dlgs 251/2007: per costoro non sono richiesti i requisiti di alloggio e reddito né, in caso di genitori ultrasessantacinquenni, quello dell’assicurazione sanitaria.

Ø Inoltre, l’art. 29 bis, c.3, prevede la possibilità di ricongiungimento dei genitori del minore straniero non accompagnato a cui sia stato riconosciuto lo status di protezione internazionale, a prescindere dalle condizioni di alloggio, reddito o sanitarie.

2.1.2. Ricongiungimento sur place.

Vi sono dei casi, di seguito elencati, in cui il ricongiungimento non avviene con chiamata del familiare dall’estero, bensì con rilascio di permesso di soggiorno al familiare già presente sul territorio dello stato ad altro titolo.

Ø Art. 30, c.1, lett. b) p.d.s. per motivi familiari a straniero regolarmente soggiornante da almeno un anno che abbia contratto matrimonio con cittadino straniero regolarmente soggiornante.

Ø Art. 30, c.1, lett. c) p.d.s. anche a familiare già presente sul territorio ad altro titolo: in tal caso il suo p.d.s. può essere convertito in p.d.s. per motivi familiari entro un anno dalla data di scadenza del titolo originariamente posseduto (facendo valere lo status familiare già acquisito).

Ø art. 30, c.1, lett. d) genitore straniero, anche irregolarmente presente, di minore italiano residente in Italia.

Il genitore straniero irregolarmente presente di un minore straniero non può , invece, avere il pds per motivi familiari. Allo stesso modo il coniuge straniero, irregolarmente presente, di uno straniero regolarmente presente non può ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari.

Ø E’ possibile però, ai sensi dell’art.19, c.1.2., richiedere al questore del permesso di soggiorno per protezione speciale, dovuto a rischio di violazione della vita privata e familiare.

(19)

19 Nel T.u. esiste, invece, una disposizione eccezionale di tutela dei minori stranieri non accompagnati, prevista all’art. 31 t.u., ossia la possibilità di autorizzare l’ingresso in Italia del familiare di minore straniero non accompagnato per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore, tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore. Il provvedimento di autorizzazione è di competenza del Tribunale per i minorenni. In questi casi al familiare viene rilasciato un permesso di soggiorno per assistenza minore, rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, grazie alla disposizione introdotta dal D.L. n. 130/2020.

2.1.3 La procedura di ricongiungimento.

Il procedimento avviene con una richiesta telematica di nulla osta al ricongiungimento allo Sportello Unico per l’Immigrazione presso la prefettura.

Lo sportello unico, verificati i requisiti e ottenuto dalla questura il parere sulla possibilità di ingresso del familiare sul territorio, emette il nulla osta e lo trasmette allo straniero interessato e alla rappresentanza diplomatica italiana nel paese dove è presente il familiare da ricongiungere.

A questo punto, il familiare da ricongiungere dovrà richiedere alla rappresentanza diplomatica italiana il visto per ricongiungimento familiare, entro 6 mesi dal rilascio del nulla osta, presentando tutta la documentazione comprovante la parentela, il coniugio, la minore età e, in caso, lo stato di salute e la vivenza a carico.

Nel caso in cui nel paese estero manchi una autorità competente al rilascio della documentazione di stato civile, oppure la rappresentanza diplomatica italiana abbia fondati dubbi sulla autenticità della documentazione presentata, si ricorre all’esame del DNA, a spese degli interessati.

A seguito del riscontro positivo dell’esame del DNA, la medesima rappresentanza provvede al rilascio delle relative certificazioni.

Particolarmente problematiche si rivelano le situazioni in cui manchi la documentazione autentica, per cause non dipendenti dalla negligenza degli interessati, dello stato di coniugio. A tale proposito il Consiglio di Stato ha affermato che l’ambasciata non può per ciò solo rifiutare il visto di ingresso, ma è suo onere accertare se la documentazione presentata sia comunque idonea, in relazione alla genuinità della stessa e alle circostanze del caso11.

11 Parere del Consiglio di Stato n. 3280/2003.

(20)

2.2. La normativa nazionale sulla “coesione” familiare.

Si parla di coesione familiare, e non di ricongiungimento, quando si tratta di familiare straniero di cittadino italiano o comunitario.

In questi casi si applica la normativa più favorevole, costituita dal dlgs. n. 30/2007 di recepimento della direttiva europea 38/2004 sulla libera circolazione dei cittadini comunitari.

I familiari stranieri di cui è possibile richiedere il ricongiungimento, senza requisiti di alloggio e reddito, sono:

- i figli infraventunenni o di età maggiore se a carico, - i genitori a carico,

- il coniuge o partner legato da unione civile,

- i figli o i genitori a carico dell’altro coniuge o partner.

- Ogni altro familiare, se a carico, convivente nel Paese di origine, o necessitante assistenza del cittadino europeo.

- Il partner con cui il cittadino UE abbia una relazione stabile, debitamente attestata.

La Corte di Giustizia dell’UE, con la Sentenza del 26.3.2019 causa C-129/2018 (pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte Suprema del Regno Unito), ha stabilito che il minore affidato in Kafala rientra nella nozione di “altro familiare “ai sensi della direttiva n. 38/2004, e non può dunque considerarsi alla pari di un figlio, in quanto la kafala non crea un legame di filiazione.

Alla stessa conclusione era precedentemente giunta nel 2013 la Corte di Cassazione12.

Il familiare straniero può entrare in Italia per coesione familiare con un visto uniforme Schengen di breve durata con ingressi multipli. Qualora decidesse di prolungare il suo soggiorno dovrà chiedere in Questura la carta di soggiorno di familiare di cittadino comunitario.

La carta di soggiorno è il titolo rilasciato al familiare di cittadino comunitario, ai sensi della direttiva 38/2004 e del dlgs n. 30/2007. Essa ha validità di 5 anni.

Per quanto riguarda la coesione familiare sur place con il cittadino italiano, è bene tenere a mente che è sempre consentita, a prescindere dalla regolarità del soggiorno del familiare straniero13. Infatti, ai sensi dell’art. 19, c.2, t.u. i parenti entro il secondo grado e il coniuge del cittadino italiano non sono rimpatriabili (salvo che per ordine pubblico e sicurezza dello stato).

In questo caso viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari che, alla scadenza (durata max 2 anni), può essere convertito carta di soggiorno di familiare straniero di cittadino comunitario.

12 Cass. Sezioni Unite, sent. 21108 del 16.9.2013.

13 Cfr. Corte di Giustizia dell’UE 25.7.2008 Causa C-127/2008 Baheten Metock et al. C. Irlanda.

Riferimenti

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