• Non ci sono risultati.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte. (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte. (Sezione Prima) ha pronunciato la presente"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

Pubblicato il 30/04/2018

N. 00493/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00536/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 536 del 2016, proposto da:

Ciro De Vivo, rappresentato e difeso dall'avvocato Mia Callegari, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Susa, 35;

contro

Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Regionale Piemonte della

Guardia di Finanza non costituiti in giudizio;

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliato presso i suoi uffici, in Torino, via Arsenale, 21;

per l'annullamento

della determina n. 58605/2016 in data 23.2.2016 del Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza, notificata il 2.3.2016, con cui è stato rigettato il ricorso gerarchico proposto dal ricorrente in data 17.12.2015 avverso la

(2)

determina prot. n. 0320522/15 in data 2.11.2015 del Comando Generale della Guardia di Finanza con cui l'Amministrazione ha respinto l'istanza di rimborso delle spese legali presentata dal ricorrente in data 8 maggio 2015; di tutti gli atti presupposti e/o conseguenti e/o consequenziali, ivi compresa la comunicazione n.

0220837/15 notificata il 4.8.2015.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2018 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente, maresciallo della Guardia di Finanza, è stato sottoposto nell’anno 2010 a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 110, 81, 321, 319, ter c.p.:

secondo l’ipotesi accusatoria il ricorrente, nella sua qualità di maresciallo della Guardia di Finanza addetto alla sezione di PG della Procura della Repubblica di Torino, avrebbe consultato abusivamente il REGE della Procura della Repubblica di Torino, fornendo a Sannia Franco notizie ed informazioni su un procedimento penale (n. 25594/2009), a carico della Sig. Lorenza Bresciano, oltre ad altri soggetti, ricevendo od accettando da Sannia la promessa di una utilità, connessa alla loro appartenenza alla Loggia massonica Cavour 16, nonché ulteriori benefici, legati alla sua carriera.

Veniva altresì contestato di aver utilizzato la password di Bosco Mariangela, e di essersi introdotto nel server della Procura, al fine di ottenere informazioni sempre

(3)

relative al procedimento a carico di varie persone. Nonché di aver aiutato gli indagati del suddetto procedimento ad eludere le investigazioni.

Rinviato a giudizio, il ricorrente è stato successivamente assolto da ogni imputazione con la formula “perché il fatto non sussiste”, con sentenza della Corte d’Appello di Torino del 17.5.2013 n. 1810, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5297/15 del 21.1.2015.

Con istanza del 8 maggio 2015 egli ha chiesto ai sensi dell’art. 18 della L.

135/1997, il rimborso delle spese legali sostenute nel predetto giudizio, ammontanti ad € 72.204,00.

Dopo il preavviso di rigetto, la domanda veniva respinta con provvedimento prot.

n. 58605 del 23.2.2016, con articolata motivazione, negando la sussistenza dei presupposti di cui al citato articolo 18 L. 135/1997 (in particolare, del nesso di strumentalità tra i fatti contestati al ricorrente e l’espletamento dei compiti di servizio). Anche il ricorso gerarchico presentato avverso il rigetto, veniva respinto.

Con ricorso notificato il 10 maggio 2016 e depositato il 27 maggio 2016, il ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe, deducendo le seguenti censure:

1) violazione dell’art 21 octies l. 241/90, violazione dell’art 18 d.l. 67/1997:

secondo il ricorrente i fatti in relazione ai quali egli è stato indagato sono assolutamente pertinenti al suo servizio e ai suoi obblighi istituzionali, tant’è vero che l’impianto accusatorio si è basato proprio sulla sua qualità di pubblico ufficiale, che ha usufruito della propria posizione all’interno dell’Amministrazione. Si tratta quindi di reati ricollegabili all’esercizio di mansioni proprie dell’istituto; ciò sarebbe oltremodo dimostrato dal fatto che l’attività è stata svolta durante l’orario di lavoro e in occasione dei dello svolgimento dei propri obblighi lavorativi.

L’interpretazione restrittiva darebbe alla norma un ambito di applicazione eccessivamente ristretto, esponendo i dipendenti a gravi pregiudizi;

(4)

2) eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza, essendo mancata una completa valutazione dei fatti; gli eventi prendono le mosse non dai rapporti privati con Sanna, ma da fatti commessi nell’esercizio delle funzioni.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, resistendo al gravame con memoria e chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 220 del 16.6.2016 la domanda cautelare veniva respinta, con la seguente ampia motivazione: “Ritenuto che il ricorso non sia, almeno ad un primo sommario esame, assistito da apprezzabili elementi di fumus boni iuris in considerazione del fatto che la condotta contestata al ricorrente - di interessamento presso la segreteria del Pubblico Ministero, finalizzato ad acquisire informazioni utili per un procedimento penale - non può essere imputata, per immedesimazione organica all’Amministrazione, né può dirsi essere stata posta in essere nell’interesse dell’Amministrazione stessa dal ricorrente o nell’esercizio dei poteri e delle funzioni che gli sono stati attribuiti dalla legge, al fine di adempiere un dovere d’ufficio, essendo, in realtà, solo occasionalmente connessa con la qualifica di pubblico ufficiale rivestita;

rilevato, infatti, come affermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, che “il rimborso delle spese di patrocinio legale sostenute per giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, previsto per i dipendenti statali dall'art. 18 comma 1, d.l. 25 marzo 1997 n.

67, conv. dalla l. 23 maggio 1997 n. 135, ha lo scopo di dare seguito all'esigenza di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento del servizio e tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all'espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il diritto al rimborso può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza” e che “per ottenere il rimborso delle spese di patrocinio legale, non basta il favorevole esito del procedimento giudiziario, occorrendo altresì, come secondo e fondamentale presupposto, che il procedimento ai danni dell'interessato sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del

(5)

servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, sicché non è sufficiente che lo svolgimento del servizio costituisca mera occasione per il compimento degli atti che danno origine al procedimento di responsabilità” (cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 13.06.2011 n. 1485; TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 10.06.2011 n. 291);

ritenuta superflua, in mancanza del fumus, ogni considerazione sul periculum in mora”.

In prossimità dell’udienza di discussione, la difesa di parte ricorrente ha depositato una memoria conclusiva, nella quale ha ribadito come esista una correlazione tra la condotta illecita e i doveri d’ufficio, pe cui sussisterebbe quella connessione con le mansioni svolte, richiesta dall’art 18 d.l. 67/1997.

All’udienza pubblica del 7 marzo 2018, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO 1) Il ricorso è infondato e va respinto.

L’art. 18 del D.L. 25/03/1997, n. 67 dispone che “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato”.

Sull’interpretazione di tale norma possono ritenersi consolidati in giurisprudenza i seguenti principi:

- la norma è espressione della volontà del legislatore di evitare che i dipendenti statali debbano essere esposti all’onere delle spese legali per i giudizi promossi nei loro confronti per fatti connessi all’espletamento del servizio;

- condizione indispensabile affinchè possa fondatamente invocarsi la sua applicazione è la connessione dei fatti contestati al dipendente con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali;

(6)

- tale connessione sussiste allorchè la condotta del dipendente sia tale da poterne imputare gli effetti direttamente all’Amministrazione di appartenenza, dal momento che il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalità di svolgimento di una corretta attività lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull’Amministrazione, né è sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione;

- la mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non è, quindi, sufficiente ai fini dell'ammissibilità del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione;

- ne consegue ulteriormente che la possibilità del rimborso delle spese legali è da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed amministrazione, emergendo o comunque potendo emergere estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio.

2) Nel caso di specie, come già rilevato in sede cautelare, si deve ritenere che non sussistano i presupposti per riconoscere il diritto il rimborso, in quanto la condotta non può essere imputata, per immedesimazione organica all’Amministrazione, né può dirsi essere stata posta in essere nell’interesse dell’Amministrazione stessa dal ricorrente o nell’esercizio dei poteri e delle funzioni che gli sono stati attribuiti dalla legge, al fine di adempiere un dovere d’ufficio, essendo, in realtà, solo occasionalmente connessa con la qualifica di pubblico ufficiale rivestita.

Il ricorrente non è stato processato per fatti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali o di incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa, ma all’opposto per fatti estranei alle attività istituzionali e contrari ai propri doveri d’ufficio, tenuto conto, in particolare che non aveva competenza in quel procedimento penale rispetto al quale ha acquisito

(7)

informazioni, né gli era mai stato rivolto uno specifico ordine di effettuare indagini rispetto allo stesso.

3) Non vi è alcuna connessione o rapporto causale tra i fatti contestati al ricorrente in sede penale e il corretto assolvimento di obblighi istituzionali; e dunque non sussistono i presupposti di legge affinchè il ricorrente possa pretendere dall’Amministrazione di appartenenza il rimborso della spese legali sostenute, il quale presuppone un rapporto causale della condotta contestata “con una modalità di svolgimento di una corretta attività lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull’Amministrazione, né è sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione”.

Risultano quindi infondate entrambe le censure, che sono costruite sulla tesi della riconducibilità dei fatti alla qualifica del ricorrente, che non sarebbe mai stato sottoposto ad indagini, se non avesse ricoperto quello specifico ruolo.

L’angolo di visuale deve essere differente: il ricorrente è stato processato per fatti contrari ai propri doveri d’ufficio, non connessi con l’espletamento del suo servizio, compiuti per un interessamento per un amico, quindi per scopi personali, non per un’indagine istituzionale di cui è stato incaricato: la giurisprudenza ha più volte chiarito che l'imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale del dipendente muove da giudizi prognostici ed astratti che non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell'art. 18 d.l. n. 67 del 1997 modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte siano connesse con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, con esclusione di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un incarico e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non siano imputabili all'Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della struttura dell'Amministrazione di appartenenza.

(8)

Quanto sopra è sufficiente a respingere anche la seconda censura, costruita ancora sull’erroneo presupposto che il ricorrente abbia posto in essere i fatti contestati nell’esercizio delle sue mansioni.

4) Alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto.

Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della natura della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente Silvana Bini, Consigliere, Estensore

Roberta Ravasio, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Silvana Bini Domenico Giordano

IL SEGRETARIO

Riferimenti

Documenti correlati

10073/98 i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento del 25 maggio 1998 con il quale la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Verona ha reso noto ai

Il concetto di morale viene in questo caso forzato e, in termini giuridici di interesse al ricorso, stravolto: nel senso che è reputato morale il sostenere un’idea di famiglia e

Analogamente risulta notificata a La Mase presso la detta sede legale ed ivi ritirata, in data 18.11.2014, da persona qualificatasi come impiegata dello

Quest’ultima, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, Sezioni Unite (9 sett. 19251), si configura come cessione del contratto di lavoro, si verifica nel corso di un

impugnato, appartenenti alle categorie riservatarie di cui alla legge n. 68 del 1999, residenti nella Regione Campania, da destinare a strutture ed istituti della provincia di

- respingere e rigettare, per i motivi di cui in atti, tutte le domande spiegate nel presente giudizio dalla dott.ssa Prisca Janes nei confronti di Maurizio

5) per l’effetto, disporre altresì che i competenti Uffici del Comune di nascita di XXX di residenza XXX, Prefettura, Questura, Motorizzazione civile, Agenzia del Territorio,

In sintesi la ricorrente sostiene che nella fattispecie non vi sarebbe alcuna violazione delle distanze in quanto la disposizione invocata dal Comune (cioè il