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Rassegna

22, 195-200, 2002

Gli autori, dopo aver brevemente definito in termini classificativi e anatomopatologici le principali cause di ictus cerebrale nel paziente diabetico, compiono un excursus epidemiologico e fisiopatologico sui principali fattori di rischio associati classici (ipertensione arteriosa, dislipidemia, obesità viscerale) e di più recente evi- denziazione (iperfibrinogenemia, microalbuminuria, iperomocisteinemia), soffermandosi quindi sui rapporti fra stato iperglicemico ed eventi acuti cerebrali. Infine vengono discussi, alla luce delle più recenti evidenze, i principali interventi di prevenzione, sottolineando la necessità di considerare tutti i soggetti diabetici in pre- venzione secondaria della patologia cerebrovascolare, e di terapia dell’ictus nel paziente diabetico.

Parole chiave.Ictus cerebrale, diabete mellito, sindrome metabolica.

Stroke and diabetes mellitus. The authors, having briefly described the nosographism and the pathology of stroke in diabetic patient, expose the main classic (hypertension, dislipidaemias, procoagulative state) and more recently evi- denced (hyperfibrinogenaemia, microalbuminuria, hyperomocysteinaemia) risk factors for stroke, stressing indeed the interrelationships between hyperglycaemia and stroke.

At last, the prevention (considered as secondary in diabetes) and the therapy of this acute pathologic state are dis- cussed.

Key words.Stroke, diabetes mellitus, metabolic syndrome.

PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE ACUTA E DIABETE MELLITO

D. SINAGRA, A.M. SCARPITTA Endocrinologia, Istituto di Clinica Medica, Policlinico Universitario “Paolo Giaccone”, Palermo

riassuntosummary

Dimensioni del fenomeno ed epidemiologia

Una notevole messe di lavori epidemiologici e clinici riguarda i legami fra diabete mellito e malattie car- diovascolari (1, 2). Un minor numero, comunque sempre più congruo di studi, concerne invece i rap- porti fra questa malattia metabolica e le malattie cerebrovascolari (3). Queste patologie, devastanti e responsabili di un numero impressionante di morti e disabilità, sicuramente più frequenti che in qualsiasi altro ambito di malattia, sono fondamentalmente accomunate dal punto di vista fisiopatologico, assie- me all’arteriopatia periferica, dallo stesso substrato anatomico rappresentato dall’aterotrombosi.

La nostra rassegna riguarderà l’evento acuto dell’ic- tus, cioè di quel disordine neurologico globale o foca- le, a insorgenza improvvisa, caratterizzato da una riduzione acuta del flusso cerebrale.

L’emorragia cerebrale nel soggetto diabetico, ancor-

ché a prognosi peggiore che nel soggetto non diabe- tico, appare avere invece una prevalenza addirittura significativamente minore che nella popolazione generale, e ciò nonostante la maggior frequenza di associazione fra diabete mellito e ipertensione arte- riosa, quest’ultimo importante fattore predisponente all’evento emorragico acuto (4).

Le dimensioni del problema sono in primo luogo delineate dai più recenti studi epidemiologici riguardanti la morbilità e la mortalità per cause cere- brovascolari: negli USA l’ictus cerebrale rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiova- scolari e il cancro e la principale causa di disabilità:

volendo quantificare il fenomeno, ogni anno si hanno 600.000 nuovi casi di ictus e 150.000 deces- si, per non parlare dei reliquati disabilitanti, con i relativi costi personali e sociali. Mettendo insieme gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, il numero di nuovi casi di ictus, incluse le forme emorragiche, ogni anno è circa 1,75 milioni: ciò corrisponde al 27-30% di tutti i decessi. L’ictus di tipo ischemico

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rappresenta comunque l’85% degli eventi acuti cerebrali (5).

Il diabete costituisce un forte fattore di rischio per l’ic- tus cerebrale; tale maggiore associazione è stata accertata anche in pazienti con diabete non ancora diagnosticato (6). I numerosi studi epidemiologici che lo documentano, dai più classici Framingham (2) e Copenhagen Stroke Study (7) al più recente studio prospettico finlandese e ai NHANES (National Health And Nutrition Examination Surveys) (8) evidenziano una aumentata prevalenza dell’evento vascolare cerebrale acuto nei pazienti diabetici, che varia da 1,3 a 3,3 nel sesso maschile, e da 2,2 a 13 nel sesso fem- minile (media generale da 2 a 8 volte): anche in que- sto caso infatti, come peraltro per gli eventi cardiova- scolari in genere, tale incremento interessa prevalen- temente il sesso femminile, sì da pareggiare o addirit- tura capovolgere il primato del sesso maschile nella popolazione non diabetica (9, 10).

Anche in Italia lo studio DAI, attualmente in corso, documenta un comportamento non dissimile della prevalenza di ictus nella popolazione diabetica, con sovrapponibilità statistica fra il sesso maschile e fem- minile, e senza significative variazioni fra le varie regioni del Paese (dati non pubblicati).

Alcune peculiarità differenziano epidemiologica- mente l’insorgenza dell’ictus nei diabetici rispetto alla popolazione non diabetica: la presenza di dia- bete mellito riduce di 3-4 anni l’età di insorgenza della patologia cerebrovascolare acuta, che si atte- sta pertanto fra la quinta e la sesta decade di vita. La prognosi dell’ictus nel soggetto diabetico è peggio- re (si registra infatti un incremento della mortalità intorno al 7%), e tale fenomeno è indipendente dal- l’estensione anatomica dell’ictus, dalla sua sede e dalla severità clinica iniziale. Alcuni studi anzi corre- lano la severità della prognosi con la presenza di ele- vati valori glicemici al momento dell’esordio.

Inoltre, il soggetto diabetico presenta un più eleva- to rischio di recidiva del primo evento. L’ictus nel paziente diabetico è gravato inoltre da un più lungo tempo di recupero che giustifica un periodo di allet- tamento superiore rispetto al paziente non diabeti- co (11-13).

Cause di ictus e fattori di rischio correlati nel paziente diabetico

Possiamo meglio definire l’ictus ischemico come una acutamente inadeguata perfusione cerebrale che depriva il cervello di ossigeno e di glucosio. Questi due sono infatti gli elementi fondamentali e inscindi-

bili, senza ciascuno dei quali il metabolismo del neu- rone non può efficacemente aver luogo.

Inoltre, è da sottolineare la caratteristica fondamen- tale della macroangiopatia diabetica, che interessa sì i vasi di grosso calibro, ma evidenzia una maggiore peculiarità di danno dei vasi di medio-piccolo calibro.

Per quanto riguarda i primi, il soggetto diabetico pre- senta un’elevata frequenza di stenosi carotidee asin- tomatiche: infatti, evidenze anatomopatologiche documentano la frequenza del 7,8% nei soggetti dia- betici rispetto allo 0,7% dei non diabetici di stenosi carotidee superiori al 50%, ma soltanto nel 28% dei diabetici si verifica un evento ischemico sintomatico.

Nella valutazione del rischio cerebrovascolare trova la sua applicazione la valutazione ecografia dello spes- sore medio-intimale delle carotidi, dimostrato recen- temente dallo studio ARIC (14) in stretta correlazione con lo sviluppo della patologia cardiovascolare.

Nel soggetto diabetico allora non si rinvengono sol- tanto i classici quadri di eventi cerebrovascolari inte- ressanti le carotidi e in generale le grandi arterie (sec.

la classificazione TOAST) ma soprattutto i cosiddetti infarti lacunari, risultanti da occlusione delle piccole arterie paramediane penetranti, funzionalmente ter- minali, determinanti quadri cistici nella materia bian- ca cerebrale (15).

La patogenesi di tali quadri anatomopatologici può essere attribuita a una diminuzione dell’incremento del flusso cerebrale in risposta a stimoli vasodilatanti come l’ipercapnia, dovuti fondamentalmente a neu- ropatia diabetica autonomica o a patologia endote- liale dismetabolica (che porta a difetto di rilascio di fattori vasodilatanti quali l’ossido nitrico), quest’ulti- ma legata a filo doppio allo stato iperglicemico, soprattutto postprandiale (12).

Nonostante negli ultimi anni numerose osservazioni epidemiologiche indichino una riduzione della mor- talità per malattia cardio- e cerebrovascolare nella popolazione generale, questo andamento non è stato confermato fra i diabetici (1). Ciò avviene per- ché sono maggiori che nella popolazione non diabe- tica i fattori di rischio per ictus nel paziente diabetico;

e questo non riguarda soltanto i livelli glicemici, ma anche gli altri fattori di rischio così frequentemente associati nel diabete mellito di tipo 2, compresi nella cosiddetta sindrome metabolica, definita secondo gli ultimi criteri della WHO (16): l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia (in particolare alti livelli di LDL coleste- rolo, bassi livelli di HDL, ipertrigliceridemia), l’obesità viscerale, la microalbuminuria. Questi fattori di rischio possono contribuire almeno in parte a spiega- re l’incremento della prevalenza di manifestazioni di malattia vascolare aterosclerotica rispetto alla popo-

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lazione non diabetica. Ciascuno di questi fattori con- diziona patogeneticamente l’evento aterogeno, la sua evoluzione in trombo, le condizioni subocclusive e occlusive del vaso che determinano (17-19).

Ai fattori di rischio classici si sono aggiunti in tempi più recenti nuovi elementi patogeneticamente correlati all’evento cerebrovascolare acuto, come d’altronde alle altre manifestazioni di macroangiopatia: iperfibri- nogenemia (20), microalbuminuria (21, 22), iper- omocisteinemia (23).

Anche per ciò che riguarda la terapia di queste condi- zioni patologiche predisponenti, iscritte nella sindro- me metabolica, vari studi clinici controllati hanno dimostrato che il raggiungimento e la stabilizzazione della normalità dei vari parametri succitati ha deter- minato una diminuzione della mortalità generale per complicanze microvascolari e per tutti gli end-point legati al diabete, con la corrispondente riduzione delle complicanze macrovascolari e pertanto del rischio di ictus.

In particolare ci riferiamo:

– agli ultimi trial dell’UKPDS, soprattutto a quelli che hanno come target il mantenimento “stretto” di normali valori pressori, comunque ottenuto, che determina una riduzione del rischio di ictus del 44%, p = 0,013 (24, 25);

– agli studi HOPE e MICROHOPE, che utilizzano a tal fine il ramipril (e che raggiungono una riduzione del rischio di ictus nei diabetici del 33%, p = 0,0074)(26);

– al recentissimo studio PROGRESS (2001, in corso di pubblicazione), che studia l’effetto del perindopril (con riduzione del 28% delle recidive di ictus, p <

0,0001);

– agli studi 4S (27), LIPID (28), CARE (29), fino al più recente MIRACL (in corso di pubblicazione), che riguardano il versante dislipidemico, determinando il decremento dell’LDL-colesterolo, rispettivamente utilizzando la simvastatina (riduzione del rischio di ictus del 28%, p = 0,033), la pravastatina (27%, p = 0,03) e l’atorvastatina (20%, p = 0,022).

Ruolo dell’iperglicemia nel determinismo e nell’evoluzione dell’ictus

Anche l’iperglicemia in sé, come alterazione metabo- lica cardine della malattia diabetica, può contribuire agli eventi patogenetici propri della patologia macro- vascolare.

La presenza dell’iperglicemia non necessariamente determina una diversificazione del nosografismo: i

quadri clinici dell’ictus nel diabetico per la maggior parte dei casi sono sovrapponibili a quelli osservati nella popolazione generale.

Può talvolta essere necessaria la diagnosi differenziale con i sintomi neurologici che accompagnano una crisi ipoglicemica o una sindrome iperosmolare. Ma sia l’insorgenza che l’evoluzione dell’evento non sono indifferenti alla presenza o meno di iperglicemia.

Pertanto l’insorgenza, il decorso e la prognosi sono influenzati dal compenso glicometabolico: alcuni recenti lavori sottolineano che i livelli glicemici all’in- sorgenza sono correlati all’ispessimento medio-inti- male carotideo in individui non diabetici (30) e, comunque, il decorso e la prognosi, quanto a effetti invalidanti e mortalità, sono influenzati dal compen- so glicometabolico (31).

L’UKPDS, in un altro dei suoi studi, afferma che la terapia normoglicemizzante intensiva con sulfonilu- ree o insulina rispetto alla terapia convenzionale ridu- ce di 10 anni il rischio delle complicanze microvasco- lari (p < 0,0099), ma anche di tutti gli end-point lega- ti al diabete (compreso l’ictus, p < 0,029) (32).

Le alterazioni fisiopatologiche di base che questi parametri nel tempo determinano vengono ulte- riormente peggiorate dallo stress ossidativo, fonda- mentalmente acuto e post-prandiale, che si verifica allorquando i valori glicemici, i livelli trigliceridemi- ci e quelli dei fattori di più rapido incremento in relazione al pasto vengono a danneggiare acuta- mente, con l’onda metabolica (33), la parete endo- teliale.

Il Diabetes Intervention Study ha a tal proposito documentato l’importanza del controllo della glice- mia post-prandiale nella prevenzione dell’IMA (34).

Più elevati livelli di glucosio costituiscono rischio di ispessimento della media e intima carotidee in indivi- dui non diabetici, valutati mediante Hb glicata, e più alti livelli di glicemia sono fattori di rischio per un’in- crementata mortalità da ictus cerebrale in soggetti non diabetici di media età, con un cut-off di 6,6 mmol/L (35).

Agli elementi che precedono l’evento ischemico nel diabetico vanno aggiunti quelli che determinano una maggiore gravità dell’ictus in tali soggetti: le ipotesi in discussione sono fondamentalmente tre:

a) nelle condizioni ipossiche legate all’ictus il gluco- sio è metabolizzato ad acido lattico con la risultan- te acidosi intra- ed extracellulare;

b) si verifica un aumento dei neurotrasmettitori glu- tammato e aspartato, che portano a necrosi i neu- roni se non esiste un adeguato reuptake energeti- co-dipendente degli stessi, diminuito per difetto di ATP intracellulare;

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c) si verifica un incremento del Ca intracellulare; l’im- piego della nimodipina limita infatti l’acidosi cere- brale calcio-indotta e il danno neuronale che ne consegue (36).

Da ciò ne deriva l’esigenza di un adeguato follow-up del compenso metabolico del paziente diabetico con ictus cerebrale.

Prevenzione e terapia dell’ictus nel diabetico

Le osservazioni suddette ci portano a considerare alcuni aspetti specifici della prevenzione e del tratta- mento dell’ictus nel diabetico.

Innanzitutto, è da rimarcare che soltanto per i sog- getti con stenosi carotidea sintomatica che presenti- no un restringimento severo del lume carotideo (superiore al 70%) esiste l’indicazione chirurgica assoluta per l’endoarteriectomia, come evidenziato dallo studio NASCET (37); per coloro che invece pre- sentino un restringimento moderato (30-69%), lo studio ECST ha dimostrato che l’endoarteriectomia non fornisce, in un follow-up di 4,5 anni, alcun signi- ficativo beneficio nei confronti dei pazienti non sot- toposti a intervento chirurgico (38).

Riguardo alla prevenzione, sulla base dei rilievi epide- miologici più recenti, è da sottolineare la necessità di considerare il soggetto diabetico sempre in preven- zione secondaria; è acclarato infatti che il diabetico senza complicanze presenta lo stesso rischio vascola- re del non diabetico che ha avuto un qualsiasi evento vascolare precedente (39).

Prevenzione primaria è da considerare soltanto dun- que quella del soggetto non iperglicemico, che tutta- via necessita di un adeguato screening dei valori gli- cemici dopo carico (40), nonché della presenza degli altri fattori di rischio vascolare inclusi nella sindrome metabolica.

In tal caso, l’azione preventiva si eserciterà sul “lifesty- le”, sulla presenza o meno di sovrappeso, ipertensio- ne arteriosa, dislipidemie (41).

Nell’ipotesi del soggetto iperglicemico saranno natu- ralmente la dieta e la terapia farmacologica a control- lare l’iperglicemia, a digiuno e postprandiale, ma concomitantemente altri interventi dovranno essere intrapresi per il controllo contemporaneo dell’iper- tensione arteriosa, del sovrappeso, della dislipidemia.

Essendo tutti questi fattori accomunati fisiopatologi- camente dall’insulino-resistenza, i farmaci a essa volti sono di prima scelta: la già consolidata metformina (UKPDS 34) (42) (riduzione dell’ictus del 41%, p = 0,032), che agisce non soltanto sull’utilizzazione peri-

ferica del glucosio, ma anche sugli altri parametri cor- relati alla sindrome metabolica (per es. PAI-1), e i far- maci emergenti della famiglia dei glitazonici (rosigli- tazione, pioglitazione) (43, 44).

Alla terapia propria dell’ictus, per il paziente diabeti- co va aggiunta maggior cura nel controllo metaboli- co generale, nonché nella gestione metabolica dell’e- vento vascolare intracerebrale.

Per quest’ultima, come per l’IMA (DIGAMI), la migliore terapia infusionale si è rivelata quella ripola- rizzante (con soluzioni di glucosio-insulina-potassio) (45). Il controllo metabolico mediante tale terapia permette non soltanto di raggiungere i goal terapeu- tici riguardo al compenso metabolico e al ripristino di un adeguato anabolismo, ma anche di perfondere la zona ischemica con il nutriente più “fisiologico” delle cellule cerebrali che hanno subito l’insulto.

In conclusione, se è vero che il diabete è “una malat- tia vascolare che si misura con la glicemia” (46) (e non solo), qualsiasi malattia vascolare (nel nostro caso la vasculopatia cerebrale) è da considerarsi una malattia “metabolica”, in quanto sia i fattori predi- sponenti, che precipitanti e aggravanti la patologia cerebrale sono da ricondurre alla disregolazione di quel complesso sistema metabolico cui sottende, fondamentalmente, l’insulino-resistenza.

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Corrispondenza a: Dott. Domenico Sinagra, Via Raffaello Mondini 11, 90143 Palermo - e-mail: sinagra@unipa.it Pervenuto in Redazione il 28/1/2002 - Accettato per la pub- blicazione l’11/12/2002

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