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L’interesse nutrizionale per gli acidi grassi ω-3 è nato alcuni decenni fa in seguito al rilievo che gli esquimesi della Groenlandia, abituati a una dieta molto ricca in questi particolari acidi grassi, avevano una bassissima inci- denza di malattie cardiovascolari. Da allora sino a oggi c’è stato un vero e proprio proliferare di studi, non sem- pre controllati, tesi a valutare gli effetti degli gli acidi grassi ω-3 sui più importanti fattori di rischio cardiova- scolare, come il diabete, i lipidi, l’ipertensione arteriosa e l’insulino-resistenza.

Dall’insieme di questi studi si può concludere che gli acidi grassi ω -3, almeno quelli a lunga catena, non hanno nell’uomo un effetto significativo sulla sensibilità insulinica, hanno un effetto ipotensivante, almeno negli indi- vidui ipertesi, ma di limitata importanza clinica, non hanno effetti sfavorevoli sul controllo glicemico, almeno se utilizzati a dosaggi non elevati, hanno un sicuro e significativo effetto ipotrigliceridemizzante, accompa- gnato, però, da un lieve aumento del colesterolo delle LDL.

Nonostante gli scarsi effetti metabolici, studi di intervento in pazienti già infartuati hanno confermato la capa- cità di questi acidi grassi di ridurre il rischio cardiovascolare, specie in relazione agli eventi mortali. È probabi- le, pertanto, che questa capacità sia legata ai loro effetti antiaritmici e antitrombotici, più che a quelli meta- bolici.

Parole chiave. Acidi grassi, acidi grassi ω-3, diabete, dislipidemia, ipertensione arteriosa, sensibilità insulinica.

ω-3 fatty acids and metabolic diseases. Since the pioneering studies showing that Esquimos, used to a diet very rich in long chain ω-3 fatty acids, had a very low incidence of cardiovascular thrombotic diseases, many studies, unfor- tunately not always very well controlled, have been performed in order to evaluate the possible effects of these fatty acids on the main cardiovascular rick factors, such as diabetes, dyslipidemia, hypertension and insulin resistance.

From the results of these studies it is possible to conclude that long chain ω-3 fatty acids do not have, in humans, significant effects on insulin resistance; they have a small but significant hypotensive effect, especially in patients whith high levels of blood pressure; they do not impair blood glucose control in diabetic patients, if used at low doses;

they have a significant and clinical relevant hypotriglyceridemic effect, but generally the triglyceride decrease is accompained by a small increase in LDL cholesterol.

However, even if long chain ω-3 fatty acids do not have impressive metabolic effects, they reduce cardiovascular mor- tality in secondary prevention. It is likely that this last effect is due to their antiarithmic and antithrombotic action.

Key words. Dietary fatty acids, ω-3 fatty acids, dyslipidemia, hypertension, insulin sensitivity.

A CIDI GRASSI ω-3 E MALATTIE METABOLICHE

C. DE N ATALE , S. L ILLI , A.A. R IVELLESE

*Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

riassunto summar y

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Gli acidi grassi ω-3 sono degli acidi grassi polinsaturi che, a differenza di quelli della serie ω-6, hanno il primo dei doppi legami in posizione 3 rispetto al ter- minale metilico. Essi sono costituiti essenzialmente dall’acido α-linolenico, acido grasso essenziale a 18 atomi di carbonio, e dagli acidi eicosapentaenoico (EPA) a 20 atomi di carbonio e deicosaesaenoico (DHA) a 22 atomi di carbonio, che possono essere sintetizzati a partire dal primo (fig. 1) (1). Mentre l’a- cido α-linolenico è presente in alcuni oli vegetali e in alcune verdure, sia l’EPA sia il DHA sono presenti in particolare in alcuni tipi di pesce, tanto è vero che spesso vengono identificati con il termine di “olio di pesce”. Le possibili funzioni degli acidi grassi ω-3 sono molteplici e alcune di esse si stanno evidenzian- do solo molto recentemente. Molte sono strettamen- te legate al fatto che questi acidi grassi entrano a far parte della composizione delle membrane cellulari, influenzandone la fluidità così come la risposta a ormoni, neurotrasmettitori e fattori di crescita (1, 2).

Inoltre, gli acidi grassi ω-3 sono anche importanti pre- cursori di sostanze, come eicosanoidi e leucotrieni, che regolano sia i processi di trombogenesi sia quelli infiammatori. Infine, essi avrebbero la capacità di agire sull’espressione genica di alcuni enzimi impor- tanti per la regolazione del metabolismo lipidico (3).

In realtà, l’interesse dei nutrizionisti per gli acidi gras- si ω-3, in particolare per “l’olio di pesce”, è nato più di trenta anni fa, epoca in cui fu osservato che gli esquimesi della Groenlandia avevano una bassissima incidenza di eventi coronarici, pur se abituati a con- sumare una dieta molto ricca in grassi (4). È da nota- re, però, che la dieta di queste popolazioni era, sì, molto ricca in grassi, ma questi erano quasi tutti di origine marina, cioè essenzialmente EPA e DHA.

Da allora sino a oggi c’è stato un vero e proprio pro- liferare di lavori tesi a valutare il perché dell’azione protettiva di questi acidi grassi nei confronti della malattia coronarica e si è visto che essi, oltre alla sicu- ra azione antitrombotica, possono avere effetti mol- teplici su diversi altri fattori di rischio cardiovascolare, come diabete, iperlipemia, ipertensione arteriosa (2).

Sfortunatamente, nonostante l’enorme numero di lavori, su molti aspetti ancora non si possono trarre delle conclusioni definitive perché molti studi sull’ar- gomento non sono controllati. Pertanto, ancora oggi si passa facilmente da chi ritiene gli acidi grassi ω-3, specie l’olio di pesce, la panacea di tutti i mali, a chi, invece, ritiene che essi non abbiano importanza rile- vante nel campo della prevenzione cardiovascolare e delle malattie metaboliche in particolare.

Introduzione

In questa rassegna si cercherà di fare il punto sulla relazione tra gli acidi grassi ω-3 e le malattie metabo- liche, in particolare diabete, iperlipemia e ipertensio- ne arteriosa, basandosi principalmente sui risultati degli studi controllati e cercando di distinguere, là dove possibile, tra gli effetti dovuti direttamente agli acidi grassi ω-3 e gli effetti dovuti a un’alimentazione ricca in pesce, che potrebbe agire anche per altre caratteristiche tipiche di quest’alimentazione e indi- pendenti dalla presenza di acidi grassi ω-3. Inoltre, poiché le diverse malattie metaboliche (diabete, disli- pidemia, ipertensione arteriosa) sono tra di loro lega- te da un comune denominatore, rappresentato dal- l’insulino-resistenza, si passeranno in rassegna anche gli studi che hanno preso in considerazione gli effetti degli acidi grassi ω-3 su questo specifico parametro.

Acidi grassi ω w-3 e diabete

La relazione tra acidi grassi ω-3 e diabete deve essere indagata tenendo conto di due aspetti fondamentali e cioè, da un lato, la possibilità che essi possano influenzare il rischio di insorgenza di diabete e, dal- l’altro, il loro possibile effetto sul controllo glicemico, quando essi vengono utilizzati nei pazienti diabetici.

Per quanto riguarda il primo punto, gli studi più importanti sull’argomento sono riportati nella tabella I: i primi due studi, condotti su piccole coorti seguite per 4 e 20 anni, mostrano che il maggior consumo di pesce si associa a una significativa riduzione del rischio di diabete e a una significativa riduzione della glicemia dopo carico (5, 6), invece i risultati dei due studi più recenti, condotti ambedue su casistiche molto ampie e che prendono in considerazione diret-

Fig. 1. Vie metaboliche degli acidi grassi ω-3

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tamente il diverso consumo di acidi grassi ω-3 a lunga catena (EPA e DHA), sono abbastanza contrastanti.

Infatti, in uno è stato riscontrato un effetto favorevo- le sul rischio di diabete del maggior consumo di acidi grassi ω-3 (7), nell’altro l’effetto è addirittura negati- vo con un rischio relativo (R/R) di 1,15 (8).

Pertanto, sulla base delle attuali conoscenze, possia- mo concludere che un maggior consumo di pesce si associa a una riduzione del rischio di comparsa del diabete; lo stesso, invece, non si può dire per quanto riguarda un maggior consumo di acidi grassi ω-3 a lunga catena. La differenza potrebbe essere dovuta o a problemi metodologici o al fatto che gli effetti pro- tettivi del pesce non siano legati solo al loro contenu- to in acidi grassi ω-3 ma anche ad altre variabili, quali proteine del pesce, stili di vita più salutari ecc.

In relazione al secondo punto, effetti degli acidi gras- si ω-3 sul controllo glicemico, gli studi sono stati numerosi e per la maggior parte sono stati effettuati utilizzando supplementazioni di acidi grassi ω-3.

Alcuni studi iniziali, effettuati con dosaggi piuttosto elevati di acidi grassi ω-3, avevano mostrato effetti negativi sul controllo glicemico (9). Studi più recenti, effettuati con dosi più basse, in genere < 3 g/die, hanno smentito i possibili effetti negativi sul controllo glicemico, sia a breve sia a lungo termine (10-12).

Sempre in relazione con queste problematiche, una metanalisi piuttosto recente di 18 studi controllati (olio di pesce vs placebo), effettuati in pazienti diabetici tipo 2 (oltre 800 pazienti nei 18 studi), ha mostrato che l’uso dell’olio di pesce si associa a un lieve aumento, non statisticamente significativo, sia della glicemia a digiuno sia dell’emoglobina glicosilata (tab. II) (13).

Anche nei pazienti diabetici tipo 1 non sembrano

TAB. I. Consumo di pesce o acidi grassi ω-3 a lunga catena e rischio di diabete

Studi Soggetti Follow-up Categoria R/R per diabete (n-sesso) (anni) (limiti di confidenza

al 95%) Feskens 175 F+M 4 Elevato consumo 0,47

1991 di pesce (0,23-0,93)

Feskens 338 M 20 Elevato consumo ↓ glicemia 2 h

1995 di pesce

Meyer 35988 F 11 5° quintile per 1,15

2001 apporto di ω -3 (1,00-1,33)

Salmeron 84204 F 14 5° quintile per 0,80

2001 apporto di ω-3 (0,67-0,95)

TAB. II. Effetti degli acidi grassi ω-3 a lunga catena sul controllo glicemico

in pazienti diabetici tipo 2 (metanalisi di 18 studi controllati)

Differenza media Intervalli di confidenza p

ponderata (95%)

Glicemia a

digiuno 0,26 mmol/L –0,08, 0,60 NS

HbA 1c 0,15% –0,08, 0,37 NS

(da voce bibliografica 13)

esserci effetti negativi sul controllo glicemico, almeno per dosaggi non elevati di olio di pesce (14).

Pertanto, sulla base delle attuali conoscenze, si può senz’altro concludere che dosi moderate di olio di pesce (< 3-4 g/die) non inducono effetti negativi sul controllo glicemico dei pazienti diabetici. D’altra parte, è importante sottolineare che l’uso dell’olio di pesce non si accompagna neanche ad alcun effetto positivo sul controllo glicemico come si sarebbe potu- to sperare sulla base di alcuni studi epidemiologici e sulla base dei possibili effetti benefici sull’insulino-resi- stenza, di cui si discuterà tra poco. Infine, anche gli acidi grassi ω-3 non di origine marina, quali l’acido α- linolenico, sembrano non avere alcuna influenza sul controllo glicemico dei pazienti diabetici tipo 2, né in senso positivo né in senso negativo (15).

Acidi grassi ω w-3 e dislipidemia

Sicuramente l’effetto metabolico più consistente degli acidi grassi ω-3 è quello sui trigliceridi plasma- tici. Si può senz’altro dire che in tutti gli studi effet- tuati sia con diete ricche in pesce sia con supple- mentazioni di olio di pesce, sia in individui normoli- pidemici sia in individui con differenti forme di iper- lipemie sia in pazienti diabetici normo- e ipertriglice- ridemici, si è avuta una riduzione significativa dei tri- gliceridi plasmatici, dell’ordine circa del 25-30% (10, 11, 15-18). L’effetto ipotrigliceridemizzante si ha anche con dosi piuttosto basse di acidi grassi ω-3 a lunga catena (< 2,5-3 g/die), pur se ovviamente i risultati migliori si hanno con dosaggi più elevati (15- 18). La riduzione dei trigliceridi si ha, come già detto, anche nei pazienti diabetici (10, 11, 14), nei quali potrebbe essere di particolare importanza data l’alta frequenza di alterazioni del metabolismo dei trigliceridi presente in questa patologia. Inoltre, un effetto significativo è stato riscontrato anche per

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quanto riguarda i trigliceridi e i chilomicroni durante la fase post-prandiale (19). Un minimo effetto ipotri- gliceridemizzante sarebbe associato anche all’uso di acidi grassi ω-3 di origine vegetale (15). La diminu- zione dei trigliceridi plasmatici è dovuta principal- mente a una riduzione delle lipoproteine a più bassa densità (VLDL) ed è legata quasi esclusivamente a una riduzione della sintesi epatica di queste lipopro- teine (20). Negli ultimi anni studi sia in vitro sia in animali hanno dimostrato che gli acidi grassi ω-3 sono dei ligandi naturali dei PPAR (Peroxisome Proliferator-Activated Receptors) e che, tramite que- sta via, essi influenzano l’espressione genica di enzi- mi importanti nella regolazione del metabolismo lipidico a livello epatico, con diminuzione di quelli deputati alla sintesi dei trigliceridi e aumento, inve- ce, di quelli deputati all’ossidazione dei grassi (3).

Per quanto riguarda gli effetti degli acidi grassi ω-3 sulle altre lipoproteine, i risultati riguardanti il cole- sterolo delle HDL sono abbastanza contrastanti e, perlopiù, essi dimostrano che l’aumento, quando c’è, è di piccola entità, circa il 3% (12, 13). Un aumento maggiore si avrebbe a carico delle HDL 2 (21), anche se gli studi in cui sono state valutate le subfrazioni delle HDL sono pochi. Infine, sembra che il DHA più dell’EPA avrebbe una maggiore capacità nell’indurre tale aumento (22). Abbastanza differen- ti sono gli effetti indotti dagli acidi grassi ω-3 sul colesterolo delle LDL; infatti la maggioranza degli studi mostra che l’uso dell’olio di pesce, anche in dosi moderate, determina un aumento delle LDL, che si aggira intorno all’8-10%. Tale aumento si ha nei pazienti con ipertrigliceridemia isolata, in quelli con iperlipemia combinata e anche nei pazienti dia- betici (11-14). Recentemente è stato altresì dimo- strato, in uno studio multicentrico, che un aumento della stessa entità del colesterolo LDL (~10%) si ha anche in individui perfettamente normali (23). Il meccanismo dell’aumento del colesterolo LDL, che, d’altra parte, si ha anche con altri farmaci ipotriglice- ridemizzanti, non è chiaro: le VLDL arricchite in acidi grassi ω-3 potrebbero avere una maggiore affinità per la lipasi lipoproteica ed essere convertiti più facil- mente in LDL o potrebbe esserci un’azione diretta degli acidi grassi ω-3 sull’attività dei recettori per le LDL (24).

Il consistente effetto ipotrigliceridemizzante degli acidi grassi ω-3 a lunga catena ha fatto ipotizzare che essi possono avere un effetto favorevole anche sulle dimensioni delle LDL, determinando un aumento delle subfrazioni delle LDL più grandi e una corri- spondente riduzione delle subfrazioni più piccole, considerate più aterogene. I dati a tal riguardo, anche

TAB. III. Effetti degli acidi grassi ω-3 a lunga catena sulle lipoproteine plasmatiche

VLDL a digiuno ↓↓

VLDL post-prandiali ↓

LDL ↑

HDL – ↑

Dimensioni LDL (↑ nei pz con iperlipidemia combinata)

se non molti, sembrano indicare una mancanza di effetti in pazienti diabetici con ipertrigliceridemia (25) e in soggetti normotrigliceridemici (26) e, inve- ce, un aumento delle LDL più grandi in pazienti con iperlipidemia combinata (27).

In conclusione, gli effetti degli acidi grassi ω-3 a lunga catena sui lipidi plasmatici possono essere così rias- sunti: riduzione consistente dei trigliceridi e delle VLDL sia a digiuno sia in fase post-prandiale, aumen- to di circa il 10% del colesterolo LDL, aumento di circa il 3% del colesterolo HDL, non sempre confer- mato, nessun effetto sulle dimensioni delle LDL, tran- ne che per i pazienti con iperlipidemia combinata, nei quali è stato riscontrato un aumento delle dimensio- ni (tab. III). Pertanto, gli acidi grassi ω-3 a lunga cate- na potrebbero essere indicati nel trattamento dei pazienti con ipertrigliceridemia isolata non responsivi al trattamento non farmacologico, facendo però, particolare attenzione a eventuali aumenti del cole- sterolo delle LDL.

Acidi grassi ω w-3 e pressione arteriosa

Gli acidi grassi ω-3, così come altri tipi di acidi grassi, potrebbero avere un ruolo importante nella regola- zione dei livelli di pressione arteriosa.

Una metanalisi di alcuni anni fa, che comprendeva 31 studi di intervento controllati, indicava che gli acidi grassi ω-3 a lunga catena inducevano, rispetto al pla- cebo, un lieve ma significativo decremento sia della pressione arteriosa sistolica sia di quella diastolica e che tale riduzione era dipendente dalla dose di acidi grassi ω-3 utilizzata (28). In particolare questa meta- nalisi mostrava che la riduzione della pressione arte- riosa era di 0,66 e 0,35 mmHg (rispettivamente per la sistolica e la diastolica) per ogni grammo di acidi grassi ω-3 utilizzato e che in media il decremento era di 3,0 mmHg per la sistolica e di 1,5 mmHg per la dia- stolica. Inoltre, il decremento della pressione era pre-

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sente solo negli studi in cui erano stati arruolati pazienti ipertesi o con malattie cardiovascolari, men- tre non era riscontrato alcun effetto ipotensivante negli individui normotesi. I risultati di questa metana- lisi sono stati confermati anche da lavori successivi (29) e, in aggiunta, uno studio abbastanza recente dimostrerebbe una certa differenza tra gli effetti ipo- tensivanti indotti dai diversi acidi grassi ω-3 con un maggiore effetto per l’acido deicosaesaenoico rispet- to all’acido eicosapentaenoico (30).

In conclusione, si può dire che la supplementazione con acidi grassi ω-3 ha un effetto ipotensivante signi- ficativo in pazienti ipertesi, ma che, comunque, tale effetto è abbastanza blando da un punto di vista cli- nico.

Acidi grassi ω w-3 e insulino-resistenza

L’interesse per la possibile influenza degli acidi grassi ω-3 sull’insulino-resistenza è nata da alcuni studi effettuati nei ratti, in cui si mostrava chiaramente come una dieta arricchita in acidi grassi ω-3, sia a corta sia a lunga catena, fosse capace di annullare completamente gli effetti negativi indotti sull’insuli- no-resistenza da diete ricche in grassi saturi (31, 32).

Inoltre, sempre negli studi su animali, è stata riscon- trata una correlazione altamente significativa e positi- va tra quantità di acidi grassi ω-3 a lunga catena, pre- sente nei fosfolipidi delle membrane cellulari dei muscoli scheletrici di questi animali, e la loro sensibi- lità insulinica. Sulla base di questi dati è stata formu- lata l’ipotesi che gli acidi grassi ω-3 possano influen- zare positivamente l’azione dell’insulina a livello muscolare e che tale influenza si esplichi attraverso l’incorporazione di questi acidi grassi nella membra- na cellulare delle cellule muscolari con conseguente modifica di alcune funzioni, come fluidità di mem- brana, risposta recettoriale o post-recettoriale.

Naturalmente questa sequenza di eventi potrebbe avvenire anche nell’uomo e da qui è nato l’interesse per lo studio degli effetti degli acidi grassi ω-3 sull’in- sulino-resistenza anche nell’uomo.

Sulla base di alcuni studi epidemiologici l’associazio- ne tra quantità di acidi grassi ω-3 presente in diversi tessuti corporei (muscolo, adipe, siero) e sensibilità insulinica non è affatto consistente in quanto alcuni studi mostrano una relazione positiva, altri, addirittu- ra, una relazione inversamente significativa (33, 34).

Per quanto riguarda gli studi d’intervento, quasi tutti sono stati effettuati in pazienti diabetici e nella tabel- la IV sono riportate le caratteristiche e i risultati di quelli condotti in maniera controllata (10, 11, 15, 35- 37). Tutti gli studi, anche se effettuati su piccoli grup- pi di pazienti, mostrano chiaramente come la sensibi-

TAB. IV. Effetti degli acidi grassi ω-3 a lunga catena sulla sensibilità insulinica

in pazienti con diabete mellito tipo 2 (studi controllati)

Soggetti Dose Disegno Durata Sensibilità (n.) (g/die) dello studio (settimane) insulinica

Borkman 10 3 Crossover 3 Nessuna

1989 variazione

Annuzzi 8 3 Crossover 2 Nessuna

1991 variazione

Boberg 14 3 Crossover 8 Nessuna

1992 variazione

McManus 11 3 Crossover 12 Nessuna

1996 variazione

Rivellese 8 2,7 Gruppi paralleli 26 Nessuna

1996 variazione

Lou 12 6 Crossover 8 Nessuna

1998 variazione

lità insulinica non sia per niente influenzata dall’uso degli acidi grassi ω-3 a lunga catena; questo è vero anche per gli studi con una durata più lunga, 12 e 26 settimane, tempo sicuramente sufficiente a permet- tere una reale modifica nella composizione delle membrane cellulari muscolari. Recentemente, la mancanza di effetti degli acidi grassi ω-3 a lunga cate- na sui livelli di insulino-sensibilità è stata confermata anche in uno studio eseguito in una larga casistica di individui sani (n. = 162). In questo studio, inoltre, si è evidenziato che gli acidi grassi ω-3 non hanno effetti sulla sensibilità insulinica né in aggiunta a una dieta ricca in acidi grassi saturi né a una ricca in acidi grassi monoinsaturi (23, 26). Pertanto, si può senz’altro concludere che gli acidi grassi ω-3 a lunga catena non hanno la capacità di influenzare la sensibilità insulinica né in pazienti con elevata insulino-resi- stenza (per esempio diabetici) né negli individui normali. Questa conclusione è valida, naturalmen- te, per dosi moderate di tali acidi grassi (~3 g/die), che, d’altra parte, sono le uniche che si possono adoperare, considerando i possibili effetti negativi di dosi più elevate. Al momento, invece, non sono disponibili dati riguardanti gli effetti degli acidi gras- si ω-3 a corta catena sulla sensibilità insulinica nel- l’uomo.

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Acidi grassi ω w-3 e malattie cardiovascolari

Una relazione negativa tra consumo di pesce e inci- denza di mortalità e morbilità per malattie cardiova- scolari è stata riscontrata nella maggioranza degli studi, sia trasversali sia prospettici, che hanno valuta- to questo specifico aspetto (38-40). Da tali studi sem- bra anche emergere l’indicazione che l’effetto protet- tivo si avrebbe per un consumo moderato di pesce (2-3 porzioni per settimana).Gli studi di intervento più importanti sull’argomento sono a tutt’oggi 3 e tutti e 3 sono stati effettuati in pazienti con pregresso infarto del miocardio (41-43). Nei 3 studi, il DART effettuato con aumento del consumo di pesce o con supplementazione di olio di pesce, il GISSI con sup- plementazione di olio di pesce, il Lyon Heart Study con un intervento dietetico multifattoriale che com- prendeva un aumentato apporto di acidi grassi ω-3 a corta catena (acido α-linolenico), si è avuta una signi- ficativa riduzione della mortalità cardiovascolare, da ascriversi principalmente a una riduzione consistente della morte improvvisa. Tali effetti si sono avuti in assenza di variazioni nei lipidi plasmatici e, quindi, sembrano essere in relazione con altri effetti non metabolici degli acidi grassi ω-3, quali effetti anti- trombotici e antiaritmici (44, 45).

Conclusioni

Gli acidi grassi ω-3 sono degli importanti costituenti dell’alimentazione umana, tanto è vero che quelli a corta catena costituiscono degli acidi grassi essenzia- li. Essi hanno numerose funzioni, che cambiano anche in relazione alla quantità assunta. Per quanto riguarda gli effetti metabolici, il più importante e con- sistente è senz’altro quello ipotrigliceridemizzante, che si associa, però, a un lieve aumento del colestero- lo delle LDL. Indipendentemente dagli effetti meta- bolici, gli acidi grassi ω-3 sembrano, però, ridurre la mortalità cardiovascolare e tali effetti si hanno per dosi relativamente basse di acidi grassi ω-3 che pos- sono essere abbastanza facilmente raggiunte anche con una alimentazione ricca in pesce (almeno 2-3 porzioni alla settimana), verdure e oli vegetali.

Pertanto, anche se forse è ancora prematuro consi- gliare la terapia con supplementi di olio di pesce in pazienti con pregresso infarto, è senz’altro indicato raccomandare, sia in prevenzione primaria che secondaria, un aumento del consumo di pesce (alme- no 3 volte alla settimana) e un aumento del consumo di acido α-linolenico, contenuto in alcuni oli e anche in alcune verdure.

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Corrispondenza a: Dott.ssa Angela A. Rivellese, Dipartimento

di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Via S. Pansini 5, 80131 Napoli

e-mail: rivelles@unina.it

Pervenuto in Redazione il 23/12/2001 - Accettato per la pub- blicazione il 16/7/2002

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