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La biomassa rappresenta la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare

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2 L’IDENTIFICAZIONE DI TECNOLOGIE E PROCESSI MARGINALINELSETTOREDELLEBIOMASSE

2.1 Aspetti generali della biomassa ligneocellulosica in Italia

Il termine biomassa14 riunisce una gran quantità di materiali di natura estremamente eterogenea. E’ biomassa tutto ciò che ha matrice organica. Sono da escludere le plastiche e i materiali fossili che, pur rientrando nella chimica del carbonio, non hanno nulla a che vedere con la caratterizzazione che qui interessa dei materiali organici. La biomassa rappresenta la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare. Mediante il processo di fotosintesi, infatti, i vegetali sono in grado di convertire l’energia radiante in energia chimica e stoccarla sotto forma di molecole complesse, a elevato contenuto energetico. Per tale motivo la biomassa è considerata una risorsa rinnovabile e inesauribile, se opportunamente utilizzata, ovvero se il ritmo di impiego della stessa non supera la capacità di rigenerazione delle formazioni vegetali. Al contempo la biomassa è anche una fonte energetica considerata neutrale ai fini dell’incremento delle emissioni di gas a effetto serra: durante il processo di crescita i vegetali, mediante la fotosintesi, contribuiscono alla sottrazione dell’anidride carbonica atmosferica e alla fissazione del carbonio nei tessuti. A seguito della combustione della biomassa si generano emissioni di anidride carbonica, tuttavia la quantità emessa è pari a quella assorbita dalla pianta e rientra pertanto nel ciclo naturale. La definizione di biomassa data dalla direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e recepita a livello nazionale dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, riunisce un’ampia categoria di materiali di origine vegetale e animale, compresa la parte biodegradabile dei rifiuti. Per semplicità le biomasse idonee alla trasformazione energetica, sia che essa avvenga utilizzando direttamente la biomassa o previa trasformazione della stessa in un combustibile solido, liquido o gassoso, possono essere suddivise per comparto di provenienza nei seguenti settori:

comparto forestale e agroforestale: residui delle operazioni

14 DEFINIZIONE DI BIOMASSA SECONDO IL DECRETO LEGISLATIVO 29 DICEMBRE 2003, N. 387 Biomassa: “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali ed animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani”.

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selvicolturali o delle attività agroforestali, utilizzazione di boschi cedui, etc.;

comparto agricolo: residui colturali provenienti dall’attività agricola e dalle colture dedicate di specie ligneocellulosiche, piante oleaginose, per l’estrazione di oli e la loro trasformazione in biodiesel, piante alcoligene per la produzione di bioetanolo;

comparto zootecnico: reflui zootecnici per la produzione di biogas;

comparto industriale: residui provenienti dalle industrie del legno o dei prodotti in legno e dell’industria della carta, nonché residui dell’industria agroalimentare;

rifiuti urbani: residui delle operazioni di manutenzione del verde pubblico e frazione umida di rifiuti solidi urbani.

I primi due comparti sono oggetto della trattazione di questo elaborato.

Si comprende quindi che nel termine biomassa sono raggruppati materiali che possono essere anche molto diversi tra loro per caratteristiche chimiche e fisiche.

Di conseguenza anche le loro utilizzazioni, a fini energetici, possono essere molteplici. In linea generale, i processi di trasformazione possono essere raggruppati in due diverse categorie: i processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia attraverso reazioni chimiche dovute alla presenza di enzimi, funghi e altri micro-organismi che si formano nella biomassa mantenuta in particolari condizioni; i processi di conversione termochimica hanno come fondamento l’azione del calore che permette lo sviluppo delle reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia. I fattori discriminanti che indirizzano la scelta verso uno dei due processi sono il rapporto carbonio/azoto (C/N) e il tenore di umidità alla raccolta: quando il rapporto C/N è inferiore a 30 e il contenuto di umidità supera valori del 30 % si utilizzano generalmente processi biochimici, in caso contrario sono più idonei processi termochimici. Quest’ultimo è il caso in analisi.

Assicurare, nel tempo, la sicurezza, la qualità e il costo delle biomasse per alimentare l’impianto di produzione di energia è un obiettivo prioritario di ogni nuovo progetto in materia di rinnovabili. Un’attenta valutazione del mercato, delle disponibilità territoriali e dell'organizzazione della filiera di

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approvvigionamento è preliminare alla “cantierabilità” del progetto stesso.

“La valutazione delle biomasse potenziali del territorio di riferimento dell'impianto, il modello organizzativo e logistico per la produzione e/o raccolta, trasporto, stoccaggio, lavorazione del biocombustibile e infine la contrattualistica delle forniture sono elementi “cruciali” per assicurare la sostenibilità economica sociale ed ambientale, nel tempo, dell'iniziativa.”15 La situazione attuale delle biomasse in Italia manifesta un potenziale misconosciuto, disperso sul territorio per il quale è essenziale prima di tutto conoscere per poi programmare, pianificare, valutare. Per far ciò i ricercatori hanno elaborato ex novo diversi approcci, metodi di stima e strumenti di supporto all’identificazione della quantità di biomassa disponibile.

Le problematiche nel reperimento delle informazioni sulla biomassa in Italia sono rappresentate dalla loro ampia diffusione, dalla dispersione e dalla pluralità delle opzioni energetiche che offrono. Per quanto riguarda il loro impiego, esso è vincolato dalla proprietà dei terreni che risulta frammentata, dal fatto che la loro produzione è stagionale ed eterogenea, dai grandi volumi per un limitato valore energetico e infine da una onerosa reperibilità. Tutto ciò è ostacolato dalla quasi totale assenza di statistiche attendibili e ufficiali, quando invece è necessario conoscere l'insieme di queste caratteristiche per poterne valutare l'effettiva potenzialità d'uso. Riuscire a quantificare il “potenziale” di un territorio serve a valutare le opzioni di politica energetica, e valutare progetti, a pianificare azioni e definire politiche mirate e valutarne i costi.

Elemento cruciale della pianificazione energetica e l’obiettivo della stima è conoscere: “Quante x Dove x Tipo” e “Quando e a quale Costo” possono essere reperite le biomasse di diversa estrazione. A partire dal “Potenziale fisico”

(teorico), si procede all’individuazione del “Potenziale disponibile” (al territorio), da cui si ricava il “Potenziale accessibile”, raccoglibile, utilizzabile e da un’ultima classificazione si giunge al quantitativo del “Potenziale netto reale”.

15"Colonna N., 2013, I sottoprodotti legnosi ed erbacei del settore agricolo italiano, pag. 2.!

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Il “Potenziale reale” è quella quantità di biomassa che un territorio rende disponibile e/o che può produrre e che nelle condizioni sociali, economiche e tecnologiche attuali è possibile e conveniente produrre e/o raccogliere, concentrare, conservare e trasformare in energia. L'insieme dei fattori territoriali geografici, socioeconomici, agroforestali, ambientali, tecnici, in relazione con quelli di natura legislativa, regolativa ed economica, nazionali e internazionali, determinano l'ampiezza della differenza tra il potenziale lordo e quello netto.

Tale differenza può ampliarsi/ridursi nel tempo in virtù di fattori locali e/o nazionali. Gli operatori locali possono, attraverso innovazioni tecniche, organizzative, logistiche e contrattuali, aumentare la percentuale del potenziale netto.

In conclusione si può affermare che l’approvvigionamento è un elemento che deve essere attentamente valutato per ogni iniziativa nel campo delle biomasse, è centrale per la competitività economica di un’iniziativa ma anche per la sua sostenibilità energetica e ambientale. E’ necessario valutare in modo integrato gli aspetti quantitativi, qualitativi, spaziali, temporali e normativi dell’intero settore delle biomasse e infine integrarne le produzioni, gli attori (agricoltori, forestali, proprietari etc..), per cogliere le opportunità che il territorio può esprimere costruendo relazioni, mettere insieme tecnologie, processi, coordinare azioni e chiudere i cicli produttivi sul territorio.

ten Po le bio zia

sa de mas cresc te en

L’insieme delle biomasse residuali agricole prodotte/presenti in un

determinato territorio

Al netto dei riusi domestici (legna da ardere), aziendali (lettiera, alimentazione animali, sovescio, triturazione),

mercato locale

Al netto dei fattori che ne ostacolano l’effettiva raccolta ed impiego: dispersione,

frammentazione aziende, acclività, disponibilità mezzi, costi logistica Lordo/Teorico 1

Disponibile 2

Netto/Tecnico/Economico 3

Elementi necessari al calcolo del potenziale

1. Dati statistici colture e indici di sottoprodotto/prodotto 2. Dati (%) e informazioni circa i riusi locali ed il mercato 3. Dati socioeconomici e geografici (GIS), soglie economiche

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L’insieme delle biomasse residuali agricole prodotte/presenti in un

determinato territorio

Al netto dei riusi domestici (legna da ardere), aziendali (lettiera, alimentazione animali, sovescio, triturazione),

mercato locale

Al netto dei fattori che ne ostacolano l’effettiva raccolta ed impiego: dispersione,

frammentazione aziende, acclività, disponibilità mezzi, costi logistica Lordo/Teorico 1

Disponibile 2

Netto/Tecnico/Economico 3

Elementi necessari al calcolo del potenziale

1. Dati statistici colture e indici di sottoprodotto/prodotto 2. Dati (%) e informazioni circa i riusi locali ed il mercato 3. Dati socioeconomici e geografici (GIS), soglie economiche

Figura 2 Colonna N., 2013, I sottoprodotti legnosi ed erbacei del settore agricolo italiano, pag. 7.

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2.1.1 I costi di produzione dei combustibili da biomassa

Il costo di acquisizione della biomassa di origine forestale è determinato dalle seguenti componenti: il costo di approvvigionamento in bosco del materiale legnoso (comprensivo delle fasi di cantiere quali il taglio, l’allestimento e il carico), il condizionamento16, il trasporto e lo stoccaggio del combustibile. La disamina dei costi relativi al trasporto e allo stoccaggio della biomassa, risulta più articolata per il numero delle variabili in gioco (distanza percorsa, tipo di automezzo, costo orario operaio, tipo di biocombustibile, etc.), di seguito sono riportati, a titolo di esempio, i costi medi relativi alle fasi di approvvigionamento e di condizionamento del combustibile. Tali costi hanno valore puramente indicativo in quanto essi sono fortemente soggetti alle condizioni del mercato energetico. Inoltre, questi dati, presentano un’elevata variabilità interna (la deviazione standard17 varia tra valori da 4 a oltre 10 €/t), imputabile alle diverse condizioni in cui si svolgono le operazioni di cantiere forestale. Per quanto attiene alla fase di cantiere, sono state trattate distintamente le filiere produttive relativamente alle diverse fonti di approvvigionamento in quanto, anche in questo caso, i costi possono variare sensibilmente.

16 La biomassa erbacea o legnosa raccolta nel momento più idoneo per ottenere un prodotto con caratteristiche adatte allo specifico processo di conversione energetica o biochimica, deve presentare, al momento dell’utilizzo, un basso tenore in acqua. Questa fase di preparazione della biomassa si definisce condizionamento.

17 La deviazione standard è un indice statistico che consente di misurare la dispersione delle singole osservazioni intorno alla media aritmetica

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Tabella 1 - Costi indicativi delle operazioni di cantiere forestale18

FILIERA PRODUTTIVA

Abbattimento e

allestimento Esbosco Totale

€/t €/t €/t

Ceduo - taglio raso 14-20 11-15 25-35

Interventi in fustaia 30-42 17-19 47-61

Diradamento fustaia 17-23 17-19 34-42

Filari agricoli 12-14 16-18 28-32

Fonte: L’Energia dalle biomasse, le tecnologie, i vantaggi per i processi produttivi, i valori economici e ambientali, 2006.

La produzione di biomassa combustibile a partire dai residui agricoli è un’operazione semplice e relativamente economica sia perché le macchine impiegate in fase di raccolta e condizionamento sono già normalmente in uso nella maggior parte delle aziende agricole sia perché non vi sono criticità particolari che possano incidere sul costo complessivo. A questa filiera non vengono infatti imputati i costi di produzione del prodotto principale il quale ha un mercato diverso e in assenza del quale non si svilupperebbe la filiera energetica dei sottoprodotti. Vengono di seguito riportati alcuni costi indicativi della fase di raccolta e condizionamento del materiale secondo modalità diverse.

Sono escluse le operazioni di trasporto relative al conferimento del materiale presso il sito dove saranno impiegate

18Le forme di governo del bosco sono due: governo a ceduo e governo ad alto fusto (fustaia). La differenza sostanziale fra ceduo e fustaia è il tipo di riproduzione che si utilizza per la formazione delle nuove piante. Nella fustaia si utilizza la rinnovazione gamica da seme (favorisce una ricombinazione genetica), nel ceduo si sfrutta la riproduzione agamica (individui con lo stesso patrimonio genetico). Il governo a ceduo è possibile solo per un bosco di latifoglie, perché a differenza delle conifere, hanno la possibilità di generare, grazie a gemme dormienti, dei nuovi fusti al momento della recisione del fusto della pianta “madre” dalla ceppaia. I nuovi fusti che si rigenerano da questa ceppaia per rinnovazione agamica hanno lo stesso patrimonio genetico della pianta dalla quale si sono generati.

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Tabella 2 - Costi indicativi della raccolta e condizionamento dei residui agricoli

FILIERA PRODUTTIVA Raccolta e condizionamento

€/t

Trinciatura e stoppie 4-5

Imballatura e carico di rotoballe 10-13,5

Imballatura e carico di balle parallelepipede grandi 4-5

Cippatura19 (residui di potatura) 6-11

Fonte: L’Energia dalle biomasse, le tecnologie, i vantaggi per i processi produttivi, i valori economici e ambientali, 2006.

I costi di produzione delle colture energetiche dedicate sono fortemente eterogenei e dipendono in gran parte dalla coltura (erbacea o arborea), dalla durata dell’impianto (annuale o pluriennale) e dal fabbisogno di input colturali della singola specie. In generale, le colture annuali sono caratterizzate da elevati costi di produzione. Essendo infatti la biomassa energetica il prodotto principale di queste colture, il costo di produzione è comprensivo di tutte le operazioni agronomiche (lavorazioni, fertilizzazioni, irrigazioni, etc.) necessarie allo sviluppo e alla crescita delle piante. Le colture poliennali, rispetto a quelle a ciclo annuale, sono caratterizzate da costi unitari inferiori. A fronte infatti di maggiori spese di impianto, imputabili al maggiore costo del materiale di propagazione (ad esempio, è elevato quello dei rizomi di canna comune e delle

19Il cippato è composto da scaglie legnose ottenute dalla lavorazione del materiale legnoso con macchine chiamate cippatrici.

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talee di pioppo in Short Rotation Forestry20) e alle più onerose operazioni di impianto, i bassi costi di gestione e la produttività sostanzialmente costante nel tempo riducono fortemente la spesa per unità di biomassa prodotta. Nella Tabella 3 sono esposti i costi di produzione di alcune colture poliennali con ciclo decennale.

Nonostante i maggiori costi della biomassa prodotta le colture dedicate presentano dei vantaggi non trascurabili sia in termini economici, in quanto forniranno all’agricoltore nuove opportunità di reddito in assenza delle sovvenzioni tradizionali alle colture alimentari, sia in termini ambientali, in quanto la diversificazione colturale migliora il paesaggio e la biodiversità delle campagne e, rispetto a colture più esigenti, si ha una riduzione degli impatti ambientali dell’agricoltura.

Tabella 3 - Costo di produzione di alcune colture poliennali (€/ha per anno) considerando un ciclo decennale.

Canna comune Miscanto SRF Pioppo

Costi mezzi tecnici (€/ha per anno) 383 126 186

Costi mezzi meccanici (€/ha per anno 690 519 530

Costo totale (€/ha per anno) 1.073 645 716

Resa (t/ha) 30,9 22,6 17,2

Costo a tonnellata (€/t di s.s.21) 34,6 28,8 41,6

Fonte: L’Energia dalle biomasse, le tecnologie, i vantaggi per i processi produttivi, i valori economici e ambientali, 2006.

20 L’espressione SRF descrive sistemi forestali per la produzione di biomassa per fini energetici o industriali, utilizzando specie arboree forestali a rapida crescita, coltivate a distanza più densa e con una gestione più intensiva rispetto ai tradizionali sistemi selvicolturali. Tipicamente, il taglio avviene dopo 2-25 anni dalla piantagione, a seconda del prodotto finale desiderato e di numerosi altri fattori. In particolare, i cedui a ciclo breve si riferiscono a forme particolari di SRF, in cui le piante di specie a rapida crescita, come salici , robinia e pioppo, in grado di rigenerarsi dal ceppo dopo il taglio, sono ceduate a intervalli che vanno da 2 a 6 anni. I cedui SRF sono considerati strumenti chiave per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Direttiva UE sulle energie rinnovabili.

Una potenziale implementazione su larga scala di cedui SRF avrà indubbiamente conseguenze,

positive e negative, su una serie di caratteri ambientali.

(http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/impacts-of-short-rotation-forestry- plantations-on-environment-and-landscape-in-mediterranean-basin)`.

21 Sostanza secca.

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La continua crescita del prezzo del petrolio e di conseguenza del prezzo dei prodotti derivati dal petrolio o dei combustibili il cui prezzo, a livello nazionale, è fissato in base al prezzo del petrolio (ad esempio il gas metano) sta rapidamente spostando la convenienza economica verso l’utilizzo a fini energetici delle biomasse in sostituzione dei combustibili fossili. A dimostrazione di ciò è sufficiente procedere con un confronto tra i prezzi di mercato, per unità energetica prodotta (kWh), dei principali combustibili dal quale emerge che il costo dell’energia da biomassa è, in tutti i casi, nettamente inferiore a quello delle fonti fossili. A titolo di esempio sono riportati in Tabella 4 i prezzi di mercato di alcuni combustibili da biomassa, quelli per i quali già attualmente esiste un mercato, e alcuni combustibili di origine fossile. I dati, aggiornati ad ottobre 2005, sono ovviamente indicativi della situazione contingente. È presumibile che in futuro il costo dei prodotti di origine petrolifera possa ulteriormente salire, anche rispetto al dato odierno. Per alcuni combustibili derivati dalle biomasse, come anticipato, non esiste ancora un sistema di mercato in grado di esprimere un prezzo di riferimento significativo.

È il caso ad esempio dei residui agricoli, delle biomasse dedicate e di alcuni prodotti da essi derivati (cippato e pellet da erbacee). In altri casi, come ad esempio in quello del biodiesel, è possibile prendere come riferimento il prezzo del carburante su mercati esteri dove già attualmente viene venduto sebbene non siano possibili immediati confronti con il prezzo delle fonti energetiche nazionali a causa principalmente della diversa struttura del sistema delle imposte. Sul mercato tedesco, il biodiesel in miscela con il gasolio è venduto, alla pompa, a un prezzo di 0,740 €/l (prezzo aggiornato ad ottobre 2005).

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Tabella 4 - Prezzi medi di mercato per unità energetica resa dei principali combustibili

u.d.m. p.c.i.22

Prezzo medio di

mercato

Prezzo medio unitario kWh/udm €/udm €/kWh Carburanti

Benzina l 8,9 1,34 0,15

Gasolio per autotrazione l 9,9 1,22 0,12

GPL per autotrazione l 7,2 0,60 0,08

Combustibili per uso riscaldamento

Gasolio per riscaldamento l 9,9 1,14 0,11

GPL per riscaldamento (sfuso) l 7,2 0,97 0,13

Metano Nm3 9,6 0,3-0,6 0,03-0,06

Combustibili per uso industriale

Olio combustibile fluido BTZ I%S kg 11,4 0,70 0,06

Olio combustibile denso BTZ kg 11,2 0,37 0,03

Combustibili da biomasse kg

Legna secca da ardere all’imposto kg 4,3 0,04-0,06 0,01-0,014 Legna secca da ardere franco acquirente kg 4,3 0,09-0,13 0,02-0,03

Cippato di legna (U 12-15%) kg 4,3 0,04-0,05 0,01-0,012

Cippato da erbacee (U 25 %) kg 3,5 0,03-0,04 0,009-0,01

Pellet kg 4,6 0,20-0,25 0,043-0,055

Fonte: L’Energia dalle biomasse, le tecnologie, i vantaggi per i processi produttivi, i valori economici e ambientali, 2006.

2.1.2 Valutazione economica degli impianti energetici alimentati a biomassa Le valutazioni di natura economica in merito all’impiego a fini energetici della biomassa possono essere effettuate stimando, a partire dal costo di investimento iniziale necessario a dotarsi dell’impianto e dai successivi costi annui di gestione e di alimentazione al netto dei risparmi conseguibili dalla sostituzione dei combustibili tradizionali, i principali risultati economici e finanziari per la valutazione degli investimenti. Gli indici normalmente utilizzati sono il Valore Attuale Netto (VAN), il tempo di ritorno dell’investimento (o payback) e il tasso

22 Potere calorifico inferiore.

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interno di rendimento. Il Valore Attuale Netto (VAN) è uno strumento finanziario utilizzato per dare indicazioni sulla “bontà” di un investimento, ovvero sulla sua redditività. Il procedimento di calcolo del VAN tiene conto del costo del denaro (il tasso di interesse medio di mercato) e della durata dell’investimento e rappresenta, sinteticamente, il valore che hanno al momento attuale i flussi di cassa negativi (costi) e positivi (ricavi o risparmi) che si generano nel corso degli anni. Il Tempo di Ritorno dell’Investimento (TRI) stima il numero degli anni necessari a far sì che i flussi di cassa netti generati dall’investimento (ovvero la differenza tra ricavi e costi annuali), coprano la somma investita. Il Tasso Interno di Rendimento (TIR) è un altro criterio utilizzato per valutare la redditività di un investimento. Il TIR rappresenta il tasso che rende l’operazione equa, ovvero è il tasso al quale il valore attuale dei ricavi futuri equivale al valore attuale dei costi futuri. Per dare un giudizio sulla redditività dell’investimento è necessario confrontare il TIR con tassi di rendimento di investimenti alternativi, di uguale durata e livello di rischio.

Per quanto riguarda gli incentivi alla produzione di biomasse energetiche da colture dedicate, un importante strumento di sostegno è rappresentato dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC), recepita ai vari livelli legislativi dai territori italiani, tra cui il principale strumento di incentivazione è la coltivazione su terreni ritirati dalla produzione dei seminativi.

2.2 I sottoprodotti legnosi ed erbacei del settore agricolo italiano

Le biomasse residuali risultano ampiamente diffuse sul territorio e la valutazione del potenziale di quelle eleggibili per impieghi destinati al soddisfacimento della domanda di energia richiede preliminarmente una chiara definizione delle assunzioni necessarie per l’identificazione delle metodologie idonee per produrre e rilasciare un set di dati rilevante, coerente ed aggiornato. In anni recenti sono stati realizzati molteplici studi e valutazioni del potenziale di biomasse a livello nazionale, regionale e locale, studi spesso eterogenei per metodi, obiettivi e tipologie di biomasse analizzate. La valutazione del potenziale di biomassa prodotta dal settore agricolo è un esercizio di calcolo semplice ma lungo e laborioso per la difficoltà di fissare in modo univoco gli

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assunti del calcolo e raccogliere e organizzare una gran mole di dati e parametri necessari al calcolo stesso.

“I parametri in gioco, i quali determinano l’effettiva quantità di residui prodotti da una coltura agraria, sono diversi in virtù della coltura, della varietà coltivata, delle tecniche di coltivazione e raccolta, delle condizioni pedoclimatiche e presentano anche un’elevata disomogeneità spaziale. Ampia è anche la variabilità, territoriale e temporale, connessa al reimpiego delle stesse e all’effettiva possibilità di raccogliere, condizionare, trasportare e utilizzare tali biomasse per altri impieghi, usi aziendali o agro-industriali.”23

Tale variabilità spiega i motivi per cui i risultati ottenuti da diversi autori, anche in anni recenti, non sono immediatamente comparabili. Ipotesi e assunti di calcolo differenziati e la mancanza di procedure condivise e trasparenti per la definizione di dati e parametri di ingresso, dei metodi di stima e delle modalità di restituzione dei risultati continuano a fornire un quadro non univoco della disponibilità di sottoprodotti dal settore agricolo.

Le biomasse per loro natura sono eterogenee per tipologia, qualità e disponibilità e possono essere impiegate per produrre energia termica, elettrica o anche meccanica ma trovano molti altri impieghi sia in agricoltura che al di fuori di essa. Per quanto diffuse e abbondanti, al momento, le biomasse sono comunque una risorsa non illimitata ed è prioritario impiegarle in modo efficiente e razionale e dimensionare opportunamente gli impianti in relazione all’offerta territoriale e alla domanda di energia. L'approvvigionamento delle biomasse sia inteso come quantità che qualità è un elemento cruciale della sostenibilità complessiva di qualsiasi filiera energetica. Al fine di aumentare lo stock di biomasse impiegabili per la produzione di energia è necessario operare per innovare e migliorare le operazioni di raccolta, concentrazione e trasformazione delle grandi quantità di residui prodotti dalle filiere agricole, forestali e agroalimentari. Molti autori sostengono che sia più razionale e sostenibile valorizzare primariamente le biomasse residuali piuttosto che ricorrere alle colture dedicate, così non si va in competizione con le colture food e non si

23"Colonna!N.,!2013,!I!sottoprodotti!legnosi!ed!erbacei!del!settore!agricolo!italiano,!pag.!

2.!

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rischia un’impennata dei prezzi delle derrate agricole, come successo nel 2007- 2008, con gravi ripercussioni su paesi e fasce più deboli.

Per quanto il principio sia condivisibile le biomasse residuali hanno degli evidenti limiti di tipo tecnico e non solo al loro impiego, che risultano di non immediata soluzione. Un primo problema è conoscerne in modo dettagliato la tipologia, la qualità, la quantità e l’effettiva disponibilità ai diversi impieghi possibili e desiderati, in altri termini il potenziale complessivo. La valutazione del potenziale di biomasse è una priorità di qualsiasi opzione di sviluppo ovvero, che la stima sia ripetuta nel tempo per assicurare la capacità di conoscere e programmare lo sviluppo delle biomasse è essenziale come punto di partenza per poi prendere decisioni sugli impianti da alimentare. Qualsiasi politica attiva non può che basarsi su una conoscenza approfondita del sistema delle biomasse e non solo di quante esse siano ma anche di che tipo, quando sono disponibili e soprattutto dove esse sono localizzate, perché è l’insieme di queste caratteristiche che ne determina il “costo” e influenza la fattibilità tecnica ed economica del loro impiego. Molte stime sono state realizzate in Italia a partire dagli anni ‘90 con ampiezze, dettagli e risultati diversi ma utili a definire almeno le principali grandezze in gioco. Il fiorire recente di studi e analisi è un indicatore dell'interesse che il settore delle biomasse genera ma ancora rimangono molti elementi e dati che è necessario approfondire.

2.2.1 Processi considerati e metodologia di stima

Nel presente lavoro si è proceduto, utilizzando alcuni dati e parametri, a valutare le tipologie di biomasse potenzialmente impiegabili anche per la produzione di energia: le biomasse ligneocellulosiche. Lo scopo è quello di raccogliere dati di massa e di disponibilità identificando i limiti al loro impiego e le possibili destinazioni e i costi di approvvigionamento per gli impianti che utilizzeranno la biomassa. “In generale per tutte le categorie analizzate la metodologia di calcolo delle quantità di residui impiega il rapporto sottoprodotto/prodotto (SP/P). Si tratta di un indice altamente variabile in funzione di vari fattori tra cui la tipologia di coltura, la varietà coltivata, le condizioni pedoclimatiche

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come pure le pratiche colturali e le modalità di raccolta che possono impattare sul livello dei residui prodotti e rimossi, fattori che possono variare significativamente tra le diverse regioni agricole. Per ovviare (ovvero per lavorare statisticamente questa, e con questa, variabilità) sono stati impiegati valori medi basati su informazioni statistiche o su dati di letteratura agronomica.”24 Nel caso delle potature di piante arboree e per alcune tipologie colturali sono ben note le relazioni lineari tra prodotto primario e legna di scarto e sono disponibili indici regionalizzati che tengono conto anche della diversa diffusione delle diverse forme di coltura. Altro elemento rilevante è determinare il valore medio di umidità del sottoprodotto tal quale, per poter eventualmente calcolare la sostanza secca e rendere omogenei i valori di prodotti a contenuto di umidità molto variabile e valutare quali siano idonei alla combustione e quali per altri impieghi, ad esempio per la digestione anaerobica. Il risultato delle elaborazioni, una volta raccolti e organizzati i dati statistici e definiti i parametri SP/P, si giunge al potenziale teorico o fisico, cioè la massa complessiva di sottoprodotti che è stata prodotta in campo in relazione ai risultati produttivi di quell’annata agraria. Non tutti i sottoprodotti però sono realmente disponibili per essere raccolti e utilizzati per impieghi extra-aziendali quali l’uso energetico.

Difatti una frazione pur significativa trova impieghi all’interno dell’azienda medesima come ad esempio la lettiera o l’alimentazione degli animali o, in alternativa, l’azienda è dotata di macchine per la trinciatura ed il loro interramento o i sottoprodotti possono essere commercializzati localmente presso altre aziende o per altri usi (ad esempio la produzione di carta paglia e compost). La quota di residui che viene utilizzata per altri scopi nei diversi contesti agricoli italiani è un dato variabile nel tempo e nello spazio. Nel tempo, in quanto le condizioni di mercato possono rendere commerciabile un residuo un anno mentre l'anno successivo, al variare dei prezzi, la convenienza diminuisce o scompare del tutto; nello spazio, in quanto in un determinato territorio le paglie possono essere tutte o quasi riutilizzate nel settore zootecnico, mentre in altre aree, ove la zootecnia ha un peso irrilevante, le paglie eccedono largamente la

24"Colonna N., 2013, I sottoprodotti legnosi ed erbacei del settore agricolo italiano, pag. 15!

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domanda locale (anche in questo caso può essere rilevante il prezzo, che potrebbe rendere conveniente il trasporto in aree a vocazione zootecnica rimanendo quindi disponibili per usi alternativi, compresi quelli energetici (di nuovo, ci sarebbe da considerare l’effetto delle politiche perché alcuni tipi di incentivi, ad esempio quelli per le misure agroambientali, prevedono l’obbligo di reinterro dei residui colturali). Vi è quindi una significativa variabilità nell’utilizzo locale dei sottoprodotti aziendali che può dare conto di parte delle discrepanze tra studi diversi realizzati da soggetti diversi in anni diversi. Inoltre, possono essere definite delle percentuali di re-impiego per ciascuna categoria di sottoprodotto e per ogni destinazione più frequente, in modo da calcolare la cosiddetta disponibilità effettiva per l’impiego energetico, cioè la quantità di residui disponibili al netto dei re-impieghi aziendali più comuni e/o frequenti. La disponibilità netta o effettiva così ottenuta è un dato rilevante e coerente con le premesse e le relative esigenze informative e consente di valutare, pur se a una scala molto ampia, le opzioni migliori tra le diverse filiere agroenergetiche esistenti e/o possibili.

Resta da precisare che, il fatto che una biomassa sia disponibile presso le aziende agricole non implica per certo che possa essere convenientemente raccolta, concentrata o trasformata per una finalità energetica. Entrano in gioco vari altri fattori, tra cui alcuni economici quali il calcolo del potenziale netto dal potenziale lordo annuale (differenti costi di macchinari e impianti e dei combustibili di riferimento), tecnici (disponibilità di macchine e organizzazione logistica) e territoriali (distanze, acclività, frammentazione delle superfici aziendali) che possono rendere variamente conveniente, nella situazione contingente, raccogliere e impiegare il potenziale disponibile.

Infine la stima del potenziale reale o netto si ottiene tramite un percorso a ritroso che comincia con un inventario della biomassa residuale prodotta dal settore agricolo (fase 1) a partire dal quale, per sottrazioni successive, realizzate tramite parametri di calcolo condivisi, e specifici per il territorio in esame, si giunge a definire quella che è la disponibilità netta (fase 2), cioè la biomassa che rimane al netto degli usi alternativi tradizionali e dalla quale, integrando informazioni

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territoriali, economiche e tecniche (fase 3) si giunge a calcolare la frazione della biomassa disponibile per usi energetici.

2.2.2 Gli usi attuali

Per quanto la stima delle quantità di sottoprodotti generati dal sistema agricolo possa essere stata accurata e realizzata in modo trasparente e coerente, il dato ottenuto tramite l’indice SP/P rappresenta un potenziale o una disponibilità teorica di tipo fisico. Una frazione anche molto rilevante delle biomasse ottenute non è disponibile per altri usi in quanto l’azienda stessa ne fa un uso diretto come intermedio di produzione o ne trae un beneficio, commerciandola. Il caso più noto è il riuso delle paglie per l’alimentazione animale e/o la lettiera negli allevamenti. Analogamente è tradizione, che la quota di potature legnose di pezzatura maggiore venga utilizzata in azienda per il riscaldamento degli edifici o che i residui freschi della pulizia degli ortaggi siano destinati all’alimentazione diretta di suini e bovini. Una quota rilevante di residui, previa sminuzzatura, è riportata al terreno tramite interramento e una parte, ancora rilevante in alcune aree, è oggetto di combustione in campo spesso per motivazioni di ordine fitopatologico o per evitare che la degradazione della sostanza organica ad opera dei microorganismi decompositori sottragga azoto alle colture in successione.

Determinare gli usi attuali in termini percentuali consente di calcolare quanto del potenziale fisico sia effettivamente disponibile per usi alternativi, quali l’impiego a scopi energetici. Un dato di riuso non può però essere definito in modo universale in quanto legato sia alle specificità aziendali (ordinamenti colturali e settori produttivi) sia al contesto territoriale che può assorbire o meno parte del sottoprodotto e naturalmente al prezzo che un determinato residuo può spuntare sul mercato. La forchetta di valori è molto ampia e può subire ampie oscillazioni nel tempo.

2.2.3 Residui delle colture arboree

In Italia le colture permanenti, vite, olivo, fruttiferi occupano una superficie rilevante e costituiscono un elemento distintivo del paesaggio agrario. Sia durante la fase di coltivazione che nelle fasi di trasformazione dei prodotti

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primari si ottengono quantità significative di sottoprodotti di scarto che sono suscettibili di molteplici impieghi. In questa trattazione si sono analizzati gli scarti legnosi prodotti nella fase agricola e i residui delle lavorazioni (sanse, raspi, vinaccioli, gusci, etc.). Elemento rilevante è che mentre le potature annuali, per il loro limitato valore e le difficoltà di raccolta sono solo in parte utilizzate, la legna prodotta all’espianto trova facilmente un mercato soprattutto come legname da ardere. Nel calcolo sono state trascurate le superfici investite dalle colture arboree minori, poco diffuse, quali: Nespolo, Melograno, Fico, Pistacchio, Loti che raggiungono poco più di 9000 ettari; dato del tutto insignificante rispetto ai circa 2 milioni e 400.000 ettari occupati dalle colture tradizionali della frutticoltura italiana (pesche, nettarine, albicocchi, susini, ciliegi, melo, pero, actinidia) e da vite ed olivo. Per le colture arboree sono state incluse nel calcolo solo le superfici indicate da Istat come “in produzione” in quanto è stata valutata come trascurabile la quantità di sottoprodotti ottenibili nei primi anni di vita dell'impianto, prima dell'effettiva entrata in produzione. La produzione complessiva di scarti dalle colture arboree ammonta a oltre 6 milioni di tonnellate prodotti su oltre 2,4 milioni di ettari di superficie con un valore medio di 2,5 tonnellate di scarto secco ad ettaro. L’olivo è la coltura che produce le maggiori quantità di scarti seguito dalla vite e dagli agrumi. Vite ed Olivo insieme producono più del 56% degli scarti di potatura nazionali. L’Italia in questo settore ha una sorta di primato in quanto grazie alle sue peculiari condizioni pedoclimatiche ha uno dei patrimoni di vitivinicoli e di colture da frutto più rilevante al mondo.

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Tabella 5: Dati di superficie, produzione e sottoprodotti colture arboree nel 2011.

Fonte: ENEA, Unità Tecnica Sviluppo Sostenibile ed Innovazione del Sistema Agroindustriale, Centro Ricerche Casaccia, Roma.

Tra i fruttiferi dominano i sottoprodotti della peschicoltura (pesche e nettarine) seguite dai meleti e dai pereti. La produzione di residui legnosi dalla frutta in guscio è rilevante e concentrata in poche aree vocate di alcune regioni:

Piemonte, Lazio, Puglia, Campania e Sicilia.

Tabella 6: Risultati del potenziale lordo e disponibile per le colture arboree nel 2011

Fonte: ENEA, Unità Tecnica Sviluppo Sostenibile ed Innovazione del Sistema Agroindustriale, Centro Ricerche Casaccia, Roma.

Colture Superficie Produzione primaria Potenziale lordo

ha kt kt (s.s.)

Olivo 1 137 048 3 353,2 2 018,2

Vite 700 098 7 107,9 1 436,8

Fruttiferi 256 796 6 094,6 1 112,7

Frutta in guscio 141 933 240,4 443,6

Agrumi 161 317 3 915,6 1 033,7

Totale 2 397 192 20 711,7 6 045,0

Potenziale Disponibile

Coltura kt (s.s.) % kt (s.s)

Olivo 2 018,2 33,4 1 288,9

Vite 1 436,8 23,8 1 079,7

Melo 282,6 4,7 151,7

Pero 163,8 2,7 63,5

Albicocco 53,0 0,9 18,1

Ciliegio 65,2 1,1 12,0

Pesco 447,3 7,4 215,0

Susino 37,6 0,6 13,6

Actinidia 63,2 1,0 52,4

Nocciolo 231,3 3,8 151,3

Mandorlo 212,3 3,5 125,7

Agrumi 1 033,7 17,1 902,0

Totale 6 045,0 100,0 4 073,8

Lordo

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La produzione della gran parte degli scarti avviene nei mesi invernali durante il riposo vegetativo delle piante, ed è trascurabile il contributo in peso delle cosiddette potature verdi (es. kiwi, pesco) effettuate durante il periodo vegetativo. I residui ottenuti sono costituiti in gran parte dalla componente ligninica e sono per tale caratteristica idonei alla valorizzazione energetica tramite combustione, ma devono essere necessariamente oggetto di una raccolta meccanizzata con macchine specifiche e di una fase di stoccaggio affinché il loro contenuto di umidità decresca naturalmente.

Il loro impiego non è scevro da problemi di natura operativa e gestionale legati o alla composizione chimica (es. frasche di olivo con elevata presenza di foglie secche ed elevato tenore di potassio) e alle caratteristiche fisiche (cippatura specializzata per ottenere un prodotto omogeneo di buona qualità); problemi però che numerose attività sperimentali hanno dimostrato essere superabili con relativa facilità. Nel loro complesso le potature sia per la necessità di allontanare dal campo una materia ingombrante, la quale ostacola le successive operazioni colturali, sia per specifiche esigenze fitosanitarie sono una delle risorse più indicate alla valorizzazione energetica a scala territoriale. La loro mobilizzazione e il loro impiego possono trovare numerosi limiti tra i quali:

l’acclività e/o la presenza di terrazzamenti che rendono difficile la raccolta e quindi la meccanizzazione;

la dispersione e la frammentazione delle superfici e delle relative proprietà che rendono difficile e oneroso lo spostamento delle macchine ed il coordinamento delle operazioni;

la disponibilità di macchine specializzate per la raccolta, il rotoimballaggio e la cippatura dei sottoprodotti.25

Il potenziale disponibile costituisce un potenziale “netto al territorio” cioè quanta biomassa rimane inutilizzata nelle aziende agricole e potrebbe essere oggetto di una specifica organizzazione di filiera di raccolta concentrazione e impiego energetico. Entrano però in gioco molti altri fattori, che a questa scala di analisi non possono essere presi in considerazione, quali le dimensioni

25"Colonna N., 2013, I sottoprodotti legnosi ed erbacei del settore agricolo italiano, pag.29.!

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aziendali, la frammentazione dei corpi aziendali, la dispersione delle aziende, l’orografia, ognuno dei quali contribuisce a determinare la reale possibilità di raccogliere la biomassa residuale per usi energetici. I molteplici fattori di natura tecnica, economica e sociale che limitano la possibilità di utilizzare la biomassa calcolata come “disponibile” possono però essere superati attraverso strumenti tecnici (nuovi macchinari), economici (incentivi) e organizzativi (accordi, piattaforme di raccolta). Pertanto il valore di biomassa disponibile rimane un punto di riferimento utile per determinare il potenziale energetico reale delle biomasse. Questo potrà variare, anche rapidamente, in virtù di condizioni del mercato che rendono più o meno conveniente un uso piuttosto che un altro, fatti salvi quegli usi che nella specifica organizzazione di ciascuna azienda non possono essere sostituiti.

2.3 La situazione a monte della produzione di idrogeno, contesto e obiettivi

Questo paragrafo ha lo scopo di riassumere le fasi, i ragionamenti e i dati di mercato necessari all’identificazione delle tecnologie/processi/fornitori marginali, affetti dal cambiamento nella domanda di biomassa ligneocellulosica in generale e dei gusci di mandorle in particolare. In breve, per quanto riguarda la procedura e le assunzioni alla base dell’indagine, se l’andamento del mercato è positivo o stabile, si assume che un cambiamento nella composizione della domanda abbia effetti sul fornitore che ha le migliori opzioni di espansione o rinnovo della propria capacità produttiva; il fornitore più competitivo è spesso quello i cui costi di produzione sono i più bassi. Al contrario se il mercato si trova in declino, tanto da ridurre complessivamente la capacità produttiva, un cambiamento nella domanda influenza (spiazza) la tecnologia/il processo/il fornitore meno competitivo. Spesso la reazione dell’offerta al cambiamento della domanda è vincolata da fattori quali, nel caso specifico del settore delle biomasse, i costi di trasporto, il reperimento delle risorse, leggi naturali dei limiti di accrescimento delle piante, limiti legislativi, etc. Perciò devono essere precisate, all’inizio dell’analisi, altre assunzioni per una definizione esauriente di questi limiti. Gli elementi da conoscere per l’identificazione della tecnologia marginale sono quindi il mercato, la competitività tra fornitori (in questo caso si

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considerano i costi di produzione dell’offerta di biomassa ligneocellulosica e dei gusci di mandorle a livello complessivo nazionale).

2.3.1 I flussi nazionali della coltura del mandorlo

In relazione al fatto che l’impianto UNIfHY progettato da ENEA, dovrebbe essere alimentato con gusci di mandorle è necessario vedere a priori se il quantitativo disponibile a livello italiano è sufficiente. In Italia, la mandorlicoltura ha rappresentato per secoli una componente essenziale dell’economia agricola del nostro Paese. Oltre ovviamente a Sicilia e Puglia, anche Sardegna, Basilicata, Calabria, Abruzzi, Campania e, in misura minore, altre Regioni registravano ancora, tra il 1940 e il 1950, una produzione mandorlicola significativa. Questa diffusa presenza ha consentito al nostro Paese di detenere fino al secondo dopoguerra il primato produttivo nel mondo, con una forte penetrazione commerciale non solo sui mercati del Centro Europa ma anche nei paesi mediorientali, asiatici e dell’America Latina. Ma già a partire dalla metà degli anni ‘60 questo primato era passato nelle mani della California, che aveva puntato in maniera decisa all’aumento delle superfici, alla selezione di varietà ad alta resa, ad una intensiva meccanizzazione, con prezzi bassi e forti strategie di marketing. In seguito la produzione italiana è rimasta sostanzialmente ai livelli del dopoguerra, continuando a resistere nelle Regioni a più forte tradizione, Sicilia e Puglia. E’ nel successivo ventennio (anni’80 e‘90) che la situazione è andata sempre più aggravandosi, provocando una crisi del settore talmente profonda da far temere una vera e propria scomparsa della coltivazione del mandorlo in tutte le Regioni italiane interessate.

“La coltivazione del mandorlo è oggi concentrata a livello nazionale in due aree principali, le Isole e il Sud. La distribuzione delle aziende conferma la prevalenza delle aree del Sud e delle Isole, che registrano complessivamente oltre il 97% delle aziende produttrici di mandorlo, pari a più di 36 mila. Va rilevato che, nonostante le Isole registrino una maggiore superficie coltivata, è il Sud ad avere un maggior numero di aziende produttrici di mandorlo, che depone per una minore estensione media delle superfici coltivate.

Per quanto riguarda la distribuzione delle superfici nelle Regioni del Sud e delle

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Isole, i dati del Censimento 2010 riconfermano la storica prevalenza della Sicilia ( 55,40%) e della Puglia ( 39,56%) come regioni mandorlicole italiane, pur in presenza di una notevole riduzione delle superfici coltivate rispetto al passato.

E’, quindi, più che evidente come una pluridecennale assenza di strategie di tutela della nostra mandorlicoltura da parte delle istituzioni e delle organizzazioni del mondo agricolo, dei settori economici coinvolti (dalla produzione alla commercializzazione), dei centri di ricerca pubblici e privati, abbia favorito la progressiva distruzione di un patrimonio produttivo ed economico di primaria importanza.”26

Per invertire questa rovinosa e ingiustificabile tendenza è, pertanto, necessaria un’articolata e puntuale azione che restituisca alla mandorlicoltura italiana prospettive concrete non solo di mantenimento ma, soprattutto, di rilancio produttivo e commerciale.

In particolare bisogna:

1) rilanciare l’impiego della mandorla italiana nei settori merceologici in cui tradizionalmente è stata per secoli utilizzata e promuovere nuovi sbocchi commerciali;

2) valorizzare i prodotti a base di mandorla italiana e diffonderne le peculiarità;

3) creare i presupposti per la chiusura della filiera;

4) adottare azioni per migliorare la produttività e la multifunzionalità.

In particolare, per i punti 3) e 4), l’utilizzo dei gusci come co-prodotto della coltivazione e lavorazione delle mandorle, come materia prima per impianti di produzione di idrogeno, rappresenta un’ottima soluzione.

Inoltre, l’attuazione di queste strategie di rilancio rendono imprescindibile la costruzione di accordi di filiera a livello locale, regionale e nazionale tra tutti i soggetti operanti nei vari settori interessati (produzione – lavorazione – trasformazione – commercializzazione). Perché ciò sia possibile è, necessario crearne i presupposti, a cominciare dal sostegno a processi di aggregazione e di

26Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Piano del Settore Mandorle, Noci, Pistacchi e Carrube, 2012/2014.

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rappresentanza dei diversi attori della filiera, in cui oggi prevale la frammentazione, sia nel versante della produzione che in quello della lavorazione e trasformazione.

Il segmento più numeroso della filiera è, ovviamente, costituito dalle aziende agricole produttrici. L’attività dei produttori è limitata alla raccolta, smallatura27, essiccazione e successiva conservazione delle mandorle. La vendita del prodotto alle aziende di lavorazione, avviene direttamente o tramite mediatori o ammassatori. La presenza di migliaia di piccole e piccolissime imprese è l’elemento caratterizzante della produzione mandorlicola italiana, così come lo è, a tutt’oggi, l’assenza di strutture associative per favorire la concentrazione dell’offerta e la valorizzazione del prodotto.

Nelle contrattazione tra produttori, sgusciatori e grossisti interviene spesso la figura del mediatore che, su incarico delle parti, favorisce la collocazione della merce alle condizioni determinate sul mercato tra la domanda e l’offerta. In alcune zone, ad esempio in aree del centro della Sicilia, è presente la figura dell’ammassatore, che acquista il prodotto in guscio per rivenderlo poi alle aziende di lavorazione. Il trattamento delle mandorle richiede l’intervento degli sgusciatori, imprese generalmente a carattere familiare e di modeste dimensioni che acquistano, tramite i mediatori o gli ammassatori, le mandorle dai produttori e si occupano di operazioni di condizionamento quali sgusciatura, pelatura, selezionatura e calibratura. Tali operazioni sono preliminari alla vendita ai grossisti-esportatori ed è in questa fase che potrebbe inserirsi la raccolta dei gusci per scopi energetici.

Esistono poi i grossisti/esportatori, operatori extra-agricoli che posseggono magazzini propri e impianti per la lavorazione delle mandorle dove è possibile trovare anche linee di lavorazione totalmente o parzialmente meccanizzate. Queste figure possono acquistare le mandorle dai produttori, dagli ammassatori o dagli sgusciatori, per avviarle, previa lavorazione in magazzino, sia ai mercati di consumo che alle imprese di trasformazione nazionali o estere.

27La prima fase nei centri di lavorazione consiste nella smallatura, operazione effettuata con apposite macchine meccaniche smallatrici che separano i malli (l’interno) dai gusci.

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Il mercato del confetto, in cui prevale la mandorla di Avola28, è rivolto, oltre all’Italia, a Paesi quali Francia, a cui è destinato circa il 50% della produzione e per una modesta quota anche Belgio, Svizzera e Grecia vengono rifornite dai grossisti/esportatori.

Le industrie dolciarie di grande dimensione che si approvvigionano attualmente di mandorla italiana sono pochissime e, comunque, per partite di scarsa consistenza, sia a causa del costo del prodotto italiano, al di sopra della concorrenza spagnola o californiana, sia per la progressiva riduzione dei volumi produttivi nel nostro Paese. Segnali incoraggianti provengono, invece, dalle aziende medio-piccole, specie nel settore della produzione di basi per pasticceria e gelateria, che puntano a distinguersi dalla concorrenza industriale attraverso la qualità del prodotto.

Accanto alle suindicate strategie di concentrazione dell’offerta, di costruzione e organizzazione della filiera, di valorizzazione commerciale della produzione, risulta fondamentale il miglioramento della produttività e competitività dei mandorleti italiani, che può derivare unicamente dall’applicazione di modelli di coltivazione innovativi, basati su moderne e razionali tecniche agronomiche, molto diverse dai modelli tradizionali, ancora oggi prevalenti sul piano nazionale.

A questa coltura dovrebbero essere applicati gli studi e gli approcci scientifici elaborati dai Centri di ricerca pubblici per il miglioramento, l’ammodernamento e il rilancio del settore e pervenire alla multifunzionalità del prodotto: tutela del paesaggio e impieghi energetici.

In questa sede si sottolineano due aspetti connessi al tema delle altre funzioni che, accanto alla produzione di reddito e occupazione, la mandorlicoltura può svolgere in settori di più ampio interesse generale.

“Mallo e guscio rappresentano scarti della lavorazione successiva alla raccolta ed alla essicazione e rappresentano circa il 70-80% del peso complessivo del frutto, pari a circa 1,3 t/ha; a questi scarti di lavorazione si devono aggiungere quelli derivanti dalla potatura invernale degli alberi di mandorlo che

28Àvola è un comune italiano di 31.342 abitanti della provincia di Siracusa in Sicilia.

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