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Tessuto Urbano Ecologia e Ambiente I Prati di Caprara

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Academic year: 2021

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Indice

Premessa Teorica

Verde, Città e Cambiamento Climatico Analisi

La città di Bologna Clima

Tessuto Urbano Ecologia e Ambiente I Prati di Caprara

Storia dei Prati di Caprara Cronologia

Pianificazione Territoriale Progetto

Strategia Progettuale Masterplan

Prati Ovest Prati Est Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia e Sitografia

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58 22

70 24

84 114 115 116 26 40 42 48

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“…conservazione della natura significa soltanto, alla fine, conservazione dell’uo- mo e del suo ambiente, incolumità e salute pubblica e quindi anche, proprio per questo, progresso economico, culturale e sociale.”

Antonio Cederna

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Verde, città e cambiamento climatico

1: Cambiamento di temperature media per le principali città Europee per il periodo 1901-2017.

2: Suolo consumato a livello comunale (% 2018). Fonte: elaborazioni ISPRA su cartografia SNPA.

3:Stima del consumo di suolo annuale (nuova superficie a

copertura artificiale), del consumo di suolo annuale netto (bilancio tra nuovo consumo e aree rispristinate), della densità del consumo (in- cremento in metri quadrati per ogni ettaro di territorio) e del consumo di suolo annuale netto avvenuto in aree “utili”, a livello nazionale.

Fonte: elaborazioni ISPRA su cartografia SNPA.

Le città nel mondo occupano ad oggi solo il 2% della superficie terrestre, ma concentrano la metà della popolazione mondia- le consumando il 75% delle risorse naturali mondiali (UNEP, 2007).

Al 2006, oltre un quarto del territorio europeo è direttamente destinato ad usi urbani, e si stima che entro il 2020 circa l’80%

della popolazione europea vivrà in aree urbane (EEA, 20067).

La rapida urbanizzazione del territorio, e il consumo di suolo che questa comporta, rappresentano crescenti fattori di pres- sione per le risorse naturali delle città contemporanee.

Inoltre l’influenza crescente delle attività antropiche sul clima e sulla variazione della temperatura terrestre, in particolare attra- verso attività quali la combustione di combustibili fossili, la de- forestazione e l’allevamento del bestiame, che portano ad un notevole aumento delle emissioni gas serra e un conseguente innalzamento delle temperature medie.

In conseguenza di ciò si registrano sempre più frequenti onda- te di calore, incendi forestali e forti siccità.

Il Mediterraneo si sta trasformando in una regione arida, il che lo rende ancora più vulnerabile di fronte alla siccità e agli incen- di boschivi. L’Europa settentrionale sta diventando molto più umida e le alluvioni invernali potrebbero diventare un fenomeno ricorrente, con importanti ripercussioni sulla economia e la sa- lute umana.

Il consumo di suolo in Italia continua a crescere.

Le nuove coperture artificiali nel 2018 hanno riguardato altri 51 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 14 ettari al giorno. Una velocità di trasformazione in linea con quella regi- strata nel 2017 e che riguarda poco meno di 2 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo anno, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo.

Sono state rilevate anche le trasformazioni da suolo consumato a suolo non consumato, riducendo di conseguenza, secondo il principio del consumo di suolo netto, i valori assoluti dei cam- biamentio, portando la stima a circa 48 km2, equivalenti a 1,6 metri quadrati per ogni ettaro di territorio italiano.

Grazie alla funzione di mitigazione dell’inquinamento atmosferi- co e acustico, la vegetazione, in particolare nei contesti urbani, contribuisce indirettamente a ridurre i rischi derivanti da due delle maggiori emergenze ambientali delle città contempora- nee: inquinamento atmosferico e surriscaldamento globale.

La vegetazione urbana può influire sulla qualità dell’aria locale in maniera sia diretta che indiretta influenzando l’atmosfera circo- stante (Nowak, 1995), inoltre la vegetazione produce benefici anche in termini di termoregolazione, funzionando da “climatiz- zatore naturale” (Rowntree, 1986; Akbari et al., 1991; Souch and Souch, 1993).

Le infrastrutture verdi non sono altro che la rete opportuna- mente pianificata a gestita di aree naturali e seminaturali pre- senti sul territorio e in grado di fornire molteplici benefici am- bientali e sociali. Spesso, poi, le aree verdi sono associate all’elemento blu (fiumi, laghetti, corsi di acqua, mare, ecc.):

si può quindi opportunamente parlare anche di infrastrutture blu come una quota importante del patrimonio naturale e se- mi-naturale totale.

La realizzazione di infrastrutture verdi promuove un approccio integrato alla gestione del territorio e determina effetti positivi sia sotto il punto di vista economico che rispetto a quello sociale.

Le principali funzioni riguardano a riduzione dei danni derivanti dal dissesto idrogeologico, dal contenimento di fenomeni allu- vionali, nella lotta ai cambiamenti climatici, in particolare rispetto ai temi della mitigazione dell’effetto isola di calore e a quello dell’abbassamento delle temperature superficiali ed infine nel ristabilimento della qualità delle matrici ambientali, aria, acque, suolo e nela creazione di spazi e habitat a supporto della vita di flora e fauna selvatiche.

Queste funzioni, che tecmicamente prendono il nome di ser- vizi ecosistemici “sono flussi di materia, energia e informazione provenienti dagli stock del capitale naturale, che si combinano con i servizi dei manufatti antropogenici per generare benesse- re e qualità della vita” (Costanza).

La natura fornisce infatti servizi essenziali di approvvigionamen- to, di cibo, acqua, legname, sostanze medicinali ecc.; di re- golazione, del clima, del ciclo delle acque, delle precipitazioni ecc.; di supporto, attraverso la fotosintesi, la formazione del suolo, la depurazione dell’aria e delle acque ecc. ed è sede di attività fondamentali, come la cultura e l’educazione. Essa dun- que produce, consuma e dà lavoro secondo modalità proprie, che l’uomo non è in grado di sostituire, se non in misura limi- tata. Le infrastrutture verdi e blu svolgono inoltre un importante funzione di supporto per la biodiversità.

La biodiversità, ovvero la coesistenza in un ecosistema di diver- se specie animali e vegetali che creano un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni, è la principale matrice della ricchezza e della funzionalità degli ecosistemi. È dimostrato che il calo della biodiversità sia causa di grave degrado della qualità degli ecosistemi, limitandone la funzionalità e la capacità di servizio.

Alla luce dell’evidente cambiamento climatico in corso e dell’in- sesorabile tendenza globale al consumo di suolo gli ambiti na- turali urbani e i servizi ecosistemici svolti da queste infrastrutture verdi risultano quindi come una risorsa da valorizzare e tutelare.

L’effetto di raffrescamento dell’aria nei periodi estivi riduce la necessità di condizionamento negli edifici (Simpson, 1998) e, di conseguenza, ha un impatto positivo indiretto anche sui consumi energetici, sulla qualità dell’aria e il surriscaldamento globale (mancata emissione di CO2).

La vegetazione, inoltre, ha capacità fonoassorbente e con- tribuisce inoltre alla riduzione dei livelli di rumore (Bolund e Hunhammar, 1999).

Al tempo stesso, aree verdi come parchi e giardini, con la biodiversità animale e vegetale ad esse associata, giocano un ruolo sempre maggiore tanto per la sostenibilità ambientale delle città, quanto per la qualità della vita di milioni di persone.

La presenza e accessibilità delle aree verdi nelle città è infatti tra gli indicatori adottati nei maggiori lavori di reporting elaborati sia a livello nazionale che internazionale per valutare la qualità dell’ambiente urbano.

Qualità dell’Ambiente Urbano IV Rapporto APAT Edizione 2007 Qualità dell’ambiente urbano – XIV Rapporto (2018) ISPRA Stato dell’Ambiente 82/18

Consumo di Suolo, Dinamiche terriroriali e Servizi ecosistemici, Edizione 2019, SNPA.

Infrastrutture Verdi, ARPA FVG.

reteeclima.it

Infrastrutture verdi e servizi Ecosistemici come strumento per politiche ambientali e green economy, Ministero dell’Ambiente.

Fonti:

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“I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente [...]. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso.”

Pier Paolo Pasolini

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La città di Bologna

1: Rapporto territoriale tra aree naturali ed edificate della città.

Si evidenziano la localizzazione dell’area dei Prati di Caprara e la presenza ad Ovest del fiume Reno.

A Sud si trova il sistema collinare, che anticipa le zone della monta- gna Appenninica e dal quale scende il corso del Torrente Ravone, passante per l’area.

Le aree periurbane orientali, occidentali e settentrionali, ambiti di pianura, sono invece caratterizzate dalla più massicia presenza del sistema di produzione agricola.

Fiume Savena Fiume Reno

Area Appenninica

Pianura Padana

Bologna rappresenta un importante crocevia tra il Nord e il Sud dell’Italia e a sua volta tra Nord Europa e Mediterraneo. La sua storia è legata all’influenza di culture e popoli che hanno di volta in volta segnato il territorio e contribuito allo sviluppo economico e culturale della città

Oggi costituisce il settimo comune più popolato d’Italia ed è al centro di un’area metropolitana di circa un milione di abitanti, capoluogo della regione Emila Romagna.

Territorialmente è collocata in corrispondenza del confine tra la Pianura Padana e i primi rilievi dell’Aopennino, tra le valli del fiume Reno e del torrente Savena.

I primi insediamenti umani sono già presenti nell’età del bronzo, tra le colline più basse e la zona di pianura tra due affluenti del fiume Reno, l’Aposa e il Ravone. Tra il X e il IX Secolo (Età del Ferro) si iniziano a formare i primi villaggi della civiltà Villanoviana.

Successivamente dai primi decenni del VI Secolo a.C., si ha testimonianza l’influenza economica e culturale degli Etruschi che la nominano Velzna, in latino Felsina.

Fin da questi anni la posizione geografica rese la città un impor- tante nodo strategico nella rete dei commerci.

In seguito, tra il V e IV secolo a.C., i Galli Boi occupano le zone settentrionali della penisola, segnando il declino dell’influenza etrusca sull’area. Si verificò in questo periodo una contrazione dell’abitato, e soprattutto un forte declino delle attività produttive e di scambio.

La supremazia dei Galli sul territorio si prolungò fino all’arrivo dei Romani, nel 196 a.C., che la rifondarono con il nome di Bononia (189 a.C.).

Due anni dopo la fondazione, nel 187 a. C., venne tracciata e lastricata la lunga via si sarebbe chiamata Emilia.

La sistemazione dell’abitato ricalcò le modalità comuni a tutti le fondazioni urbane romane a partire dagli accampamenti militari e una nuova urbanizzazione si sviluppò nella parte Nord-Orien- tale rispetto al precedente insediamento.

L’impianto urbano era inserito nella griglia ortogonale delle vie che si incrociavano ad angolo retto secondo due orientamen-

ti paralleli: quello dei decumani, da est a ovest, e quello dei cardini, da Sud a Nord.

Al centro del perimetro urbano si incrociavano il decumanus maximus, corrispondente all’asse delle vie Ugo Bassi e Rizzoli, e il cardo maximus, corrispondente all’asse delle vie Val d’Apo- sa e Galliera. Questa logica d’ impianto Romano è ancora leg- gibile oggi ed, insieme alla successiva espansione urbana di epoca medioevale, pone le basi dell’attuale morfologia urbana.

La pianificazione Roamana raggiunse anche i territori rurali – l’ager -e anche quì ha lasciato tracce ancora evidenti ad oggi, quelli della cosiddetta centuriazione, cioè la sistemazione dei terreni pianeggianti ai lati della via Emilia da Rimini fino a Pia- cenza.

A partire dal III secolo si ebbe un irreversibile declino della parte occidentale dell’Impero Romano che investì con particolare vi- gore le città della penisola. Il declino del sistema amministrativo romano fu l’effetto di una più complessiva crisi dei rapporti tra le città e le campagne.

Come nel caso di molte altre città anche Bologna si contras- se in dimensioni (fenomeno della “città retratta”) ruralizzando gli spazi urbani liberati dall’abbandono insediativo e limitando il suo bacino di approvvigionamento alle più immediate vici- nanze.

In queste città semi spopolate le costruzioni di nuovi edifici si arrestarono e calarono sensibilmente anche gli interventi sulle strutture già esistenti, con conseguente ulteriore degrado delle zone abbandonate, spesso trasformate in cave di materiale edilizio da riutilizzare nelle aree ancora abitate. Fu il destino di molti degli edifici di ritrovo pubblico, come il teatro di Bologna.

L’abitato si ridusse soltanto a poco più di 20 ettari, nel settore centro-orientale del vecchio impianto romano, le cui parti ab- bandonate ad occidente si avviavano ad esser chiamate civi- tas rupta antiqua (la [parte] distrutta [della] città di un tempo).

Ridimensionata in quel perimetro estremamente ridotto – quel- lo delle mura di selenite – la comunità aveva perduto la capaci- tà di controllo e di uso di gran parte del territorio posto oltre la

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1: Ricostruzione Urbanistica Fase I: II sec - IV sec a.C.

2: Ricostruzione Urbanistica Fase II: V sec - VIII sec 3: Ricostruzione Urbanistica Fase III: XII sec - XIII sec 4: Ricostruzione Urbanistica Fase IV: XIII sec - XIX sec

5-6: Veduta di Bologna da San Michele in Bosco, dipinto1505.

7: Sviluppo perimetri cinte murarie

fascia suburbana.

Alla recessione tardo-antica aveva fatto seguito una lunga sta- gnazione e una lenta ripresa.

Al disordine generale che rendeva poco controllabili i territori circostanti e indeboliva istituzioni e autorità civili seppe contrap- porsi soltanto l’organizzazione ecclesiastica cristiana si stava affermando e diffondendo in tutti i ceti.

L’inizio dell’episcopato bolognese, ovvero del controllo cittadino da parte del vescovo, si fa risalire al periodo compreso tra la fine del III e l’inizio del IV secolo.

Nel 774 la città capitolò davanti a Carlo Magno, che la conse- gnò al papa Adriano I; permangono pochissime testimonianze storiche e materiali rappresentative di questo periodo.

Solo all’inizio del XI secolo si hanno segni di rilancio e sviluppo delle attività urbane, soprattutto con l’incremento demografico e l’espansione degli abitati anche verso ovest.

La riorganizzazione della penisola sotto la dominazione dell’im- pero bizantino, fu bruscamente interrotta dall’arrivo dei Longo- bardi. Sotto il profilo urbanistico, si ipotizza che la zona ad oriente della Porta Ravegnana – quella su cui sarebbero sorte tra XI e XII secolo le “due torri” - sia stata quella scelta dai Lon- gobardi per il loro insediamento. La sua forma a ventaglio fu in pratica obbligata dalla persistenza degli assi radiali che si dira- mavano dall’antica porta orientale della città romana: la raggiera di vie che raggiungevano Ferrara e il Delta del Po (San Dona- to), Ravenna (San Vitale), Rimini (Strada Maggiore), la Toscana (Santo Stefano) e le colline (Castiglione).

Verso la fine del I millennio si avvertirono ovunque in Europa i sintomi di una ripresa complessiva, probabilmente a seguito di un generale miglioramento climatico che segnò positivamen- te il periodo come testimoniano la crescita generalizzata della popolazione, il più intenso sfruttamento agricolo, lo sviluppo di attività manifatturiere specializzate e, di conseguenza, l’espan- sione dei mercati urbani vecchi e nuovi.

Le città, per quanto decadute, erano rimaste i nodi dell’antico sistema viario che riattivandosi ne ripristinò le capacità di attrarre convogliare e coordinare i fenomeni di crescita demografica e di ripresa economica generalmente attestati fin dal X secolo.

La comunità - che non contava ancora più di 20/25000 abi- tanti - allargò quindi i propri scambi, riattivando progressiva- mente le antiche strade, rimaste a lungo e per ampi settori impraticabili, avvalendosi anche dei tratti navigabili del Reno e del Savena.

Questi furono decenni decisivi per le future vicende della città e per l’origine di alcune delle sue caratteristiche fisiche principali:

la nascita di istituzioni, come l’Università e il Comune, il sorgere della caratteristica tipologia edilizia a torre e di nuove mura, po- nendo le basi per le successive sistemazioni urbanistiche dei canali e dei portici.

Nell’anno 1088 viene fondato l’Alma Mater Studioum, più anti- ca università del mondo che segnerà con forza il carattere e lo sviluppo economico e culturale della città nei secoli a seguire.

Qualche anno più tardi, nel 1116, la comunità cittadina si andò organizzando in forma di Comune.

Fu presumibilmente in questo stesso periodo che si tracciò la seconda cerchia muraria (cerchia dei torresotti o del mille) che avrebbe portato la superficie urbana a 113 ettari, completata o riadattata nel secolo successivo nel pieno del conflitto con l’imperatore Federico Barbarossa.

La tipologia dell’edificio a torre fu ampiamente utilizzata a Bo- logna, tanto che complessivamente se ne innarono circa un centinaio, prevalentemente all’interno o a ridosso della cerchia di selenite, in un periodo compreso tra l’XI e il XIII secolo.

Questo fu un periodo segnato dal clima dei conflitti interni che precedettero e accompagnarono la nascita del Comune, che giustificano lo sviluppo di questa tipologia fortificata, in seguito adattata a fini abitativi, l’iniziale funzione di presidi urbani fu infatti attenuata dalla formazione e dalla crescita di potere degli ap- parati comunali.

La crescente importanza dei maestri dello Studio Generale, antico nome dell’università, attraeva un numero sempre più co- spicuo di studenti e dei loro seguiti, con conseguente aumen- to delle attività produttive, commerciali e finanziarie indotte dalla loro presenza. Artigiani e commercianti videro così allargarsi i loro giri di affari mentre le loro associazioni di mestiere, le Arti, assumevano sempre maggiore incidenza nella vita economica e politica cittadina.

L’organizzazione comunale bolognese intervenne nella realiz- zazione e nella manutenzione delle infrastrutture (strade, ponti, canali, mura),nel governo e nella tutela delle risorse (acque e terre comuni), nella gestione e nello sfruttamento del territorio nell’organizzazione militare e nel disciplinamento sociale.

Vennero costruite e attivate importanti opere idrauliche capaci di fornire nuove risorse energetiche e opportunità produttive.

Regolando l’afflusso delle acque si dotò così la città dell’energia idraulica che avrebbe mosso decine e decine di ruote per le attività di molitura e per le produzioni tessili. Nel 1208 si intra- presero i lavori di scavo del Navile, che convogliando a valle della città le acque del canale di Reno, raggiungeva le valli del territorio ferrarese, favorendo ulteriormente i tradizionali rapporti commerciali verso il delta padano.

In quegli stessi anni si tracciò anche l’amplissima terza cinta cittadina, la Circla, che giunse a contenere e proteggere sia i tratti più vicini delle nuove canalizzazioni e delle principali strade d’accesso alla città, sia le zone agricole limitrofe. Questa terza cerchia, lungo il sedime dellla quale sorgono gli odierni viali di circonvallazione, scanditi dall’antica sequenza delle porte, un tempo soglia di ingresso della città, segna l’attuale perimetro del centro storico.

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1: Schema del reticolo delle acque storiche.

2: L’antico sistema dei corsi d’acqua Bolognesi 3-4: Elementi Porticati tipici.

Fonti: R. DondariniI, Breve Storia di Bologna, Pacini Editore, 2007.

Biblioteca Digitale Archiginnasio.

Storiaememoriadibologna.it inbologna.it

I canali rappresentavano un elemente fondamentale dell’eco- nomia e dell’urbanistica medioevale; la disponibilità di acqua corrente e continuamente rinnovata consentiva infatti di utiliz- zarla non solo per nutrirsi, lavarsi, abbeverare gli animali, irrigare campi, orti e giardini, ma anche per smaltire rifiuti, lavare strade e fogne, allontanare i residui delle macellazioni, delle conciature delle pelli o di tutti quei processi produttivi che ne richiedevano in abbondanza. Oltre a rinnovarsi l’acqua corrente apportava energia da catturare con le ruote idrauliche che muovevano alberi e gli ingranaggi delle macchine destinate alla molitura dei grani, alla macina di olive e castagne, alla follatura di pelli, panni e carta, alla battitura dei metalli, alla filatura della seta, all’affilatura delle lame, al taglio e alla tornitura di legnami. Infine il deflusso consentiva di riempire e rendere più efficienti i fossati scavati attorno alle cinte murarie, dove, fra l’altro, si poteva esercitare la pesca. Questo quadro aveva però una grave limitazione di fondo: il regime torrentizio dei fiumi appenninici, che nell’arco di un anno passano dalle magre estive, alle piene autunnali, rischiando di apportare più danni che benefici.

La soluzione più opportuna per scongiurare i relativi pericoli è quella di andare a intercettare i corsi naturali con chiuse che permettano di deviare verso l’abitato acque relativamente con- tingentate,selezionate e liberate dai più pericolosi corpi traspor- tati, come tronchi e lastre di ghiaccio, rendendo più semplice la gestione delle acque urbane.

Fu per questi motivi che le costruzioni delle chiuse del Savena alla Ponticella di San Ruffillo e del Reno a Casalecchio presu- mibilmente risalenti alla seconda metà del XII secolo, furono fondamentali per la vita economica della città, anche se esisto- no indizi che impianti simili fossero funzionanti anche nei secoli precedenti.

Sul corso dei canali - che inizialmente andavano a lambire la cinta urbana detta “del Mille”o dei Torresotti, ma che poi furono in parte inglobati dentro il grande perimetro della Circla - sorse- ro infatti numerosi mulini e gualchiere che il Comune acquisì per ricederli in affitto. Man mano alle gualchiere, che servivano per la follatura dei panni di lana, si affiancarono nel corso del XIII e soprattutto del XIV secolo, i filatoi da seta, impiantati in seguito all’immigrazione di artigiani lombardi e lucchesi, industria che diventerà centrale nel sistema economico della città.

L’importanza del canale di Reno e deil’industria tessile è dimo- strata dai numeri dei molini dedicati a questa attività, nel 1250 questi erano concentrati all’interno delle mura, nel 1393 il ca- nale alimentava 50 ruote di cui 15 da grano e 16 da seta, alla fine del Seicento erano 400 di cui 353 da seta.

I canali oltre le mura erano inoltre importanti vie d’acqua com- merciali per il trasporto di merci e collegavano il centro cittadino con le zone dell’oltre Po e del Ferrarese, funzione assodata fin dall’epoca della dominazione Romana.

In questo periodo storico ha origine un altro elemento archi- tettonico fortemente incisivo sul carattere e sull’immagine della città storica, il portico.

Questo è un elemento comunemente diffuso negli edifici all’in- terno della terza cerchia, la circla, corrispondente al perimetro dell’ attuale centro storico della città e sede degli odierni viali di circonvallazione.

La lunghezza complessiva di questo sistema diffuso raggiunge i 38 chilometri ed è stato recentemente approvata dall’UNE- SCO la sua candidatura come Patrimonio dell’Umanità.

L’origine di questo elemento Architettonico, che trova corri- spettivi in epoca romana, è da attribuirsi più a cause di natura necessaria che non ad antici riferimenti. Gli spazi porticati erano infatti il risultato di interventi effettuati dai proprietari degli edifici prospicienti le strade per guadagnare spazio nelle anguste città retratte, racchiuse dalle loro ridotte cerchie murarie altomedie- vali. Le modalità di tali interventi appaiono evidenti anche osser- vando le diverse tipologie rimaste: se nei solai superiori al piano terra si allungavano le travature verso l’esterno, ogni edificio poteva essere ampliato con sporgenze aeree. Oltre certe di- mensioni questi “sporti” richiedevano dei sostegni che scari- cassero il loro peso a terra. A sostegno si innalzavano così delle colonne, originariamente prevalentemente in legno, che poggiando su piedi di pietra, andavano a congiungersi alle travi del primo solaio sporgente.

Nei periodi di avvento e di prima affermazione dei comuni citta- dini, quando il potere pubblico non era ancora in grado di tu- telare gli spazi pubblici dagli abusi privati, i percorsi coperti che cosi si venivano ad affiancare alle case non solo sottraevano volumi e superfici alle strade cittadine, ma spesso costituiva- no uno stadio provvisorio prima della definitiva chiusura degli ambienti così ricavati a piano terra. Anche quando uesto non avveniva, questi spazi si rivelavano particolarmente adatti alle attività artigianali e commerciali. Le diffuse invasioni del suolo pubblico giunsero a contendere eccessivo spazio alle già stret- te vie del tempo. Per questo quando gli organi comunali as- sunsero capacità normative sulla loro comunità - grosso modo tra seconda metà del XII e XIII secolo - si pose fine a queste forme di abusivismo, imponendo ai proprietari di abbatterli e proibendone nuove costruzioni senza consenso. È proprio a quest’epoca che si può far risalire la divaricazione della sto- ria dei portici bolognesi rispetto a quelli di altri centri. Anche il Comune di Bologna decise di regolare la situazione a tutela degli spazi pubblici, ma invece di proibire la costruzione di nuovi portici impose che questi si costruissero invece che sul suolo pubblico sul suolo privato, garantendo il passaggio pubblico.

Quest’inversione consentì diffusamente l’ampiamento della dotazione di spazi pubblici sulle strette vie della città storica scaricandone sui privati i costi di costruzione e manutenzione.

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Clima

Bologna presenta un clima temperato umido, con estati molto calde ed umide e inverni piuttosto freddi.

La climatologia della Regione cambia notevolmente in rapporto alla conformazione fisico geografica del territorio (area Appenni- nica e Pianura Padana).

Un altro elemento di forte impatto su alcune variabili climatiche è la presenza di centri abitati, che, in particolare durante il pe- riodo estivo, ha una forte influenza sull’effetto isola di calore, e di conseguenza su parametri come la temperatura superficiale del suolo, la frequenza di notti tropicali (con temperatura mini- ma superiore ai 20°) e il numero di giorni caldi (con temperatura massima superiore ai 30°).

Un analisi di parmetri climatici come la media delle temperature, il numero di giorni caldi, numero di notti tropicali ed altri dimo- strano come, dal 1960 ad oggi, gli effetti del cambiamento climatico e del riscaldamento globale abbiano avuto effetti con- creti e verificabili sul clima della regione.

ARPAE - Osservatorio Clima Emilia-Romagna ha condotto uno studio climatico che descriva i risultati della variabilità climatica futura sulla città di Bologna.

L’orizzonte temporale dello studio è il periodo 2021-2050, valutando i cambiamenti rispetto ai dati climatici di riferimento 1961-1990, prendendo in considerazione la temperatura mi- nima e temperatura massima, campi medi ed estremi.

Il documento include anche un confronto con il clima più re- cente, 1971-2000.

In sintesi si evidenziano i seguenti segnali climatici per il periodo 2021-2050 rispetto al periodo 1971-2000:

● un probabile incremento medio delle temperature minime e massime compreso tra circa 1 .2° e 3 °C per il periodo 2021- 2050 rispetto al periodo di riferimento climatico 1961-1990; le anomalie più forti potranno verificarsi durante il periodo estivo, sia nelle minime che nelle massime;

● un probabile aumento della durata delle onde di calore e delle notti tropicali estive( circa due volte rispetto al periodo 1961-1990).

TEMPERATURE MINIME TEMPERATURE MASSIME TEMPERATURE MEDIE

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