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Capitolo I: La lezione di Socrate

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PARTE PRIMA: SOCRATE

Capitolo I: La lezione di Socrate

1. La “questione” socratica.

La figura di Socrate è considerata nell’antichità e oltre un’emblematica figura di filosofo, di maestro, di saggio; egli è queste tre figure fuse in insieme. Ma Socrate fu onorato e anche ucciso per la stessa ragione. Per le sue azioni, per il suo modo di vivere, per il suo comportamento sempre integro e in perfetta sintonia con la sua ricerca. E il suo modo di fare era eccentrico e provocatorio rispetto al comune modo di vivere e pensare.

Socrate non ha trasmesso il suo sapere, ma ha messo in scena un modo di vivere filosofico che ha come scopo quello di modificare il tipo di vita dei suoi interlocutori. Come viene sottolineato da Hadot, Socrate non ha un sistema da insegnare perché la sua filosofia è un esercizio spirituale, un nuovo modo di vita, riflessione attiva, coscienza vivente

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.

La sua attività è in effetti collegata al motto delfico "conosci te stesso", interpretato come la motivazione ultima del filosofare; come un tafano Socrate assilla i suoi interlocutori a prendersi cura di sé stessi. Socrate ha ribaltato il rapporto tra maestro e allievo, attualizzando quella che si può chiamare

1 P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 2005, p.100.

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un'educazione dell'anima, quell'itinerario a cui ogni uomo è chiamato a realizzare totalmente sé stesso.

Sappiamo dai dialoghi di Platone che Socrate avrebbe potuto cambiare la sua pena o, ancora, fuggire dalla prigione, ma nonostante tutto egli scelse di morire, per rispetto delle leggi ateniesi e per rispetto di se stesso: egli aveva trascorso l’intera vita nella ricerca della comprensione e coerenza interiore. Una coerenza morale di fronte alla morte, ai propri concittadini e soprattutto di fronte a se stesso. Bevve la cicuta con assoluta tranquillità, sereno nella coscienza di aver condotto una vita giusta, nella costante ricerca della virtù e di essersi speso per averla insegnata ai giovani.

Questo è l’ultimo messaggio della filosofia di Socrate: la filosofia come vita e la vita come filosofia.

Voi forse credete, Ateniesi, che sia stato condannato per mancanza di argomenti abbastanza efficaci da persuadervi, convinto di dover fare e dire di tutto pur di sfuggire alla punizione.

Macché! Oh si, sono stato condannato per una mancanza, ma non tanto di argomenti quanto di sfrontatezza e impudenza: per non essermi spinto cioè a pronunciare le parole che più piacevolmente vi avrebbero solleticato l’orecchio, con lacrime e lamenti e vari altri atti e discorsi che pur siete avvezzi a sentire da altri, ma sono – lo ripeto – indegni di me.

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(Plat. Apol.

p.167)

Parlare di Socrate vuol dire trovarsi di fronte ogni tipo di difficoltà di ordine storico. Le testimonianze a nostra disposizione, lo hanno trasformato e idealizzato ma, al di là di queste, Socrate ha comunque lasciato il segno nella tradizione occidentale. Socrate non ci ha lasciato una tecnica per conoscere tutto

2 Platone, Apologia di Socrate, Critone, trad. ital. di M. M. Sassi, Bur, Milano, 1995.

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o per diventare felici, anzi, ci ha insegnato a prendere le distanze dalle false certezze, sociali, morali, intellettuali, perché la ricerca non può avere mai fine e solo attraverso il dialogo si può procedere innanzi nella via della sapienza. Non si è mai sapienti da soli, non si cresce mai da soli, ma sempre insieme ad altri.

La scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l'intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. (...)

3. (Plat. Phaedr. 275 d- e)

In questi passi del Fedro Socrate esprime al suo interlocutore la supremazia dell’oralità sulla scrittura. Questo passo è conosciuto come il “manifesto” della critica platonica al discorso scritto, sull’esempio di Socrate. Attraverso il mito di Theuth, Socrate ci mostra come il faraone Thamus abbia rifiutato il dono della

scrittura offertogli dal dio Theuth in persona. Per Socrate la scrittura non ha in sé una funzione conoscitiva: essa è utile nella misura in cui aiuta a ricordare chi già sa. Le critiche che Socrate muove alla scrittura sono comprensibili in una prospettiva orale, giustificata dal fatto che non abbia lasciato nulla di scritto.

Socrate non ha scritto nulla, non aveva fiducia nella trasmissione del sapere per via della scrittura, e l’assenza di scritti fa sì che sia estremamente difficile ricostruirne la figura e la dottrina. La parola messa per iscritto è semanticamente

3 Platone, Fedro, trad. ital. di P. Pucci, Laterza, Bari, 2007.

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chiusa, non può essere interattiva e da sola non può produrre quella conoscenza della verità in cui consiste il sapere filosofico. Socrate scelse di limitare il suo insegnamento alla parola orale , con ciò “condannandosi” ad essere conosciuto nella storia attraverso altri, ovvero creando la cosiddetta “questione socratica”.

La domanda infatti è: "chi era Socrate?": il Socrate sofista e filosofo naturale delle Nuvole di Aristofane? O il Socrate moralista dei Memorabili di Senofonte?

Ancora, il Socrate ironico e abile dialettico dei dialoghi di Platone? O il Socrate morale di Aristotele che non lo aveva neanche conosciuto personalmente?

Una prima fonte è rappresentata dalle Nuvole di Aristofane, presentate alle Dionisie nel 423 a. C., si classificarono al terzo posto: gli Ateniesi non compresero questa commedia. Chi la capì fu soltanto Socrate, che secondo una tradizione, rimase in piedi durante tutto lo spettacolo per sottolineare che il personaggio satireggiato era proprio lui.

Socrate viene presentato come abitante con i discepoli in un edificio chiamato

Pensatoio, dove passa il tempo in un cesto sospeso in alto come vivendo in un

mondo campato in aria. A questo Socrate si rivolgono un padre ed un figlio: il

padre Strepsiade cerca nell’apprendimento dell’abilità nei discorsi un rimedio

contro i creditori, ma essendo un personaggio rozzo, incolto, (rappresentante

dell'Ateniese medio attaccato solo ai beni materiali) non saprebbe far tesoro dei

consigli di Socrate e gli manda perciò il figlio Fidippide. Ma alla scuola di

Socrate Fidippide apprende anche l’arte di liberarsi dall’autorità paterna, per cui

finisce per insultare e addirittura bastonare il padre. Strepsiade furioso distrugge

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il Pensatoio, accusandoli di corruzione e distruzione non solo dell'autorità paterna ma anche divina.

Il Socrate che emerge da questa testimonianza è quello di un Socrate frainteso, scambiato per un Sofista e naturalista. Socrate è in un pensatoio, cioè in un luogo dove si pensa, e questa è una metafora per indicare una scuola in cui si insegna in segreto; quello che si dice lì dentro è riservato soltanto ai discepoli e non deve essere risaputo fuori della scuola. Socrate poi è presentato su un cesto, sospeso a mezz'aria, e anche questa è una metafora, nel senso che Socrate si stacca da terra per poter contemplare meglio i fenomeni celesti, seguendo uno dei filoni fondamentali della ricerca naturalistica. Socrate è anche occupato in una serie di indagini che Aristofane mette in caricatura, come la ricerca su quanto è lungo il salto della pulce, o su che cosa produca il rumore delle zanzare e via dicendo (vv.

144 - 166). Naturalmente tutto questo serve ad Aristofane per mettere alla berlina l'inutilità di queste ricerche naturalistiche, e anche per denunciarne un pericolo:

chi si dedica alle ricerche naturalistiche in genere è un ateo, non crede negli dèi della tradizione. Vengono invocate le nuove divinità, le Nuvole: il coro della commedia è rappresentato dalle Nuvole, divinità evocate da Socrate. Esse sono il simbolo delle nuove filosofie, divinità potenti, come a dire Aristofane a Socrate, che rendono capaci il ragionamento e l’intelligenza, la battuta e la replica (vv.

314 - 317). Dunque tali ricerche non sono solo vacue, ma sono anche pericolose.

Nello stesso tempo Socrate è uno che insegna a far vincere il discorso peggiore, a

rendere più forte il ragionamento più debole. Aristofane insiste nel presentare

Socrate come un naturalista, che si occupa di indagare le cose del mondo

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sensibile e quelle del mondo ultraterreno. Insomma Aristofane fa di Socrate il rappresentante tipico di tutta la classe dei sofisti e dei filosofi naturali. Socrate è presentato come Sofista da un Aristofane che, in quanto tradizionalista, è preoccupato della decadenza degli antichi ideali di comportamento, della corruzione dei giovani ateniesi e di un appiattimento dei valori morali. Infatti all’epoca di Pericle e molto dopo la sua morte, Atene era diventata il centro della cultura ellenica e tutto ciò che si era prodotto di filosofia, storia etc., aveva trovato accoglienza nella città ateniese: filosofi e ciarlatani, oratori, novatori di musica e poeti venivano a intrattenersi ad Atene e farsi conoscere. Ma il contrasto fra le nuove tendenze e la vita vecchia, diede vita ad una profonda crisi della società, per molti versi legato anche al disfacimento della democrazia e della pubblica morale. Ed è in questo contesto agitato che Socrate acquista consapevolezza della sua missione educativa. Ma questi nuovi influssi negativi dovevano essere incarnati da un unico individuo e chi vi si poteva prestare meglio di Socrate che da tutti era conosciuto, che con quel suo modo di fare attirava i giovani intrattenendo loro con discorsi di ogni genere? Il Socrate di Aristofane è un personaggio letterario, e come tale non è riconducibile al Socrate storico. Poiché di Socrate doveva colpirsi non la persona in quanto tale ma Socrate come minaccia per la coesione morale degli abitanti di Atene, il poeta si prende la libertà di addossare a Socrate i tratti più negativi della cultura filosofica del tempo. Dunque il Socrate delle Nuvole è un buffone e uno straordinario chiacchierone.

Altra testimonianza è quella dei Memorabili di Senofonte in cui l'autore

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sottolinea le varie virtù esemplari di Socrate e lo difende dalle accuse di empietà che lo hanno portato sotto processo. Senofonte non attribuisce a Socrate nessun principio o massima; i Memorabili sono stati scritti senza riserve e restrizioni, sono un documento insigne della pietà e riverenza dello scrittore verso il Maestro. I Memorabili ricordano il processo e la morte di Socrate. Senofonte lasciò Atene nel 401 per partecipare alla spedizione di Ciro il giovane contro il fratello Artaserse e quando tornò in Grecia, nel 394, Socrate era morto già.

Senofonte ebbe modo perciò di frequentarlo soltanto durante gli anni della sua

giovinezza ma non assistette direttamente al processo e alla morte di Socrate. In

questo scritto Senofonte vuole confutare i capi d’accusa e mostrare chi fu

veramente Socrate: viene qui presentato quasi sempre come maestro di vita,

come cittadino modello che obbedisce alle leggi e alle autorità pubbliche, che

obbedisce alle indicazioni del suo demone e in base a questi, dà dei consigli agli

amici. Socrate corregge i vizi e suggerisce virtù con i suoi discorsi. Questo

ritratto di Socrate dipende da uno scopo ben preciso di Senofonte e cioè quello di

dimostrare che contro le accuse che portarono il Maestro alla condanna a morte e

contro i giudizi di chi parava senza neanche conoscerlo, Socrate non solo non

corrompeva i giovani ma li correggeva insegnando loro le virtù. Per Senofonte,

Socrate è un mastro di vita, che vive sotto gli occhi di tutti, che si reca nei portici,

nelle piazze, nei ginnasi per incontrare gente e intrattenersi in dialoghi con chi lo

desiderasse. Ma Senofonte ha disegnato Socrate come una nobile figura mandata

a morire senza motivo; il Socrate di Senofonte è infatti non un filosofo ma un

predicatore, quasi presentato proprio come gli evangelisti presentano Gesù.

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Il Socrate filosoficamente più interessante, invece, è quello ricreato nei dialoghi di Platone, che essendo suo discepolo e filosofo ha avuto gli strumenti più adatti ad interpretare il suo maestro.

Il Socrate che conosciamo dai dialoghi platonici è un uomo pubblico: il responso del dio secondo cui nessuno era più sapiente di Socrate, espresso mediante l’oracolo di Delfi all'amico Cherefonte, gli ha imposto di dedicare la sua vita alla filosofia a favore della sua Atene. Platone ci descrive Socrate come un dialettico che si differenzia però dai Sofisti, i quali raggiravano i cittadini di Atene facendo dell'arte dei discorsi un lucroso mercato e proclamando giusto e vero quello che è più utile a ciascuno.

Il fatto che Platone sia egli stesso filosofo significa non soltanto che si trovò in una posizione privilegiata per comprendere pienamente il significato del messaggio socratico, ma anche che Socrate fu trasformato da Platone, e ciò non aiuta a risolvere il problema di quanto di veramente socratico ci sia nei dialoghi platonici.

Come dice Nietzsche:

il Socrate platonico è propriamente caricatura; egli, infatti, è sovraccarico di qualità che mai si potranno incontrare in una persona sola. Platone non è abbastanza autore drammatico da conservare la stessa immagine di Socrate anche solo in un dialogo. La caricatura è, dunque, persino una caricatura fluida. Invece, i Memorabili di Senofonte danno un'immagine realmente fedele, che è esattamente intelligente, quanto lo era il modello; (...)

4.

4 F. Nietzsche, Frammenti postumi [1875-1876, 6(26)], G. Colli e M. Montinari, OFN, IV, 2, Adelphi, Milano1967, p.342.

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Nietzsche valorizza il Socrate umano di Senofonte, in contrapposizione a quello caricaturale di Platone; i Memorabili, offrono, in modo particolare, un modello imitabile, un libro, che secondo il parere di Nietzsche, bisogna saper leggere. Ma anche Senofonte, per Nietzsche, si è creato un’immagine sua di Socrate, mettendosi a dormire, anche lui, nella prima delle molte anime di Socrate.

Secondo Nietzsche:

Platone ha fatto tutto il possibile per introdurre con le sue interpretazioni alcunché di più delicato e di più nobile nelle tesi del suo maestro, innanzi tutto per introdurvi se stesso, il più audace di tutti gli interpreti, per il quale tutto Socrate non fu che un tema popolare e una canzone di strada sulla quale inserire infinite e impossibili variazioni .

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A differenza di Platone che era discepolo di Socrate, Aristotele non ebbe modo di conoscere il maestro personalmente; il suo interesse per Socrate è puramente teorico. Socrate è per Aristotele una pietra miliare della storia della filosofia perché ha scoperto l’importanza della definizione, è colui che ha individuato l'universalità e il metodo per raggiungerla, cioè il metodo induttivo, che va dal particolare all'universale. Nel I Libro della Metafisica, 987b, Aristotele racconta che Socrate, disinteressandosi dell’universo fisico, si dedicò allo studio delle questioni morali, andò alla ricerca dell’universale in questa sfera e fu il primo ad occuparsi di definizioni.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un filosofo che, a differenza di Senofonte per esempio, ha interpretato filosoficamente il messaggio di Socrate;

5 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, trad. ital. di A. Romagnoli, in Opere, Casini editore, Roma, 1955, p. 718.

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inoltre Aristotele ha potuto tratteggiare un giudizio spassionato di Socrate non essendogli stato legato da nessun legame personale.

Non c'è da meravigliarsi se autori come Senofonte, Platone o Aristotele hanno

tratteggiato letture tanto differenti di Socrate, anche per il modo singolare di

vivere e le domande a volte insolite che poneva.

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