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Parte prima

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Academic year: 2021

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Testo completo

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3 Introduzione

Il lavoro eseguito durante questa tesi ha come oggetto l’analisi del comportamento di oggetti rigidi immersi in una matrice anisotropa, quando questa è sottoposta a deformazione.

In particolar modo in questa tesi viene affrontato il problema dell’uso del senso di rotazione dei porfiroblasti come indicatore cinematico.

La tesi è stata suddivisa in due parti: nella prima parte si affronta l’analisi geologico-strutturale di un caso reale, nella seconda parte si affronta il problema dal punto di vista teorico e della modellizzazione analogica.

E’ comunemente accettato che all’interno di una zona a deformazione non coassiale si sviluppino indicatori cinematici che indicano un senso di taglio coerente con il senso di taglio generale.

In questa tesi è stato affrontato lo studio di un caso naturale apparentemente in contraddizione con quanto presente in letteratura. E’ stata analizzata l’area di Puig de Culip (Cap de Creus, Spagna) dove è presente un’ampia zona di taglio sviluppata durante la seconda fase deformativa caratterizzata da un senso di taglio generale destro evidenziato dalla deflessione della foliazione principale S1. Alla scala dell’affioramento, tuttavia, in tutta l’area sono presenti dei porfiroblasti di andalusite che mostrano sistematicamente una rotazione relativa, contemporanea alla deflessione della foliazione principale S1, in senso antiorario, indicando quindi un senso di taglio opposto rispetto a quello generale.

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nel laboratorio MIET (Modelling and interpretation of tectonic structures) situato presso il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Autonoma di Barcellona. Questa è una tecnica di laboratorio che consente di riprodurre a piccola scala sistemi deformati naturalmente e ha come scopo l’analisi dei processi deformativi a varie scale (da litosferica a mesoscopica) e la verifica di ipotesi di evoluzione deformativa ricavata dallo studio geologico-strutturale sul terreno.

Il vantaggio dei modelli analogici è che offrono l’opportunità di studiare l’influenza dei vari parametri sulla geometria e cinematica dei sistemi deformativi, difficilmente deducibili partendo dall’analisi dei dati reali. Tuttavia, la modellizzazione analogica non si deve intendere unicamente come la riproduzione in scala di situazioni reali, ma come una metodologia destinata a studiare i parametri che influenzano lo sviluppo dei processi geologici, e determinare l’influenza di ciascuno di essi sulla geometria e cinematica.

In laboratorio si è cercato di riprodurre la stessa situazione presente a Puig de Culip, cioè la deflessione della foliazione caratterizzata dalla rotazione in un senso, e gli oggetti rigidi che rappresentano i porfiroblasti caratterizzati da una rotazione relativa in senso opposto, con lo scopo di dimostrare che tale situazione è possibile e congruente con lo sviluppo durante un’unica fase deformativa.

Con questo lavoro si vuole far riflettere sull’utilizzo degli indicatori cinematici rilevati a piccola scala. Il caso di Puig de Culip è la prova che quando si effettuano analisi della cinematica degli eventi deformativi, è bene fare dei confronti tra le strutture presenti a tutte le scale, altrimenti si potrebbero fare interpretazioni errate.

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4 Caratteristiche generali della deformazione non

coassiale

Per la comprensione di questa tesi è utile introdurre alcuni concetti basilari legati alla deformazione.

Lo strain è il risultato di un cambiamento di dimensioni e di forma di un corpo soggetto all’azione di forze. Lo strain può essere omogeneo ed eterogeneo (figura 1), nel primo caso la quantità di deformazione che viene registrata in tutti i punti del corpo è la stessa, linee originariamente rette rimangono tali, linee originariamente parallele rimangono parallele tra loro ed oggetti originariamente sferici diventano di forma ellissoidale; nel secondo caso la quantità di deformazione è diversa nei diversi punti del corpo, linee originariamente rette diventano curve e linee originariamente parallele diventano non parallele.

Per la risoluzione di problemi geologici, l’analisi della deformazione viene solitamente ristretta alla sola deformazione omogenea poichè sarebbe estremamente complicato e di scarsa utilità derivare rigorose equazioni matematiche che descrivono lo stato di deformazione eterogenea. In natura però la deformazione si sviluppa spesso in maniera eterogenea ma, dividendo l’area di studio in domini strutturali di scala opportuna, è possibile approssimare la deformazione interna a tali domini come omogenea.

Quando una roccia si deforma in maniera duttile si ipotizza che il materiale si comporti come un fluido viscoso, quindi la deformazione provoca un flusso che è definito come il movimento d’insieme delle particelle materiali

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Figura 1: Illustrazione dei concetti di deformazione omogenea e disomogenea. Per la deformazione omogenea le linee rette e parallele rimangono tali, ed i cerchi diventano ellissi. I concetti di deformazione

omogenea e disomogenea sono scala dipendenti (Microtectonics, Passchier and Trouw, 2005).

Il flusso può essere coassiale o non-coassiale. Il primo caso si verifica quando gli assi principali dell’ellissoide dello strain (x, y, z) non ruotano durante la deformazione. Nel secondo caso invece gli assi principali dell’ellissoide dello strain subiscono una rotazione durante la deformazione.

Molte strutture geologiche devono il loro sviluppo al flusso eterogeneo e/o non costante delle particelle della roccia durante la deformazione, all’interno delle quali le eterogeneità giocano un ruolo importante in quanto guidano lo sviluppo di domini di flusso con differenti caratteristiche. Quindi durante la deformazione si verifica la ripartizione dei meccanismi di deformazione, della vorticità, dello strain-rate e di altri fattori che si riferiscono tutti allo sviluppo di domini spaziali eterogenei tra loro ma con deformazione omogenea al loro interno.

Il flusso coassiale tende a svilupparsi in materiali isotropi, il flusso non-coassiale è favorito da materiali anisotropi, in particolare da contrasti di competenza, o discontinuità, o anisotropie reologiche planari e/o lineari, o dalla presenza di oggetti rigidi soggetti a rotazione durante la deformazione; inoltre lo sviluppo di anisotropie durante la deformazione

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(es. un fabric cristallografico in una zona di taglio) può indurre il flusso a cambiare da coassiale a non-coassiale.

Per lo studio della coassialità (o non-coassialità) di un flusso è importante introdurre il concetto di vorticità.

Se sulla superficie di un corpo che si deforma come un flusso omogeneo si considerano coppie di punti materiali e si collegano con delle linee rette, il flusso può essere descritto da un tensore L che è funzione del tempo e dello spazio. L può essere scomposto in un tensore simmetrico del tasso di deformazione D, ed un tensore asimmetrico di vorticità W’.

Lij = Dij + W’ij

L’orientazione degli autovettori di D corrispondono agli assi dello stretching istantaneo del flusso (ISA, instantaneous stretching axes), e gli autovalori corrispondono agli stretching principali. W’ descrive la somma della velocità angolare di una coppia di linee materiali ortogonali nel mezzo che si deforma.

La rotazione di una linea materiale deve essere definita rispetto ad un sistema di riferimento, e lo stesso viene fatto per la vorticità. Quindi la componente della vorticità varia a seconda del sistema di riferimento che si decide di adottare, inoltre si può aggiungere anche la possibilità della rotazione del sistema di riferimento stesso.

Quindi W’ deve essere considerato come la somma di due componenti: la componente di spin Ω, e la componente della vorticità interna W. La vorticità interna W rappresenta il tasso di rotazione delle linee materiali parallele agli ISA in ogni istante rispetto agli ISA stessi. Lo spin Ω rappresenta il tasso di rotazione degli ISA rispetto ad un sistema di riferimento esterno.

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d’acqua è più veloce che lungo i margini; se tre pale rotanti intorno ad un asse verticale vengono inserite nel fiume la loro rotazione rifletterà la vorticità del flusso dell’acqua: quelle laterali ruoteranno in senso orario o antiorario, dove il flusso avrà una vorticità positiva o negativa, mentre quella posizionata al centro non ruoterà ed avrà una vorticità nulla.

La quantità della vorticità intesa come somma delle velocità angolari delle linee materiali non è una quantità utile per lo studio dello sviluppo strutturale di un volume di roccia. L’effetto che la vorticità ha sulle strutture indotte dalla deformazione dipende dal rapporto tra la magnitudine della vorticità ed una misura del tasso di deformazione corrispondente. Una misura proposta da Truesdell (1953) è il rapporto tra la vorticità ed il tasso di stretching (S). Questo è chiamato numero di vorticità cinematica (Wk),

molto utile per la classificazione del tipo di flusso che ha interessato il volume di roccia deformato; il suo valore varia da 0 per il taglio puro coassiale, ad 1 per il taglio semplice non coassiale (figura 2), ma può valere anche ∞ per la rotazione rigida.

Figura 2: Tre tipi di visualizzazione del flusso, rappresentati con tre metodi diversi. A sinistra – i grafici rappresentano lo stretching rate (S˙) e la velocità angolare delle linee materiali (ω) contro l’orientazione delle linee (ak). Al centro – distribuzione spaziale delle linee materiali con le frecce indicano il senso

dello stretching rate e della velocità angolare. A destra – vettori della velocità (pattern di flusso). Wk

numero di vorticità cinematica; ISA istantaneous stretching axes; IL orientazione delle linee materiali irrotazionali; FA fabric attractor (Microtectonics, Passchier and Trouw, 2005).

Figura

Figura 1: Illustrazione dei concetti di deformazione omogenea e disomogenea. Per la deformazione  omogenea le linee rette e parallele rimangono tali, ed i cerchi diventano ellissi
Figura 2: Tre tipi di visualizzazione del flusso, rappresentati con tre metodi diversi

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