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Riflessioni Conclusive

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Academic year: 2021

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Riflessioni Conclusive

Dopo aver esposto la natura della diatriba creatasi intorno alla natura del concetto di Nativi Digitali, aver riassunto e commentato le principali posizioni pro e contro di loro e aver tentato di verificare se la loro esistenza fosse riscontrabile – e se si, in quali termini - anche in Italia, occorre riflettere su quali siano stati i risultati ottenuti.

Se è vero che per i sostenitori dei Nativi essi costituiscono una sorta di categoria prediletta, destinata a guidare il mondo grazie alle loro innate doti, per i detrattori essi non sarebbero, pur ammettendo che effettivamente oggi molti ragazzi presentino spiccate caratteristiche legate alla diffusione tecnologica - e quindi, alla fine, ammettendo la loro esistenza - , tutti geni, ma esisterebbero significative differenze tra loro, e ciò si somma, naturalmente, all’evidenza che essi non corrispondano all’intera realtà dei giovani di età uguale o inferiore ai 24 anni.

L’aver dimostrato tutto questo, comunque, non significa certamente aver scardinato l’intero impianto su cui si sostiene la loro identità anche se, senza dubbio, ne abbia fatto vacillare le basi.

Se moltissime prove (più o meno) scientifiche sono state raccolte e utilizzate quando a favore, quando per attaccare l’uno o l’altro schieramento, alla fine si è giunti a un equilibrio alquanto precario in cui l’ago della bilancia che designa quale delle due parti abbia avuto la meglio, sembra aver propeso soprattutto dalla parte dei pro-Native, essendo, come si è visto, stata accettata più o meno universalmente la loro esistenza, malgrado tutte le restrizioni e le aggiustature a cui essa è dovuta sottostare.

Lo stesso Prensky ha ridimensionato il suo punto di vista arrivando a parlare di saggezza1 digitale, e descrivendo una situazione per cui non solo i Nativi, ma anche gli Immigrati, sarebbero capaci di integrarsi perfettamente con il mondo tecnologico, nella costruzione di un futuro migliore e digitalizzato (Prensky 2009).

L’Homo Sapiens digitale si distingue dall’essere umano odierno sotto due aspetti fondamentali: accetta il potenziamento come fattore integrante dell’esperienza umana, ed è digitalmente saggio, sia nel modo in cui accede al potenziamento digitale per integrare le proprie capacità innate, sia nel modo in cui usa quel potenziamento per attuare un processo decisionale migliore.

1 Prensky definisce saggezza come « ⦋…⦌ la capacità di individuare soluzioni a problemi umani

complicati che siano emotivamente soddisfacenti, contestualmente appropriate, creative e pratiche ⦋…⦌» (Prensky 2009, trad. it. p. 19).

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La saggezza digitale trascende il divario generazionale definito dalla distinzione Immigrato/Nativo, difatti molti Immigrati digitali manifestano saggezza digitale (Prensky 2009, trad. it. p. 20).

Tale situazione si trova tuttavia in netta contrapposizione con quelle di coloro che sono dotati di mera destrezza digitale – ovvero chi è solamente molto bravo a manipolare la tecnologia digitale, ma senza essere saggio o motivato a diventarlo di più – e di quelli che, addirittura, sono “affetti” da stupidità digitale, la quale è riferita a chi «⦋…⦌ fa un cattivo uso della tecnologia per sfuggire a situazioni sgradevoli o per danneggiare qualcuno piuttosto che per rafforzare la propria saggezza» (Prensky 2009, trad. it. p. 23).

Oltre a ciò, recentemente si è arrivati a parlare perfino di tardivi digitali, ovvero di coloro che, come i neofiti, sembrano essere stati appena “convertiti” a una nuova religione, verso la quale provano un sentimento di curiosità e venerazione (Vaglio 2012).

Accanto a loro un’altra sottospecie di tardivo è individuata in tutti gli individui che, ostili alle nuove tecnologie, si rifiutano di avvicinarvisi (Cinti 2011), continuando a ricorrere esclusivamente – o quasi – ai media tradizionali.

Ma al di là di ciò, è importante notare come il riposizionamento di Prensky di cui si è parlato, stia a simboleggiare un’apertura determinata dall’evidenza che le “radici” dalle quali erano germogliate le sue iniziali teorie andavano in qualche modo “ritagliate” adeguandole alla realtà dei fatti.

D’altra parte l’evidenza che il termine “Nativi Digitali” abbia continuato nel suo itinerario di diffusione costituisce la prova di una vittoria non così schiacciante nel dimostrare che essi non esistano, ma che anzi, in effetti, ci siano veramente, anche se la loro presenza, come si è visto, non sia da farsi corrispondere a tutti i ragazzi indiscriminatamente.

A questo proposito, studiando la situazione italiana, si può affermare che ciò che si è appena sottolineato corrisponde anche ad essa; le caratteristiche dei Nativi sono presenti anche all’interno della classe dei giovani del Bel Paese, ma esse, tuttavia, non lo sono in maniera uniformemente diffusa, né marcata ed evidente come dovrebbero stando ai canoni di Prensky e, inoltre, vanno a descrivere una realtà nativa, se si vuole, sui generis, non perfettamente aderentente alla tipologia descritta dalla letteratura a essa relativa.

I giovani Italiani, di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono i più tecnologici, specie se maschi e con un background culturale medio-alto, mentre i Nativi Puri – di età compresa tra 0 e 12 anni (Ferri 2011a) - , non lo sono altrettanto.

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Lo status socio-economico a cui appartengono i ragazzi analizzati determina particolari approcci verso le nuove tecnologie, alle quali comunque, in ogni circostanza, si rapportano.

Le loro capacità multimediali – fatta eccezione per quelle “di base” - , tuttavia, non sembrano essere particolarmente sviluppate, se non in concomitanza, presumibilmente, di circostanze specifiche, ovvero per esigenze lavorative e/o di studio e legate, per l’appunto, a titoli di studio più elevati; l’uso delle tecnologie da parte dei giovani rappresenterebbe dunque un problema più culturale che tecnologico.

Se da un lato si rileva un deficit “trasversale” nell’utilizzo formativo e culturale dei nuovi media, questo risulta parallelo a un sovra-utilizzo nel campo dello svago e della comunicazione tra pari2.

Le attività svolte maggiormente sono quelle legate alla comunicazione, associabile alla teoria jenkinsiana della cultura partecipativa.

Le ragazze, in questo campo, sono più attive dei ragazzi, ma la situazione non si replica per il resto delle attività da svolgersi in Rete, così come per quanto riguarda le loro skills con il pc, nelle quali risultano, in generale, meno competenti dei maschi. Alla luce di ciò, il fatto che essi, in Italia, corrispondano maggiormente a una classe di età più “anziana” rispetto a quella che Ferri (2011a) aveva descritto e che i suoi Puri, non presentino le caratteristiche auspicate rappresenta in particolar modo un punto a svantaggio di quanti, senza alcuna remora, avevano dipinto uno scenario completamente popolato da individui ugualmente abili e capaci, senza la minima considerazione di nessuna variabile.

Il genere, lo status socio- economico, la zona geografica di riferimento, il titolo di studio, oltre che, naturalmente, l’età, come si è più volte sottolineato, sono fattori fondamentali da cui è impossibile prescindere, e i sostenitori dei Nativi hanno dovuto prenderne atto.

Per Cosmi (2013), aldilà delle capacità dei giovani Italiani digitali, è importante altresì sottolineare il fatto che essi, dei quali solo il 67,8% di età compresa tra i 15 e i 24 anni mostra tali skills, rappresentano una quota abbastanza significativa, ma non la totalità dei ragazzi compresi nella fascia dei Nativi.

Una volta definita questa situazione restano comunque, poi, anche ulteriori criticità riferibili all’inquadramento di quali siano le conseguenze di tutto ciò, di come sia necessario comportarsi e di quali siano le misure più giuste da adottare sia nei

2 Secondo Gui e Micheli (2012) i “vecchi” mass media svolgerebbero un ruolo importante di

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confronti di questa nuova, eterogenea specie di ragazzi sia rispetto a coloro che, pur essendo Nativi “per età”, effettivamente, non lo sono.

E tutto questo sia a livello Italiano che, naturalmente, a livello mondiale.

Se fin dall’inizio della faida sia sostenitori che detrattori hanno affrontato il problema sotto un punto di vista soprattutto – ma non solo - pedagogico, si è cercato più volte di sottolineare l’importanza della scuola e dell’istruzione nelle vite dei giovani, le quali dovrebbero essere guidate proprio da tali istituzioni in maniera accurata e con l’obiettivo di strutturare un percorso di crescita che miri a far sviluppare correttamente tutte le potenzialità di cui sono dotati e in cui gli insegnanti – Immigrati - siano capaci di andare incontro alle loro esigenze tramite metodi innovativi e digitali.

Il ritardo delle istituzioni formative nel recepire i nuovi strumenti nei propri modelli didattici, come ricordano Gui e Micheli (2012), si rifletterebbe infatti in una carenza per quanto riguarda le cosiddette competenze critiche3 dei Nativi che si mostra prepotentemente come un’emergenza formativa per la popolazione giovane.

Oltre a ciò, considerando che le esperienze d’uso e l’engagement dei giovani on-line sono le più disparate, si rileva il fatto che questo sia dovuto anche dai contesti familiari di provenienza.

Risulta quindi estremamente importante riconsiderare il ruolo degli adulti nelle pratiche digitali dei bambini e dei giovani (Selwyn 2009), poiché essi da un lato potranno indirizzarli verso un impiego dei media digitali che sia critico, consapevole e significativo, mentre dall’altro, il loro compito è anche quello di riconoscere il valore delle forme di comunicazione on-line che le nuove generazioni sviluppano informalmente.

Solo attraverso questa collaborazione intergenerazionale, tutti i ragazzi possono mettere in atto le potenzialità del mondo digitale, sviluppando la propria creatività e facendo della Rete uno strumento di piena partecipazione alla cultura contemporanea. Collegato a questo tipo di visione spesso si trova in prospettiva la preoccupazione di una crescente disuguaglianza digitale, in relazione alla quale è bene sottolineare ancora una volta il fatto che all’interno della generazione dei Nativi Digitali si riscontra una variabilità pari a quella che si può avere tra diverse generazioni per quanto riguarda l’impiego delle nuove tecnologie (Gui e Micheli 2012).

Se è vero che i giovani rappresentano il segmento sociale più familiarizzato con i new media e che, in particolare, sono i maggiori utilizzatori delle piattaforme Web 2.0, le quali indubbiamente offrono numerose opportunità di socializzazione, espressione di

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sé, partecipazione e collaborazione, bisogna comunque astenersi dal focalizzare l’attenzione solo sui ragazzi altamente tecnologizzati, per non correre il rischio di relegare in secondo piano tutti coloro che non hanno le stesse possibilità di accesso o capacità d’uso oppure che sono meno interessati a utilizzarli (Gui e Micheli 2012). Stante questo problema, comunque, non per tutti sembra utile o sufficiente operare in questo senso, poiché in gioco c’è molto di più.

Se è vero che la tecnologia offre indubbiamente – e potenzialmente – la possibilità di accrescere e incrementare le proprie abilità e che, come si è appena visto, i giovani di oggi sarebbero naturalmente predisposti per farlo, dall’altro lato ci si chiede se tutto ciò, tutta questa perpetua connessione non stia portando in realtà a una serie di altre criticità legate al fatto che la tecnologia, se capace, da un lato, di far sviluppare le capacità intellettuali di un individuo, specie se in crescita, e di incrementarne le facoltà, potrebbe condurre verosimilmente anche a un deterioramento delle relazioni umane. Considerando che, come rilevato, le attività predilette svolte su Internet dai Nativi sono maggiormente quelle legate alla comunicazione, la quale avviene sempre più spesso attraverso dispositivi mobili, viene spontaneo pensare che è come se essi fossero diventati «la loro killer app, la loro applicazione vincente (Turkle 2011, p. 350)» e che i ragazzi oggi «sono soli insieme, ognuno in camera sua, ognuno su un computer connesso a Internet o a un dispositivo mobile» (Turkle 2011, p. 351).

Detto ciò risulta necessario ripristinare quei legami che oggi non sembrano esistere più, mirando a un futuro certamente tecnologico ma, auspicabilmente, non asettico come quello che sembra prospettarsi.

Quale sia la soluzione migliore, la via da seguire per accogliere i giovani, siano essi Nativi “a tutti gli effetti”, oppure solo anagraficamente, comprenderli e aiutarli nel loro approccio con i media digitali, i quali, evidentemente, si stanno rivelando come uno strumento basilare di partecipazione alla vita sociale, sembrerebbe quella di un approccio “a tutto tondo”, che coinvolga tanto la scuola quanto le famiglie, le quali dovrebbero essere in grado di fornire gli strumenti necessari, ma soprattutto di guidarli all’interno del nuovo contesto tecnologico, riuscendo, al contempo, a non farli trasformare né in automi instupiditi dal multitasking (Carr 2010), né in prolungamenti dei loro cellulari.

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