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Capitolo 5

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

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5.1. Obiettivi, direttive, legislazione e regole

tecniche di prevenzione incendi

Le disposizioni relative al settore della prevenzione incendi, basate su un approccio prettamente prescrittivo, si sono arricchite, nel corso degli ultimi anni, di strumenti normativi fondati sulla valutazione del rischio incendio e su un approccio professionale della tematica stessa. Per questo motivo, sin dalla fase ideativa del piano di progettazione antincendio, si cerca di integrare i requisiti di sicurezza con quelli del progetto stesso e di individuare le soluzioni più idonee per adeguare la funzionalità ed economicità delle opere con gli obiettivi della sicurezza sanciti dalla legge.

Per poter redigere un piano di sicurezza antincendio, è necessario identificarne inizialmente gli obiettivi e i criteri generali, evidenziandone i capisaldi della progettazione; in seguito occorre individuare sia le direttive comunitarie, che hanno una ricaduta diretta sulla prevenzione incendi, sia l’inquadramento generale sulle leggi e sui regolamenti che disciplinano la sicurezza antincendio, ivi compreso il ruolo dei professionisti.

5.1.1.

Obiettivi e fondamenti di prevenzione incendi e

competenze del CNVVF

L’attività di prevenzione incendi studia ed applica accorgimenti progettuali ed operativi, nonché i modi di azione volti ad evitare l’insorgenza di un incendio ed a limitarne le conseguenze, secondo quanto contenuto nel D.P.R. 29 luglio 1982, n.577, art.2.

La sicurezza in caso d'incendio, in generale, è perseguita mettendo in campo diverse strategie, sia di prevenzione che di protezione. Quest'ultima, a sua volta si distingue in protezione attiva e protezione passiva. Si tratta, in sostanza, di ridurre il rischio entro limiti accettabili, tramite una coerente progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione del piano generale d’intervento.

Da un lato, il progettista analizza i rischi specifici per poter scegliere, tramite misure, provvedimenti e comportamenti, la strategia più idonea per raggiungere lo scopo prefissato nel rispetto delle regole imposte; dall’altro, i destinatari del piano di sicurezza si occupano degli obiettivi, delle regole, e del controllo del piano stesso.

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La prevenzione incendi, secondo il D.Lgs. 8 novembre 2006, art. 13, ha come obiettivo non solo la sicurezza e l’incolumità della vita umana, ma anche la tutela dei beni e dell’ambiente, finalità queste, che sono raggiungibili attraverso azioni e mezzi. Le azioni sono metodi di controllo diretti alla modifica dei parametri critici che caratterizzano il sistema di combustione ed influenzano le condizioni limite della fase di ignizione e della velocità di propagazione del fuoco. I mezzi, invece, sono strumenti adottati qualora si presenti un rischio d’incendio considerato significativo. I mezzi si distinguono in legali (leggi, regolamenti, norme), socioeconomici (incentivi, pressione sociale, educazione, informazione) e tecnologici.

La prevenzione incendi mira perciò al condizionamento dei sistemi di combustione, sia allo stato potenziale (prevenzione propriamente detta), sia allo stato di processo in corso (protezione attiva e passiva). Si ricercano e si applicano, quindi, i principi di controllo dell’incendio, i quali fanno peraltro riferimento a parametri sostanzialmente di tipo statistico, per cui le soluzioni si presentano in forma probabilistica.

La scelta delle misure più idonee per il conseguimento dell’obiettivo sicurezza si compie secondo le seguenti fasi successive:

1) analisi dell’attività dal punto di vista del rischio incendio: fonti d’innesco, possibilità di propagazione e di sviluppo nonché situazioni di pericolo sia per l’uomo che per i beni e per l’ambiente indotte dall’incendio stesso;

2) verifica dell’esistenza di specifiche disposizioni di prevenzione incendi di natura cogente per l’attività in esame e loro applicazione;

3) adozione di ulteriori misure a scelta del progettista, secondo un piano strategico preordinato al conseguimento degli obiettivi generali di sicurezza antincendio.

La sicurezza contro gli incendi è tanto maggiore quanto più si adottano provvedimenti tali da:

− evitare, per quanto possibile, che un incendio abbia inizio;

− consentire che le persone minacciate possano lasciare l’edificio, o essere altrimenti soccorse;

− garantire la capacità portante dell’edificio per un periodo di tempo determinato;

− limitare la produzione e la propagazione del fuoco e del fumo all’interno dell’edificio;

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361 − limitare la propagazione del fuoco ad edifici vicini e consentire

l’intervento efficace delle squadre di soccorso tutelando nel contempo la loro sicurezza.

Fondamentale è il controllo dell’attuazione delle disposizioni di prevenzione incendi, assegnata al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, come stabilisce l’art. 14 del D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139. Infatti, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, dopo aver eseguito i controlli e accertato la rispondenza degli impianti alle prescrizioni di sicurezza, rilascia il “certificato di prevenzione” che ha validità pari alla periodicità delle visite.

5.1.2.

Direttive

comunitarie

con

ricaduta

sulla

prevenzione incendi

Esistono direttive europee che trattano il requisito della sicurezza in caso di incendio, in merito ai prodotti da costruzione definiti, appunto, come quei prodotti destinati ad essere incorporati permanentemente in opere di costruzione. Tale argomento è stato introdotto prima dalla Direttiva 89/106/CEE, poi dal relativo documento interpretativo e, infine, ripreso dal Regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento Europeo.

Queste direttive fissano le condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, decretando:

1. i metodi di attestazione di conformità; 2. le caratteristiche tecniche;

3. i termini di impiego per prodotti privi di marcatura CEE ovvero con marcatura CEE non conforme al presente decreto;

4. l’individuazione di prodotti e le relative norme armonizzate di riferimento;

5. il sistema di attestazione della conformità;

6. le caratteristiche tecniche da dichiarare a cura del fabbricante. Tali procedure devono essere precisate dalla Commissione Europea, previa consultazione del Comitato Permanente per la costruzione, conformemente alle caratteristiche particolari di un dato prodotto o di un gruppo di prodotti specifici.

I prodotti da costruzione devono essere immessi sul mercato descrivendo le loro prestazioni in relazione ad un determinato numero di caratteristiche che influiscono sui requisiti essenziali delle

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costruzioni. A tale riguardo, essi devono consentire la realizzazione di opere che soddisfino, per una durata di vita economicamente accettabile, i requisiti in materia di resistenza meccanica e stabilità, di sicurezza in caso d’incendio, d’igiene, di sanità e di ambiente, di sicurezza di utilizzazione, di protezione dal rumore, di economia di energia e di isolamento termico.

I prodotti dichiarati conformi alla direttiva, ma che non soddisfano i requisiti essenziali, e che, quindi, presentano un pericolo per la sicurezza e la salute, possono essere temporaneamente ritirati dal mercato degli Stati membri. Qualora la non conformità sia dovuta a specificazioni tecniche, all’applicazione o a lacune delle stesse, la

Commissione deciderà, previa consultazione del Comitato

Permanente per la costruzione, se la specificazione tecnica europea o nazionale deve continuare o meno a beneficiare della presunzione di conformità.

Le suddette direttive governeranno la produzione e distribuzione dei materiali e dei prodotti nel mondo dell’edilizia per il prossimo futuro ponendo attenzione alle microimprese, alla difesa della salute dei lavoratori, alla difesa dei commercianti e a quella dell’ambiente.

5.1.3.

Legislazione sulla sicurezza antincendio

È interessante ripercorrere l’evoluzione storica della prevenzione incendi italiana analizzando, per sommi capi, il quadro di riferimento normativo dal 1941 al 2012.

In precedenza, la normativa in tema di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro ha coinciso, nella sua accezione più ampia, con la nascita della legislazione sociale di tutela dei lavoratori dipendenti e quindi con la rivoluzione industriale.

Con il D.M. del 31/07/1934 - Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi – si iniziano ad affrontare alcuni aspetti considerati rilevanti ai fini della sicurezza.

Tuttavia è nel Codice Civile che si possono trovare le premesse generali della moderna politica della sicurezza sul lavoro. Infatti, per la prima volta ed in termini assolutamente nuovi, tale Codice prende in considerazione questa problematica introducendo una Norma fondamentale nell’art. 2087: questo prevede l’obbligo da parte del datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono

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363 necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Viene così configurato, anche se solo sotto l’esclusivo profilo legislativo, il “dovere di sicurezza” che, in seguito, con la promulgazione della Nuova Carta Costituzionale, ne diviene uno dei principi fondamentali del Diritto del Lavoro. La Costituzione, inoltre, riconosce la salute “… quale diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività …” (art.32).

In pratica, la vera e propria prevenzione incendi nasce con la Legge 27/12/1941, n.1570 - Nuove norme per l’organizzazione dei servizi antincendi, che istituisce il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, “… il quale è chiamato a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di soccorsi tecnici in genere” (art.1). Per la prima volta si associa al tradizionale compito d’estinzione quello della prevenzione incendi (art.22), senza, però, prevedere alcuna procedura ed organizzazione.

Per una migliore definizione del servizio, si deve attendere il D.P.R. 27/04/1955, n. 547 - Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il quale associa la prevenzione incendi alla prevenzione antinfortunistica, definendo quindi la filosofia “primordiale” della materia, vista unicamente quale garanzia di sicurezza per i lavoratori. Gli articoli dal 33 al 37 riguardano, nello specifico, la difesa contro gli incendi e stabiliscono che in tutte le aziende o lavorazioni, soggette al decreto stesso, debbano essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e tutelare l’incolumità dei lavoratori in caso d’incendio. Il regolamento elencante le tipologie d’attività soggette a controllo è il D.P.R. 26/05/1959, n.689 - Determinazione delle aziende e lavorazioni soggette, ai fini della prevenzione degli incendi, al preventivo esame ed al collaudo del comando dei vigili del fuoco, che riporta 61 fattispecie distinte in due tabelle (A e B), secondo la classificazione evidenziata dall’art. 36 del D.P.R. 547/55. Tuttavia, non vi è specificato in cosa consista il collaudo, con quali modalità debba essere condotto, quali atti e quale forma lo definiscano.

Alcuni anni più tardi, la Legge 13/05/1961, n.469 - Ordinamento dei servizi antincendi e del corpo nazionale dei vigili del fuoco e stato giuridico e trattamento economico del personale dei sottufficiali, vigili scelti e vigili del corpo nazionale dei vigili del fuoco, attribuisce al Ministero dell’Interno i servizi di prevenzione ed estinzione degli incendi.

La svolta parziale è introdotta dalla Legge 26/07/1965, n.966 - Disciplina delle tariffe, delle modalità di pagamento e dei compensi al

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personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per i servizi a pagamento. Infatti, oltre a stabilire l’onerosità dei servizi non urgenti tra cui la prevenzione incendi, l’art.2 obbliga enti e privati a richiedere “… le visite ed i controlli di prevenzione incendi ai locali adibiti ai depositi ed alle industrie, determinati in conformità a quanto stabilito dall’art. 4, nonché l’esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni o di modifiche di quelli esistenti, delle aziende e lavorazioni di cui agli articoli 36 e 37 del DPR 547/55 ed alle tabelle A e B annesse al DPR 689/59 …”. L’art.4 rinvia ad un successivo decreto interministeriale la determinazione delle industrie pericolose e dei depositi soggetti ai controlli di prevenzione incendi, nonché la periodicità delle visite. Inoltre, in tale articolo si introduce il Certificato di Prevenzione, che ha validità temporale limitata ed è rilasciato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dopo aver eseguito i controlli e accertata la rispondenza degli impianti alle prescrizioni di sicurezza. Esso, come precisato da disposizioni successive, è un atto esclusivamente tecnico che può essere rilasciato solo alle attività riscontrate in regola con le vigenti disposizioni

tecniche o criteri di sicurezza ai fini della prevenzione incendi. La

competenza dei comandi provinciali è limitata all’aspetto della sicurezza antincendio.

Inizia così un periodo di confusione e sovrapposizioni che non è stato più sanato, i cui effetti si ritrovano ancora oggi.

Successivamente sono stati emanati il D.P.R. 16/02/1982, che determina quali sono le attività soggette alle visite di prevenzione incendi, e il D.P.R. 29/07/1982, n.577 - Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi, che definisce la prevenzione incendi “materia di rilevanza interdisciplinare, nel cui ambito vengono promossi, studiati, predisposti e sperimentati misure, provvedimenti, accorgimenti e modi d’azione intesi ad evitare, secondo le norme emanate dagli organi competenti, l’insorgenza di un incendio ed a limitarne le conseguenze”.

Tre anni dopo viene sancito il D.M. 08/03/1985 che stabilisce le direttive sulle misure più urgenti ed essenziali di prevenzione incendi ai fini del rilascio del nullaosta provvisorio, di cui alla Legge 7/12/1984, n.818.

In seguito, vengono decretati il D.P.R. 12/01/1998, n.37, che stabilisce il regolamento recante la disciplina dei provvedimenti relativi alla prevenzione incendi, il D.M. 48/05/1998, che riguarda le disposizioni relative alle modalità di presentazione ed al contenuto

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365 delle domande per l’avvio dei procedimenti di prevenzione incendi e il D.M. 10/03/1998 che riguarda i criteri generali di sicurezza antincendio e di gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro. Quest’ultimo viene tuttora applicato nelle costruzioni.

Più recentemente, nel D.Lgs. 08/03/2006, n.139 - Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge n.229 del 29 luglio 2003, la materia sulla prevenzione incendi viene definita, dall’articolo 13, “… funzione di preminente interesse pubblico diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell’ambiente attraverso la promozione, lo studio, la predisposizione e la sperimentazione di norme, misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione intesi ad evitare l’insorgenza di un incendio e degli eventi ad esso comunque connessi o a limitarne le conseguenze …”.

Più tardi subentra il D.Lgs. 09/04/2008, n.81, integrato dal d.Lgs. 03/04/2009, n.206 che racchiude in sé il D.Lgs. 14/08/1996, n. 494 e il D.Lgs. 19/09/1994, n.62, riguardanti la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il 7 ottobre 2011 entra in vigore il D.P.R. 11 agosto 2011, n.151 che stabilisce un determinato regolamento recante semplificazione ai procedimenti di prevenzione incendi. Con questo D.P.R. vengono così automaticamente abrogati il D.P.R. 26/05/1959 sulle aziende e lavorazioni soggette, il D.M. 16/02/1982 sulle modificazioni alle lavorazioni soggette e il D.P.R. 12/01/1998 sul regolamento e la disciplina e i procedimenti di prevenzione incendi.

In questo nuovo decreto viene introdotto il “principio di proporzionalità” che correla le 97 attività del D.M. 16/2/1982 a tre categorie A, B e C individuate in base alla gravità del rischio, della dimensione o comunque del grado di complessità (semplice, mediamente complessa e complessa) che contraddistingue l’attività stessa, prevedendo per ognuna di esse diversi adempimenti. [1]

Infine, in sostituzione del D.M. 04/05/1998, viene emanato il D.M. 07/08/2012, in materia di “Disposizioni relative alle modalità di presentazione delle istanze concernenti i procedimenti di prevenzione incendi ed alla documentazione da allegare”.

Solo dieci o quindici anni fa la visione della materia era abbastanza diversa ed anche i professionisti preparati erano molto pochi; oggi la cultura della prevenzione è senz’altro più diffusa, ma si scontra ancora con grandi problematiche.

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5.2. Fisica e chimica dell’incendio

L’innesco di un incendio è determinato di solito da una modesta sorgente di energia che viene a contatto con materiali combustibili. Può essere provocato da diverse cause sia naturali (autocombustione, fulmini) sia accidentali (negligenza, distrazione, uso inappropriato di sorgenti di energia, imprudenza, ignoranza) che per motivi volontari (dolo).

L’incendio consiste in una combustione dell’ossigeno nell’atmosfera e spesso avviene in un luogo non predisposto ad accoglierla e, per tale motivo, sfugge al controllo dell’uomo. La severità dell’incendio dipende da molteplici fattori, come ad esempio dalla quantità dei materiali combustibili e dalla loro distribuzione (definito carico d’incendio), dalla tipologia dei materiali con riferimento alla loro velocità di combustione, dalle caratteristiche delle aperture presenti nel compartimento e loro distribuzione (definita ventilazione degli ambienti) ed infine dalla geometria del compartimento.

E’ necessario, quindi, studiare la dinamica dell’incendio per capire come si sviluppa durante il suo processo e cercare di individuare quali sono le misure di prevenzione e protezione più idonee da applicare.

5.2.1.

Dinamica dell’incendio

Per definizione l’incendio è una combustione incontrollata che si sviluppa senza limitazioni di spazio e di tempo, dando luogo a calore, fumo, gas e luce. Affinché si verifichi, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali che costituiscono il cosiddetto “triangolo del fuoco” (Fig.5.2.1.1):

− combustibile

− comburente (ossigeno presente nell’aria) − fonte di innesco (calore)

Tale immagine indica che le condizioni che innescano l’incendio si trovano solo all’interno dell’area del triangolo; quando, però, uno dei tre elementi viene a mancare, la combustione non avviene o se è già in corso si estingue.

Fig. 5.2.1.1 Triangolo del fuoco

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367 Per spegnere un incendio si può, quindi, ricorrere a tre sistemi:

− esaurimento, allontanamento o separazione del combustibile; − soffocamento, ovvero riduzione percentuale del comburente al

di sotto della soglia minima;

− raffreddamento mediante sottrazione del calore al fine di ottenere una temperatura inferiore alla temperatura necessaria al sostentamento della combustione.

In effetti, però, la combustione è una reazione a catena, ovvero una reazione nella quale le molecole iniziali (combustibile ed ossigeno) si trasformano nel prodotto finale attraverso stadi intermedi, collegati insieme come le maglie di una catena.

Il quarto fattore necessario per la combustione è rappresentato dall’ossigeno e dal calore; infatti, la presenza dei radicali liberi determina le fiamme e lo sviluppo di calore. Recentemente, a causa della scoperta della presenza di questo quarto elemento nelle teorie antincendio, si parla di tetraedro del fuoco (Fig.5.2.1.2).

Fig. 5.2.1.2 - Tetraedro del fuoco

Tenendo in considerazione il tipo di combustibile, secondo la norma UNI EN 2, gli incendi si possono suddividere nelle seguenti classi (Tab.5.2.1.1):

 CLASSE A – fuochi di solidi detti fuochi secchi

 CLASSE B – fuochi di idrocarburi solidificati o di liquidi

infiammabili detti fuochi grassi

 CLASSE C – fuochi di combustione gassosi  CLASSE D – fuochi di metalli

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 CLASSE F – fuochi di oli, grassi animali o vegetali

CLASSIFICAZIONNE DEI FUOCHI

Classe Tipo di combustione Agente estinguente

A

Fuochi di materiali solidi, combustibili e infiammabili, generalmente di natura organica, la cui combustione avviene con produzione di braci ardenti allo stato solido

Acqua (raffreddamento)

Polvere polivalente (agisce sulle reazioni di ossidazione)

B Fuochi di materiali liquidi o solidi che possono

liquefarsi

Acqua a getto frazionato

Schiuma, polvere polivalenti o CO2 (separazione tra combustibile e comburente)

C

Fuochi di materiali gassosi infiammabili Acqua a getto frazionato

Schiuma o polveri polivalenti

(inibizione chimica)

D Fuochi di sostanza chimiche spontaneamente

combustibili o metalli

Variabile a seconda del tipo di materiale coinvolto

Tab. 5.2 1.1 - Classificazione dei fuochi

Gli incendi, in funzione della velocità di combustione, sono poi suddivisi in incendi a sviluppo lento oppure in incendi a sviluppo rapido, a seconda che nella fase iniziale si abbia un’emissione più o meno intensa di calore, di fiamma e di prodotti della combustione. Per quanto riguarda, invece, il tipo di fuoco, si distinguono generalmente due categorie: gli incendi covanti e gli incendi aperti. Per incendio covante si intende un incendio caratterizzato dall’assenza di fiamma e dal fatto che, non essendo in grado di autoalimentarsi, richiede continuo apporto di energia (con eccezione degli incendi covanti incandescenti). Per incendio aperto si intende, invece, un incendio che presenta fiamme e che, dopo la sua accensione, si autoalimenta.

Nel Testo Unico viene data la seguente definizione di incendio:

“…per incendio si intende una combustione di materiali, autoalimentata, che si sviluppa senza controllo nel tempo e nello spazio…”.

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369 La conoscenza dello sviluppo dell’incendio è necessaria per poter definire le misure di protezione antincendio da adottare in presenza di eventuali rischi.

L’andamento di un incendio può essere rappresentato graficamente in funzione del tempo e della temperatura dei gas di combustione, tramite la cosiddetta curva di incendio. Tale curva sintetizza le quattro fasi di evoluzione di un incendio, ossia:

1. la fase iniziale o di ignizione, 2. la fase di propagazione,

3. la fase di incendio generalizzato (flashover)

4. la fase che riguarda l’estinzione e il raffreddamento (Fig.5.2.1.3).

La fase di ignizione rappresenta la fase iniziale dell’incendio dove i vapori delle sostanze combustibili, siano esse solide o liquide, iniziano il processo di combustione che è facilmente controllabile.

La fase di propagazione è caratterizzata da basse temperature e scarsa quantità di combustibile coinvolto. In questa fase il calore si propaga e si determina un lento innalzamento della temperatura con emissioni di fumo.

La terza fase, quella dell’incendio generalizzato, consiste nell’innalzamento molto elevato della temperatura (circa 1000°C), in cui tutti i materiali partecipano alla combustione che risulta incontrollabile.

La fase di estinzione e raffreddamento è, infine, quello stato conclusivo della combustione che avviene per esaurimento (termine dei combustibili) o per soffocamento (termine del comburente) con il successivo raffreddamento della zona interessata dall’incendio.

Tra la fase di propagazione e la fase di incendio generalizzato si ha il cosiddetto flashover, ovvero si verifica, in un breve intervallo di tempo, un brusco innalzamento della temperatura (dell’ordine di circa 600°C in un tempo variabile dai 15 ai 30 minuti) ed un aumento della quantità di materiale combustibile che partecipa alla combustione.

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Fig. 5.2.1.3 - Rappresentazione curva antincendio

In ogni caso la velocità di propagazione di un incendio dipende dalle caratteristiche del materiale combustibile (potere calorifico, porosità, distribuzione e quantità del combustibile nel locale), dalle condizioni ambientali (temperatura, pressione, composizione e umidità dell’aria, direzione e velocità del vento), dalla forma e dimensione del locale e dalle proprietà termiche delle strutture che delimitano il locale o che sono in esso contenute.

Gli effetti dell’incendio e le sue conseguenze dannose, ad esso connesse, possono risultare molto differenti in base alle diversità dei luoghi in cui essi si sviluppano (all’aperto, in ambienti chiusi, in luoghi interrati, a grande altezza, etc.).

Per esempio l’incendio innescato in un luogo chiuso, può propagarsi sia orizzontalmente, attraverso le porte lasciate aperte, che verticalmente, attraverso le scale non protette, impedendo così ai presenti di utilizzare le vie di esodo. Invece, in un incendio all’aperto, la propagazione si manifesta soprattutto in direzione orizzontale e non verticale, producendo condizioni meno pericolose per l’uomo rispetto ad un incendio chiuso, anche se lo sviluppo di energia termica è notevolmente maggiore.

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5.2.2.

Misure di prevenzione degli incendi

In funzione dei rischi si devono determinare opportune misure di prevenzione e protezione, che hanno l’obiettivo di eliminare e/o ridurre la probabilità dell’insorgere degli incendi.

Le misure di prevenzione si ottengono mediante: l’organizzazione di un efficiente sistema di vie di uscite di emergenza (in base a quanto sancito nell’allegato IV del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. e nell’allegato III del D.M. 10 marzo 1998), la predisposizione di una specifica segnaletica e di idonee misure atte a garantire una rapida segnalazione d’incendio a tutti i presenti nei luoghi di lavoro, l’installazione sia di dispositivi di estinzione incendi (estintori portatili e carrellati, idranti e naspi), in numero e capacità appropriata, che di efficienti impianti di spegnimento automatico e/o manuale d’incendio in tutte le aree o locali a rischio specifico d’incendio (come ad esempio archivi, magazzini, depositi contenenti sensibili quantitativi di materiali combustibili). Inoltre occorre che tutti i dispositivi di rivelazione e di allarme incendio siano oggetto di costante controllo e di prove periodiche di funzionamento affinché mantengano nel tempo adeguata efficienza.

Infine, bisogna garantire ai lavoratori una completa formazione ed informazione sul rischio d’incendio legato all’attività ed alle specifiche mansioni svolte, sulle misure di prevenzione adottate nei luoghi di lavoro, sull’ubicazione delle vie d’uscita, sulle procedure da adottare in caso d’incendio, sulle modalità di chiamata di soccorso degli Enti preposti alle gestione delle emergenze, sulle esercitazioni periodiche di evacuazione dai luoghi di lavoro etc..

Le misure di protezione hanno, invece, lo scopo di contenere al minimo, nello spazio e nel tempo, i danni prodotti da un incendio in modo da limitarne le conseguenze; esse si distinguono in misure di protezione attiva e di protezione passiva.

La protezione attiva mira ad abbassare la frequenza degli incendi di intensità superiore ad una certa soglia, tramite la loro rivelazione precoce e la loro estinzione rapida nella prima fase di sviluppo, ovvero tiene sotto controllo gli incendi e i loro effetti tramite interventi svolti da persone o da dispositivi automatici (impianti di rivelazione automatica d’incendio, impianti di allarme, di controllo e scarico dei fumi, impianti fissi di spegnimento, impianti di illuminazione di sicurezza).

La protezione passiva mira, invece, a contenere i danni delle strutture entro limiti riferibili ad una soglia di intensità degli incendi correlata al

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sistema potenziale di combustione e a limitare gli effetti nocivi dei prodotti della combustione. Sono sistemi, quindi, che tengono sotto controllo gli incendi e i loro effetti tramite sistemi integrati nella struttura dell’edificio o nelle sue parti, senza richiedere particolari operazioni al momento dell’incendio.

La scelta del sistema passivo o attivo o la combinazione di entrambi deve, quindi, essere guidata da criteri basati sull’analisi dei rischi e sulla valutazione dei costi e dei danni presunti.

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5.3. Tecnologia dei materiali e delle strutture di

protezione passiva

Gli incendi rappresentano da sempre un fattore di rischio per la vita e per le attività umane, per cui nel corso del tempo si sono continuamente cercate metodologie per prevenirli e strumenti per combatterli. In particolare, con l’aumento della concentrazione delle persone negli spazi chiusi o comunque limitati, e con l’aumento delle attività potenzialmente pericolose, il rischio incendio è diventato uno dei pericoli più comuni. Per questo motivo la protezione dal fuoco è diventata una necessità primaria per evitare danni a cose e persone. Essa si sviluppa attraverso le misure di protezione passiva.

In merito alla protezione passiva dal fuoco, l’evoluzione della normativa e, di conseguenza, le scelte progettuali nel calcolo delle strutture, i materiali e le tecnologie ad esse legate, hanno subito nel tempo una grande trasformazione. Infatti, le normative odierne sulla resistenza al fuoco degli elementi strutturali e separanti e, più in generale, sulla prevenzione incendi, modificano l’approccio alle metodologie precedenti riguardanti il calcolo della resistenza al fuoco delle strutture. Queste norme sono: il D.M. 16/2/2007 “Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione”, il D.M. 9/3/2007 “Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco” e il D.M. 9/5/2007 “Direttive per l’attuazione dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio”.

Dopo aver effettuato un’attenta analisi del progetto in esame, nei prossimi paragrafi si analizzeranno le misure di protezione passive che vi sono state individuate ed applicate.

5.3.1.

Carico d’incendio

Il D.M. 9/3/2007 definisce due concetti fondamentali per la determinazione delle prestazioni di resistenza al fuoco che devono avere le costruzioni, quali: la classe di resistenza al fuoco indicata come “ … intervallo di tempo, espresso in minuti, definito in base al carico di incendio specifico di progetto, durante il quale il compartimento antincendio garantisce la capacità di compartimentazione …” e il carico d‘incendio specifico di progetto (qf,d) definito a sua volta come “… carico d’incendio specifico corretto

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in base ai parametri indicatori del rischio d’incendio del compartimento e dei fattori relativi alle misure di protezione presenti”. Quest’ultimo parametro costituisce proprio la grandezza di riferimento per le valutazioni della resistenza al fuoco delle costruzioni.

Il carico di incendio specifico di progetto (qf,d), espresso in MJ/m2, si

ottiene moltiplicando il carico d’incendio specifico (qf), funzione dei materiali combustibili presenti e quindi della destinazione d’uso, per gli indicatori del rischio di incendio e delle misure di protezione presenti. In particolare, qf,d dipende dalla dimensione del compartimento (superficie in pianta lorda), dal tipo di attività svolta nel compartimento, dai materiali combustibili presenti e dalle misure di protezione previste all’interno del compartimento.

Il D.M. 9/3/2007, inoltre, stabilisce 5 livelli di prestazione, crescenti dal I al V, da richiedere ad una costruzione in funzione degli obiettivi di sicurezza. I livelli di prestazione comportano l’adozione di differenti classi di resistenza al fuoco, anche in funzione del carico d’incendio specifico di progetto.

Nel I livello di prestazione non è richiesto nessun requisito specifico di resistenza al fuoco.

Nel II livello di prestazione è richiesto il mantenimento dei requisiti di resistenza al fuoco per un periodo sufficientemente adeguato all’evacuazione degli occupanti verso un luogo sicuro esterno alla costruzione. Tale condizione può ritenersi appropriata per costruzioni fino a due piani fuori terra ed un piano interrato, destinate ad un’unica attività non aperta al pubblico. Le classi di resistenza al fuoco necessarie per garantire il II livello di prestazione, indipendentemente dal valore assunto dal carico di incendio specifico di progetto, sono:

− 30 per costruzioni ad un piano fuori terra, senza interrati;

− 60 per costruzioni fino a 2 piani fuori terra ed un piano interrato.

Nel III livello di prestazione è richiesto il mantenimento dei requisiti di resistenza al fuoco per un periodo congruo alla gestione dell’emergenza.

Le classi di resistenza al fuoco necessarie per garantire il livello III di prestazione sono tabulate da 0 a 240, in funzione del valore di carico di incendio specifico di progetto.

(19)

375 Nel IV livello di prestazione i requisiti di resistenza al fuoco devono essere tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, un limitato danneggiamento della costruzione.

Nel V livello di prestazione i requisiti di resistenza al fuoco, invece, devono essere tali da garantire, dopo la fine dell’incendio, il mantenimento della totale funzionalità della costruzione stessa.

I livelli IV e V possono essere oggetto di specifiche richieste da parte del committente o essere previsti dai capitolati tecnici di progetto; possono inoltre essere richiesti dall’autorità competente per costruzioni destinate ad attività di particolare importanza.

Per ogni elemento costruttivo di un compartimento può essere richiesta la resistenza al fuoco secondo i criteri REI.

Nel caso in esame si è calcolato il carico d’incendio relativo al deposito adiacente alla zona bar-ristoro all’interno del centro commerciale e si è individuato l’installazione di una porta EI 60, così come prevede il D.M. 27 luglio 2010, ma per aumentare la resistenza si potrebbe installare anche una porta EI 90. (Vedi allegato)

5.3.2.

Resistenza al fuoco delle strutture

La resistenza al fuoco delle strutture rappresenta l’intervallo di tempo, espresso in minuti, di esposizione di un elemento strutturale ad un incendio, durante il quale detto elemento mantiene i requisiti progettuali di stabilità e di tenuta ai prodotti della combustione e di coibentazione termica. Essa è intesa come capacità portante e capacità di compartimentazione e gioca un ruolo determinante per il raggiungimento della sicurezza delle costruzioni.

La capacità portante si determina sulla base delle caratteristiche dell’elemento portante, comprese le condizioni di vincolo e di carico, mentre quella di compartimentazione si determina sulla base delle caratteristiche proprie dell’elemento; in entrambi i casi si tiene conto dell’eventuale presenza di materiali protettivi.

Il D.M. 9/3/2007, infatti, definisce la capacità portante come “… attitudine della struttura o di un elemento strutturale a conservare una sufficiente resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco (R) con riferimento alle altre azioni agenti..”, e quella di compartimentazione, in caso di incendio, come “… attitudine di un elemento costruttivo a

(20)

376

conservare, sotto l’azione del fuoco, oltre alla propria stabilità (R), una sufficiente tenuta ai fumi e ai gas caldi della combustione (E) ed un sufficiente isolamento termico (I), nonché tutte le altre prestazioni se richieste …”.

La resistenza al fuoco delle strutture, ovvero degli elementi che hanno funzioni strutturali sia portanti che separanti, dipende, sostanzialmente, da molti fattori quali: le dimensioni geometriche delle sezioni, il numero dei lati esposti al fuoco, il fattore di massività (S/V) e la temperatura critica; tale resistenza viene determinata adoperando specifici criteri di calcolo stabiliti dal D.M. 16/2/2007 - Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione, e dalle NTC 14/1/2008 - Norme tecniche per le costruzioni.

La determinazione della resistenza al fuoco delle strutture si effettua generalmente mediante un metodo di calcolo globale (Circolare del Ministero dell’Interno n. 91 del 1961) che si basa sulla relazione tra la durata presumibile dell’incendio e il carico d’incendio che caratterizza il compartimento in esame, facendo riferimento ad un incendio con una curva standard temperatura-tempo (fig. 5.3.2.1 e tab. 5.3.2.1).

Nel grafico l'area compresa tra la curva e l'asse dei tempi rappresenta l'energia sviluppata dall'incendio fino al momento considerato; il momento statico di detta area rispetto all'asse dei tempi è, invece, indicativo della potenza erogata. Confrontando la curva unificata CMI 91/61 con quella internazionale ISO 834, si nota che non differiscono di molto; la prima risulta leggermente più gravosa dell’altra, infatti, stessi valori di temperatura sono raggiunti in tempi inferiori (tranne nelle prime fasi d’incendio); le due curve, infine, tendono a coincidere con il trascorrere del tempo.

(21)

377

Fig. 5.3.2.1 - Curva temperatura-tempo

Tempo t in minuti Aumento della temperatura T in °C

5 450 10 650 15 750 30 880 60 1000 90 1025 180 1100

Tab. 5.3.2.1 - Valori della curva unificata CMI 91/61 Temperatura/Tempo

Quindi, la resistenza al fuoco è l’attitudine di un elemento di costruzione a conservare, per un intervallo di tempo definito, le seguenti caratteristiche (fig.5.3.2.2):

− R: indica la stabilità, ovvero l’attitudine a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco;

(22)

378

− E: rappresenta la tenuta, cioè l’attitudine a non lasciar passare, né produrre - se sottoposto all’azione del fuoco su un lato - fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto;

− I: indica l’isolamento termico, ossia l’attitudine a ridurre la trasmissione del calore.

STABILITA’ TENUTA ISOLAMENTO

R E I

Capacità di resiste al crollo o al collasso

Capacità di non lasciar passare ne produrre fiamme, vapori o gas caldi

sul lato non esposto

Capacità di ridurre entro un dato limite la trasmissione del calore

Figura 5.3.2.2 - Resistenza al fuoco

Gli elementi strutturali (materiali e spessori) vengono classificati con un numero che esprime i minuti per i quali questi conservano le caratteristiche REI. Le classi di resistenza al fuoco, secondo il DM 16 febbraio 2007, sono le seguenti: 15,20,30,45,60,90,120,180,240 e 360. In particolare:

− con il simbolo REI si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico;

− con il simbolo RE si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità e la tenuta; − con il simbolo R si identifica un elemento costruttivo che deve

conservare, per un tempo determinato, la sola stabilità.

Per la classificazione degli elementi non portanti il criterio R è automaticamente soddisfatto qualora siano soddisfatti i criteri E ed I. Nel caso in esame, il progetto riguarda il centro di riabilitazione con annesso centro commerciale e zona uffici.

Il centro di riabilitazione è un edificio di tipo “socio-sanitario” che si sviluppa su due livelli, per una superficie complessiva di circa 813 mq. Si è esaminato a riguardo il D.M. 18 settembre 2002 - Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle strutture sanitarie pubbliche e private. Secondo la classificazione del suddetto Decreto (Titolo I, punto 1.2), il centro di riabilitazione rientra nella categoria di Tipo C, che prevede aree destinate a prestazioni medico-sanitarie

(23)

379 di tipo ambulatoriale (ambulatori, centri specialistici, centri di diagnostica, consultori, etc.) in cui non è previsto il ricovero.

Il centro di riabilitazione sviluppa un’altezza massima netta di interpiano di 3,70 mt, per un totale complessivo di altezza pari a 8 mt, pertanto, considerando il punto 3.1 del Titolo II dello stesso Decreto, l’edificio appartiene alla classificazione di fabbricato con altezza antincendio fino a 24 mt, le cui strutture risultano avere resistenza al fuoco non minore di R/REI 90.

Per quanto riguarda, invece, il centro commerciale che si sviluppa al piano terra per circa 394 mq ed è destinato ad attività di tipo sanitario–ortopedico, si è preso in considerazione il D.M. 27 luglio 2010 - Approvazione della regola tecnica di prevenzione, costruzione ed esercizio delle attività commerciali con superficie superiore a 400 mq. Inoltre per la zona uffici, situata al primo piano su una superficie

complessiva pari a 403,5 mq, si è fatto riferimento al D.M. 22

febbraio 2006 - Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio e/o locali destinati ad uffici; tale zona viene classificata come categoria di Tipo 1, in cui possono essere presenti al massimo 100 persone.

In merito alla resistenza al fuoco delle strutture del centro commerciale e della zona uffici, vengono fatte le stesse considerazioni precedentemente adottate per il centro di riabilitazione, quindi, tutte le strutture hanno resistenza minima al fuoco di R/REI 90.

Nel progetto si sono determinate le minime resistenze al fuoco tramite il cosiddetto “metodo tabellare”, secondo le tabelle riportate nell’allegato D del D.M. 16/2/2007. Si è applicato tale metodo alle murature non portanti prendendo in esame le tabelle in funzione della tipologia di blocchi utilizzati e di intonaco impiegato, considerando lo spessore (s) minimo in millimetri al netto dell’intonaco, in modo tale da garantire la resistenza al fuoco (EI) minima nei confronti dell’incendio standard. Gli spessori forniti per tutte le pareti non portanti valgono nell’ipotesi di esposizione all’incendio su un solo lato e di snellezza minima garantita dalla presenza di irrigidimenti

orizzontali ad interasse verticale non superiore a 4 metri. Detti

irrigidimenti orizzontali devono possedere una sufficiente resistenza e rigidezza da impedire il ribaltamento del muro in caso d’incendio, anche se la soluzione ideale sarebbe quella di far svolgere detta funzione ai solai [2].

Si sono adottati per i tramezzi delle varie attività nel centro commerciale e per quello del deposito, dei blocchi di laterizio con percentuale di foratura maggiore del 55% con spessore (s) normale

(24)

380

per intonaco pari a 180 mm ed intonaco protettivo pari a 120 mm, corrispondente alla classe di resistenza al fuoco EI 90 (tab.5.3.2.2). Nel caso di murature non portanti è necessario la presenza di almeno 10 mm di intonaco su entrambe le facce; qualora fosse esposto sul lato esterno, l’intonaco dovrà avere spessore almeno di 20 mm. In entrambi i casi è importante sottolineare che la resistenza decresce all’aumentare della foratura dei blocchi.

(25)

381

5.3.3.

Reazione al fuoco dei materiali

La reazione al fuoco dei materiali rappresenta il grado di partecipazione del medesimo materiale al fuoco, ossia ci dice quanto un materiale contribuisce ad alimentare l’incendio a cui è sottoposto. La sua determinazione è effettuata su basi sperimentali mediante prove su campioni in laboratorio in base alle quali vengono classificati i materiali e non tramite metodi di calcolo o modelli matematici.

Specifiche norme di prevenzione incendi prescrivono per alcuni ambienti, in funzione della loro destinazione d’uso e del livello del rischio d’incendio, l’uso di materiali appartenenti ad una determinata classe di reazione al fuoco. La reazione al fuoco di un materiale può essere migliorata mediante uno specifico trattamento di ignifugazione da realizzarsi con apposite vernici o altri rivestimenti; tale trattamento ritarda le condizioni favorevoli all’innesco dell’incendio, riducendo la velocità di propagazione della fiamma.

La normativa italiana basata sulle classi da 0 a 5, è stata recentemente aggiornata con il D.M. 10/3/2005 - Classi di reazione al fuoco per i prodotti da costruzione da impiegarsi nelle opere per le quali è prescritto il requisito della sicurezza in casi d’incendi, che introduce un nuovo sistema di prova e di classificazione seguendo quelli europei.

Tale nuova classificazione parte dalla classe A1 per i materiali non combustibili, equivalenti alla vecchia classe 0, proseguendo, per i prodotti combustibili, con le classi A2 – B – C – D – E – F in base all’aumento della loro partecipazione alla combustione.

(26)

382

Le caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali adoperati per il centro di riabilitazione sono le seguenti:

− per atri, corridoi, disimpegni, scale, rampe e passaggi vengono usati materiali di classe 1 in ragione del 50% della loro superficie totale (pavimento + pareti + soffitti + proiezioni orizzontali delle scale)

− per le restanti parti si utilizzano materiali di classe 0;

− per il rivestimento dei pavimenti si impiegano materiali di classe 2 e materiali di classe 1 per tutti gli altri materiali di rivestimento;

− per i mobili imbottiti (poltrone, sedie imbottite etc.) si utilizzano materiali di classe 1.

Per quanto riguarda le strutture portanti e gli elementi di compartimentazione dell’attività commerciale e della zona uffici vengono garantiti i requisiti di resistenza al fuoco R e REI/EI.

Per il centro commerciale, avente altezza pari a 8 mt, considerato come edificio di tipo isolato, la classe di resistenza al fuoco, determinata in conformità al D.M. 9 marzo 2007, non è inferiore a 30 REI in presenza di impianto di spegnimento automatico, mentre è pari a 45 REI qualora non dovesse essere presente l’impianto di spegnimento automatico.

Anche per la struttura adibita a zona uffici si rispettano i requisiti di resistenza al fuoco R e REI/EI 60, come pure per le restanti parti dell’edificio.

5.3.4.

Altre misure di protezione passiva

Oltre alle misure di prevenzione sopra riportate, ne esistono altre che non richiedono l’azione dell’uomo o l’azionamento di un impianto, avendo sempre come obiettivo la limitazione degli effetti dell’incendio nello spazio e nel tempo (garantire l’incolumità dei lavoratori, limitare gli effetti nocivi dei prodotti della combustione, contenere i danni a strutture, macchinari, beni). Queste misure sono:

− barriere antincendio:

o isolamento dell’edificio

o distanze di sicurezza esterne ed interne o muri tagliafuoco, schermi etc.

(27)

383 − sistemi di vie di uscita commisurate al massimo affollamento

ipotizzabile dell’ambiente di lavoro e alla pericolosità delle lavorazioni.

La protezione passiva realizzata con il metodo delle barriere antincendio è basata sul concetto dell’interposizione di spazi scoperti o di strutture, tra aree potenzialmente soggette ad incendio.

Nel caso di interposizione di spazi scoperti (distanze di sicurezza) o di barriere interne (compartimentazione), la protezione ha lo scopo di

impedire la propagazione dell’incendio principalmente per

trasmissione di energia termica raggiante.

Le distanze di sicurezza si distinguono in interne ed esterne e servono per proteggere elementi appartenenti ad uno stesso complesso o esterni al complesso stesso.

Un altro tipo di distanza di sicurezza da considerare è la distanza di protezione, che rappresenta lo spazio misurato orizzontalmente tra il perimetro in pianta di ciascun elemento pericoloso di un’attività e la recinzione (ove prescritta), ovvero il confine dell’area su cui sorge l’attività stessa.

E’ evidente che compartimentare una struttura ricorrendo solamente all’adozione di distanze di sicurezza necessita l’utilizzo di grandi spazi, che dovranno essere lasciati vuoti e rappresenta, dal punto di vista economico, una soluzione poco conveniente.

Pertanto la protezione passiva può essere realizzata mediante elementi di separazione strutturale del tipo tagliafuoco.

La compartimentazione comprende partizioni orizzontali (solai) e verticali (pareti divisorie) e compartimenti particolari, come i filtri a prova di fumo. Essa rappresenta una parte di edificio delimitata da elementi costruttivi (muri, solai, porte, etc.) di resistenza al fuoco predeterminata e organizzata per rispondere alle esigenze della prevenzione incendi; infatti, permette di evitare o ritardare, almeno per un determinato tempo, la propagazione dell’incendio e dei suoi effetti nel resto dell’edificio.

Per quanto riguarda il progetto in esame, si sono compartimentate diverse aree proprio per garantire una certa sicurezza al fuoco.

Il centro di riabilitazione, appartenendo alla categoria di tipo C, ha le aree suddivise in compartimenti, distribuiti sul medesimo livello di superficie non superiore a 1500 mq, e comunica con gli altri compartimenti e con i percorsi di esodo orizzontali e verticali tramite porte aventi caratteristiche REI 90 e REI 120.

(28)

384

Per il centro commerciale, invece, le varie attività di vendita, distribuite sullo stesso livello di superficie singola non superiore a 2500 mq, sono suddivise in compartimenti antincendio, e le pareti di separazione tra esse sono realizzate in materiali incombustibili di classe A1. Inoltre, la presenza del locale deposito merci, adiacente al bar ristoro, è dotato di porta tagliafuoco EI 60 con apertura verso l’esterno, ma per aumentare la resistenza al fuoco si può mettere anche una porta EI 90.

L’intera attività commerciale e la zona uffici sono dotate di una squadra di personale destinata al servizio di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenza presente durante l’intero orario di apertura al pubblico.

Le due strutture, centro di riabilitazione e centro commerciale, sono collegate sul piano tramite un corpo vano scala con al centro il vano ascensore, che si ripete agli estremi di ogni edificio, per un totale di tre corpi scala ed ascensore.

Secondo il D.M. 10 marzo 1998, esistono numerose tipologie costruttive di scale antincendio con gradi di sicurezza diversi, ovvero: scale protette, scale a prova di fumo interne, scale a prova di fumo e scale di sicurezza esterne.

Nel progetto in esame si è cercato di garantire la massima protezione assicurando la presenza di scale esterne di sicurezza.

Infatti, sono previsti due vani scala esterni, costituiti da un sistema di tre rampe rettilinee, che collegano il piano terra con il primo piano del centro di riabilitazione.

Particolare attenzione si è posta alla progettazione di tali vani scala, affinché non si trovino nelle vicinanze di finestre o altre aperture sull’edificio; per tale motivo, si è preso in considerazione il punto 3.8 E dell’Allegato III del D.M. 10 marzo 1998 - Accorgimenti per le scale esterne – il quale prescrive che “…dove è prevista una scala esterna, è necessario assicurarsi che l’utilizzo della stessa, al momento dell’incendio, non sia impedito dalle fiamme, fumo e calore che fuoriescono da porte, finestre, ed altre aperture esistenti della parete esterna su cui è ubicata la scala..”.

I due vani scala esterni, localizzati ai lati del centro di riabilitazione, sono progettati ad una distanza minima di 2,50 mt e sono collegati alle porte di piano, dotate di congegno di autochiusura, tramite passerelle protette con setti laterali, a tutta altezza, aventi requisiti di sicurezza al fuoco almeno REI/EI 60.

(29)

385

− struttura incombustibile (materiali di classe 0) e

compartimentata, cioè con resistenza al fuoco REI /EI 120; − rampe rettilinee, di larghezza di 1,20 mt con n.8 gradini per

rampa;

− n.2 pianerottoli di larghezza pari a quella della rampa;

− gradini, con strisce antisdrucciolo, a pianta rettangolare con pedata pari a 30 cm ed alzata di 15 cm;

− corrimano sporgente non oltre 8 cm dal muro con le estremità raccordate al muro stesso o verso il basso;

− porte che immettono nei vani scala e con apertura nel verso

dell’esodo al fine di non ostacolare il deflusso delle persone in discesa.

In posizione centrale, rispetto alle tre rampe di scale, c’è il vano ascensore, detto ascensore antincendio, da usare anche come via di esodo.

A proposito del trattamento delle strutture, si adottano particolari rivestimenti tra i quali vernici intumescenti, che realizzano un grado di resistenza al fuoco elevato e determinato. Questi, infatti, sono elementi protettivi, ininfiammabili, che hanno capacità isolante al calore, nonché la particolarità di rigonfiarsi, schiumando, in modo da generare uno strato coibente ed isolante quando vengono investite dalla fiamma o da una sorgente di calore ad alta temperatura.

Nonostante il massimo impegno per prevenire l’insorgere di un incendio e la massima attenzione nell’adozione dei più moderni mezzi di rivelazione, segnalazione e spegnimento di un incendio, non si può escludere con certezza la possibilità che l’incendio stesso si estenda con produzione di calore e fumi tale da mettere a repentaglio la vita umana. Per questo il problema dell’esodo delle persone, minacciate da un incendio, è di fondamentale importanza al punto da adottare soluzioni tecniche rilevanti da effettuare nel corso della progettazione. Gli elementi da rispettare nella organizzazione del sistema di via d’uscita sono:

− dimensionamento e geometria delle vie d’uscita,

− sistemi di protezione attiva e passiva delle vie d’uscita,

− sistemi di identificazione continua delle vie d’uscita

(segnaletica, illuminazione ordinaria e di sicurezza).

Nel caso in esame, il centro di riabilitazione è provvisto di un sistema organizzato di vie di uscita dimensionato in base al massimo affollamento previsto ed alle capacità di deflusso stabilite, che,

(30)

386

attraverso, percorsi indipendenti, adducono al luogo sicuro, ovvero all’esterno.

L’altezza dei percorsi delle vie d’uscita è superiore o uguale a 2 mt e la loro larghezza viene misurata deducendo l’ingombro di eventuali elementi sporgenti con esclusione degli estintori. Tra gli elementi sporgenti non sono considerati quelli posti ad un’altezza superiore a 2 mt ed i corrimano con sporgenza non superiore ad 8 cm.

I pavimenti e i gradini in particolare, non hanno superfici sdrucciolevoli. Le superfici vetrate e gli specchi sono disposti in modo tale che non possano trarre in inganno sulla direzione dell’uscita. Le vie d’uscita sono tutte costantemente sgombre da materiali che potrebbero costituire impedimento al regolare deflusso delle persone e le porte, sulle vie d’uscita, non devono ridurre la larghezza utile delle stesse. Le uscite di emergenza sono munite di apposita segnaletica, conforme alle norme vigenti, e di opportuna illuminazione di emergenza, che deve entrare in funzione automaticamente in mancanza di alimentazione elettrica.

I percorsi del sistema di vie di uscita comprendono corridoi, vani di accesso alle scale, vani di uscita all’esterno e passaggi in genere. Sono previste vie d’uscite che dal centro di riabilitazione conducono all’esterno, in numero pari a 3 al piano terra ed a 2 al primo piano. Dette uscite, ubicate in posizioni contrapposte rispetto allo sviluppo longitudinale dell’edificio, sono dotate di porte antipanico apribili nel verso dell’esodo con un sistema a semplice spinta e sono distribuite in modo tale che le persone possano ordinatamente allontanarsi da un incendio e condursi così ad un luogo sicuro.

Il centro di riabilitazione è progettato come area a rischio d’incendio medio, per cui la lunghezza del percorso della via d’uscita, secondo la normativa (punto 3.3 del D.M. 10 marzo 1998), è di circa 30–40 mt con il tempo massimo di esodo pari a circa 3 minuti.

Tali valori sono ridotti in caso di luoghi particolari, come ad esempio quelli frequentati da pubblico, quelli frequentati da persone con mobilità ridotta e che necessitano di assistenza in caso di emergenza, oppure quelli in cui sono presenti materiali combustibili.

La larghezza utile di ogni singola via d’uscita è progettata pari al multiplo del modulo di uscita (0,6 m) e, comunque, non inferiore a due moduli (1,20 m). La larghezza totale delle uscite, espressa in numero di moduli d’uscita, viene determinata dal rapporto tra il massimo affollamento previsto e la relativa capacità di deflusso.

Per il centro di riabilitazione, si sono rispettate le seguenti formule per dimensionare la larghezza complessiva delle uscite di emergenza:

(31)

387

;

indicando con:

− A = il numero complessivo di persone presenti

(affollamento)

− 0,60 = la larghezza sufficiente al transito di una persona; − 50 = il numero di persone che possono transitare attraverso

un modulo unitario di passaggio, tenendo conto del tempo di evacuazione;

− 37,5 = il numero di persone che possono transitare attraverso un modulo unitario di passaggio, tenendo conto del tempo di evacuazione.

Quindi, applicando la formula si ottiene:

piano terra → 39 persone:50 = 0,6 modulo; piano primo → 78 persone:50 = 2 moduli.

Le uscite del centro di riabilitazione sono progettate di dimensioni ampiamente superiori rispetto al minimo calcolato, secondo quanto prevede la normativa e cioè:

piano terra → (1,80*3):0,60 = 9 moduli > 0,6 modulo piano primo → (1,80*2):0,60 = 6 moduli > 2 moduli

In conclusione, le vie di uscita sono progettate in numero superiore proprio per poter garantire ai presenti un deflusso ordinato ed organizzato verso un luogo sicuro.

Le porte, a uno o a due battenti, sono installate lungo le vie d’uscita ed in corrispondenza delle uscite di piano, con apertura nel verso dell’esodo a semplice spinta mediante l’azionamento di dispositivi a barra orizzontale. I battenti delle porte si aprono su un’area piana, di profondità pari almeno a quella della porta stessa, ed, inoltre, una volta aperti, non devono ostruire i passaggi, i corridoi e i pianerottoli. Le vie di uscita del centro commerciale e della zona uffici sono dimensionate valutando il numero massimo di affollamento ipotizzabile e la capacità di deflusso stabilite.

La lunghezza dei percorsi di esodo si misura, invece, considerando lo sviluppo reale degli elementi presenti, quali l’arredo, gli espositori, gli scaffali, la merce in vendita etc.

Secondo la normativa, nel centro commerciale il percorso effettivo per raggiungere un luogo sicuro non deve essere superiore ai 50 mt,

(32)

388

incrementabili a 60 mt, in presenza di un sistema di smaltimento fumi finalizzato a garantire un’altezza libera dal fumo pari almeno a 2 mt. Il sistema di controllo dei fumi, con l’ausilio di evacuatori di fumo e calore a funzionamento naturale e di estrattori meccanici, è realizzato e dimensionato secondo le norme tecniche di impianto e di prodotto. Per un efficace lavaggio degli ambienti è necessario provvedere ad immettere dal basso tanta aria pulita esterna quanta ne viene estratta dall’alto, in modo da avere una zona libera da fumo per favorire l’esodo degli occupanti e le operazioni di soccorso. Per questo motivo, le aperture di aerazione naturale, ricavate lungo il perimetro, sono distribuite in maniera uniforme e devono essere dotate di un sistema di apertura automatico o manuale degli infissi, la cui gestione dovrà essere considerata nel piano di emergenza e segnalata alle squadre di soccorso.

La lunghezza massima del percorso di esodo è fissata in 45 mt sino a raggiungere un luogo sicuro dinamico o l’esterno dell’attività e, in 30 mt, per raggiungere la scala protetta esterna. La misurazione della lunghezza è effettuata dalla porta di uscita di ciascun locale con presenza di persone e da ogni punto degli spazi comuni (atrio, corridoio etc.) sino al luogo sicuro o scala protetta.

Per il centro commerciale, come già visto per il centro di riabilitazione, si è rispettata la seguente formula per dimensionare la larghezza complessiva delle uscite di emergenza:

indicando con:

− A = il numero complessivo delle persone presenti

(affollamento)

− 0,60 = la larghezza sufficiente al transito di una persona; − 50 = il numero di persone che possono transitare attraverso

un modulo unitario di passaggio, tenendo conto del tempo di evacuazione.

Applicando la formula si ottiene:

centro commerciale → 99 persone:50 = 2 moduli

Si sono predisposte in totale 4 vie di uscite, ognuna di larghezza pari a 1,80 mt, cosicché applicando il seguente calcolo, si ha:

(33)

389 In conclusione si sono progettate vie di uscita in numero maggiore rispetto al minimo previsto (2 moduli) proprio per poter garantire ai presenti un deflusso ordinato ed organizzato verso un luogo sicuro. Anche per la zona uffici si è applicato lo stesso procedimento, considerando, però, la capacità di deflusso pari a 37,5 ed in particolare:

zona uffici → 68 persone:37,5 = 2 moduli

Si sono disposte in tutto 2 vie di esodo, ognuna larga 1,80 mt, per cui applicando il seguente calcolo, si ha:

zona uffici → (1,80*2):0,60 = 6 moduli > 2 moduli.

In definitiva, anche per la zona uffici si è progettato un numero di vie di uscita superiore rispetto al numero limite previsto dalla norma. Potranno, comunque, avere accesso al centro di riabilitazione e alla zona uffici soprattutto persone con ridotte o deficitarie capacità motorie, per cui si è previsto almeno uno spazio calmo.

Infine, si sono rispettati i requisiti previsti dalla normativa per quanto riguarda l’accesso alle aree del centro riabilitativo per consentire l’intervento dei mezzi di soccorso dei VVF, quali:

− larghezza: 3,50 mt; − altezza libera: 4,00 mt; − raggio di volta: 13 mt;

− pendenza: non superiore al 10%;

− resistenza al carico:almeno 20 tonnellate (8 sull’asse anteriore, 12 sull’asse posteriore, passo 4,00 mt).

(34)

390

5.4. Tecnologia dei sistemi e degli impianti di

protezione attiva

Il ruolo della protezione attiva nella sicurezza antincendio ha subito nel tempo un progressivo miglioramento dovuto all’evoluzione della tecnologia degli impianti. Tali attrezzature sono sistemi a cui si attribuisce una capacità di azione positiva nei confronti dell’incendio. Infatti, oltre alla funzione di rilevare l’insorgere dell’incendio, svolgono un’azione di contrasto diretto nello spegnimento dello stesso durante la prima fase del suo sviluppo. Questi mezzi di protezione garantiscono affidabilità ed efficacia in caso di emergenza e sono di particolare importanza, anche perché è dimostrabile che la sola protezione passiva, seppure fondamentale per il raggiungimento di alcuni standard di base in materia di sicurezza dell’uomo, non è in grado di assicurare né garantire alcune insostituibili funzioni da assolvere in caso di incendio, quali la rivelazione tempestiva, il controllo del fenomeno ed il suo superamento attraverso l’estinzione. L’intervento deve essere effettuato con una attrezzatura idonea e calibrata per ogni singolo evento che si verifichi. Alla base di un intervento deve sempre esserci una conoscenza dettagliata delle attrezzature, anche perché non devono essere a loro volta fonte di pericolo per l’operatore.

I mezzi di protezione devono essere progettati a regola d’arte secondo una norma tecnica nazionale od europea, così come la loro manutenzione deve essere regolata da norme tecniche. Il recente decreto D.M. 20 dicembre 2013 ne disciplina, infatti, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti di protezione attiva contro l’incendio installati nelle vari attività.

La protezione attiva è garantita, quindi, attraverso l’utilizzo di estintori portatili e carrellati, rete idrica antincendio, impianti di rivelazione automatica dell’incendio, impianti di spegnimento automatici, dispositivi di segnalazione allarme, evacuatori di fumo e calore (conosciuti come EFC) e tramite anche l’illuminazione d’emergenza.

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