• Non ci sono risultati.

There is no wealth but life

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "There is no wealth but life"

Copied!
42
0
0

Testo completo

(1)

II

There is no wealth but life

È vero, alle volte io ho sentito condannare il Pope per la bassezza invece che per l'altezza del suo criterio: "L'Onestà è senza dubbio una virtù rispettabile; ma quanto più in alto gli uomini possono giungere! Non ci si chiederà niente più che questo, essere onesti?".

Per il momento, egregi amici, niente. Pare che aspirando noi ad essere qualcosa di più, abbiamo in certo modo perduto di vista la decenza di essere almeno questo. Qui non sarà questione di vedere in che altro abbiamo perduto fede; ma certamente abbiamo finito di credere nella comune onestà e nella sua forza operante. E il nostro primo compito è di riconquistare e mantenere questa fede, con i fatti su cui essa si fondi: non solo credendo, ma garantendoci con l'esperienza che vi sono al mondo uomini che possono essere trattenuti dal commettere frode in altro modo che con la paura di perder l'impiego1;

anzi che proprio in esatta proporzione con numeri di uomini siffatti in ogni Stato, lo Stato stesso prolunga, o può prolungare la sua esistenza.

John Ruskin2

Nell'estate del 1903, durante la campagna per la rivendicazione dei diritti civili e politici per gli indiani in Sud Africa, Gandhi, insieme all'amico Madanjit Vyavaharik3, avviò un progetto per la stesura e la diffusione di un giornale indiano. A Durban fondarono la tipografia chiamata Internazional Priting Press e al settimanale fu dato il nome di “Indian Opinion”.

Nell'ottobre del 1904 Gandhi si diresse in visita alla redazione per verificare personalmente quali fossero le difficoltà sotto il profilo economico e

1 Nota inserita da Ruskin nel testo:"La disciplina effettuale che si esercita su di un artigiano non è quella della sua corporazione, ma quella dei suoi clienti. È il timore di perdere l'occupazione che lo trattiene dalla frode ed è un correttivo alla sua negligenza”, A. Smith, La Ricchezza delle

Nazioni, lib. I, cap. X, in J. Ruskin, A Quest'ultimo, Torino, Marco Valerio, 2003, p. 12.

2 J. Ruskin, A Quest'ultimo, cit., pp. 12-13.

(2)

amministrativo che il giornale affrontava in quel periodo4.

Durante il viaggio che da Johannesburg lo portò a Durban, Gandhi lesse il testo di Ruskin5 Unto This Last, datogli dall'amico Polak. Il libro ebbe un impatto immediato e pratico sulla sua vita. Così Gandhi ha ricordato nella sua autobiografia l'effetto che ebbe su di lui la lettura di Unto This Last:

Credo che in questo straordinario libro di Ruskin io abbia visto riflesse le mie più profonde convinzioni e per questo esso mi ha così convinto e mi ha indotto a cambiare vita. È poeta chi ha la capacità di portare alla luce quanto di buono è latente nell'animo umano. I poeti non esercitano la medesima influenza su tutti, in quanto ognuno di noi non si evolve nella stessa maniera.

A mio parere Unto This Last può essere così sintetizzato: 1. Il bene individuale è parte integrante del bene comune.

2. L'opera dell'avvocato vale quanto quella del barbiere, in quanto tutti hanno il medesimo diritto di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro.

3. Una vita dedita al lavoro, come quella del contadino e dell'artigiano, è la sola degna di essere vissuta6.

Gandhi fece suoi i principi cooperativi indicati da Ruskin, che aveva fondato nel 1870 la Guild of Saint George7 col fine di correggere, col ritorno alla

terra e al lavoro artigianale, i mali sociali indotti dalla rivoluzione industriale. Ispirato dall'esempio di Ruskin, il giovane Gandhi fondò in Sud Africa la comunità di Phoenix, dove trasferì la redazione del giornale “Indian Opinion” nell'intento di renderlo autosufficiente. Phoenix divenne una comunità indipendente, in grado di mantenersi con la partecipazione e il lavoro di tutti i

4 Cfr. Y. Chadha, Gandhi, Il rivoluzionario disarmato, Milano, Mondadori, 1998, p. 110. 5 John Ruskin (1819-1900) fu un erudito, autore di numerosi libri (tra cui Modern Painters,

pubblicati negli anni 1843-1860, The Stones of Venice 1851-3, Unto this Last nel 1860, Sesame

and Lilies 1865, Fors Clavigera 1871-1884, Praeterita 1885-8 che ebbero riconoscimenti

internazionali. Geologo, botanico, artista e critico d'arte, i suoi interessi si indirizzarono alla giustizia sociale e all'economia politica.

6 M. K. Gandhi, Gandhi la mia vita per la libertà, Roma, Newton Compton, 1978, p. 273. 7 L'obiettivo iniziale era quello di acquistare terreni e, attraverso il lavoro, l'uso dell'energia del

vento e dell'acqua, fare una produzione utile di tipo artigianale. Una fattoria cooperativa fu fondata nei pressi di Sheffield e i suoi membri venivano chiamati "Companions".

(3)

membri. Era una fattoria dove ciascuno lavorava la terra e dedicava parte del tempo alla stampa e alla pubblicazione della rivista in cambio di una paga uguale per tutti.

La storia della pubblicazione del libro Unto This Last è significativa. Inizialmente Ruskin aveva scritto una serie di saggi sulla natura della ricchezza per il periodico “Cornhill Magazine”, che nel mese di luglio del 1860 aveva cominciò a pubblicarli a puntate, ben felice di ospitare uno degli scrittori più affermati dell'Inghilterra vittoriana. Ma tali scritti, che contenevano una critica all'economia moderna, destarono tanta opposizione tra i lettori che il direttore della rivista si vide costretto a interromperne la pubblicazione a partire dal numero di ottobre. A quel punto Ruskin, incoraggiato dall'amico Thomas Carlyle8, il grande scrittore scozzese cha ebbe grande influenza nella formazione delle idee antimoderne di Ruskin, li pubblicò come libro col titolo Unto This Last9 (A quest'ultimo).

Il titolo scelto per il libro riecheggiava il passo finale della parabola di Gesù sui lavoratori della vigna, riportata dal Vangelo di Matteo: “... ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te”. (Mt. 20, 14)

Il libro contrastava l'idea dominante degli economisti classici per i quali il fondamento della società era l'egoismo individuale, ritenendo, invece, che la solidarietà umana fosse il vero motore della civiltà, che è potuta nascere solo grazie alle relazioni di aiuto reciproco e di cooperazione tra gli uomini10.

Ruskin accusava l'economia politica moderna di essere diventata una "dismal science", una scienza malvagia e ingannevole, perché tralasciava ogni considerazione etica, accusa terribile che Ruskin aveva mutuato dagli scritti di Carlyle che per primo l'aveva adoperata11.

Per diffondere tra la sua gente la critica economica e sociale di Ruskin,

8 Thomas Carlyle ( 1795 – 1881) è stato uno storico, saggista e filosofo scozzese, uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano.

9 Cfr. G. Cate, The Correspondence of Thomas Carlyle and John Ruskin, Stanford, Stanford University Press, 1982, p. 18.

10 Il tema fu poi ripreso e sviluppato dall'anarchico Pëtr Kropotkin nel Mutuo appoggio (1902) consultabile sul sito:

http://www.contraersus.net/uploads/6/7/3/6/6736569/kropotkin_il_mutuo_appoggio.pdf 11 Cfr. R. Dixon, The Origin of the Term "Dismal Science" to Describe Economics, Department of

Economics, University of Melbourne. Carlyle usò l'espressione dismal science anche nella lettera indirizzata a Ruskin il 29 ottobre 1860, in cui lo incoraggiava nella sua opera di critica all'economia politica. http://www.krannert.purdue.edu/faculty/smartin/ioep/dismal.pdf

(4)

Gandhi decise di riassumere e tradurre Unto This Last in lingua gujarati12, pubblicandola a puntate su “Indian Opinion” col titolo di sarvodaya, una visione dell'economia a servizio degli ultimi, nessuno escluso, dove ognuno deve ricevere ciò di cui necessita per vivere con dignità.

La traduzione letterale di Unto This Last corrisponderebbe alla parola

antyodaya (che significa “a servizio degli ultimi”) ma Gandhi preferì il termine sarvodaya (composto da sarva, tutti, e udaya benessere, quindi il benessere di

tutti) che include nel suo significato anche quello di antyodaya13.

Come ha scritto lo studioso indiano Thomas Vettickal14: "Così come in

una famiglia umana il bambino più piccolo e più bisognoso richiede maggiore attenzione, così il sarvodaya dà la priorità nel servire i più bisognosi della società"15.

Ben consapevole delle forme di degrado alle quali i lavoratori andavano incontro con l'aumentare della meccanizzazione del lavoro, Ruskin riteneva necessario che l'economia restituisse centralità all'uomo, considerandolo nell'insieme dei suoi bisogni fisici, mentali e spirituali.

Criticava l'economia moderna per aver posto al centro dei suoi interessi l'accumulazione di denaro e di essere diventata la scienza della sola ricchezza materiale, estraniandosi da ogni considerazione religiosa, morale, culturale.

Egli riteneva che l'economia dovesse includere l'etica, ponendosi come obiettivo quello di soddisfare il benessere di tutti, nessuno escluso. La parabola

dei lavoratori delle diverse ore16 ripresa da Ruskin considera i bisogni degli ultimi, permettendo a tutti di vivere con il proprio lavoro e ricevere una paga dignitosa. Da questo racconto Ruskin evinceva tre verità universali: la libertà

12 Gujarati è una lingua indo-ariana originaria del Gujarat, regione centro-occidentale dell'India, dove Gandhi era nato e vissuto. La sua città principale è Ahmedabad.

13 Ma Vinobha Bhave, l'allievo prediletto di Gandhi, osservò: “Of course the last one’s uplift is included in the uplift of all, but in emphasizing the last, the object is that work should begin from that end”, in Puja Mondal, The Gandhiji’s Concept Regarding Sarvodaya, consultabile sul sito: http://www.yourarticlelibrary.com/mahatma-gandhi/the-gandhijis-concept-regarding-sarvodaya-1587-words/4789/

14 T. Vettickal (1947) professore di filosofia alla Little Flower Seminary, Istitute of Philosophy

and Religion in Aluva nel Kerala e di filosofia alla Sacred Heart College di Aluva.

15 T. Vettickal, Gandhian Sarvodaya: Realizing a Realistic Utopia, New Delhi, Gyan Publishing House, 2002, p. 13.

16 Nella parabola i vignaioli che avevano lavorato tutto il giorno protestarono col datore di lavoro per avere ricevuto la stessa paga di chi era arrivato per ultimo e aveva lavorato meno ore.

(5)

degli individui, l'uguaglianza tra tutti gli uomini e l'esigenza di restituire dignità ai poveri.

Questi principi di economia etica furono la base su cui Gandhi costruì l'idea economico-sociale del sarvodaya. Un nuovo ordine sociale fondato su una filosofia pratica che richiedeva l'impegno morale di tutti i suoi membri nel prendersi cura del benessere dell'umanità, specialmente degli ultimi fra gli ultimi.

Il concetto di sarvodaya era basato sull'assunto che tutti gli uomini sono uguali. Come ha scritto Vettickal, esso era la concreta manifestazione di molte idee spirituali che Gandhi riteneva presenti nelle diverse tradizioni religiose: "Gandhi considera il Cristianesimo, il Buddismo, l'Islam e l'Induismo religioni di pace. Egli ha praticato i principi essenziali delle religioni del mondo nella sua vita quotidiana, dimostrando il lungo cammino compiuto dall'umanità"17.

Per il Mahatma le leggi spirituali dovevano essere i principi guida della vita pratica degli uomini e nella sua vita cercò di applicare il sarvodaya in tutte le attività della vita quotidiana.

Secondo Gandhi la civiltà, nel vero senso del termine, non consiste nella moltiplicazione, ma nella “riduzione deliberata e volontaria di bisogni”18. Questa sola promuove la vera felicità e aumenta la capacità di servire i più poveri. La vera economia dovrebbe essere basata sul principio: simple living, high thinking (vita semplice, pensiero elevato).

Secondo Gandhi il progresso morale era l'unica strada praticabile per la salvezza dell'umanità. La violenza e la coercizione, infatti, non sono utili a stabilire una società nonviolenta, che può realizzarsi solo attraverso l'evoluzione individuale dell'uomo, che accetta volontariamente il sacrificio di sé per il bene di tutti.

Attraverso il sarvodaya Gandhi si proponeva di recuperare lo spirito culturale e religioso delle piccole comunità di villaggio indiane che la modernità rischiava di spazzare via per sempre attraverso la diffusione di modelli di vita e di consumo propri della moderna civiltà industriale.

Con il sarvodaya la vita comunitaria, i villaggi e le periferie della storia recuperavano il loro potere decisionale. Sul piano economico ciò comportava una

17 Ibid., p. 16.

(6)

decentralizzazione del potere e una produzione su piccola scala.

In un paese come l'India, dove c'era grave carenza di capitali e abbondanza di lavoro, ogni tentativo di industrializzazione attraverso l'alta tecnologia era destinato al fallimento. Invece, il decentramento della produzione avrebbe contrastato l'urbanizzazione e impedito la burocratizzazione della pianificazione economica centralizzata19.

In questo senso il sarvodaya si offriva come una diversa forma di potere del popolo, attraverso la pratica del lokniti che significa disciplina, autocontrollo, abnegazione, esercizio dei doveri civici, fede in Dio e servizio disinteressato. Il

sarvodaya condannava la regola della maggioranza, le elezioni, i partiti politici e

la centralizzazione del potere. Gandhi voleva una “democrazia senza stato” in cui anche i più deboli avessero la possibilità di essere ascoltati e di prendere decisioni. La democrazia ideale doveva nascere attraverso una federazione di comunità di villaggio basate sulla nonviolenza.

2.1. Il significato originario dell'economia

Sia Ruskin che Gandhi per costruire una nuova scienza economica ritennero necessario recuperare il significato originario della parola greca «οἰκονοµία». L'origine del termine (composto da οἶκος «casa» e νοµία «norma») risaliva a Senofonte che l'aveva usato nel senso generale di “amministrazione della casa”20. Successivamente Aristotele nella Politica21 aveva contrapposto l'economia alla crematistica22. Aristotele, che Marx considerava “il più grande pensatore dell'antichità”23, aveva per primo distinto i valori d'uso dai valori di scambio. Dunque, l'economia è l'arte di procurare i beni necessari alla vita, utili per la casa e per lo Stato, per cui la vera ricchezza consiste nella produzione di valori d'uso, mentre la crematistica è l'arte di far denaro mediante lo scambio di

19 Cfr. J. C. Kumarappa, Economia di condivisione, Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2011, p. 82. 20 Senofonte, L'amministrazione della casa. Economico, (con testo greco a fronte), Venezia,

Marsilio, 1988.

21 Aristotele, Politica, I (A), 9, 1257 b, Bari, Laterza, 1991, pp. 19-20.

22 Crematistica dal greco κρηµατιστικός «relativo alla ricchezza», deriva da κρῆµα -ατος, plurale χρήµατα, «ricchezza».

(7)

beni” e – scriveva Aristotele –“ha a che fare col denaro perché il denaro è principio e fine dello scambio”24. Così Marx nel Capitale riassunse la distinzione fatta da Aristotele: “L'economia ha un limite, la crematistica no, ... la prima ha per fine qualcosa di differente dal denaro, la seconda, l'accrescimento del denaro stesso. ... La confusione tra queste due forme, che si intrecciano l'una con l'altra, ha indotto alcuni a considerare fine ultimo dell'economia la conservazione e l'aumento del denaro all'infinito”25. “Di conseguenza taluni – scriveva Aristotele –

vivono continuamente nell'idea di dovere o mantenere o accrescere la loro sostanza in denaro all'infinito. Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma non di vivere bene, e siccome i loro desideri si stendono all'infinito, pure all'infinito bramano mezzi per appagarli”26.

L'accumulazione illimitata è, quindi, il fine ultimo della crematistica per la quale "più si ha, meglio è”. Ma per Aristotele, sostenitore della tesi che “il meglio è nel mezzo”27, questo principio dimostrava un carattere innaturale e insostenibile, sia nei confronti della natura che della comunità. Proseguendo su questa strada -avvertiva - rischiamo tutti di fare la fine del re Mida che, secondo il mito, per la propria insaziabilità aveva ottenuto di trasformare in oro tutto quello che toccava e per questa ragione morì di fame e di sete28.

Herman Daly e John Cobb 29 nel loro libro Un'economia per il bene

comune hanno ripreso in termini attuali la distinzione aristotelica, così chiosando: Il valore d'uso è concreto: ha una dimensione fisica e corrisponde a un bisogno che può essere oggettivamente soddisfatto. Insieme queste due caratteristiche limitano sia la desiderabilità sia la possibilità di un'accumulazione smodata. Il valore di scambio, al contrario, è assolutamente astratto: non ha una dimensione fisica né corrisponde a un bisogno naturale che possa essere saziato, e pertanto non c'è niente che ne

24 Aristotele, Politica, I, 9, 1257 b, cit., 1991, p. 20. 25 K. Marx, Il Capitale, libro I, vol. 1, p. 169. 26 Ivi.

27 Aristotele, IV, 11, 1295 b, cit., p. 137.

28 Cfr. Aristotele, Politica, I, 9, 1257 b, cit., 1991, p. 20.

29 Herman E. Daly critico "dell'economia della crescita" è Senior Economist al Dipartimento Ambientale della Banca Mondiale. Fondatore della rivista "Ecological Economics" ha scritto, tra l'altro, nel 1977 Lo stato stazionario. John B. Cobb invece insegna al dipartimento di Scienze Religiose della Claremont Gradaute School in California.

(8)

limiti l'accumulazione30.

"Se si allarga il significato di "famiglia" fino ad includervi la più amplia comunità che comprende la terra, i valori condivisi, le risorse, i biomi, le istituzioni, il linguaggio e la storia, otteniamo una buona definizione di "economia al servizio della comunità"31.

L'economia antica si differenziava dalla crematistica in tre aspetti fondamentali: favoriva una prospettiva di lungo anziché di breve periodo; considerava i costi e i benefici per l'intera comunità e non solo quelli che partecipano a una transazione economica; si interessava ai valori d'uso concreti e alla loro limitata accumulazione, anziché al valore di scambio astratto e alla sua tendenza all'accumulazione illimitata.

L'economia antica mirava a determinare il sufficiente, in quanto la ricchezza autentica è soddisfare i bisogni concreti dell'uomo, considerando i limiti reali ai quali si è vincolati, sia ambientali che sociali, rinunciando al superfluo e a ciò che può essere nocivo.

Oggi la crematistica, come fonte di studio di tutte le attività economiche e sociali, ha inglobato l'economia nel proprio ambito di ricerca coll'idea che il bene della collettività potesse essere raggiungibile solo attraverso il perseguimento degli interessi individuali.

Questa idea fu esposta da Bernard de Mandeville32 nella sua favola delle

api, dove con la metafora dell'alveare sosteneva che i "vizi privati" avrebbero

determinato le "pubbliche virtù", per cui il lusso e lo spreco, dettati dal naturale egoismo umano, potevano arrecare vantaggio all'intero organismo sociale.

Ma come hanno scritto Daly e Cobb, lo stesso Adams Smith, padre riconosciuto dell'economia politica, aveva avvertito nella sua Theory of Moral

Sentiments, "che il mercato è un sistema pericoloso, tanto che non potrebbe

funzionare senza il freno rappresentato dalla forza morale dei valori condivisi dalla comunità. Il mercato non usa con parsimonia il capitale morale: lo distrugge.

30 H. E. Daly e J. B. Cobb jr, Un'economia per il bene comune, Como, Red Edizioni, 1994, p. 201.

31 Ibid., p. 200.

(9)

Quest'ultimo, perciò, deve essere rinnovato continuamente dalla comunità"33. Adam Smith è stato a lungo considerato il sostenitore dell'egoismo come principio guida dell'agire economico, giustificando ogni nefandezza coll'evocare l'azione provvidenziale di una “mano invisibile”34 che guida il mercato e trasforma l'avidità del commerciante in pubblica utilità. Per un triste destino si è così confuso Smith con Mandeville35, l'autore della Favola delle api, consumando

così un clamoroso falso ideologico.

In realtà, Smith nei suoi scritti ebbe modo di contestare duramente la visione di Mandeville che nel far “cadere del tutto la distinzione tra vizio e virtù”36 giudicava l'altruismo come una forma di vanità che gode delle lusinghe e del plauso del prossimo37. Smith, da parte sua, elaborò una filosofia morale stoica, biasimò il lusso e invitò all'autocontrollo e al dominio della passioni.

Di recente l'economista ceco Tomáš Sedláček38 ha efficacemente confutato il modo corrente di presentare il padre dell'economia moderna. Egli spiega come il fraintendimento, il cosiddetto Das Adam Smith Problem39, sia nato dalla volontà

degli studiosi moderni dell'economia di tenere distinte le sue due opere: La teoria

dei sentimenti morali (1759), che Smith considerava il suo libro principale40, e la più popolare Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776).

Sedláček ritiene che, per una comprensione corretta del pensiero di Adam Smith, sia necessario oggi tornare a leggere insieme i due libri41, dal cui esame emerge come non esista per Smith un singolo principio esplicativo dei comportamenti umani. L'uomo è un essere fragile e controverso, attraversato da interessi e passioni, in cui si alternano empatia ed egoismo, slanci di solidarietà e volontà distruttiva. Comunque, l'incipit della Teoria dei sentimenti morali smentisce da solo, in modo inequivocabile, quanti attribuiscono a Smith l'elogio

33 H. E. Daly e J. B. Cobb JR, Un'economia per il bene comune, cit., p. 203.

34 Cfr., A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Milano ISEDI, 1973. p. 444.

35 B. Mandeville, Favola delle api, ed. or. 1729, Milano, Rizzoli, 2011. 36 Cfr. A. Smith, Teoria dei sentimenti morali,cit., p. 421.

37 Ibid., p. 422.

38 T. Sedláček, L'economia del bene e del male, Milano, Garzanti, 2012. Sedláček è stato uno dei principali consiglieri del Presidente Václav Havel. È attualmente membro del Consiglio economico nazionale di Praga e insegna all'Università Carolina di Praga.

39 T. Sedláček, cit., p. 278.

40 Cfr. T. Sedláček, L'economia del bene e del male, cit., p. 258. 41 Cfr. T. Sedláček, cit., p. 268.

(10)

dell'utilitarismo:

Per quanto l'uomo possa esser supposto egoista, vi sono evidentemente alcuni principi nella sua natura che lo inducono a interessarsi alla sorte altrui e gli rendono necessaria l'altrui felicità, sebbene egli non ne ricavi alcunché, eccetto il piacere di constatarla. Di questo genere è la pietà o compassione, l'emozione che sentiamo per le miserie degli altri quando le vediamo o siamo indotti a concepirle in modo molto vivido. Che noi spesso ricaviamo dispiacere dal dispiacere altrui è un dato di fatto troppo ovvio per richiedere esemplificazioni che lo provino, giacché questo sentimento, come tutte le altre passioni originarie della natura umana, non è affatto prerogativa esclusiva di chi è benevolo o virtuoso, sebbene, forse, costui possa sentirlo con la più squisita acutezza. Nemmeno il peggior furfante, il più incallito trasgressore delle leggi della società, ne è del tutto privo42.

Smith non condivideva la visione hobbesiana43 della guerra di tutti contro tutti, di un mondo dove l'uomo sia “lupo feroce” verso l'altro uomo. La società non potrebbe esistere senza legami di lealtà, onestà, solidarietà, empatia, senza che gli uomini perseguano nelle loro azioni la giustizia:

Tutti i membri dell'umana società hanno bisogno di reciproca assistenza e del pari possono danneggiarsi a vicenda. Dove la necessaria assistenza viene reciprocamente offerta per amore, per gratitudine, per amicizia, per stima, la società fiorisce ed è felice. ... La società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l'un l'altro. ... La giustizia è, invece, il principale pilastro che sorregge l'intero edificio44.

42 A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1991, p. 5.

43 T. Hobbes, nella sua opera De Cive, per designare lo stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall’egoismo, si combattono l’un l’altro per sopravvivere, usa il celebre aforisma:

homo homini lupus detto derivato dall’Asinaria di Plauto, II, 4, 88 (lupus est homo homini, non

homo).

(11)

Il divorzio tra etica ed economia, quindi, non si può far risalire a Smith, che nella sua vita si applicò nello studio dell'economia con intenti filantropici, per capire come creare le condizioni migliori del buongoverno. Fu proprio questo suo afflato umanistico che, secondo Christopher Lasch, spinse all'inizio del novecento alcuni economisti progressisti come Simon Patten45 e un autorevole sociologo come Albion Small46, a riproporre l'importanza del magistero di Adam Smith.

Small in particolare arrivò a considerarlo “il fondatore della moderna sociologia, un moralista e teorico sociale lungimirante che rifiutava di separare l'economia tecnica dalla filosofia sociale”47, un coerente ricercatore della giustizia e della

coesione sociale.

La banale metafora settecentesca di Bernard de Mandeville ha trovato una versione più sofisticata ai giorni nostri nell'elaborazione delle teorie dello sviluppo economico. La visione del cosiddetto trickle down (l'effetto sgocciolamento dall'alto verso il basso) è servita negli anni cinquanta48 del secolo scorso per giustificare i consumi vistosi della parte in alto della società, perché in quel modo, sia pure lentamente, “goccia a goccia” si sarebbe avuta una ricaduta positiva anche alla base della piramide sociale.

Una variante della tesi del trickle down, avente uno stesso afflato ideologico, è la supply-side economics, una teoria macroeconomica nata nei primi anni settanta dalle idee di Robert Mundell49, Martin Feldstein50, Arthur Laffer51 e

45 S. Patten fu un economista e sociologo statunitense (1852 -1922), docente dell’Università di Pennsylvania (1888-1917), sostenitore del protezionismo e di altre forme di intervento dello Stato.Tra le sue opere più importanti: Economic basis of protection (1890); Theory of

prosperity (1902); New basis of civilisation (1907).

46 A. Small, (Buckfield, Maine, 1854 - Chicago 1926), studiò a Berlino e a Lipsia. Fu il primo a occupare una cattedra di sociologia all'Università di Chicago, dove insegnò dal 1892 al 1924. Sue opere principali furono The meaning of social science (1910); Between eras: from

capitalism to democracy (1913); Origins of sociology (1924).

47 Cfr. A. Small, Adam Smith and modern sociology (1907), cit. in C. Lasch, Il paradiso in

terra. Il progresso e la sua critica, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 62.

48 Cfr. S. Kuznets, Economic Growth and Income Inequality, "The American Economic Review", vol. XIV, marzo 1955, n. 1, consultabile sul sito:

https://www.aeaweb.org/aer/top20/45.1.1-28.pdf

49 R. Mundell (1932), economista canadese, premio Nobel per l'economia nel 1999 per le sue analisi monetarie e fiscali, autore di numerosi saggi tra cui fondamentale si ricorda tradotto in italiano: Economia internazionale, Torino, UTET, 1974.

50 Martin Stuart Feldstein (1939) docente di economia alla Harvard University, è stato consigliere economico del presidente Ronald Reagan.

51 Arthur Betz Laffer (1940) economista statunitense, divenne molto influente negli anni dell'amministrazione Reagan, tanto da esserne uno dei più ascoltati consiglieri economici. È conosciuto principalmente per la Curva di Laffer che rappresenta l'andamento delle entrate

(12)

Jude Wanniski52, affermatasi nei primi anni ottanta negli Stati Uniti durante la presidenza di Ronald Reagan, dando vita alla cosiddetta Reaganomics. Essa enfatizza il ruolo dell'offerta (supply-side) nello stimolare la crescita economica53, in contrapposizione alle teorie keynesiane che si focalizzano sulla domanda aggregata di beni e servizi.

Il sostegno all'offerta avverrebbe attraverso l'effetto-incentivo di una minore tassazione, stimolando il risparmio e gli investimenti. Una diminuzione delle imposte incentiverebbe gli individui a lavorare e produrre di più.

Di fronte a una scienza che si dimostra molto ideologica e tutt'altro che avalutativa, sovvengono alla mente l'ironica domanda posta da Dennis Holme Robertson54: "Che cosa economizzano gli economisti?" e la sua melanconica risposta: "L'amore: la più scarsa e la più preziosa delle risorse"55. Similmente Eliot56 avvertì di non farsi ingannare dall'ineluttabilità del mercato che crede di essere "... un sistema così perfetto da aver eliminato il bisogno della bontà"57.

2.2 Le radici della verità58

Avendo Gandhi fondato la sua concezione economica sul libro di Ruskin

Unto This Last, è indispensabile analizzare attentamente il testo del pensatore

inglese, leggendolo in parallelo alla parafrasi fattane da Gandhi.

Capita così che esaminando il pensiero dell'uno si possa parlare contemporaneamente anche del pensiero dell'altro, in un interscambio costante,

fiscali in rapporto alla pressione fiscale.

52 Jude Thaddeus Wanniski (1936 – 2005), ha aiutato a progettare i tagli fiscali realizzati durante il primo mandato di Reagan. Nel 1997 Wanniski ha fondato the online learning center

conosciuto come "Supply-Side University".

53 La supply-side economics è stata considerata una sorta di rielaborazione della legge di Say. 54 D. H. Robertson ( 1890 – 1963) è stato un economista inglese. I suoi contributi più rilevanti

sono legati alla teoria monetaria e alla critica costruttiva nei confronti del pensiero keynesiano, dominante all'epoca. La "rivoluzione monetaria" degli anni Cinquanta e il rinnovato interesse per la moneta hanno ridato vigore alla prospettiva teorica di Robertson e ne hanno rivalutato l'importanza nella storia del pensiero economico.

55 D. H. Robertson, Economic Commentaries, London, Staples, 1956, p. 154.

56 Thomas Stearns Eliot (1888–1965) è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico.

57 T. S. Eliot, in H. E. Daly e J. B. Cobb jr., cit., p. 203.

58 Corrisponde al primo capitolo "Roots of Honour"di Unto This Last, Le radici dell'onore che Gandhi cambia volutamente in Le radici della verità nel suo scritto Sarvodaya.

(13)

con sovrapposizioni inevitabili, riservandosi comunque di segnalare, ove vi fossero differenze e variazioni tra i due testi, l'originale di Ruskin e il compendio di Gandhi.

La parafrasi fatta da Gandhi è più breve rispetto al libro di Ruskin che comunque già di suo si presenta con una struttura agile.

Lo scritto Sarvodaya si articola in quattro paragrafi, quanti sono i corrispondenti capitoli del libro di Ruskin, offrendo in lettura pagine non superficiali, benché pensate per un fine prevalentemente divulgativo.

Il titolo del primo capitolo che viene ora esaminato, Roots of Honour (le radici dell'onore), nel compendio di Gandhi viene tradotto come Roots of Truth (le radici della verità)59.

Esaminando la filosofia economica del Mahatma appare evidente come egli abbia sviluppato un processo di identificazione completa con il pensatore inglese, a riprova della sua tesi che la contrapposizione non è tra Oriente e Occidente, tra India e Inghilterra, ma tra visioni diverse, che sono trasversali sui temi dell'economia, dello sviluppo, della scienza e della tecnologia, dell'educazione e della democrazia60.

Gandhi calò l'analisi di Ruskin nel contesto dell'India e dei paesi poveri, giovandosi di quello che un economista russo, appartenente al movimento populista, V. Vorontsov61, chiamò il privilegio dell'arretratezza:

I paesi che sono arrivati più tardi nell'arena della storia hanno il grande privilegio in confronto ai loro precursori, un privilegio che consiste nel fatto che, accumulata l'esperienza storica di altri paesi, essi hanno un'immagine più chiara di quali debbano essere i loro prossimi passi e impegnarsi coscientemente per ottenere ciò che gli altri hanno ottenuto istintivamente, non andando a tentoni nell'oscurità ma conoscendo cosa

59 In altra parte di questo studio si analizza l'importanza e il significato che ha il concetto di verità per Gandhi.

60 Cfr. M. Gandhi, Vi spiego i mali della civiltà moderna. Hind Swaraj (1909), Pisa, 2009, Centro Gandhi Edizioni, p. 14.

61 Vasilij Pavlovich Vorontsov, pseudonimo: VV, (1847-1918), è stato un influente economista russo e uno dei principali protagonisti della polemica tra i populisti e gli economisti marxisti come Plehkanov e Struve negli anni tra il 1880 e il 1890.

(14)

dovrebbero evitare lungo il cammino62.

Ruskin aveva messo in evidenza la funzione politica dell'economia e il ruolo civico che ogni attività economica ha all'interno di una comunità. All'economia "mercantile" contrappose la "vera economia politica": “L'economia politica (l'economia dello Stato, ossia dei cittadini) consiste semplicemente nella produzione, conservazione e distribuzione, nel tempo e nei luoghi più adatti, di cose utili e piacevoli”63.

Una tale economia sarebbe realizzabile solo attraverso una diversa visione dei rapporti sociali. L'idea che le inclinazioni sociali positive come l'empatia, la cooperazione, la solidarietà e la giustizia, che Ruskin definiva "gli affetti sociali", fossero elementi occasionali nel definire il comportamento umano, mentre l'egoismo, l'interesse individuale e l'avarizia fossero elementi costanti nella guida dell'agire economico, era da considerare un errore, una grave mistificazione. Ha scritto Ruskin: "Tra le illusioni che in diverse età hanno dominato le menti di grandi masse del genere umano, la più strana forse - certamente la meno degna di fede - è quella cosiddetta scienza moderna dell'economia politica, fondata sull'idea che un vantaggioso codice di azione sociale possa essere determinato senza alcuna considerazione degli affetti sociali"64.

Eliminare dall'analisi economica le componenti affettive porterebbe a considerare l'essere umano esclusivamente come una macchina che muove ogni sua azione nel solo interesse di accumulare ricchezza:

Gli affetti sociali - dice l'economista - sono nell'umana natura elementi accidentali e perturbatori: ma l'avarizia e il desiderio di miglioramento sono elementi costanti. Eliminiamo gli incostanti e, considerando l'essere umano esclusivamente come una macchina ingorda, esaminiamo per quali leggi di lavoro, di compravendita si possa ottenere il miglior risultato nell'accumulare ricchezza. Una volta determinate quelle leggi, toccherà poi a ciascun individuo introdurre tanto dell'elemento emotivo

62 V. Vorontsov, cit. in A. Walicki, The Controversy over Capitalism. Studies in the Social

Philosophy of the Russian Populists, Oxford, Claredon Press, 1969.

63 J. Ruskin, A Quest'ultimo, cit., p. 47. 64 Ibid., p.1.

(15)

perturbatore quant'egli vorrà, e determinare per se stesso il risultato in base alle nuove condizioni supposte65.

Gli affetti sociali non solo non possono essere tralasciati dall'analisi delle relazioni umane perché fanno parte dell'essenza umana, ma anche perché essi sono di tutt'altra natura rispetto all'avarizia e all'egoismo:

Questo sarebbe un metodo analitico perfettamente logico e riuscito, se gli elementi accidentali da introdursi in un secondo tempo fossero della stessa natura delle forze esaminate prima. Supponiamo che un corpo in movimento sia influenzato da forze constanti e incostanti; il modo più semplice di esaminare il suo corso è ordinariamente quello di traccialo nelle condizioni persistenti e poi indurre le cause di variazione. Ma gli elementi perturbatori nel problema sociale non sono della stessa natura di quelli costanti: essi alterano l'essenza dell'oggetto in esame nel momento che essi sono aggiunti; essi operano non matematicamente, ma chimicamente, introducendo condizioni che rendono inutilizzabili tutte le nostre cognizioni presenti66.

Gandhi condivideva le affermazioni di Ruskin, ritenendo un errore il volere formulare leggi costanti sull'economia, desumendole a priori da una presunta natura egoistica dell'uomo. Il Mahatma distingueva la sfera razionale e oggettiva dalla sfera soggettiva e affettiva dell'uomo. La prima risponde al "mondo esterno" materiale e a una realtà oggettiva, la seconda a una "forza interiore", immateriale e a una verità di tipo soggettiva:

Questo sarebbe un argomento convincente se i sentimenti sociali fossero della stessa natura delle leggi della domanda e dell'offerta.

Gli affetti di un uomo costituiscono una forza interiore. Le leggi della domanda e dell'offerta sono formulazioni concernenti il mondo esterno. I due, quindi, non sono della stessa natura. [...]

Il sentimento ha un diverso effetto sull'uomo e agisce in maniera differente. Esso cambia la natura dell'uomo, così che non possiamo misurare i suoi

65 Ibid., pp. 20-21. 66 Ibid., p. 20.

(16)

effetti con l'aiuto delle leggi dell'addizione e della sottrazione, come possiamo fare invece con gli effetti di forze differenti sulla velocità di un corpo. La conoscenza delle leggi di scambio non è di alcun aiuto nel determinare gli effetti dei sentimenti sociali dell'uomo67.

Gli economisti classici pur riconoscendo l'esistenza di un'anima nell'uomo, la escludono dall'analisi economica il cui scopo è quello di elaborare leggi che permettano all'individuo di accumulare il massimo della ricchezza.

Io non dubito delle conclusioni della scienza economica, se le sue premesse sono accettate. Se un istruttore di ginnastica formulasse delle leggi sull'assunto che l'uomo è fatto di sola carne senza uno scheletro, quelle leggi potrebbero essere valide, ma non sarebbero applicabili all'uomo, poiché l'uomo ha uno scheletro. Allo stesso modo le leggi dell'economia politica potrebbero essere valide, ma non sono applicabili all'uomo, che è soggetto ai sentimenti. Un esperto di cultura fisica potrebbe suggerire che la carne venga staccata dallo scheletro e arrotolata in palline per farne quindi delle funi. Egli, allora, potrebbe dire che il reinserimento dello scheletro causerebbe degli inconvenienti. Dovremmo descrivere un tal uomo come uno squinternato, poiché le leggi della cultura fisica non possono essere basate sulla separazione dello scheletro dalla carne. Alla stessa maniera, le leggi dell'economia politica che escludono gli affetti umani sono inutili all'uomo68.

La ratio monetaria non può essere l'unico parametro al quale l'uomo deve attenersi. L'uomo dotato di coscienza e senso di equità deve valutare quali siano e quali saranno gli effetti prodotti dalle sue azioni verso gli altri.

Un esempio che mostra l'infondatezza dell'equilibrio di mercato è l'incapacità della scienza economica moderna di fare fronte a un'empasse produttivo provocato da uno sciopero. In questo caso le leggi della domanda e dell'offerta non sono in grado di risolvere il conflitto tra datori di lavoro e lavoratori. Molti teorici hanno cercato di definire se gli interessi dei padroni siano

67 M. K. Gandhi, Sarvodaya in La gioia della povertà conviviale, cit., p. 19. 68 Ivi.

(17)

o non siano contrapposti a quelli dei lavoratori. Secondo Ruskin e Gandhi non necessariamente individui che hanno interessi economici diversi debbano considerarsi nemici.

L'esempio che Ruskin ci offre è quello di una famiglia povera:

Se vi è soltanto una crosta di pane in casa, e mamma e figli muoiono di fame, i loro interessi non sono gli stessi. ... Pure non ne segue necessariamente che vi sarà "antagonismo" tra essi, e che essi si batteranno per quella crosta di pane, e che la madre, essendo la più forte, se ne impossesserà e se la mangerà. E neppure, in nessun altro caso, qualunque sia il rapporto tra le persone, si può mettere come dato certo, che sol perché gli interessi siano divergenti, anche le persone debbano necessariamente considerarsi come nemici e usar violenza o astuzia per ottenere vantaggio69 .

Anche se si riuscisse a considerare gli uomini come sempre mossi dal solo impulso egoistico, simile a quello degli animali, e da nessun impulso morale, non si può definire una regola generale, sempre valida, per definire se gli interessi tra lavoratori e datori di lavoro siano collimanti o opposti. Dipende da caso a caso, possono essere o l'uno o l'altro in base alle circostanze. Il legame imprescindibile che lega l'interesse dell'uno con quello dell'altro è che il lavoro sia fatto bene e in modo appropriato e che se ne ottenga per esso un "giusto prezzo", che non viene stabilito né dalla concorrenza della manodopera disponibile né dalla domanda del bene prodotto sul mercato, ma dal riconoscere a ogni uomo una pari dignità del lavoro attraverso una più equa distribuzione della ricchezza.

Anche nella ripartizione del profitto, il guadagno dell'uno non necessariamente significa una perdita per l'altro: "Non è nell'interesse del datore di lavoro pagare salari così bassi da lasciare i suoi uomini malati e depressi. E non è nell'interesse del lavoratore chiedere un salario elevato, senza considerare se l'azienda può permetterselo"70. Eppure il rapporto tra datore di lavoro e operaio viene concepito come un rapporto conflittuale. L'economia fonda le sue leggi sull'idea che se il capitalista agisse nel proprio interesse, esigendo il massimo

69 J. Ruskin, A Quest'ultimo, cit., p. 22.

(18)

lavoro dai suoi operai, pagando il salario minimo possibile, la società intera ne otterrebbe beneficio e attraverso di essa anche il lavoratore. Ma una tale idea non è applicabile all'uomo. Sarebbe valido se a compiere il lavoro fosse una macchina alimentata dal solo combustibile, ma l'uomo è costituito anche di sentimenti che lo motivano a realizzare il meglio di sé: "Il legame padrone-servitore non deve essere un legame pecuniario ma un legame d'amore"71. Credere di ottenere la

massima efficienza da un individuo solo perché messo sotto pressione o perché trattato duramente è un'argomentazione che non vale nella generalità dei fatti.

Le relazioni tra i padroni delle fabbriche e i suoi operai sono basate spesso più su un sentimento di ostilità che non di affetto e cooperazione. Secondo Ruskin manca quel senso di complicità, di cura e di stima che esiste, per esempio, tra un comandante e il suo reggimento o una banda di ladri e il suo capo. Il comandante ha bisogno di motivare i propri soldati a scendere in campo dando il meglio di sé, instaurando con loro un rapporto diretto e prendendosi cura dei loro interessi, solo così potrà ottenere dai subordinati lo sforzo a dare il massimo rendimento. Anche i membri di una banda di ladri, solo se legati idealmente da uno scopo comune, portare a casa il bottino sani e salvi, sarebbero disposti a soccorrere il loro capo in caso di pericolo, mettendo a rischio la propria vita.

Nel commercio, sostiene Ruskin, manca un ideale comune di collaborazione e mutuo sostegno tra i lavoratori e i produttori, ironizzando così: "... gli uomini associati per produrre e accumulare legalmente non sono di solito, a quel che appare, animati da cotali sentimenti, e nessuno di essi darà con chiara coscienza e decisa volontà per quella del suo capo la sua vita"72.

Alla radice di questa profonda ostilità presente tra i proprietari delle fabbriche e gli operai esiste un antagonismo formulato da due questioni che si verificano nell'economia di mercato: la prima è la fluttuazione dei salari, che variano al variare della domanda di manodopera; la seconda è la capacità di garantire lavoro senza che esso sia assoggettato alle condizioni di mercato.

Sarebbe un sistema più naturale e giusto quello in cui si garantisse un uguale salario per tutti. Il fine, secondo Ruskin, è pagare ai lavoratori un salario equo, determinando, però, che il buon lavoratore trovi occupazione e il cattivo

71 Ibid. p. 21.

(19)

lavoratore rimanga disoccupato: "Il sistema falso, innaturale e distruttivo si ha quando si permette all'operaio cattivo di offrire a metà prezzo la sua opera, e, o di prendere il posto dell'operaio buono, o di costringerlo colla concorrenza a lavorare per una somma inadeguata"73.

La seconda questione riguarda la continuità del lavoro qualunque siano le condizioni del mercato. Se l'occupazione fosse incerta l'operaio sapendo di non poter ottenere un'entrata sicura sarebbe costretto a chiedere una paga più alta, mentre se fosse assicurato di un lavoro continuativo sarebbe disposto a impegnarsi per un salario anche più basso. In un rapporto di lavoro di lungo periodo entrambi, lavoratore e datore di lavoro, avrebbero un maggior guadagno. Se per esempio un operaio avesse bisogno di uno scellino al giorno per vivere, i suoi sette scellini li dovrebbe ottenere o con tre giorni di lavoro snervante o con sei giorni di lavoro tranquillo. Ruskin riconosceva già allora come:"La tendenza di tutta la pratica mercantile moderna è di fare del salario e dell'attività mercantile un gioco di bussolotti, e far dipendere la paga dell'operaio da uno sforzo discontinuo, e il profitto del datore di lavoro dalla fortuna abilmente acciuffata"74. Questo accadeva in quanto i datori di lavoro si facevano prendere della passione per il rischio e dal desiderio di arricchirsi, avvalendosi dell'ignoranza e della dissolutezza degli operai:"I padroni non sanno darsi pace che sfugga loro una qualsiasi occasione di guadagno e freneticamente si dirigono verso la più piccola lesione, verso ogni breccia nelle mura della Fortuna presi dalla mania di arricchire e affrontando con irrefrenabile ingordigia, tutti i rischi di rovina, mentre dall'altra parte, gli operai preferiscono tre giorni di lavoro snervante e tre di ubriachezza ai sei giorni di lavoro moderato e di saggio riposo"75.

La mancanza di una relazione di stima e di cura reciproca tra i datori di lavoro e gli operai rende debole la base del rapporto fra le due categorie, rendendo impossibile la possibilità di migliorare gli interessi di entrambe le parti. Se il lavoro fosse distribuito su un periodo più lungo e fosse pagato il suo giusto prezzo, l'imprenditore non sarebbe in grado di fare grandi profitti né di andare incontro a grandi rischi e non sarebbe possibile speculare su larga scala.

73 J. Ruskin, A Quest'ultimo, cit., p. 33. 74 Ibid., p. 34.

(20)

Un altro aspetto che Ruskin evidenziava nella mancanza di stima e cura tra i lavoratori e gli imprenditori è dovuta all'assunzione comune che il commercio sia associato alla mancanza di scrupoli, alla ricerca della ricchezza personale anche a scapito degli altri, prescindendo da qualsiasi legge morale.

Ruskin riteneva che la professione del soldato era vista diversamente, venendo onorata come la più alta opera morale e sociale, nella convinzione che l'individuo desse la propria vita allo Stato, non con lo scopo di uccidere, ma allo scopo di mettere la propria vita in pericolo, disposto anche a farsi uccidere, per difendere gli altri. Allo stesso modo era stimata e rispettata la figura del medico, gli si riconosceva l'onore di soccorre i malati anche di fronte a un'epidemia che avrebbe potuto mettere a rischio la sua salute. E anche la professione dell'avvocato era popolarmente stimata per la credenza nella sua capacità di rendere giustizia ad ogni costo.

A chi si occupa di commercio, invece, non era riconosciuta nessuna funzione sociale degna di avere il rispetto del popolo. La professione del commerciante era vista, infatti, come un'attività con il solo scopo del profitto individuale. Anche le leggi erano redatte per rendere possibile al commerciante di accumulare ricchezza in grande quantità e nel minor tempo possibile. Il commerciante fu da sempre incoraggiato a domandare il prezzo più alto che il consumatore fosse disposto a pagare.

Per questo il pubblico guarda con disprezzo l'attività del commerciante, a causa della sua disonestà. Questo per Ruskin non era commercio, ma rapina. Un tale principio come guida dell'attività economica commerciale doveva essere abbandonata. Così come alle altre professioni era riconosciuta una funzione onorevole perché prevedevano la possibilità di subire una perdita nell'interesse della società (il soldato la propria vita e il medico la propria salute) anche il commerciante avrebbe dovuto essere disposto a sacrificare parte dei suoi interessi per il benessere degli altri. Ruskin riconosceva nel commerciante una funzione importante verso i membri della sua comunità ed era quella di provvedere ai loro bisogni. Doveva, infatti, rifornire le famiglie di tutto il necessario per vivere. Se al commerciante fosse stata riconosciuta la capacità di soddisfare al massimo i bisogni della popolazione, offrendo prodotti di qualità al prezzo che la gente

(21)

poteva pagare, preoccupandosi allo stesso tempo, di dare sicurezza e benessere alle persone che lavoravano per lui, allora avrebbe ottenuto dal popolo lo stesso rispetto e onore di quello offerto ad altre professioni. Il commerciante, infatti, è chiamato a svolgere un'alta funzione sociale:

... come il capitano di una nave deve essere l'ultimo ad abbandonare la nave in caso di naufragio, così in caso di carestia o altre calamità, il commerciante è tenuto a salvaguardare gli interessi dei suoi uomini prima dei propri. Tutto questo potrebbe suonare strano. Ma la cosa veramente strana dell'era moderna è che questo suoni strano, poiché chiunque applichi la mente a questo potrà vedere che il vero principio è così come lo abbiamo formulato. Qualunque altra regola è impossibile per una nazione progredita76.

2.3 Valore e ricchezza

In Unto this last, Ruskin, critica l'interpretazione di due concetti fondamentali dell'economia politica moderna: la ricchezza e il valore.

L'idea originaria identificava la ricchezza con l'insieme di beni e servizi che favoriscono la vita e procurano all'uomo un dignitoso benessere. L'attuale distorsione del significato del termine ricchezza ha identificato nell'accumulazione di denaro e di beni materiali il mezzo per ottenere benessere e felicità. Per Ruskin la possibilità di acquisire ricchezza è legittimata solo se vengono rispettate determinate condizioni morali della società, in primis l'onestà, ritenendo che essa, se fosse condivisa, avrebbe ricadute benefiche anche a fini pratici. Infatti, il lavoro si organizzerebbe e si svilupperebbe con minori difficoltà se i capitani d'industria accettassero l'etica dell'onestà.

In secondo luogo, il significato dato al termine valore dalla scienza economica classica era stabilito unicamente in termini quantitativi misurabili con

76 M. K. Gandhi, Sarvodaya. Un'economia a servizio degli ultimi, in La gioia della povertà

(22)

la moneta. Secondo Ruskin non è sufficiente definire il valore solo in termini quantitativi, ma si dovrebbe cercare anche un criterio qualitativo, che valuti in che modo un bene sia di sostegno alla vita. Stabilendo in che modo un bene sia necessario e utile alla vita si può definire il suo giusto valore e la misura della ricchezza non sarà più definita dagli affari economici e dal libero mercato ma da uno standard di utilità umana.

Secondo Ruskin, gli economisti classici non riconoscevano il valore come una proprietà intrinseca dell'oggetto o del bene in sé, ma era stabilito dalla quantità di altri beni con cui era interscambiabile.

Infatti, secondo l'economia di mercato un barile di whisky o un tavolo da

roulette avevano lo stesso valore di una scorta di grano o uno scaffale pieno di

libri, se così fosse stabilito dal prezzo di mercato. Gli effetti che il consumo di questi beni poteva avere sulle persone, se arrecavano malattia o crescita culturale, non erano considerati nella definizione del loro valore. Ha ammonito Ruskin:

Non vi è altra ricchezza che la vita - la vita con tutti i suoi poteri, di amore, di gioia e di ammirazione. Quel paese è il più ricco che nutre il più gran numero di esseri umani nobili e felici; quell'uomo è il più ricco che, avendo perfezionato al più alto grado le funzioni della sua vita, esercita anche la più larga influenza soccorritrice, sia personale che per mezzo dei suoi beni, sulla vita degli altri"77.

Quindi il vero valore delle cose non si trova nel prezzo pagato né nella quantità di soddisfazione ricavata dal consumatore, ma nel servizio intrinseco che è in grado di fornire attraverso il suo corretto uso.

Tutti quei beni commerciali che sono in grado di soddisfare i bisogni dell'uomo, promuovendo vita e felicità, possono essere considerati come ricchezza, mentre tutti quei beni che pretendono di soddisfare desideri che recano danno all'uomo non sono ricchezza ma un malanno, perché invece di generare vita e salute producono malattie e morte. Una saggia politica economica dovrebbe, perciò, agire promuovendo la buona salute e la formazione di cittadini onesti e

77 J. Ruskin, Le fonti della ricchezza (Unto This Last) a cura di Giovanni Amendola, Roma, Enrico Voghera, 1908, p.164.

(23)

consapevoli.

Ruskin ritiene che esiste una concezione "vitalistica"dell'economica politica, che deve definire le attività che mirino a produrre vita su una base morale.

Il sistema di produzione stabilito sulla domanda di consumo falsifica il vero costo del lavoro e con esso aumenta il desiderio di consumo verso beni di lusso.

Ruskin non riteneva possibile concepire la determinazione del valore della produzione sulla base dell'incontro della funzione di domanda e di offerta di un determinato bene. Nessun ordine né progresso sociale è possibile senza una morale che sostenga l'idea di benessere sociale basato su uno standard di bisogni umani per l'intera comunità e che rispetti i principi di giustizia e uguaglianza.

Ruskin, proponeva una visione sociale dell'economia dove il perseguimento della soddisfazione e l'auto-realizzazione del lavoratore non fossero abbandonate, ma ampliate a una concezione del benessere sociale, dove il benessere personale s'identificava con quello degli altri, dove la felicità degli altri era elemento intrinseco della felicità dell'individuo:

Forse può perfino apparire, dopo alcune considerazioni, che le persone stesse sono la ricchezza e che quei pezzi d'oro con i quali siamo abituati a guidarli sono, in effetti, nulla più di una specie di bardatura o finimento bizantino, scintillante e bellissimo allo sguardo di un barbaro, con il quale agghindiamo gli animali. Ma se queste creature, potessero essere guidate senza il morso nella bocca e il tintinnare degli addobbi nelle orecchie, scopriremmo forse che essi hanno maggior valore delle loro briglie. In effetti si potrebbe scoprire che le vere vene della ricchezza sono rosse - non fatte di roccia ma di carne - e magari perfino che il risultato finale e l'impiego di ogni ricchezza è quello di rendere il maggior numero di esseri umani capaci di respirare a pieni polmoni, con lo sguardo brillante e il cuore lieto78.

Per Ruskin il valore di un bene doveva essere determinato dalla sua

78 J. Ruskin, Le fonti della ricchezza (Unto This Last), Cinisello Balsamo (Milano), Edizioni San Paolo, 2014, p. 66.

(24)

capacità di giovare alla vita. L'utilità doveva essere misurata in termini di vita che riusciva a sostenere e i costi dovevano essere misurati in termini di malattia o morte. La definizione di utilità o valore del lavoro doveva basarsi sugli effetti che procurava al lavoratore. Vi sono lavori che degradano l'uomo, che mettono in pericolo la sua salute o la sua morale in modo talmente grave che solo l'ignoranza o la miseria potrebbero costringere il lavoratore a compierli. I costi di tali lavori sono incalcolabili, poiché determinano una perdita netta in termini di vita.

Lavori monotoni, brutti o nocivi, che non suscitano interesse e sono diseducativi comprendono enormi costi, mentre lavori che prevedono un esercizio sano per il fisico e la mente, che comprendano moderazione, abilità, espressione dell'individuo e che abbiano carattere educativo non comportano nessuna perdita in termini di vita, essendo invece, fonte di vera ricchezza. Inoltre, il lavoro deve essere proporzionato alle abilità della persona e alle sue capacità, un lavoro svolto da un uomo forte e capace ha dei costi minori rispetto a un lavoro duro imposto a donne o bambini, i cui costi sarebbero enormi in termini di danni e sofferenza umana. Il denaro non può essere l'unico termine di misura del costo del lavoro. La formazione, l'abilità, l'educazione sono tutti fattori che migliorano la prestazione e diminuiscono i costi. Anche la distribuzione del lavoro in termini di quantità svolta nel breve o lungo periodo e nella sua distribuzione tra la popolazione determina minori costi in termini di equità e di giustizia sociale.

La relazione tra costi e utilità in termini di vita umana definisce in che modo la qualità e la quantità di consumo incida sul volume e la tipologia di lavoro. Ad esempio buone condizioni di lavoro, abilità e interesse del lavoratore in quello che produce determineranno una buona educazione tanto dei consumatori quanto dei cittadini, influenzando di conseguenza la domanda di beni. Mentre, se una classe sociale consuma senza produrre, sottoporrà un'altra classe sociale all'obbligo di produrre senza necessariamente avere la possibilità di consumare. La violazione di tali leggi morali producono una doppia ferita sociale: sia per quelli che sono sovraccaricati di lavoro che per quelli che eccedono nei consumi.

Identificando la ricchezza con la vita, Ruskin, ha ampliato il significato delle arti della scienza economica in modo tale da includere tutte quelle attività

(25)

della vita umana che si trovano al di fuori delle arti industriali, restituendo un carattere più umano e sociale al lavoro. La relazione organica esistente tra lo sforzo e la soddisfazione nel compiere un lavoro stabilisce un equilibrio razionale di produzione di beni favorevoli alla vita, dando allo stesso tempo all'individuo la capacità e il potere di armonizzare la sua vita, attraverso il suo lavoro, con la vita sociale.

2.4 La giusta misura della ricchezza

J. A. Hobson nel suo lbro John Ruskin Social Reformer riconobbe a Ruskin una capacità critica dell'economia nonostante fosse professore di belle arti79.

La sua conoscenza dell'economia politica fu il frutto di studi approfonditi e dell'esperienza diretta dei diversi lavori artigianali, dello stretto contatto con i contadini, del lavoro agricolo e della ricerca e lo studio sulla natura. Lo studio del mondo animale e vegetale hanno dato a Ruskin un'ampia conoscenza e consapevolezza del ruolo centrale che le materie prime hanno come oggetto fondamentale nel meccanismo dell'economia commerciale, fonte primaria di ricchezza che vede una vera e propria guerra per l'accesso alle risorse. Inoltre, la padronanza delle lingue e il suo interesse per lo studio etimologico delle parole sono state per Ruskin fondamentali per la comprensione dei termini economici, quali valore, capitale, consumo e profitto al fine di recuperare il loro significato originario e il loro scopo costitutivo80.

Ruskin contestava all'attuale economia politica di ergersi a scienza, ritenendo invece che essa fosse un'economia mercantile e non una vera economia politica, il cui scopo dovrebbe essere un'equa distribuzione e amministrazione delle risorse.

La scienza economica moderna aveva, infatti, manipolato l'idea originaria di economia, oikonomos (l'arte di amministrare la casa) con la quale s'intendeva il buon uso delle risorse, che furono definite per principio scarse.

79 Cfr., J. A. Hobson, John Ruskin Socila Reformer , Londra, James Nisbet & Co., 1904, p. 57. 80 Ibid., pp. 58-59.

(26)

Sul concetto di scarsità si fonda tutto il discorso della moderna economia politica. Nei manuali oggi in uso nelle università :"scarsità vuol dire che la società dispone di risorse limitate e non può produrre tutti i beni e i servizi che i suoi membri desidererebbero. Proprio come in una famiglia nessuno a sempre esattamente ciò che desidera, in una società non si può garantire a ciascuno il massimo tenore di vita a cui aspira"81.

Una tale prospettiva esiste perché parte dall'assunto che per permettere a tutti di raggiungere una determinata ricchezza non esistono risorse sufficienti.

Il concetto di scarsità ha, quindi, un significato in termini relativi. Gandhi percepì chiaramente quest'inganno di parole, riconoscendo che nel mondo esistevano risorse tali da soddisfare i bisogni di tutti, ma non a sufficienza per colmare l'ingordigia di alcuni.

Il significato della parola "ricco" andava analizzata in termini relativi in quanto si contrapponeva alla condizione di qualcun'altro, quella del "povero". Quindi l'idea che il concetto di "ricchezza" sia un termine assoluto è ingannevole perché nell'immaginario comune si diffuse la convinzione che fosse possibile a tutti, seguendo determinati precetti scientifici, diventare ricchi. Ma analizzando da vicino il significato e le conseguenze dell'accumulo di ricchezza si poteva scoprire che il potere di una ghinea per chi la deteneva dipendeva dal fatto che un altro ne era privo. Se nessuno ne avesse bisogno, essa sarebbe stata inutile anche a chi la deteneva. Il grado di valore che gli era attribuito dipendeva dal bisogno e dal desiderio che altri ne avevano. Per Ruskin: "l'arte di arricchire, nel comune significato dell'economia mercantile, è perciò egualmente e necessariamente l'arte di mantenere povero il vostro vicino"82.

L'accumularsi di denaro nelle mani dei singoli serviva così a ottenere mezzi legali per pretendere lavoro da parte di altri. Questo implicava che una parte della popolazione fosse nella condizione di dipendere dalla moneta e che, essendo in uno stato di bisogno, era disposta a vendere il lavoro delle proprie braccia. L'esempio che meglio mostrava questa realtà è quella proposta da Ruskin di un ricco proprietario terriero che per poter mantenere il suo tenore di vita aveva bisogno di un certo numero di lavoratori che gli coltivavano la terra, che gli

81 N. G. Mankiw, Principi di Economia, Bologna, Zanichelli, 2007, p. 2. 82 J. Ruskin, cit., p. 46.

(27)

preparavano il pane, gli rigovernavano la casa, gli cucivano i vestiti. Ciò era possibile perché c'erano uomini disposti a offrire il loro tempo in cambio del suo denaro, per poter comprare il pane il cui grano apparteneva al loro padrone e che egli vendeva al mercato. Se, però, nessuno dei suoi vicini avesse avuto bisogno di denaro o di grano, perché ognuno aveva potuto prodursi da sé il pane, egli avrebbe dovuto lavorare da sé le sue proprietà, per ricavarne il grano e governarsi la casa, farsi il pane e gli abiti. Egli si sarebbe accorto allora che il suo denaro non aveva più nessun potere e non valeva più delle pietre del suo campo. Le sue provviste di grano potevano imputridire nei granai perché egli non poteva consumarne più del suo vicino. A questo punto era costretto a lavorare come gli altri uomini e non avrebbe più sentito il bisogno di accumulare ricchezze, avrebbe vissuto in una casetta rustica con giardino come quella dei suoi vicini.

A tali condizioni nessun uomo, neanche il più avido della terra avrebbe accettato di trattenere per sé tanta ricchezza.

Hobson nel suo studio sul Socialism and Aristocracy ha definito Ruskin un riformatore sociale83. Lo considerava un socialista nella concezione filosofica del termine. Ruskin, infatti, aveva una visione ampia e organica della vita. Riteneva che la società fosse un'unità organica con uno scopo comune84.

Dal punto di vista politico economico, invece, Ruskin riconosceva il diritto alla proprietà privatala della terra, anche se limitata alla capacità d'uso del lavoratore. Era contrario alla nazionalizzazione della terra, come volevano i socialisti rivoluzionari, sosteneva che ognuno dovesse avere diritto a detenere la propria casa e la propria terra ed essere libero di produrre e vendere i frutti del proprio lavoro per vivere85.

Hobson ha così scritto di Ruskin: "La sua insistenza nell'affermare che: «grandi fortune non possono essere fatte onestamente col lavoro delle mani o delle mente di un singolo uomo» implica necessariamente lo «scoprire con quali mezzi gravare sul lavoro altrui» ..."86

Ruskin riconosceva nel potere attribuito al denaro la volontà di alcuni di

83 Cfr., J. A. Hobson, John Ruskin Socila Reformer , cit., p. 176. 84 Ivi.

85 Ibid., pp. 178.180. 86 Ibid., p. 178.

(28)

oziare sfruttando il lavoro di altri: "Una riflessione accurata mostrerà che ciò che veramente desideriamo nell'accumulare ricchezza è il potere su altri uomini, il potere cioè di acquisire a nostro vantaggio il lavoro di un servo, di un commerciante, o di un artigiano. E il potere che potremmo acquisire sarà direttamente proporzionale alla povertà degli altri"87.

Questo potere derivante dalla ricchezza era direttamente proporzionale alla condizione di miseria in cui si trovavano coloro verso cui si esercitava, ed era inversamente proporzionale al numero di persone ricche che lo detengono. Infatti, il potere dipendeva dalla condizione di povertà del lavoratore, il quale sarebbe stato disposto a vendere il suo tempo a un prezzo più basso quanto più bisogno aveva di denaro. Ma allo stesso tempo dipendeva dal numero di persone ricche disposte a pagare il tempo dell'operaio, perché il lavoratore poteva scegliere di svolgere il suo lavoro presso colui che fosse stato disposto a dargli la paga più alta. In questa tipo di economia arricchirsi significava fare in modo che ognuno mirasse ad accumulare per sé molta ricchezza, cercando al contempo di fare in modo che gli altri, i suoi vicini, ne avessero sempre meno. Veniva così praticata quella che Ruskin chiamava:"l'arte di stabilire il massimo di disuguaglianza in nostro favore"88.

Secondo Ruskin il presupposto che la diseguaglianza economica fosse vantaggiosa per la nazione nel suo complesso era un errore dell'economia politica. Il beneficio che può provenire dalla disuguaglianza dipendeva anzitutto dalla modalità con cui una tale disuguaglianza si era raggiunta e a quale scopo fosse stata realizzata. L'esempio che Ruskin fece e che Gandhi riportò in

sarvodaya era quello di tre uomini che decisero di formare una piccola repubblica

isolata, lavorando e producendo tutto ciò di cui avevano bisogno. Si ipotizò che ognuno dei tre si specializzasse nella produzione di un bene e che ciascuno necessitasse dei beni che gli altri producevano. A un certo punto uno dei tre si assunse il ruolo di trasferire i prodotti da una parte all'altra dell'isola per far risparmiare tempo a tutti e tre, a condizione che egli ricevesse un compenso per ogni partita trasportata. Se l'intermediario fosse riuscito a compiere il suo lavoro consegnando nei tempi opportuni e con onestà, la piccola comunità avrebbe

87 M. K. Gandhi, Sarvodaya, in La gioia della povertà conviviale, cit., p. 26. 88 J. Ruskin, cit., p. 50.

Riferimenti

Documenti correlati

La mancata compilazione e/o consegna del questionario e della scheda di valutazione, fanno decadere i diritti all’acquisizione dei crediti formativi. Responsabile Scientifico

La gestione dell'irrigazione nel quadro del miglioramento della qualità e della riduzione dei costi di produzione in

Isolamento, selezione, miglioramento genetico e costituzione di ceppi di lieviti, in grado di modificare l'acidita titolabile e le proprietà sensoriali dei

La riduzione non spetta se per la classe di rischio l’indice di gravità aziendale (IGA) è maggiore dell’indice di gravità medio (IGM) oppure la lavorazione della classe di rischio

Oltre alle forme “c’è/ci sono”, che sono al presente, è possibile ottenere in modo analogo anche le espressioni al passato (c’era/c’erano oppure ci fu/ci furono) o al

n A Grade I sprain of the sternoclavicular joint results from a mild medially directed force applied to the lateral aspect of the involved shoulder of from the shoulder being

6 European Commission, Financing the Green Transition: The European Green Deal Investment Plan and Just Transition Mechanism, 14 January 2020,

The transformative, ‗epigenetic‘ dimension of living beings, which fascinates Diderot (―Voyez-vous cet œuf ?‖) or La Mettrie (who uses Lucretian motifs to describe the living Earth