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2. STATO DELL’ARTE

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2. STATO DELL’ARTE

2.1

STRUTTURA

E

COMPORTAMENTO

DEL

BITUME

Il bitume a temperatura ambiente ha consistenza solida, colore dal nero al bruno scuro, e presenta un comportamento termoplastico ed ottime caratteristiche di adesione ed impermeabilità. Il bitume risulta essere assimilabile ad una miscela di composti tra cui prevalgono gli idrocarburi, con una piccola quantità di specie eterocicliche strutturalmente analoghe e gruppi funzionali contenenti atomi di zolfo, azoto ed ossigeno. Attraverso procedimenti di frazionamento sempre più accurati è possibile individuare nel bitume alcune frazioni più omogene, ognuna con caratteristiche peculiari, alle quali si è soliti ricondurre determinate proprietà del bitume:

- asfalteni, macromolecole ad alto peso molecolare (Figura 2-1), responsabili della consistenza ed alta viscosità dei bitumi, ne rappresentano la componente specifica. Microscopicamente sono solidi amorfi costituiti da miscele di idrocarburi, hanno una struttura aromatica, cioè ciclica non satura.

Figura 2-1.Esempi di strutture molecolari di asfalteni

Sono di colore nero o marrone ed insolubili in n-eptano, sono contraddistinti dalla loro elevata polarità. I pesi molecolari sono molto variabili, compresi tra 600 e 300000 u.m.a. La valutazione del peso molecolare delle particelle asfalteniche è, in effetti, uno degli aspetti più controversi degli studi sui materiali bituminosi. Confrontando i risultati ottenuti dalle diverse tecniche è possibile riscontrare un’elevata variabilità sui risultati, che possono

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10 differire tra loro anche di più ordini di grandezza. Questo è dovuto al fatto che le tecniche richiedono la diluizione del composto in appositi solventi che in qualche modo ne alterano la morfologia, causando la dissoluzione delle molecole più pesanti o l’aggregazione di quelle più polari in nuove strutture. Gli asfalteni, generalmente presenti in concentrazioni comprese tra il 5% ed il 25% in peso, hanno un grande effetto sulle caratteristiche del legante: come conseguenza diretta dell’aumento percentuale di questi all’interno del bitume vediamo una diminuzione del valore di penetrazione, un incremento della viscosità ed innalzamento del punto di rammollimento [10].

- resine, svolgono un’azione disperdente degli asfalteni nel corpo oleoso del bitume e quindi ne regolano la stabilità e le proprietà elastiche. Sono composti solubili in n-eptano, hanno struttura molto simile a quella degli asfalteni; presentano alla vista un colore marrone scuro con consistenza solida o semisolida, simile a quella dell’intero bitume. Le resine sono di natura polare ed hanno notevoli proprietà adesive; svolgono la funzione di agenti disperdenti o peptizzanti per le strutture macromolecolari asfalteniche. Sono dei co-solventi per oli ed asfalteni, mutuamente insolubili se presenti in concentrazioni non adeguate. Costituiscono una parte del bitume compresa tra il 10% e il 25% in peso ed hanno peso molecolare variabile tra 500 e 50000 (Figura 2-2) [10].

Figura 2-2.Esempi di strutture molecolari aromatiche

- oli maltenici, si suddividono in due classi: oli aromatici e oli saturi. La suddivisione viene fatta in base ai tipi di legami chimici che prevalgono nella struttura. Gli oli aromatici sono rappresentabili come liquido viscoso, caratterizzati da un colore marrone scuro, contenenti numerosi composti a basso peso molecolare con anelli aromatici.

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11 Essi sono costituiti da catene di carbonio non polari nelle quali dominano i sistemi di anelli insaturi (aromatici). Hanno un alto potere solvente nei confronti degli altri idrocarburi ad elevato peso molecolare. Gli aromatici costituiscono la frazione maggiore del bitume, compresa tra il 40% e il 60% in peso. Il loro peso molecolare è compreso tra 300 e 2000 (figura 1.4) [10].

Gli oli saturi sono un liquido viscoso, di colore bianco giallastro, composto essenzialmente da idrocarburi saturi a lunga catena, alcuni dei quali con ramificazioni, e da nafteni. Essi sono composti non polari, di peso molecolare simile a quello degli aromatici, compreso tra 300 e 1500; costituiscono una percentuale compresa tra il 5% ed il 20% in peso del bitume (Figura 2-3). I saturi contengono la maggior parte delle cere presenti nei bitumi, le quali si presentano in forma paraffinica. Gli oli saturi e gli aromatici possono essere considerati come agenti elasticizzanti del bitume [10]

Figura 2-3.Esempi di strutture molecolari sature

2.1.1 MODELLO COLLOIDALE DEL BITUME

Le particolari proprietà del bitume nei confronti delle sollecitazioni meccaniche hanno portato ad attribuire a questo una struttura colloidale, assimilabile ad una particolare miscela in cui una sostanza si trova in uno stato finemente disperso, intermedio tra la soluzione omogenea e, la dispersione eterogenea. Quanto detto fa sì che all’interno del bitume si crei una struttura in grado di rispondere in modo diverso alle deformazioni in funzione del carico e del tempo di applicazione della sollecitazione meccanica. Tale comportamento, opposto a quello tipico dei fluidi newtoniani, è riscontrabile solamente nei bitumi che contengono asfalteni; si ha quindi un’associazione diretta tra natura colloidale e presenza di asfalteni o meglio, presenza di nuclei asfaltenici circondati da componenti aromatici ad alto peso

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12 molecolare, le resine. Si può immaginare che ogni asfaltene sia al centro di una struttura, definita “micella”, la quale è circondata dalle resine (il cui carattere polare è proporzionale alla distanza dall’asfaltene); le resine interagiscono con gli oli aromatici che costituiscono il confine della struttura e possono interfacciarsi con gli oli saturi-fase non polare in cui si trova immersa la micella -. Se la quantità di resine è elevata, gli asfalteni sono totalmente solvatati o peptizzati, questo consente alle micelle di avere buona mobilità nel bitume conseguendo un comportamento di tipo liquido newtoniano alle alte temperature e di fluido molto viscoso (non elastico) alle basse temperature. Un bitume avente tali caratteristiche viene definito di tipo sol (Figura 2-4). Nel caso opposto, in carenza di resine, gli asfalteni si aggregano tra loro fino a formare una rete continua dove le componenti più leggere si limitano a riempire i vuoti intermicellari. Si ha un comportamento di tipo fluido non newtoniano alle alte temperature e di un solido elastico alle basse temperature, tale bitume viene definito di tipo gel (Figura 2-4) [10], [11].

SOL GEL

Figura 2-4.Rappresentazione di strutture tipo SOL e GEL (Read et al, .2003)

Nella pratica la maggior parte dei bitumi presentano caratteristiche intermedie tra queste due strutture che rappresentano i casi limite. Il comportamento del bitume, che sia viscoelastico, newtoniano o intermedio tra i due, è sì in funzione della temperatura, ma anche strettamente dipendente allo stato di aggregazione delle micelle, ovvero dal rapporto che intercorre tra asfalteni, resine, aromatici e saturi. La Tabella 2-1 associa la specifica struttura alla costituzione del bitume. I bitumi a comportamento “intermedio” hanno elasticità e proprietà meccaniche migliori dei sol, mentre i bitumi di tipo gel presentano migliore resistenza meccanica ma peggiori proprietà elastiche.

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13 Tabella 2-1.Costituzione interna del bitume in rapporto alla struttura

Struttura Asfalteni % Resine % Malteni % Gel >25 <24 >50 Sol <18 >36 <48 Intermedio Da 21 a 23 Da 30 a 34 Da 45 a 49

Il carattere di un bitume dipende anche dalla presenza percentuale di oli saturi nella miscela in quanto questi sono in grado di far decrescere il potere solvente dei malteni nei confronti degli asfalteni. Come diretta conseguenza, alti contenuti di saturi possono portare ad una flocculazione degli asfalteni, trasformando così la struttura in un’altra, più somigliante a quella gel. Se gli asfalteni sono molto ramificati, la loro interazione con le resine è maggiore, e quindi risentono meno dell’effetto destabilizzante dei saturi. Dal punto di vista qualitativo le proprietà reologiche dei bitumi dipendono in un certo qual modo dal contenuto di asfalteni. È quindi possibile osservare che a temperatura costante la viscosità di un bitume tende ad aumentare col crescere della concentrazione di asfalteni.

Si può quindi affermare che alle basse ed intermedie temperature la reologia dei bitumi è fortemente influenzata dal grado di associazione degli agglomerati asfaltenici e dall’eventuale presenza di altre specie che favoriscono tali associazioni nel sistema. Si assume poi che nella miscela, a parità di contenuto di asfalteni, aumentando la presenza percentuale di aromatici e mantenendo costante il rapporto saturi/resine si ottengano effetti trascurabili sulla reologia e minima riduzione della deformabilità [10], [11].

Al contrario mantenendo costante il rapporto resine/aromatici e aumentando i saturi il bitume diventa più “morbido”. In generale si assume che l’aumento del contenuto di resine porti a un incremento della durezza del bitume, in altre parole aumento della viscosità, riduzione della penetrazione e della deformabilità a taglio.

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2.1.2 INVECCHIAMENTO DEL BITUME

Con il termine invecchiamento o ageing si identifica il processo di deterioramento del bitume causato dai processi di ossidazione e dalla perdita dei componenti volatili. Tale alterazione avviene nel tempo e causa un cambiamento delle proprietà chimiche, fisiche, colloidali e reologiche del bitume stesso incidendo sulla vita utile della pavimentazione stradale poiché tale fenomeno tende a rendere il legante più fragile e quindi il conglomerato più soggetto alla fessurazione. I problemi di durabilità e di deterioramento sono quindi dipendenti dalla suscettibilità del bitume all’invecchiamento sia reversibile che irreversibile, il primo è di natura fisica, il secondo di natura chimica. L’ invecchiamento fisico del bitume dipende dal cambiamento di struttura durante il raffreddamento, dalla perdita di sostanze volatili, dall’assorbimento selettivo da parte degli aggregati lapidei e dall’azione dell’acqua. La variazione della struttura del bitume causa una modifica delle caratteristiche meccaniche e comporta una perdita di adesività e un incremento di rigidezza assumendo un comportamento sempre più fragile. L’invecchiamento chimico è la causa immediata di deterioramento del bitume, provocato da alterazioni di natura chimica della composizione del bitume stesso. I cambiamenti chimici sono provocati dall’ossidazione, dovute alla temperatura ed alla luce che fungono da catalizzatori delle reazioni. L’ossidazione dei bitumi comporta la formazione di elementi più polari dei loro precursori, che tendono ad associarsi per mezzo di legami ad idrogeno o altre interazioni. I gruppi funzionali presenti come conseguenza dell’ossidazione sono rappresentati in Figura 2-5, e sono [12]:

 solfossidi, concentrati nella frazione delle basi deboli (Figura 2-5a),  chetoni, concentrati nella frazione delle basi deboli (Figura 2-5b),  anidridi, anche dette anidridi di acido carbossilico (Figura 2-5).

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15 La

viscosità del bitume (Figura 2-6), durante questi processi, aumenta in modo considerevole perché i gruppi polari contenenti ossigeno e formatisi durante l’ossidazione tendono ad unirsi in molecole di peso maggiore. L’invecchiamento del bitume è di due tipi ed avviene in istanti diversi:

 Invecchiamento primario o di breve termine: nella fase di produzione e messa in opera dei conglomerati bituminosi.

 Invecchiamento secondario o di lungo termine: durante l’esercizio della pavimentazione.

Sperimentalmente si osserva che l’effetto principale termina con la fase primaria, in seguito all’accelerazione dei fenomeni di ossidazione dovuti alle elevate temperature richieste per la miscelazione del bitume ed aggregati lapidei in impianto

Oltre che con riferimento alle proprietà meccaniche, è possibile definire gli effetti dell’invecchiamento sulla base di variazioni che avvengono nella costituzione chimica. Come tendenza generale si osserva una crescita percentuale della frazione asfaltenica (Figura 2-7). Si può inoltre osservare che durante l’invecchiamento primario si verificano variazioni significative delle singole frazioni [10].

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16 Figura 2-6.Processo di ageing valutato in termini di incremento della viscosità

Figura 2-7.Variazione delle frazioni durante i processi di invecchiamento

2.1.3 COMPORTAMENTO VISCO-ELASTICO DEL BITUME

La teoria della viscoelasticità lineare costituisce il fondamento necessario per la comprensione del comportamento reologico dei materiali bituminosi. Si definisce viscoelastico un qualunque corpo che presenta proprietà intermedie tra quelle di un solido e di un fluido. L’interazione delle due fasi, la solida-elastica e la liquida-viscosa, determina una dissipazione di energia interna e quindi una deviazione della risposta

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tensione-17 deformazione rispetto ad uno stato perfettamente elastico. Infatti una risposta perfettamente elastica esigerebbe che l’energia potenziale acquisita nel corso della deformazione venisse restituita totalmente in modo da rispettare la perfetta reversibilità della trasformazione dal punto di vista termodinamico. La maggiore o minore influenza della matrice solida su quella liquida determina un’infinita varietà di risposte viscoelastiche, i cui limiti estremi sono rappresentati dagli stati ideali corrispondenti al solido puramente elastico e al fluido perfettamente viscoso. Nel caso dei leganti bituminosi queste situazioni limite possono essere raggiunte variando la temperatura o il tempo di carico.

Nel seguito, dopo aver chiarito le nozioni base inerenti elasticità e viscosità, verranno illustrate le principali relazioni viscoelastiche, di cui si fa ampio uso nelle analisi reologiche dei materiali. È importante precisare che per poter istituire leggi rappresentative di fenomeni in modo semplice ed espressivo, è indispensabile identificare il materiale reale con un modello di corpo continuo, omogeneo ed isotropo. In realtà tutti i materiali, ed in particolar modo i sistemi polifase come i bitumi, sono composti da un grandissimo numero di elementi discreti, le singole molecole, e le loro proprietà complessive costituiscono la media del comportamento di gruppi di elementi. L’aggregazione delle varie particelle dà luogo ad una specifica tipologia di gruppo dalla quale il gruppo stesso viene caratterizzato, e nei riguardi della risposta complessiva assumono una maggiore importanza le leggi costitutive di legame tra le singole particelle piuttosto delle proprietà intrinseche alle particelle stesse. Appare chiaro come l’influenza dei singoli elementi costituenti il gruppo sulle proprietà meccaniche del gruppo stesso tenderà a diminuire col crescere del numero degli elementi lasciando sempre più importanza all’aspetto costituivo e realizzando una situazione sempre più prossima all’ipotesi di continuità del mezzo [13].

2.1.3.1 Fluido Viscoso

Si definisce fluido viscoso un processo di deformazione nel quale l’energia meccanica applicata a un materiale è tutta o in parte dissipata in maniera irreversibile sotto forma di calore; quando l’energia meccanica è completamente trasformata in calore si parla di flusso puramente viscoso. La grandezza che caratterizza il flusso viscoso è la viscosità, che può essere definita come la resistenza allo scorrimento opposta dal materiale sotto l’azione dello sforzo. Il comportamento viscoso si ritiene sia originato da un moto laminare degli elementi

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18 componenti il mezzo, detto flusso, che può assumere genericamente quattro diverse configurazioni che vengono qui di seguito sintetizzate [13]:

 flusso tra due piani paralleli

 flusso rotazionale tra cilindri coassiali  flusso capillare

 flusso tra una piastra ed un cono

In particolare nel nostro studio ci concentriamo sul flusso tra una piastra ed un cono; in questo caso la piastra costituisce l’elemento fisso mentre il cono ruota. Il fluido presente tra i due elementi assume un moto di tipo circolare che avviene su strati paralleli [13].

Il concetto di flusso viscoso e viscosità sono legati dalla legge di Newton:

dove:

τ = sforzo di scorrimento (shear stress);

dγ/dt = gradiente di velocità di scorrimento (shear rate); η = viscosità dinamica [Pa·s].

Se η è costante, il fluido è detto newtoniano e la viscosità varia solamente al variare della temperatura.

Per un fluido newtoniano il diagramma dello sforzo tangenziale applicato in funzione del gradiente di velocità di scorrimento è rappresentato da una retta, il cui coefficiente angolare definisce proprio la viscosità (Figura 2-8) [13].

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19 Figura 2-8.Curva di flusso per un fluido newtoniano

Quei fluidi per i quali non vale la legge di proporzionalità tra tensione e gradiente di deformazione sono genericamente detti non-newtoniani; per tali materiali la viscosità non dipende unicamente dalla temperatura ma è anche funzione della velocità di scorrimento. In questi casi si parla di viscosità apparente ηapp e la legge di Newton diventa:

Come mostrato nella Figura 2-9, la non linearità di comportamento si può manifestare in molteplici forme, a seconda della legge di variazione η = f(dγ/dt). Nel seguito si fornisce una breve descrizione delle principali caratteristiche dei fluidi non-newtoniani.

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2.1.3.2 Fluidi pseudoplastici (shear thinning)

Sono detti pseudoplastici quei fluidi la cui viscosità diminuisce all’aumentare della velocità di scorrimento. Si tratta tipicamente di sistemi eterofasici come emulsioni, sospensioni e dispersioni oppure di sistemi polimerici fusi o in soluzione. La diminuzione di viscosità di questi fluidi può essere spiegata sulla base di modifiche strutturali che hanno luogo per effetto del flusso. Nel caso dei sistemi eterogenei si considera che, in stato di quiete, esistano delle aggregazioni reversibili tra le particelle disperse che portano ad un aumento di volume dei corpi dispersi. Le eterogeneità interferiscono con il flusso del liquido e conferiscono elevata viscosità. Con l’aumentare della velocità di scorrimento si giunge ad una soglia oltre alla quale gli aggregati si sfaldano per l’effetto meccanico del flusso. La disaggregazione aumenta con l’intensificarsi della velocità di flusso, facendo diminuire la viscosità, fino al limite di ottenere una sospensione che contiene le singole particelle disperse. Da questo punto in poi la viscosità non varia più con l’aumentare della velocità di scorrimento ed il liquido torna ad avere un comportamento Newtoniano. Un modello analogo spiega il comportamento pseudoplastico dei polimeri e delle loro soluzioni. Le lunghe catene polimeriche in stato di quiete generano grovigli molecolari che si oppongono allo scorrimento del liquido e conferiscono quindi elevata viscosità. All’aumentare della velocità di scorrimento le singole macromolecole tendono ad orientarsi lungo la direzione del moto e, superata una certa velocità di scorrimento, riducono l’entità dei grovigli molecolari e tendono a separarsi l’una dall’altra. La viscosità del sistema continua a ridursi fino al punto in cui le molecole si orientano parallele le une alle altre riducendo al massimo l’interazione fisica. Da questo punto in poi, aumentando ancora la velocità di flusso, non si hanno più significative variazioni di viscosità. L’andamento della viscosità apparente dei fluidi pseudoplastici è quello rappresentato nella figura 2.4, dove si vede che a basse e ad alte velocità di flusso il fluido tende ad avere un comportamento Newtoniano.

2.1.3.3 Fluidi dilatanti (shear thickening)

Si tratta di fluidi la cui viscosità aumenta al crescere del gradiente di scorrimento. Il comportamento dilatante è tipico delle sospensioni di solidi in liquidi quando la concentrazione di solido è molto alta. Il fenomeno viene interpretato considerando che aumentando la velocità di scorrimento il liquido non riesce più a bagnare tutta la superficie

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21 delle particelle e di conseguenza aumenta l’attrito tra di esse ed aumenta la viscosità. Nel caso dei polimeri allo stato fuso il comportamento dilatante può essere conseguenza della cristallizzazione in condizioni di flusso indotta dall’orientamento molecolare. Il fenomeno non è molto diffuso e, poiché non è tecnologicamente favorevole, in genere si cerca di modificare la composizione della sospensione o la temperatura del processo in modo da eliminarlo [13].

2.1.3.4 Fluidi visco-plastici

Si definiscono plastici quei fluidi che presentano una soglia di sforzo minimo per lo scorrimento (yield point). I liquidi con questa caratteristica sono al confine tra i solidi ed i liquidi e si possono considerare un caso limite dei fluidi tissotropici, cioè il caso in cui il gel occupa l’intero volume del fluido. Si tratta di dispersioni che, in quiete, sono costituite da un reticolo tridimensionale di particelle disperse nel liquido matrice e collegate tra loro da forze attrattive inter-particellari di tipo polare cosicché la mobilità relativa è impedita e la viscosità risulta così elevata da far comportare il sistema come se fosse solido. Se gli sforzi applicati al sistema superano le forze di legame interparticellare allora le particelle possono muoversi una rispetto all’altra ed il sistema assume il comportamento di un liquido. Per questi fluidi la curva di flusso non inizia a sforzo zero ma in corrispondenza di un valore τ0. Se, raggiunta la soglia di flusso, il rapporto tra la tensione di taglio e il gradiente è costante, l’equazione costitutiva può essere scritta come segue [13]:

2.1.3.5 Fluidi tissotropici

La tissotropia consiste nel continuo evolvere di stadi di equilibrio termodinamico provvisori; si manifesta, oltre che in materiali viscoelastici come il bitume, anche in liquidi semplici ma, in quel caso, il tempo necessario per raggiungere l’equilibrio è generalmente trascurabile se paragonato ai tempi di osservazione. A differenza dei fenomeni di invecchiamento, che sono il risultato di reazioni chimiche, questo effetto è reversibile e la configurazione iniziale può essere ripristinata con un’opportuna storia deformativa. Un elemento che, per via di

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22 un’azione esterna abbandona il minimo di potenziale, necessita di un arco temporale per raggiungere nuovamente una situazione di equilibrio con gli elementi attigui. Si assisterà, quindi, ad una progressiva diminuzione del minimo di potenziale, risultante da un lento riarrangiamento della configurazione molecolare, sotto la duplice azione dell’agitazione termica e delle forze di legame. L’effetto di questi fenomeni è osservabile sulla viscosità apparente, che segue un’evoluzione dipendente dai continui processi di ristrutturazione e destrutturazione. Il modo più semplice per tenere conto della tissotropia [13] è introdurre una dipendenza tra lo sforzo di taglio e un generico parametro λ associato alla configurazione dei legami instaurati e rappresentante il minimo di potenziale. Genericamente, indicando con τ lo sforzo di taglio e con γ la deformazione possiamo definire l’equazione costitutiva della tissotropia come segue:

dove g e h, che più specificatamente in un solido viscoelastico possono essere sostitute rispettivamente dal modulo di elasticità tangenziale e dalla viscosità, crescono entrambe all’incrementarsi del parametro λ. Un tipico approccio alla descrizione dell’evoluzione del parametro consiste nel valutare il suo gradiente nel tempo per mezzo di una funzione k*.

Il comportamento reologico una volta raggiunto lo stato di equilibrio è ottenuto ponendo:

Sono presenti diverse forme del parametro k*, la più semplice e comune è basata sull’assunzione che la variazione del parametro λ nel tempo sia il risultato di due effetti antagonisti: uno strutturante, che tende a far tornare il sistema alla sua condizione di equilibrio, l’altro destrutturante come risultato degli effetti di flusso [13].

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2.1.4 MODELLI MECCANICI VISCOELASTICI

Il comportamento meccanico di un corpo viscoelastico può essere rappresentato mediante modelli, detti analogici, composti da elementi a comportamento meccanico semplice, quali molle, pattini e smorzatori. Ogni comportamento reale può essere descritto tramite un particolare modello, ottenuto combinando gli elementi base. I modelli più noti sono quelli di Hooke, Newton, Maxwell e quello di Kelvin-Voigt, che descrivono, classicamente, i due fenomeni della elasticità ritardata e dello scorrimento viscoso. In generale questi due aspetti sono contemporaneamente presenti nei bitumi, per cui il comportamento completo viscoelastico si può ottenere per sovrapposizione degli effetti nel modello di Burger e nei modelli generalizzati di Kelvin-Voigt e Maxwell [13].

2.1.5 MODELLO DI VISCOSITÀ LINEARE (SMORZATORE VISCOSO DI NEWTON) In un corpo viscoso ideale la deformazione è direttamente proporzionale al tempo di applicazione della tensione secondo un coefficiente η, detto di viscosità dinamica. Se la tensione viene rimossa la deformazione sperimentata non sarà restituita, ovvero l’energia spesa nel processo deformativo viene completamente dissipata. Lo smorzatore viscoso (Figura 2-10) obbedisce alla legge di Newton:

Figura 2-10.Smorzatore viscoso di Newton

Con η: viscosità dinamica; λ: viscosità elongazionale.

Nel caso di prova in regime oscillatorio l’equazione della tensione può esser ricavata da quella della deformazione:

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24 Si dimostra così che lo smorzatore dà una risposta in deformazione in quadratura di fase con la sollecitazione, ossia vi è un angolo di fase δ = 90° [13].

2.1.6 ANDAMENTO GENERALE DELLA VISCOSITÀ DI UN FLUIDO NON

-NEWTONIANO.

La regione denominata “Regione Newtoniana” in Figura 2-11 è di particolare interesse in quanto la sua eventuale esistenza corrisponde all’esistenza di un valore finito di η. Quando non sussiste l’esistenza di un plateau Newtoniano, né alle basse frequenze ne alle alte frequenze, la curva di viscosità è rappresentata generalmente da una legge di potenza (power law model) con esponente n variabile, la quale definisce la legge di Ostwald-deWaele.

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25 L’equazione precedente, non consente di definire un valore di η. Il carattere pseudo-plastico (shear thinning) o dilatante (shear thickening) del fluidoviscoso di Ostwald-de Waele è relativo rispettivamente alla condizione n < 1 o n >1 [12].

2.2 UTILIZZO

DEI

RINGIOVANENTI

NEL

RICICLAGGIO

DEL

RAP

Le proprietà dei leganti bituminosi ossidati presenti nel RAP dipendono dalla composizione del legante originale e dall’ invecchiamento durante il servizio. Se gli aggregati sono di buona qualità, la presenza di legante bituminoso ossidato è il problema principale che può limitare la percentuale di RAP all’interno della miscela riciclata. Come si è detto nel primo capitolo, il legante ossidato ha una bassa lavorabilità e può causare affaticamento e cracking termico.

Un uso efficace dei ringiovanenti dovrebbe invertire il processo di invecchiamento del legante ossidato nel RAP, ripristinando le proprietà elasto-viscose equivalenti a un legante vergine. Il ringiovanimento del legante ossidato migliora le proprietà di miscelazione del RAP e lo rende idoneo ad un ulteriore periodo di servizio all’interno della pavimentazione. Questi miglioramenti portano ad un significativo aumento della quantità di RAP che potrebbe essere utilizzato in (HMA). Tuttavia, è necessario selezionare con attenzione il ringiovanente da utilizzare nella miscela in base alle proprietà necessarie a breve e lungo termine.

A breve termine, gli agenti ringiovanenti dovrebbero consentire la produzione di miscela ad alto contenuto di RAP, mediante una rapida diffusione all’interno del legante ossidato e mobilitare l'aggregato invecchiato al fine di produrre una miscela uniformemente rivestita. I ringiovanenti dovrebbe rammollire il legante in modo da ottenere una miscela lavorabile che potrà essere facilmente stesa e compattata alla densità desiderata, senza il rischio di produrre emissioni nocive. Parte importante del processo di diffusione dovrebbe essere completato prima che il traffico sia di nuovo consentito per evitare una riduzione dell’aderenza e un incremento alla suscettibilità all’ormaiamento.

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26 A lungo termine, i ringiovanenti devono rigenerare le proprietà chimiche e fisiche degli leganti ossidati e mantenere la stabilità per un ulteriore periodo di servizio. La reologia del legante invecchiato deve essere modificata per ridurre i danni per accumulo per fatica e i danni per thermal cracking a bassa temperatura potenziale di cracking senza rammollire il legante a causa dei problemi di ormaiamento alle alte temperature. Sufficienti caratteristiche di adesione e coesione devono essere fornite alla miscela per prevenire rotture per

infiltrazioni di umidità (moisture damage) e perdite d’inerti superficiali (raveling). Di seguito si riporta una classificazione delle tipologie di prodotti testati come ringiovanenti

presenti sul mercato [14]:

Aromatici

Gli estratti Aromatici sono ringiovanenti tradizionali con struttura insatura ad anello polare aromatico; da recenti studi è stato valutato un loro effetto [15]. Gli stratti aromatici contengono circa il 75% di oli aromatici polari, composti da resina con aromatici polari. Gli aromatici polare unendos icon le molecole asfalteniche rendono il legante meno fragile durante il processo di miscelazione, bilanciando la chimica del legante ossidato. Da recenti studi è stato valutato un loro effetto cancerogeno[16].

Rifiuti Olio motore (WEO)

Il WEO è un prodotto derivante dall’olio paraffinico con l’aggiunta di una piccola dose di composti speciali per migliorarne le caratteristiche di viscosità, stabilità e infiammabilità per l’utilizzo nei motori. WEO può contenere catene corte di molecole polari che si rompono durante il servizio di lubrificazione. Negli ultimi anni è incrementato il costo del WEO a causa el recente interesse relativo al suo utilizzo come ringiovanente.

“Tall Oil” raffinato

SylvatalTM D30E è un olio di sego prodotto dall’ “Arizona Chemical”. L’olio di sego è disponibile sia in forma grezza che come prodotto raffinato. L’olio di sego grezzo contiene acidi grassi, acidi resinici e insaponificabili in rapporti variabili a seconda del tipo di albero usato. I “Tall Oils” hanno una lunga storia di utilizzo nella produzione di HMA con emulsionanti, agenti antistrip e come additivi nei WMA.

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Olio vegetale esausto (WCO)

Il WCO viene sempre più utilizzato per la produzione di bio-diesel ed ha una composizione chimica caratterizzata da un contenuto di acidi grassi liberi (<15%) e meno del 2% MIU (umidità, Impurità, Insaponificabili) [16]. L’olio esausto è un uno scarto dell’industria alimentare e della ristorazione (fast-food). Questo prodotto può variare nella sua composizione (differenti percentuali di acido oleico e linoleico) a seconda del tipo di olio (olio di arachidi, semi di girasole e olio di canola) utilizzato nel processo di friggitura. Nel paragrafo successivo (2.2) verranno analizzate in dettaglio le caratteristiche fisiche e chimiche di questi oli.

Rifiuti di grasso vegetale (WV Grease)

WV Grease è un sottoprodotto dell’industria alimentare composto da rifiuti organici, semi solido a temperatura ambiente a causa della presenza di laurinici saturi e trigliceridi miristici. Il prodotto può essere utilizzato come ringiovanente grazie al suo elevato contenuto di acidi grassi liberi (> 40%), ma rimuovendo industrialmente con la glicerina libera e l’umidità al suo interno.

Olio Biologico

Hydrogreen STM è un prodotto progettato da PVS Meridian Technologies, Inc ed è progettato per essere un ringiovanente del legante ossidato e può essere additivato a bassa temperatura. Si compone “fast pyrolysis of pine tree biomass [17] con altri oli aggiuntivi per bilanciare le prestazioni. Il prodotto è fluido a temperatura ambiente, lnecessita di un leggero preriscaldamento a circa 10 ° C necessaria quando viene utilizzato a basse temperature.

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2.2.1 CARATTERISTICHE DEGLI OLI VEGETALI ESAUSTI E I PROCESSI DI

TRATTAMENTO

Come introdotto nel paragrafo precedente, gli oli vegetali esausti WCO sono prodotti di scarto degli oli vegetali, i quali sono sostanze grasse contenute, in percentuali variabili, nei semi o nei frutti delle piante; quelli maggiormente utilizzati industrialmente provengono prevalentemente dai semi di arachide, girasole, soia, colza e dai frutti di palma, olivo e cocco. Gli oli vegetali possono essere utilizzati come combustibili liquidi negli impianti per la produzione di energia elettrica e termica (biocarburante) mentre gli oli vegetali esausti (waste cooking oil- residuo della frittura degli oli) vengono recuperati attraverso la raccolta differenziata degli oli alimentari esausti e rigenerati per poi essere utilizzati in vari ambiti (biodiesel e ringiovanenti) [18].

2.2.2 COMPOSIZIONE OLI VEGETALI ESAUSTI

Quando si parla di composizione degli oli vegetali esausti e in più generale degli oli vegetali, si intende la distribuzione degli acidi grassi nei trigliceridi che rappresentano i costituenti principali degli oli vegetali.L’identificazione della composizione in acidi grassi di alcuni oli vegetali avviene attraverso la tecnica di gascromatografia (GC). La gascromatografia (GC) è un tipo comune di cromatografia utilizzato in chimica analitica per la separazione e l'analisi di composti che possono essere vaporizzati senza decomposizione. Gli usi tipici di GC includono testare la purezza di una particolare sostanza, o separare i diversi componenti di una miscela (le quantità relative di tali componenti possono anche essere determinate). In alcune situazioni, GC può aiutare a identificare un composto. Nella cromatografia preparativa, GC può essere utilizzato per preparare i composti puri da una miscela.

Le differenze tra i vari tipi di oli vegetali (ricavati soprattutto dai semi e quindi chiamati anche oli di semi) riguarda principalmente la composizione in acidi grassi (Tabella 2-2). La maggior parte degli oli vegetali contengono in prevalenza grassi monoinsaturi (un solo doppio legame nella catena di atomi di carbonio) e polinsaturi (più doppi legami), e pochi grassi saturi, fanno eccezione degli “oli tropicali” (cocco e palma) che invece contengono una grossa percentuale di grassi saturi. Analizzando i valori riportati in tabella si può

(21)

29 facilmente verificare che sono l’acido oleico (C18:1), e l’acido linoleico (C18.2-C18.3) gli acidi grassi insaturi che sono presenti in quantità maggiori negli oli. In particolare, l’olio di colza o di soia contengono percentuali elevate di acido oleico e linolenico mentre negli oli di cocco e di palma si individua il più alto contenuto di acidi grassi saturi (acido Palmitico e acido Stearico) [19]

In commercio sono presenti altre tipologie di oli vegetali (riso, arachidi, cotone, mais e lino) che hanno nella loro composizione un elevato contenuto di acido oleico e linoleico [18].

Tabella 2-2.Esempio di Composizione in acidi grassi di alcuni oli vegetali(%) Laurico (%) Palmitico (%) Stearico (%) Oleico (%) Linoleico (%) Linoleico (%) C (12:0) C(16:0) C(18:0) C (18:1) C (18:2) C (18:3) Olio di girasole / 6,08 3,26 16,93 73,73 / Olio di colza / 3,49 0,85 64,4 22,3 8,23 Olio di soia / 10,58 4,76 22,52 52,34 8,19 Olio di palma / 42,8 4,5 40,5 10,1 0,2 Olio di cocco 46,5 9,8 3 6,9 2,2 /

Olio vegetale esausto / 12 / 53 33 1

2.2.3 OLI VEGETALI ESAUSTI-CARATTERISTICHE FISICHE

Di seguito si riportano alcune delle proprietà fisiche che caratterizzano un olio vegetale[20]  Densità: in media si ha 0,91 kg/dm3 a T=20°C, ma varia in funzione della specie

oleaginosa, e della temperatura di misurazione.

 Punto di fusione (melting point): alcuni tipi di oli vegetali solidificano già a 10-15°C; altri, soprattutto quelli ad elevato numero di acidi grassi insaturi, mantengono il loro stato liquido fino a temperature attorno a zero gradi, mostrando però un’elevata viscosità.

 Punto di infiammabilità (flash point): indica la temperatura minima alla quale i vapori di un combustibile si accendono in presenza di fiamma; più è alto il punto di infiammabilità e tanto più sicuro è lo stoccaggio, il trasporto e la manipolazione del prodotto. Per gli oli vegetali si ha un valore medio di flash point attorno ai 300°C.

(22)

30 Questo valore dipende dalla lunghezza della catena carboniosa ed al grado di insaturazione dell’olio.

 Punto di ebollizione (boiling point): indica la temperatura alla quale la tensione di vapore di un liquido eguaglia la pressione che lo circonda (pressione atmosferica); ciò determina il passaggio di stato da liquido a vapore.

 Viscosità cinematica: indica la resistenza che le particelle di un corpo incontrano nello scorrere le une rispetto alle altre, l’unità di misura è il “centiStokes”. La viscosità cinematica aumenta con l’aumentare del contenuto di acidi grassi saturi e con l’allungarsi delle catene di acidi grassi; diminuisce, invece, con l’aumentare della temperatura.

2.2.4 OLI VEGETALI ESAUSTI-STABILITÀ ALL’OSSIDAZIONE

La degradazione ossidativa degli oli è stata valutata attraverso diverse; tecniche il monitoraggio di perossidi (PV), stabilità all’ossidazione (IP), contenuto di dieni coniugati come assorbanza a 232 nm (A232nm) e contenuto di trieni coniugati come assorbanza a 270 nm (A270nm). Inoltre possono essere valutati i cambiamenti nella composizione in acidi grassi (C16: 0 / C18: 2) e il contenuto totale delle componenti (TPC) [21].

La stabilità all’ossidazione (o periodo di induzione, IP) è definita come il tempo in cui il l’olio possiede una resistenza all'ossidazione, dovuta alla presenza naturale di antiossidanti che inibiscono l'ossidazione [13]. Gli oli vegetali contengono una serie di componenti quali tocoferoli, polifenoli, steroli, etc che sono benefici per la stabilità dell'olio durante il riscaldamento. La Figura 2-12 illustra, a titolo di esempio, le curve cinetiche relative all’ accumulo di perossidi durante il riscaldamento di olio di mais [21].

Le curve cinetiche ottenute mostrano che gli IP diminuiscono gradualmente con il trattamento termico in tutti gli oli esaminati (Figura 2-13).

(23)

31 Figura 2-13.Dipendenza del periodo di induzione (IP) sul tempo di riscaldamento (h)

degli oli

Dalle pendenze delle linee di regressione (Figura 2-13), la diminuzione della stabilità all’ossidazione diminuisce nel seguente ordine: l'olio d'oliva, di mais, di soia, di semi d’uva e di girasole. L’ossidazione termica di acidi grassi insaturi è accompagnato da una notevole isomerizzazione dei doppi legami che portano a prodotti contenenti doppi legami trans e sistemi di doppi legami coniugati. Il rapporto di monitoraggio degli acidi grassi (C18:2/C16:0) è un metodo efficace per valutare i cambiamenti ossidativi termici degli oli. Il contenuto di acido linoleico è spesso usato come un indicatore del degrado dell'olio, poiché la catena linoleica polinsatura è altamente sensibile all'ossidazione. Dalla Figura 2-14, può

Figura 2-12.Curve cinetiche di perossidi accumulo durante riscaldamento di olio di mais dopo: 0-0 h; 1-10 h; 2-20 h; 3-24 h; 4-32 h; 5-36 h.

(24)

32 essere visto che il rapporto (C18:2/C16:0) è diminuito in funzione del tempo di riscaldamento [21].

Figura 2-14.Dipendenza delle variazioni di C18: 2 / C16: 0 rispetto al tempo di riscaldamento (h) degli oli: 1-olio di girasole; 2-Olio di semi d'uva; 3-olio di soia;

4-olio di mais; 5-oliva (sansa) 4-olio.

I risultati hanno rivelato che l'olio d'oliva ha una migliore stabilità contro l'ossidazione termica, rispetto agli oli polinsaturi, grazie all’acido oleico. D'altro canto, oli di mais e soia (t oli insaturi) sono più resistenti alla ossidazione ad elevate temperature [21].

Un ulteriore studio [22] valuta l’utilizzo degli oli vegetali come fluidi lubrificanti eco-compatibili grazie alle loro caratteristiche di lubrificanti, di biodegradabilità, di bassa viscosità in funzione della temperatura e di bassa volatilità a causa dell’elevato peso molecolare. Il loro utilizzo, tuttavia, è limitato a causa della scarsa stabilità termo-ossidativa. Questo articolo presenta un approccio sistematico per migliorare il loro comportamento all’ ossidazione mediante la combinazione degli oli vegetali con additivi chimici, diluenti ed oli vegetali ad alto contenuto di acido oleico.

(25)

33

2.2.5 OLI VEGETALI ESAUSTI –CARATTERISTICHE CHIMICHE

Dal punto di vista chimico gli oli vegetali sono esteri di glicerina con una diversa miscela di acidi grassi.

La loro composizione chimica risulta essere una miscela di:  Acidi grassi liberi

 Glicerolo

 Monogliceridi, Digliceridi, Trigliceridi  Fosfatidi

 Lipoproteine  Glicolipidi  Cere

 Terpeni e altri composti

Tra tutti i componenti quelli di maggior interessi sono gli acidi grassi liberi e i trigliceridi.

2.2.5.1 Acidi Grassi

Gli acidi grassi (Figura 2-15) sono formati da una catena lineare di atomi di carbonio (C) che possono essere legati tra loro con un legame singolo (acidi grassi saturi), doppio o triplo (acidi grassi insaturi). Le valenze libere sono legate a atomi di idrogeno (H), mentre il primo atomo di carbonio costituisce un gruppo funzionale carbossilico (COOH). Il numero di atomi di carbonio e di doppi legami è espresso dalla nomenclatura "n:n"; quindi, ad esempio,

(26)

34 l'acido oleico può essere indicato come 18:1 perché è formato da 18 atomi di carbonio e da un unico doppio legame [20].

Quando si trovano nella loro forma libera (cioè non legati ad altre specie chimiche), gli acidi grassi vengono identificati con il nome di acidi grassi liberi (FFA, dall'inglese Free Fatty Acids), o acidi grassi non esterificati (NEFA, dall'inglese Non Esterified Fatty Acids). Gli acidi grassi possono essere classificati in base alla lunghezza della catena carboniosa:

 acidi grassi a catena corta: con un numero di atomi di carbonio da 1 a 5.  acidi grassi a catena media: con un numero di atomi di carbonio da 6 a 12  acidi grassi a catena lunga: con un numero di atomi di carbonio da 13 a 21.

 acidi grassi a catena molto lunga: con un numero di atomi di carbonio maggiore o uguale a 22.

In base alla presenza di doppi legami C=C nella catena carboniosa, gli acidi grassi possono essere classificati come:

 acidi grassi saturi: se non sono presenti doppi legami nella catena carboniosa (ad esempio acido caprilico C 8:0, acido palmitico C 16:0, acido stearico C 18:0);  acidi grassi insaturi: se sono presenti doppi legami nella catena carboniosa; a loro

volta si suddividono in:

 acidi grassi monoinsaturi (MUFA), se è presente un solo doppio legame C=C (ad esempio acido oleico C 18:1);

 acidi grassi polinsaturi (PUFA), se sono presenti due o più doppi legami C=C (ad esempio acido linoleico C 18:2,acido linolenico C 18:3);

La presenza di doppi legami C=C influenza la temperatura di fusione degli acidi grassi; più lunga è la catena di carbonio degli acidi grassi, più alto è il punto di viscosità e di fusione. Invece, catene di carbonio più corte determinano nell’olio vegetale una maggiore infiammabilità e punto di ebollizione inferiore.

La stabilità all’ossidazione (paragrafo 2.2.4) è legata al grado d’insaturazione poiché la presenza di doppi legami promuove reazioni di ossidazione, che portano alla formazione di

(27)

35 gomme e polimeri. L’ossidazione di un olio vegetale determina un peggioramento delle sue caratteristiche, poiché un olio ossidato tende a formare depositi gommosi e, in generale, presenta valori di viscosità elevati. La stabilità all’ossidazione degli oli vegetali dipende dalla posizione e dal grado di insaturazione degli acidi grassi che sono attaccati alla molecola di glicerolo.

Tra gli acidi grassi saturi i più diffusi sono l’acido stearico e l’acido palmitico, mentre per gli acidi insaturi i più diffusi sono l’acido oleico l’acido linoleico, che costituisce il componente principale di alcuni oli di semi, quali l’olio di girasole (40-67%) e l’olio di soia (50-55%), e l’acido linolenico, caratteristico degli oli siccativi, cioè gli oli dotati di proprietà filmogene utilizzati nella preparazione delle vernici.

2.2.5.2 Trigliceridi

Gli acidi grassi liberi (free fatty acid) sono presenti in percentuale minima nell'olio vegetale, mentre è più facile osservarli nelle forme esterificate, cioè legate ad una molecola di glicerolo per formare mono-, di- e trigliceridi (Figura 2-16).

Figura 2-16.Formule di strutture chimiche mono-di-tri-gliceridi

I trigliceridi sono i prodotti dell’esterificazione dei tre gruppi funzionali alcolici della glicerina con altrettanti acidi grassi. Ogni olio vegetale è composto da tre catene di acidi grassi attaccati ad una molecola di glicerina (Figura 2-17), ed è per questo che esso viene

(28)

36 definito come trigliceride. La glicerina è quindi l’alcool di partenza per la formazione dei trigliceridi, quest’ultima è una sostanza densa e appiccicosa, la quale rende l’olio vegetale molto viscoso (ad esempio fino a 20 volte rispetto al diesel derivato dal petrolio) [20].

Figura 2-17.Formula di struttura glicerina I trigliceridi si classificano in:

 trigliceridi semplici: se le tre posizioni del glicerolo esterificato sono occupate dallo stesso tipo di acido grasso.

 trigliceridi misti: se le tre posizioni del glicerolo esterificato sono occupate da due o più diversi acidi grassi;

L’elevato numero di acidi grassi che può dare esterificazione, porta alla formazione di una vastissima gamma di esteri che determinano la composizione dei trigliceridi naturali che costituiscono l’olio e sulle loro proprietà. A tal proposito si può sottolineare il fatto che i trigliceridi contenenti solo acidi grassi saturi (acido palmitico o acido stearico) sono a temperatura ambiente solidi; mentre i trigliceridi formati in gran parte di acidi grassi insaturi (acido oleico o acido linoleico) sono liquidi a temperatura ambiente.

2.2.6 PROCESSO DI TRANSESTERIFICAZIONE DEGLI OLI VEGETALI ESAUSTI

Gli oli vegetali dopo il loro utilizzo (oli vegetali esausti) possiedono caratteristiche fisico-chimiche alterate, in particolare possono contenere anche più del 40% di acidi grassi liberi (FFA). Sebbene vengano sottoposti a purificazione, gli oli vegetali esausti sono caratterizzati da un’elevata viscosità che ne preclude qualsiasi riutilizzo.

(29)

37 Uno dei metodi più comuni usati per ridurne la viscosità è la transesterificazione (utilizzata in particolare nella produzione di biodiesel).

La transesterificazione è un processo di reazione di un trigliceride (olio vegetale) con un alcool(metanolo). Il risultato è la rottura della molecola del trigliceride in tre molecole più piccole, e quindi meno viscose, di esteri metilici (indicate anche con l’acronimo FAME- Fatty Acid Methyl Ester, ossia Estere Metilico di Acidi Grassi). La reazione coinvolge i trigliceridi costituiti da tre lunghe catene di acidi grassi che reagiscono con il metanolo per dare come prodotto (FAME) caratterizzati da una catena corta ed inoltre si ha la liberazione di una molecola di glicerolo come co-prodotto [20], [18].

Figura 2-18.Reazione di transesterificazione di un acido grasso con metanolo Come si può quindi osservare, la reazione di transesterificazione, da un punto di vista chimico (Figura 2-18) è semplice:1 mole di trigliceride reagisce con 3 moli di metanolo per formare 1 mole di glicerolo e 3 moli di FAME. (R, R’, R” rappresentano una catena lineare generalmente lunga da 16 a 22 atomi di carbonio). Nella Tabella 2-3 si elencano le proprietà chimico-fisiche degli acidi grassi liberi e corrispettivi esteri metilici

(30)

38 Tabella 2-3.Proprietà chimico-fisiche degli acidi grassi liberi e corrispettivi esteri

metilici

2.3 STUDIO

DEL

PROCESSO

DI

DIFFUSIONE

Da recenti studi [23], [24] è emerso che le caratteristiche finali della miscelazione, tra un legante ossidato estratto dal RAP e un ringiovanente, non dipendono esclusivamente dalla miscelazione meccanica, la quale è funzione di vari fattori come temperatura, viscosità del legante, tempo di miscelazione e tipo di mixer. Un ulteriore fattore che controlla il processo di omogeneizzazione della miscela è la diffusione che si verifica nella miscela a livello molecolare. La compatibilità tra il legante ossidato e il ringiovanente è un requisito per la realizzazione di una miscela omogenea; ciò dipende principalmente dalla natura e dalla distribuzione delle associazioni intermolecolari al suo interno.

In generale, la diffusione può essere definita come il trasporto di materia dovuto a movimenti molecolari casuali chiamati “moti browniani” che dipendono principalmente dalla temperatura.

La Legge di Fick è generalmente utilizzata per descrivere in forma matematica il fenomeno della diffusione. In questa legge matematica pressione e temperatura sono assunte costanti all’interno del mezzo in cui avviene la diffusione. Per interpretare i dati sperimentali di diffusione, la legge di Fick è stata risolta, o in forma matematica, o numerica per ottenere un’espressione della concentrazione (c). Basandosi sulla teoria presentata da Crank [25], le grandezze dalle quali dipende la concentrazione sono la posizione (x, y, z) all’interno del mezzo, il tempo (t) e il coefficiente di diffusione D.

(31)

39 𝜕𝑐 (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)

𝜕𝑡 = 𝐷 ·

𝜕2𝑐 𝜕(𝑥, 𝑦, 𝑧)2

In particolare, il coefficiente di diffusione D può essere ottenuto fittando l’espressione matematica a dati sperimentali ottenuti da un’analisi chimica della miscela (FTIR-ATR) o da misure reologiche della miscela (DSR).

Il modello teorico di diffusione Figura 2-19 presentato in questo studio è un modello unidimensionale composto da uno strato di bitume (ossidato) e uno strato di bitume vergine ringiovanente.

Figura 2-19 Modello diffusione monodimensionale 𝜕𝑐 (𝑥, 𝑡)

𝜕𝑡 = 𝐷 · 𝜕2𝑐 𝜕𝑥2

Le condizioni al contorno del modello, riportate a seguito, indicano che all’istante iniziale (t=0), in assenza di diffusione, la concentrazione di ringiovanente nello strato di bitume è pari a zero, mentre nello strato ringiovanente, inizialmente, la concentrazione è pari a co. I due strati hanno uno spessore totale di L, rispettivamente αL per bitume e (1-α)L per il ringiovanente. Inoltre, vi è espressa la condizione di gradiente di concentrazione nullo ai bordi del modello.

(32)

40 Mediante questa equazione è possibile calcolare il valore di concentrazione (c) in una determinata posizione x ad un tempo t, considerando un coefficiente di diffusione D indipendente dalla variabile spaziale

L’analisi della diffusione nei leganti bituminosi è complicata, a causa della loro struttura chimica molto complessa. In linea di principio, ciascuna molecola presente nel bitume si diffonde ad un determinata velocità, condizionata dalla propria costituzione e da quella delle molecole vicine. In termini più generali il processo di diffusione può essere trattato, analiticamente o numericamente, in maniera differente. Supponendo che la Legge di Fick sia alla base del meccanismo di diffusione, il coefficiente di diffusione può essere valutato in diversi modi, ad esempio:

 Un unico coefficiente di diffusione (eq. precedente)

 Un coefficiente di diffusione dipendente dalla concentrazione D(c)  Un coefficiente di diffusione distribuito da una funzione di probabilità.

In realtà, la diffusione dipende sia dalla concentrazione del ringiovanente che si sta diffondendo che dalla distribuzione dei coefficienti di diffusione della gamma di molecole coinvolte nel processo di diffusione. La dipendenza di D dalla concentrazione è particolarmente importante se il ringiovanente modifica le proprietà di diffusione dei mezzi in cui si diffondono. Questo è il caso, per esempio, di ringiovanenti a bassa viscosità, che rammolliscono il bitume e aumentano così la coefficiente di diffusione della miscela. Lo studio analitico di un sistema governato da un unico coefficiente di diffusione è stato mostrato in precedenza. Questo modello può essere ampliato valutando un coefficiente di diffusione distribuito sovrapponendo semplicemente il risultato di frazioni incrementali; ad ogni incremento un coefficienti di diffusione diverso. Questo richiede la conoscenza di come il coefficiente di diffusione viene distribuito.

Trattare con un coefficiente di diffusione dipendente dalla concentrazione presenta delle difficoltà maggiori. L'uso di metodi numerici come alle differenze finite o agli elementi finiti permette di impostare quasi tutte le condizioni iniziali e al contorno. Il coefficiente di diffusione può anche essere variato, in maniera lineare o non lineare, in relazione a qualsiasi delle variabili del modello, come la concentrazione. Da successive ricerche è stato

(33)

41 ulteriormente studiato il processo di diffusione del legante bituminoso vergine (ringiovanente) all’interno del legante bituminoso ossidato estratto dal RAP. Questo studio, partendo dal modello analitico sviluppato da Isacsson, si è concentrato sulla stima della velocità di diffusione del legante vergine all’interno del bitume ossidato mediante misure reologiche con il DSR che hanno permesso di valutare il processo di diffusione tra i due leganti in funzione del tempo e della temperatura di condizionamento. Per simulare il processo di diffusione in laboratorio (Figura 2-20) è stata utilizzata la tecnica del ‘Contact blending’, la quale consiste nell’accoppiare due sottili dischi bitume formati rispettivamente da bitume vergine e da bitume ossidato.

a)Wafer composto da un disco di bitume

ossidato e un disco di bitume vergine b)Durante il condizionamento termico si attiva il processo di diffusione legante vergine all’interno di quello ossidato

c)Aumento della concentrazione di legante

vergine all’interno del legante ossidato d) Diffusione completa

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