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CAPITOLO QUARTO L’immigrazione leonfortese nel contesto urbano: Paraná

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CAPITOLO QUARTO

L’immigrazione leonfortese nel contesto urbano:

Paraná

Mi madrecita “Gringa”1

Eras apenas una bella “ragazzina”

cuando partiste un día, llena de esperanzas, de aquellas lejanas tierras.

Llevabas en tus brazos “ al tuo bambino”,

y el corazón destrozado por los que allá quedaban. Cruzaste los mares embravecidos,

en interminables jornadas,

hasta que un día llegaste a la tierra prometida. Echaste raíces, trajiste tu cultura,

la “ciencia” de las pastas, la “picciddata” y el arte de los “panes de San Giuseppe”. Aprendiste a tomar mate,

esa cosa “rara”;

eras como un injerto que “prendía” en la tierra del ceibo el ombú.

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4.1 L’immigrazione leonfortese a Paraná2

Il Dipartimento di Paraná esercitò una buona attrazione per gli immigrati europei. In generale, la tendenza degli stranieri a concentrarsi in questo Dipartimento crebbe tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, per subire una lieve flessione nella prima decade del Novecento e ritornare su livelli più elevati tra il 1915 e il 1928. (Tabella 24)

2 Sulla storia della città di Paraná ci si limita a fornire una bibliografia minima:

C.B.Pẽrez Colman, La Parroquia y la Ciudad de Paraná en su segundo centenario. 1730-1930, Paraná, Talleres gráfico la ACCION, 1930; Id, Paraná, 1810-1860, los primeros cincuenta años de la vida nacional, Rosario, Talleres gráfico Emilio Ferren, 1946; O. Sors, Dos siglos y medio de exitencia de Paraná, Santa Fe, Castellví, 1983; Id, Paraná. Dos siglos y cuarto de su evolución urbana. 1730-1955, Paraná, República Argentina, 1994; A. Zanini, Paginas de Oro de la ciudad de Paraná en su primero Centenario. 1826-1926, Buenos Aires, impresión de Talleres Gráficos Caracciolo y Plantié, 1926.

TABELLA 24: popolazione straniera presente nel Dipartimento di Paraná in % sul totale degli stranieri nella provincia di Entre Ríos

Anno Stranieri presenti

nella provincia di Entre Ríos

Stranieri presenti nel Dipartimento di Paraná in % 1899 1472 36 1901 1151 25 1903 317 21 1909 5933 18 1912 4103 13 1915 142 29 1923 1233 24 1928 2079 14

Fonte: nostra elaborazione su dati provenienti da: ALER, Memorias

del Ministerio de Gobierno y O. Publicas, años: 1903-1904; 1912;

1914; 1918-1922; 1922-1926; ALER, Síntesis Estadística, años: 1907; 1914; 1915; 1928; J. Alsina, La inmigración en el primer

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130 Analogo orientamento è osservabile, analizzando le cifre relative al solo movimento migratorio italiano, per il quale vale anche la pena di considerare che la scelta insediativa ricadde, spesso, proprio sulla capitale entreriana, a scapito delle politiche governative che invece - sin dalla fine dell’Ottocento - cercarono di promuovere il popolamento delle colonie rurali. Secondo il censimento del 1895, infatti, il numero di edifici occupati dagli italiani a Paraná fu superiore del 40% rispetto a quelli abitati negli altri centri della zona. (Tabella 25)

TABELLA 25: numero di edifici censiti e occupati da italiani nelle località del Dipartimento di Paraná al 1895 Località Edifici censiti Occupati da Italiani

Antonio Tomás 359 38 Pueblo Brugo 150 16 Hernandarias 250 36 EspinilloRural 347 30 Espinillo Camp. Secc. A 59 14 Espinillo Camp. Secc. C 62 28 Estac. Crespo 160 19 Col. Rivas 79 12 Maria Grande 1° 281 26 Maria Grande 2° 156 4 Paraná città 1°, 2° e 3° quartiere 2017 404

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131 Dalle cifre riportate è ragionevole credere che - nonostante proprio all’inizio del XX secolo il governo di Entre Ríos intensificasse la sua campagna per la colonizzazione agricola, procedendo alla fondazione di nuove colonie - nelle prime due decadi del Novecento, gli italiani furono attratti maggiormente dal ricco ventaglio occupazionale, offerto dalla realtà paranense, in piena espansione economica e con più vaste opportunità di ascesa sociale.

Come risulta dalla Guida commerciale del 19073, gli italiani a Paraná lavorarono, infatti, come: commercianti; artigiani; professionisti; proprietari di negozi; locande; panetterie; pastifici e pasticcerie; drogherie e mulini. A conferma di quest’ampia gamma di professioni, Favoino e Bufardeci nel 1914 affermavano che:

Una caratteristica importantissima degli italiani di Paraná è la loro

versatilità, provata dal fatto che essi sono largamente e degnamente rappresentati in tutti i campi dell‟umana attività, come nei più umili mestieri così nelle più elevate professioni, tal che noi possiamo incominciare a contarci dall‟erbivendolo per giungere sino al medico, all‟ingegnere, all‟avvocato […] Nella capitale entre-riana, pertanto, i connazionali nostri, mentre in minima parte si dedicano alla vendita degli ortaggi e della frutta, sono poi in prima fila come artigiani, commercianti, industriali e professionisti4.

La Guida commerciale del 19195 mostra, inoltre, la nascita di attività di maggior tenore e il predominio della piccola industria, specie nei settori dell’allevamento, dell’edilizia, della sartoria e delle calzature.

E’ possibile riscontrare un simile adattamento al mercato del lavoro di Paraná anche tra i leonfortesi insediatesi nella città tra la fine del XIX secolo e le prime tre decadi del Novecento.

Benché, infatti, al momento del loro arrivo in Argentina il 65% dichiarasse di esercitare una professione legata alla terra, dai registri di matrimonio della città di Paraná emerge che anche tra i leonfortesi il

3 Museo Historíco Martiniano Leguizamón, d’ora in poi MHML, Guía comercial,

industrial, agricola y ganadera de Entre Ríos, Buenos Aires, Cimenez y Rochi, 1907.

4 G.M. Favoino, A. Bufardeci, Gli italiani…, op. cit. pp. 91-92. 5

MHML, Guía comercial de la Provincia de Entre Ríos, La Plata, Oliviri y Domínguez, 1919.

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132 panorama delle professioni esercitate fu vario, comprendendo giornalieri, impiegati, commercianti, operai - specie nel settore della muratura e in quello meccanico – agricoltori e liberi professionisti. ( Tabella 26) La stessa Paraná offrì numerose opportunità nel settore agricolo, sia perché il vero e proprio processo d’urbanizzazione ebbe inizio solamente nelle prime decadi del Novecento e sia per la sua stessa posizione geografica. Il fiume Paraná, infatti, fino all’arrivo delle prime «balsas» – più che un tramite - fu un ostacolo per le comunicazioni, dato che isolava l’intera zona dal resto del Paese. Le importazioni di frutta e verdura dalle altre province - compresa la vicina Santa Fe - furono pertanto difficili e sporadiche e diventò fondamentale, quindi, sviluppare un sistema di produzione e di vendita interno che riuscisse a soddisfare il fabbisogno della popolazione entreriana; in questo senso un contributo importante venne fornito anche da quei leonfortesi che si dedicarono al lavoro agricolo e alla commercializzazione dei prodotti:

Non sapevano niente di fertilizzanti chimici, ma la loro esperienza, maturata nelle campagna leonfortese, gli aveva insegnato che interrando sterco di cavallo e resti della stessa verdura, «ingrassavano la terra». Le uniche tecnologie che impiegavano erano la zappa, il rastrello e l‟annaffiatoio. Vi furono, inoltre, leonfortesi che comprarono distese di terra più grandi, lavorate con mezzi più potenti, che producevano vari tipi di coltivazioni che venivano anche commercializzate nei mercati all‟ingrosso o nelle fiere dove vi era la vendita diretta al pubblico.6

La stragrande maggioranza dei leonfortesi arrivati a Paraná tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, iniziò proprio lavorando nel settore agricolo:

Plantó sus reales, en Paraná [...] De su Italía traía conocimientos agrícolas, porque era su medio de vida. Cultivar la tierra fue su propósito [...] Con los ahorros del trabajo compró don Antonio tierras en la zona del viaje bulevar Alsina (hoy Ramírez) y laboró su quinta para sustenío familiar y la venta, en el solar donde después había de instalarse el Prado Español. Encontrábase en los albores de su libertad

6

Intervista a Juán José Gandolfo, discendente di seconda generazione, registrata a Paraná il 29 settembre 2009; la traduzione dallo spagnolo è nostra.

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para cosechar la tierra con su proprio trabajo y contar con los instrumentos clásicos de la labranza: la azada, el rastrillo y la regadera. Tareas sin pausas, de solo a sol […] Los montes desaparecieron y la simebra se tradujo en ricos frutos para la venta y el sostenimiento del hogar [...] El correr del tiempo le cambiaría, nuevamente, su destino y otra tierras en calle Panamá, en donde vivió hasta su muerte entre Santiago del Estero y Catamarca. Nació la “nueva quinta” con el verdor fresco de las hojas de acelga, lechuga, espinaca. Don Antonio fue uno de los tantos leonfortenses que vivieron y viven en esta zona de Paraná, con las mismas y fervorosas actividades agrícola – granjeras, porque cada uno era productor de verduras, y facturas de cerdo. La vida no se detuvo y se dedicó a la venta callejera, el primer “carro-feriante” que anduvo por la ciudad en la década del 30. Su recorrido era extenso, e incluía calles del casco centrico, en donde una clientela excelente le hacía todos los días encargues especiales. Ese carro “paseó” su figura por varios años por la ciudad. Con su andar pausado, don Antonio tenía la licencia de entrar a los domicilios de los clientes “sin golpear”, dejar la mercadería y continuar su trayectoria, mientras una esquela ordenaba laprovista del día de mañana, más porque él aportó la presencia de su ejemplo siempre grato en la hora de la remembranza7

«Las quintas», affittate o acquistate dai primi immigrati leonfortesi, offrirono un primo impiego a quei compaesani che giunsero in Argentina solo in un secondo momento:

Mio zio Salvatore, fratello di mio nonno, aveva affittato una «quinta» molto grande in «calle» Andrés Pazos, dove si coltivava di tutto e si commercializzavano i prodotti. Furono molti i giovani leonfortesi arrivati a Paraná che trovarono un primo alloggio e un primo impiego nella sua casa, fino a che non riuscirono ad adattarsi al nuovo contesto. Ricordo che mi parlava sempre di don Angel Castrogiovanni, che dopo divenne un importante commerciante della zona; il rinomato

7

AHGS, Hemeroteca, J. C. Toloy, Un lenfortense paseó el primer carro verdulero en Paraná, in “El Diario”, domenica 28 febbraio 1999.

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parrucchiere don Antonio Calandra e, ovviamente, i suoi fratelli come mio nonno Domenico e suo fratello Carmelo8.

Il meccanismo delle catene si rivelò utile sia ai nuovi arrivati, ai quali furono evitati molti dei problemi e dei traumi connessi all’espatrio, e sia a chi aveva già da tempo avviato la sua attività nel Paese ospite, dato che l’impiego di manodopera di fiducia permise di aumentare la produzione, incrementare il volume degli affari e contenere i costi:

Mis padres fueron recibidos por dos hermanos mayores de mi papá que ya estaban radicados aquí desde varios años antes. En este caso fuimos (yo me incluyo) a parar a un establecimiento de campo en la zona del Brete cercano a Paraná, donde se efectuaba una explotación mixta, ya que se cultivaban desde el trigo, lino hasta todo tipo de verduras incluídas papas y sandías, además de un importante producción de leche para consumo que comercializaban a domicilio, directamente al público9.

Le reti sociali furono attive sia nell’immigrazione leonfortese, stabilitasi nei centri rurali e sia in quella che elesse come destinazione Paraná; tuttavia, a differenza di quanto avvenne nell’immigrazione di tipo rurale, il rapido processo d’urbanizzazione della capitale entreriana e le tante opportunità che si accompagnarono a questo non vincolarono le ambizioni dei singoli entro il ristretto orizzonte del gruppo già formatosi nel Paese di destinazione. In pochi anni, molti leonfortesi riuscirono ad avviare attività in proprio e a costruire le loro case:

Mi padre colaboró durante un tiempo en las tareas del campo hasta que se fue adaptando a la nueva vida y ambiente. Finalmente pudo independizarse; algo muy importante fue que todos los italianos que llegaron acquí, a poco años de su arribo ya tenían sus tierras y construyeron sus propias casas. Claro está que fue el fruto de grandes esfuerzos y sacrificios, y por qué non decirlo también de muchas lágrimas. Yo mismo vi a mi madre llorar desconsoladamente con las fotografías de mi abuela10.

8 Intervista a Susanna Maccarrone, cit. 9

F. Maccarrone, Historia de los leonfortenses ..., op. cit. p. 16.

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135 Col passare del tempo e in contemporanea allo sviluppo economico della capitale entreriana, i leonfortesi si dedicarono ad attività diverse, anche per la comune volontà delle prime generazioni di cercare una sorta di riscatto sociale attraverso i propri figli, spinti dai loro padri ad affrancarsi dal ristretto panorama lavorativo, offerto dalla famiglia:

Mio nonno ripeteva sempre che i suoi figli dovevano imparare un mestiere, perché solamente attraverso il lavoro sarebbero riusciti a migliorarsi. E così mio padre fu parrucchiere, il secondo fratello calzolaio e gli altri due sarti. Uno di loro riuscì addirittura ad aprire una grande sartoria, molto rinomata a Buenos Aires! Mentre papà dopo aver lavorato in vari negozi di parrucchieri per uomo, riuscì a realizzare il suo sogno: a lui piaceva tantissimo tagliare i capelli e creare acconciature femminili e, così, aprì una sua parrucchiera per sole donne! Fu uno dei primi parrucchieri uomini per donna; a Paraná ne esistevano solo altri due che erano tedeschi. Lavorò con sacrificio e passione per tutta la vita e fu molto rinomato in città. Nel 1942 fondò anche il «Centro de peluquerias y petinadores», qui a Paraná, ne fu sempre molto fiero e diceva che era il suo secondo figlio11!

La stessa tensione e volontà di riscatto si evince dal racconto della Signora Manuele che del nonno ricorda proprio l’importanza che attribuiva all’istruzione dei figli:

Mio nonno arrivò a Paraná nei primissimi anni del Novecento; aveva un negozio di spaccio, insomma era un commerciante. Fu sempre inquieto perché pretese che i suoi figli studiassero e infatti quasi tutti lo fecero. Divennero chimici, avvocati, ingegneri, professori e uno di loro, Francisco Manuele, fu un celebre musicista che calcò i principali teatri europei. Mio padre non prese la laurea e divenne commerciante. Mio nonno diceva sempre che i suoi figli erano il suo maggiore orgoglio, perché, venuto qui con nulla, era riuscito a farli affermare tutti12!

11 Intervista ad Antonia Calandra, discendente di seconda generazione, registrata a

Paraná il 22 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

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Intervista a Nelida Manuele, discendente di terza generazione, registrata a Paraná il 21 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

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136 L’Argentina conobbe nei primi decenni del Novecento una fase di piena espansione economica e di progresso; furono potenziati i principali servizi - specie i trasporti - nacque la piccola e media impresa e, con questa, una classe media che fu corollario e motore del processo di urbanizzazione che interessò sia i grandi centri - come Buenos Aires e Rosario - e sia le realtà più piccole e periferiche come Paraná. Qui, i leonfortesi dimostrarono di sapersi adeguare alle trasformazioni in corso, cimentandosi nelle disparate attività, offerte dal nuovo mercato del lavoro:

Dibujar el esquema de una ciudad que comenzaba a crecer desordenadamente cuando habian pasado tres decadas del principio del siglo no era facil para los inmigrantes que llegaban desde otros paises [..] Papa estuvo primero en Pehuajo en la cosecha. Desde allí se vino en la intersección de Catamarca y Rivadavia, instaló un almacen de ramos generales y un surtidor de la Shell, el segundo en nuestra ciudad, el primero estaba en Plaza Carbo. Pero antes fue albañil y verdulero y tambien trabajo en el ferrocarril13.

I mutamenti economici e sociali che si registrarono all’interno del Paese furono guidati da cambiamenti internazionali altrettanto significativi. Nelle prime due decadi del Novecento, infatti, la concorrenza degli Stati Uniti e la prima guerra mondiale misero in discussione il primato che la Gran Bretagna aveva esercitato sul mercato argentino sin dalla metà dell’Ottocento. L’egemonia britannica, fino a quel momento, aveva fatto leva su ingenti investimenti di capitale nei più disparati settori, come quello delle opere pubbliche e delle infrastrutture. La crisi economica che si produsse in Europa in seguito alla «Grande Guerra» e il conseguente ingresso degli Stati Uniti nel mercato mondiale determinarono, invece, sia una diversa tendenza della politica estera argentina – sempre più legata ai nordamericani - e sia una maggiore responsabilità dello Stato verso quei campi che non poterono più contare sul finanziamento esterno. Notevoli somme del capitale statale vennero destinate, ad esempio, al settore ferroviario che, essendo in piena espansione, abbisognava di

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137 manodopera interna capace di assicurare la produzione14. Una situazione, questa, che comportò il passaggio di molti immigrati dal settore agricolo a quello meccanico, specie nelle zone interne del Paese che iniziarono a dotarsi di migliori mezzi di collegamento:

Mio padre arrivò a Paraná quando aveva un anno; era il 1909 e venne insieme ai miei nonni; abbandonò molto presto la casa paterna perché dopo i primi anni di scuola primaria decise di frequentare una scuola serale per diventare meccanico – la scuola «Alem»- che si trovava al centro della città, lontana dal luogo in cui i genitori avevano la loro casa e la loro «quinta». Grazie a questo corso riuscì a lavorare nelle ferrovie per quello che poi divenne «Ferrocarrill General Urquiza». Inizialmente fece i lavori più umili, ma poi di grado, in grado, siccome era molto abile nel settore meccanico, lo nominarono «Incaricato di Settore», una sorta di ruolo dirigenziale molto importante, dato che era preposto alla riparazione di tutti i veicoli che circolavano dalla provincia di Entre Ríos per tutto il Paese. Il suo ruolo e il suo settore divennero molto importanti a ridosso e dopo la seconda guerra mondiale, perché fu proprio allora che gli inglesi abbandonarono la produzione che passò interamente sotto la responsabilità interna15.

Il settore meccanico diede da vivere a molti dei leonfortesi di Paraná che spesso si specializzarono proprio in Argentina, dato che in patria si erano prevalentemente dedicati al lavoro agricolo.

A questo proposito Pedro Debole, emigrato di prima generazione, ricorda:

Qui, quando sono arrivato nel 1947, la situazione non era facile; così iniziai a fare il meccanico nell‟officina di un mio cugino che già si trovava qui. Non ne capivo nulla, perché a Leonforte sono rimasto orfano a soli 8 anni e quindi iniziai da subito a lavorare nei campi e a pascolare il bestiame. Ma nell‟officina di mio cugino ho appreso molto bene il mestiere, tanto che poi mi decisi a fare il concorso per entrare

14

A.L. Romero, Breve Historia contemporánea ..., op. cit..pp. 16-28.

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nelle ferrovie; andò bene e così lavorai come meccanico per le ferrovie fino alla pensione16.

Quello di «Don Pedro» non fu l’unico caso di riadattamento professionale tra i leonfortesi in Argentina; molti di loro. Infatti, si arrangiarono a fare qualsiasi lavoro gli permettesse di mantenere la famiglia:

Mio padre venne in Argentina subito dopo la prima guerra mondiale. Non sapeva fare niente di diverso dal lavorare la terra! Inizialmente affittarono dei terreni nella Provincia di Cordova, ma il lavoro non rendeva e così decise di spostarsi a Paraná, dove c‟erano alcuni suoi parenti che gli trovarono un lavoro come portiere di una scuola17!

Altri, invece, inventarono dal nulla attività e crearono le loro imprese: Quando mio nonno venne in Argentina lavorò inizialmente come agricoltore in alcuni terreni nei pressi di Viale. Nel 1930 si spostò a Paraná insieme ad un mio zio, perché il lavoro agricolo non era redditizio. In città iniziò prima a vendere carbone e legna, dato che all‟epoca il carbone si usava molto, ad esempio, per la cucina. Subito dopo insieme e mio padre misero in piedi un‟impresa di trasporti di merci e uomini18.

E molti furono anche «los cocheros» di origine leonfortese:

Tenía su parada en la tradicional esquina de Urquiza y San Martín, junto a la Plaza de Mayo, frente a Gath & Chaves (hoy Banco B.I.C.), aunque cubrían servicio a la llegada de los trenes, y en el puerto para el arribo de los barcos. La mayoría de estos «gringos» eran de origen leonfortés, bastante duros al hablar, con una mezcla de italiano, siciliano y criollo, aunque lograban hacerse entender muy bien. Eran personajes populares, algunos con sus grandes «mostachos», pintorescas pipas y sus infaltantes gorras, entre los que puedo recordar: Nuncio Laferrara, José Sanfilippo, Salvador Sanfilippo, Domingo

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Intervista a Pedro Debole, immigrato di prima generazione, registrata a Paraná il 25 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

17 Intervista ad Antonia Barbera, discendente di seconda generazione, registrata a

Paraná il 17 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

18

Intervista a Tito Salamone, discendente di terza generazione, registrata a Paraná il 15 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

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Maccarone, Vincente Zino, Nicolás Calandra, Juan Cati, Victor Bellini, José Screpis, Salvador Baccalluzzo, Antonio Baccalluzzo, Tufano Russo, Mesina y Salamone. Estos cocheros tuvieron su esplendor en la primeras décadas del siglo, pero con el advenimiento del “automóvil de alquiler”, hubo gente que pudo cambiar su viejo «mateo» de tracción a sangre por el automotor, pero ortos a poco a medida que la edad y el tiempo los iban venciendo sucumbían lentamente19.

Non furono pochi anche coloro che cambiarono numerosi mestieri, cimentandosi in quelle attività che, di volta, in volta, sembravano più redditizie:

Un hombre de leve acento siciliano, de pelo entrecano, cierra el baúl del taxi, estacionando en la parada de Plaza de Mayo, y comienza, casi sin querer, a abrir un poco sus recuerdos. Juan Cati, 78 años, hoy taxista, alguna vez vendedor de helados en carro a caballo, panadero, proveedor del ejército, antes, hace mucho tiempo, un niño que viajó, y como tantos otros leonfortenses se estableció en Paraná20.

Un discorso a parte meritano le professioni esercitate dalle donne leonfortesi emigrate a Paraná.

Il percorso d’inclusione delle donne nella storia delle migrazioni è avvenuto solamente negli ultimi decenni, quando - liberate dalla funzione «accessoria» che la storiografia tradizionale attribuiva loro – le migranti hanno recuperato un ruolo di primo piano nel processo d’inserimento nel Paese ricevente. A differenza dei Paesi anglofoni – dove le donne raggiunsero relativamente presto una posizione di parità rispetto agli uomini, della quale beneficiarono soprattutto le seconde generazioni – in Argentina la posizione delle donne fu a lungo subalterna a quella degli uomini, dato che perfino lo stato di benessere della famiglia fu determinato, per molto tempo, anche dalla possibilità di non far lavorare le donne, la cui vera e propria emancipazione nel Paese platense avvenne solamente nella seconda metà del XX secolo, grazie all’accesso al lavoro

19

F. Maccarrone, Historia de los leonfortenses ..., op. cit. p. 28.

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140 salariato21. Tuttavia, già tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo le attività lavorative delle migranti furono fondamentali per il sostentamento della famiglia e per lo sviluppo sociale ed economico della società ospite, anche se, nella maggior parte dei casi, queste attività rimasero invisibili22.

Nel caso delle donne leonfortesi emigrate in Argentina tra il 1901 e il 1928, infatti, le fonti registrarono l’80% di loro come «donne di casa»23; tra di loro vi furono, invece, donne che lavorarono come contadine, artigiane, cucitrici e altre ancora che riuscirono a fare della loro esperienza nei lavori domestici una vera e propria fonte di guadagno. Molte ebbero, infatti, un ruolo fondamentale in attività complementari a quelle dei mariti:

Mia nonna si chiamava Rosaria Di Pasqua; fu una vera compagna per mio nonno; nella vita e nel lavoro. Lo aiutava in quella che c‟era da fare nella «quinta», puliva la verdura e la rendeva pronta per essere venduta24.

21

Sul tema, si citano solamente alcune delle opere che hanno contribuito a innovare il panorama storiografico sulle donne migranti: A. Badino, Tutte a casa? Donne tra migrazione e lavoro nella Torino degli anni Sessanta, Roma, Viella, 2008; A. Bernasconi, C. Frid de Silberstein, Le altre protagoniste: italiane a Santa Fe, in “Altreitalie”, n. 9,1993, pp.117-138; B. Bianchi, Lavoro ed emigrazione femminile (1880-1915), in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Storia dell‟emigrazione italiana. Partenze …, op. cit. pp. 355-375; H.S. Bonaldi, Le donne e le donne italiane in Argentina: vita quotidiana, lavoro e partecipazione ai movimenti sociali, in “Storia e Problemi Contemporanei”, IX, n. 18, pp. 23-43; C. Borri, Lo specchio della lontananza. Tre viaggi di donne in Sudamerica, Torino, Il Segnalibro, 2002; C. Cattarulla, I. Magnani, L‟azzardo e la Pazienza. Donne emigrate nella narrativa argentina, Troina, Città Aperta edizioni, 2004; P. Corti (a cura di), Società rurale e ruoli femminili in Italia tra Ottocento e Novecento, Istituto Alcide Cervi Annali 12/1990, Bologna, Il Mulino, 1990; id, Le donne nelle campagne italiane del Novecento, Istituto Alcide Cervi Annali 12/1990, Bologna, Il Mulino, 1991; A. Dadà (a cura di), Il lavoro di balia. Memoria e storia dell‟emigrazione femminile da Ponte Buggianese nel „900, Ospedaletto, Pacini editore, 1999; C. Frid de Silberstein, Inmigración europea y problemática de género en Argentina: Desarollos historiográficos y cuestiones en debate, in “Zona Franca”, 5, n. 6, 1997, pp. 96 – 107; D. R., Gabaccia, F. Iacovetta, Women Gender and Trasnational Lives, Toronto, University of Toronto Press, 2002; L. Gambi, Il pieno e il vuoto: storie di donne e uomini tra l‟Emilia Romagna e l‟Argentina, in “Altreitalie”, n. 37, 2008, pp. 242-256; E. Scarzanella, B. Potthast (a cura di), Mujeres y Naciones en America Latina. Problemas de inclusión y exclusión, Madrid, Iberoamericana Libro, 2001; M. Tirabassi, Italiane ed emigrate, in “Altreitalie”, n. 9, 1993, pp. 139 – 151; id, I motori della memoria …, op. cit.

22 C. Frid Silberstein, Inmigración europea y problemática ..., op. cit., pp. 96-97. 23 Nostra elaborazione su dati provenienti da: AGNBS, sez. A.I., M.I., D.N.M., P.C.,

anni: 1901 – 1928.

24

Intervista a José Baccalluzzo, discendente di terza generazione, registrata a Paraná il 23 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

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141 Dello stesso tenore la storia della famiglia Buonamico:

I miei nonni avevano una «quinta» e un negozio all‟ingrosso. Mentre mio nonno si occupava di lavorare la terra, mia nonna si occupava del negozio. Non parlava una parola di spagnolo, ma si vede che doveva capirlo e che si faceva capire molto bene, visto che non ebbe mai nessun problema con i clienti25.

Altre sfruttarono la loro competenza in cucina per aprire delle vere e proprie attività come panifici, pastifici e pasticcerie:

Le sorelle di mio padre lavorarono tutte qua in Argentina. La zia Angela La Porta era sarta insieme alla sorella Ana Maria. La prima era specializzata a fare gli occhielli dei pantaloni e la seconda faceva tutto il resto. La zia Dora, la mamma di tutti, era bravissima a fare i dolci che inizialmente vendeva ad amici e parenti. Quando crebbi io, la convinsi ad aprire un ristorante, era il 1958 e a questa attività si aggiunse poi anche la zia Nelida. Infine la zia Sara fu impiegata di commercio26.

Anche Nora Cati parla della straordinaria abilità culinaria della nonna Serafina che divenne, in Argentina, una vera e propria attività:

Mia nonna sapeva solamente badare alla casa e cucinare; lo faceva benissimo! Così, siccome col solo lavoro da impiegato di mio nonno era difficile mantenere tutta la famiglia, decise di vendere quello che cucinava, specialmente il pane27.

Le cose cambiarono con le seconde e terze generazioni, quando le donne furono assunte nel settore amministrativo, scolastico e nei servizi in generale, ma prima ancora che questo processo di affrancamento femminile divenisse palese, le leonfortesi - come molte altre migranti italiane in Argentina - furono protagoniste di un vero e proprio processo di emancipazione e di cambiamento della società platense che passò soprattutto dal lavoro.

25 Intervista a Francesca Bonamico, discendente di seconda generazione, registrata a

Paraná il 30 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

26 Intervista ad Andrés La Porta, cit. 27

Intervista a Nora Catí, discendente di seconda generazione, registrata a Paraná il 16 settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

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142 TABELLA 26: professioni dichiarate al momento del matrimonio dagli uomini leonfortesi immigrati a Paraná e dai loro discendenti

(1901-1930)

Anno agricoltori commercianti giornalieri liberi prof.

operai impiegati tot

matrimoni 1901 - 1 2 - - - 3 1902 1 - - - 1 1903 2 - - - 2 1904 2 1 - - - - 3 1905 1 1 - 1 - - 3 1907 - 1 - - 1 - 2 1908 1 - 1 1 - - 3 1909 - - 1 1 - - 2 1910 - - - - 1 - 1 1912 - - - - 1 - 1 1913 - 2 1 - 1 - 4 1914 - - 2 1 3 - 6 1915 - - 1 - 1 - 2 1916 2 - 1 - 3 - 6 1917 3 1 2 1 1 - 8 1918 2 1 2 4 - 2 11 1919 2 - - 3 1 - 6 1921 1 2 1 5 1 1 11 1923 4 - - 1 - 1 6 1924 3 2 2 3 - 1 11 1925 2 2 - 1 1 1 7 1926 - - - 1 - - 1 1928 - 2 - - - - 2 1929 2 2 2 1 1 3 11 1930 1 2 2 3 5 - 13 % sul tot 23% 16% 16% 21% 17% 7% 126

Fonte: nostra elaborazione su dati provenienti da: Dirección Provincial de las Personas de Paraná, Registros de casamientos, anni: 1901 – 1930.

(16)

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4.2 Solidarietà, famiglie e strategie sociali

La solidarietà tra migranti iniziava già prima della partenza sia per le informazioni che giungevano da oltreoceano e sia per la possibilità di poter contare sull’aiuto di chi era già emigrato.

Le catene migratorie furono attive anche nell’emigrazione leonfortese in Argentina, svolgendo il loro importante ruolo già nella scelta del luogo di destinazione, dato che ad esempio – a differenza del 70% dei siciliani che s’indirizzarono in America del nord28

- questi elessero come destinazione l’Argentina; Paese che, il più delle volte, non si riusciva neanche collocare esattamente da un punto di vista geografico e del quale si conosceva solamente la sua appartenenza a quel luogo imprecisato e lontano, noto come «Merica»:

Mio nonno scelse l‟Argentina perché lì vi era già da tempo una delle sue sorelle. A Leonforte non stava male, dato che aveva in gabella vari appezzamenti di terreni; era un uomo avventuroso e pieno di sé e come molti altri all‟epoca fu richiamato da questa terra che la sorella descriveva come una «terra di salvezza e d‟immense praterie»29.

A fargli da eco il Signor La Iacona che a proposito del nonno dice:

Aveva una sua zia a Paraná che di cognome faceva Gandolfo e che era sposata con un altro leonfortese di cognome D‟Alotto. Così quando rimase orfano di madre e il padre si risposò - non andando d‟accordo con la matrigna - decise di venire in Argentina, dato che più volte la zia gli aveva assicurato che qui starebbe stato bene30.

Molti leonfortesi elaborarono, quindi, la loro strategia migratoria dentro precise reti sociali che si rivelavano in tutta la loro importanza soprattutto al momento dell’arrivo a destinazione:

Mio nonno partì dall‟Italia, avendo già come meta Paraná, perché qui già si erano stabiliti diversi leonfortesi. Da quanto mi ha sempre raccontato, infatti, quando arrivava un nuovo emigrante, gli altri compaesani lo ospitavano fino a quando non era in grado di rendersi

28

G. Raffaele, Siciliani nel mondo …, op. cit. p. 119.

29

Intervista a Giuseppe Romeo, discendente di terza generazione, registrata a Leonforte il 5 maggio 2009.

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autonomo. In questo quartiere erano tutti siciliani e soprattutto leonfortesi31.

Quanto fosse importante poter contare su qualcuno, del resto, lo si capiva già durante la traversata per l’Argentina che durava, in media, quarantacinque giorni e che, nella stragrande maggioranza dei casi, avveniva in un posto in terza classe e in condizioni molto precarie.

Dopo il «conflitto» sanitario italo-argentino del 191132, le navi italiane che trasportavano gli emigrati furono sottoposte a controlli più severi già nei porti d’imbarco; spesso, così, molti di loro vennero bloccati nei porti italiani, per i più disparati motivi burocratici, lasciando chi invece riusciva a partire in preda allo sconforto.

Come racconta la signora Calandra, quando ciò accadeva solamente la solidarietà dei corregionali imbarcatisi nelle stessa nave, riusciva a dare al migrante un certo sollievo:

Papà doveva venire in Argentina nel 1922 con un fratello di mia nonna, lo zio Angelo Messina. Al momento della partenza da Napoli, però, non so cosa mancava a mio zio, ma lo fecero scendere dalla nave e lui dovette viaggiare da solo. Questo, mio padre non lo dimenticò mai! Però diceva sempre che la nave era piena di siciliani che cercarono di aiutarlo in tutti i modi, ma non bastò, papà ricordò per tutta la vita questo momento come un periodo di dolorosa solitudine33.

Dello stesso tenore l’esperienza di Giuseppe Bonamico, emigrato in Argentina nel 1927:

Mio padre aveva quindici anni, quando nel 1927 s‟imbarcò per l‟Argentina. Doveva viaggiare con un suo fratello, ma a Napoli entrambi si ammalarono, così dovettero attendere qualche giorno prima di partire con un‟altra nave. Mio padre riuscì a partire col vapore «Giulio Cesare», ma il fratello no, non lo lasciarono salire. Viaggiò da solo e ricordò sempre questa lunga traversata con un velo di nostalgia. Infatti arrivato a Buenos Aires nel dicembre del 1927, alloggiò all‟«Hotel de

31 Intervista a Melita Aricò, discendente di terza generazione, registrata a Paraná il 12

settembre 2009. La traduzione dallo spagnolo è nostra.

32

Su questo argomento cfr.: G. Rosoli, Il “conflitto sanitario” …, op. cit. pp. 288- 310.

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Inmigrantes», dove rimase tre giorni prima di venire a Paraná, dove lo aspettava un altro fratello. Trascorse il Natale a Buenos Aires, da solo e ripeteva sempre che se non fosse stato per gli altri siciliani che alloggiavano nello stesso posto, sarebbe impazzito in quell‟Hotel34

!

L’esperienza di partire in completa solitudine, tuttavia, non si rivelò traumatica per tutti, dato che anch’essa atteneva al carattere della persona, alle motivazioni che lo avevano spinto ad emigrare, alle attese che si riponevano in questa nuova avventura e, non ultimo, al potere rassicurante di sapere che vi fosse qualcuno ad aspettarli, una volta giunti a destinazione:

Quando venni in Argentina nel 1949 ricordo che c‟imbarcammo a Genova e ricordo che si moriva di freddo; stava nevicando ed io mi ripetevo «ma dove stiamo andando?» Sono partito da solo, ma sulla nave ho poi conosciuto molti altri italiani, siciliani soprattutto, coi quali ci siamo fatti compagnia per l‟interno viaggio. Affrontai il viaggio come qualsiasi giovane di ventuno anni: ero felice, mi sono divertito! Ricordo particolarmente il passaggio per l‟Equatore; ci fu una festa ed io ballavo, saltavo, cantavo: ero felice! Non pensavo molto a quello che avrei fatto una volta arrivato; ero tranquillo perché sapevo che lì mi aspettavano i miei zii e miei cugini.

Arrivato in Argentina, infatti, avevo già un lavoro, una casa e ho subito conosciuto molti dei leonfortesi che vivevano a Paraná: Russo, Fichera, Cammarata e Benintende 35.

Per molti migranti, la solidarietà dei paesani agì in modo provvidenziale proprio al momento dell’arrivo in Argentina, dove tutto appariva estraneo, confuso e disorientante; si trattò per lo più di un aiuto che fu concordato all’interno di rapporti già esistenti tra nuovi e vecchi emigrati, ma che, in alcuni casi, funzionò anche al di fuori delle catene migratorie d’appartenenza:

Nosotros llegamos en 1925 a la Argentina, desde Buenos Aires salimos en tren desde la estación Lacroze, viajamos toda la noche con una fuerte tormenta y lluvia torrencial. El tren llegó a Paraná con muchas horas de

34

Intervista a Francesca Bonamico, cit.

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retraso y cuando llegamos a la estación, no nos esperaba nadie. Yo no tenía plata, no conocía el idioma español, ni siquiera sabía dónde vivían mis parientes. Sólo conocía su nombre. Fue así que intenté hablar con un cochero que había allí. Como yo no me podía hacer entender y además al no tener plata, este hombre me echó al diablo. Pero por suerte había otro cochero que vio que estaba en problemas se me acercó y en italiano me preguntó que me pasaba. Cuando le expliqué mi situación, me dijo que no me preocupara que me iba a ayadra, me dijo que conocía mis parientes, que me llevaría hasta el lugar, y cuando le dije que no tenía plata me dijo que no me preocupara que algún día se lo podía pagar. Este señor resultó ser un leonfortéses de nombre Carmelo Ziino, que al final nos hicimos amigos y hasta compadres36.

Finalmente ricongiuntosi coi parenti, il migrante trovava spesso da loro un primo alloggio e impiego, fino a quando non riusciva a rendersi autonomo:

Como en el caso de mis padres que vinieron en septiembre de 1923, fueron recibidos por dos hermanos mayores de mi papà que ya estaban radicados aquí desde varios años antes [...] Mi padre colaboró durante un tiempo en las tareas del campo hasta que se fue adaptando a la nueva vida y ambiente37.

Le catene hanno avuto un peso determinante anche per le strategie d’insediamento degli immigrati, influenzate non solo da variabili strutturali – come il mercato del lavoro o quello delle case e la disponibilità dei mezzi di comunicazione – ma anche dalla presenza di amici e parenti38.

Molti leonfortesi scelsero, infatti, d’insediarsi nella parte occidentale di Paraná, già abitata da immigrati siciliani, che nel tempo divenne una vera e propria «piccola Leonforte». Come risulta dai registri di matrimonio

36 F. Maccarrone, Historia de los leonfortenses ..., op. cit. p. 15. 37 Ivi p. 16.

38 Sulle «Little Italies» per il caso argentino ci si limita a citare le opere che hanno

contribuito maggiormente all’approfondimento del tema: S. Baily, The adjustment of Italian immigrant in Buenos Aires and New York, 1870 – 1914, in “American Historical Review”, n. 88, 2 aprile1983, pp. 281 – 305; Id, Patrones de residencia de los italianos en Buenos Aires y Nueva York, 1880 – 1930, in “EML”, n. 1, 1 dicembre 1985, pp. 8-47; D. N. Marquiegui, Reti sociali, solidarietà etnica e identità …, op. cit., pp. 205 – 240.

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147 della città di Paraná, su centoventicinque matrimoni celebrati nella città tra il 1901 e il 1930 – nei quali almeno uno dei due coniugi dichiarò di essere di origine leonfortese – il 70% di questi certificò come residenza una delle strade appartenenti ad un perimetro di sei isolati, comprendenti «las calles»: Mendoza, Laprida, Catamarca, Cervantes, Santiago del Estero e Panamá39.

A conferma dell’esistenza di una vera e propria strategia d’insediamento che portò i leonfortesi ad abitare solamente in determinati quartieri di Paraná, vale la pena di riportare le parole di Tito Salamone:

La cosa che attirò sempre la mia attenzione fu che nel quartiere dove vivo, sono tutti discendenti di leonfortesi. La mia famiglia ha sempre vissuto in questo quartiere, tra «calle» Cervantes e Catamarca, e poi anche nelle vicine «calles» Diamante e Mendoza. All‟angolo di questa strada c‟era un bar e tutte le domeniche i leonfortesi si riunivano lì per giocare a carte e bere qualcosa, fino all‟ora di pranzo. Fino a quando mio nonno fu in vita, io conoscevo tutti i leonfortesi della zona che spesso lo andavano a trovare solo per chiacchierare. Direi che erano una vera e propria comunità chiusa, molto solidali tra loro, ma altrettanto diffidenti nei confronti di chi non era uno di loro 40.

La rete paesana – rimodellata e ricreata a Paraná – rappresentò il solo perno sociale, sottratto al lavoro, attorno al quale ruotò la vita relazionale dei leonfortesi. Tutto ciò che si poneva al di fuori di questa rete destava sospetto, per cui abitare nella stessa zona dei propri compaesani rispose ad una strategia sociale bene precisa, ristretta al solo gruppo d’appartenenza:

Mio padre mi raccontava sempre che spiava gli uomini nelle loro riunioni; non era permesso ai bambini di partecipare e allora lui andava lì di nascosto e ascoltava i loro discorsi e lentamente ne apprendeva le abitudini, i canti e quella costante nostalgia che sempre ebbero verso Leonforte. Gli uomini, infatti, avevano l‟abitudine di riunirsi tutti i fine

39Elaborazione nostra su dati provenienti da: Dirección Provincial de las Personas de

Paraná, Registros de casamientos, anni: 1901 – 1930. Vale la pena di ricordare che il 78% del campione intervistato in Argentina risiede ancora nel perimetro menzionato.

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settimana, dopo il pranzo per praticare alcuni giochi tradizionali della loro terra, come ad esempio la «Chapedda» o per giocare a carte; bevevano qualche bicchiere di vino, generalmente di loro stessa produzione e ovviamente finivano sempre per cantare in coro tutte quelle canzoni tradizionali della loro terra, così piene di nostalgia e molto spesso qualcuno le accompagnava col «Fiscalietto», uno strumento di canna che costruivano loro stessi41.

41 Intervista a Susana Maccarone, cit.

Foto 20 : leonfortesi che si aiutano nella costruzione di una casa

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149 Cosa significasse realmente poter contare sulla solidarietà di persone fidate, lo si evince chiaramente dal racconto di Francisco Maccarrone sulla malattia della madre che la portò, in seguito, ad una precoce scomparsa:

Volviendo al tema de mi familia dir éque a principio del año 1931 (todavía vivíamos en calle Santa Fe al final), una mañana, luego que mi padre se había ido a trabajar, mi mamá comenzó a sentir un fuerte dolor de oído, que a medida que avanzavaban las horas se acentuaba, lo que la llevó a tomar cama. En consecuencia yo con mis sólo siete años me convertí en el “hombre de la casa” por lo tanto tuve que afrontar la situacíon, cuidar a mis cuatro hermanos menores que yo, inclusive cocinar con las indicaciones que me daba mi mamá desde la cama. Ante la intensificación del dolor que sufría mi madre, por la tarde con mi papá fueron al médico quien diagnosticó un “grano” dentro del oído y se lo punzó, pero las cosas no mejoraban. Las colaboraciones y cuidados que nos ofrecían las señoras de Bonamico y Gelfo, las “paisanas” leonfortesas, eran muy importantes, pero, las distancias entre nuestra casa y las de ellas dificultaba la ayuda. Por una mera coincidencia, el constructor que ecectuaba obras de ampliación en nuestra propiedad de calle Mendocia, dio por terminadas las mismas, esto trajo un poco de alivio a la situación, ya que las “cummares” Carmela Cammarata, Sara Laferrara, Rosa Mulé y doña Chicha Livrizi (todas amigas de la infancia en Leonforte), no se hicieron esperar y allí estaban todas acompañando a la “cummare” Peppina ( como la llamaban a mi mamá). En todo momento prestaban ayuda y cuidaban de nosotros mientras mi padre salía a trabajar [...] Pero el destino dio un día un nuevo zarpazo al corazón de mi familia y por lo tanto a toda la comunidad leonfortese de esta zona de la ciudad, fue una mañana mientras mi madre había ido a buscar agua al caño público, en un momento mi hermanito menor se aproximó a un bracero y con tal mala suerte, que una capita de lana que llevaba se prendió fuego, ante la desperación nuestra, un vecino que vio lo que estaba pasando, tomó un balde de agua y saltando al cerco se lo arrojó encima, logrando apagárselo, pero el chico ya había sufrido

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graves quemaduras que para peor a los pocos días se lo complicó con una pulmonía de la que no pudo sobrevivir. Esta desgracia causó un fuerte impacto en la salud de mi madre que debío internarse en el pabellón de medicina paga del Hospital San Martín. Allí estuvo un tiempo pero sin lograr mejoría alguna, por lo cual decidieron probar suerte en Buenos Aires, junatmanete con mi padre, así que nosotros quedamos al cuidado de las vecinas que eran nuestras madrinas, lamentablemente allá tampoco encontraron solución para la quedraba salud de mi madre y así el 13 de julio de 1932, falleció en Paraná. Esta pérdida cayó en mi familia como si el mundo se nos viniera encima, aunque también sobre la comunidad leonfortese tuvo su impacto, fue la primera baja que se producía entre las familias de esa generación que como digo anteriormente, muchos amigos desde su tierra natal. Las mujeres vecinas nos cuidaban mientras mi padre se iba a trabajar. Por la noches los hombres se acercaban a mi casa para acompañar a mi padre, en una forma de solidarizarse con él, ante la tremenda situación que se encontraba42.

Il racconto di Francisco Maccarrone conferma, anzitutto, l’importanza delle reti paesane nei modelli d’insediamento degli immigrati leonfortesi, dato che nella scelta del padre di trasferirsi da «calle» Santa Fe a «calle» Mendoza pesò proprio la necessità di dover contare sul sostegno del gruppo di compaesani, per far fronte alla situazione di difficoltà, dovuta alla malattia della moglie. Le reti di solidarietà, infatti, funzionarono immediatamente e rimasero fondate sugli stessi rapporti di amicizia e «comparaggio» che legavano i leonfortesi già nel paese d’origine e che continuarono ad essere l’unico punto di riferimento anche in quello di destinazione.

Il legame, quasi esclusivo, che i leonfortesi di prima generazione ebbero con il proprio gruppo d’appartenenza rese possibile la conservazione dello stile di vita e dei valori del paese d’origine:

I costumi della loro terra natale non furono dimenticati, infatti era molto comune che in ogni casa si macellavano maiali o vedere attaccati ai tetti

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grandi graticci dove si appendevano tutti i tipi di salame, formaggio e conserve di tutti i tipi43.

Oltre alle abitudini alimentari si mantenne assai forte anche l’attaccamento ai riti, ai costumi, alle cerimonie e alle forme di religiosità tipiche di Leonforte:

Era común que se efectuaran riunione con motivo de alguna festividad como el caso de “San Giuseppe”, tal vez las navidades o cualquier otra de origen religiosa o tal vez celebraciones de festas patrias italianas, donde no faltaban las pastas “cu le fabe”, finochio o cardos silvestres, que nuestros padres recolectaban en el campo, o los tan apetecidos “picciratas” (una especie de empanadas), rellenas con nueces, pasas de higo, y uva además frutas abrillantadas, aunque tampoco podían estar ausentes los panes recién sacados del horno aún humeantes que cortados al medio y condimentados con aceite de oliva, pimienta, ajo y albahaca (como se acostrumbraba en Sicilia), que hacían las delicias de grandes y chicos44.

La festività di San Giuseppe – assai sentita nel paese natale - fu una delle celebrazioni a cui i leonfortesi di Paraná rimasero più fedeli nel corso degli anni, tanto è vero che questa forma di devozione si trasmise anche alle generazioni successive che continuarono a celebrarla secondo il tipico rituale, esistente esclusivamente in alcuni paesi della Sicilia:

Mio padre teneva tantissimo a festeggiare S. Giuseppe, ma non il 19 marzo; no, qui i leonfortesi lo festeggiavano il 18 marzo; s‟imbandivano dei tavoli con un sacco di roba da mangiare e venivano ornate con dei veli; tutti i vicini collaboravano nel cucinare la roba che poi si metteva su questi tavoli e in quell‟occasione si faceva soprattutto il pane che si distribuiva in tutto il quartiere. L‟indomani a pranzo, alcuni di loro impersonavano Gesù, la Madonna e altri santi e consumavano parte di quello che era stato cucinato nei giorni precedenti. Qui a Paraná si usò festeggiare S. Giuseppe fino a qualche anno fa; ma con la morte degli

43

Intervista a Nora Cati, cit.

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ultimi immigrati di prima generazione, si perse anche questa tradizione45.

45 Intervista a Francesca Bonamico, cit.

Foto 21: tavolata di San Giuseppe imbandita da Melita Aricó, discendente di leonfortesi, a Paraná

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153 Foto 22: tavolata di San Giuseppe, imbandita secondo la tipica

usanza leonfortese

Fonte: per gentile concessione dell’Associazione «Pro Loco» di Leonforte

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154 Le reti di solidarietà per un verso offrirono agli immigrati un aiuto sostanziale per limitare le conseguenze traumatiche dell’espatrio ma, per un altro verso, ridussero lo spazio d’interazione del singolo entro i soli confini del gruppo d’appartenenza. Gli effetti di questa strategia sociale non si limitarono alla formazione di veri e propri quartieri etnici o, in generale, alla riorganizzazione dei modelli di vita originari nel nuovo ambiente; l’integrità stessa del gruppo passò, infatti, anche attraverso l’attuazione di pratiche matrimoniali di tipo endogamico.

Il comportamento matrimoniale è senza dubbio uno degli indicatori di maggiore interesse nella valutazione delle modalità e del grado d’integrazione degli immigrati. La selezione del coniuge implica tutta una serie di valutazioni e di problematiche che forniscono preziose informazioni sia sul gruppo di riferimento e sia sulla società d’accoglienza, ma questo indicatore assume una rilevanza solamente se analizzato assieme alle altre variabili, capaci d’influenzare il processo d’integrazione46. In termini più precisi, l’analisi del comportamento matrimoniale dei leonfortesi di Paraná non può prescindere dal peso che le catene ebbero nella vita sociale degli immigrati, dalla consistenza dei flussi e dalle caratteristiche del contesto d’accoglienza. La forte tendenza endogamica che i leonfortesi dimostrarono per tutto il primo decennio del Novecento appare strettamente correlata, quindi, al consistente volume del flusso migratorio, al pervasivo peso che le catene ebbero in questa

46 Sull’argomento si citano solamente alcuni dei lavori principali sul caso argentino: S.

Baily, Marriage patterns and immigrant assimilation in Buenos Aires, 1882-1923, in “Hispanic American Historical Review”, n. 88, pp. 281- 305; M.C. Cacopardo, J. L. Moreno, Características regionales, demográficas y ocupacionales de la inmigración italiana a la Argentina (1880 – 1930), in F. Devoto, G. Rosoli ( a cura di), La inmigración italiana ..., op. cit.; S. Maluendres, Los migrantes y sus hijos ante el matrimonio: un estudio comparativo entre alemanes de Rusia, españoles e italianos en Guatrache (La Pampa, 1910 – 1939), in “EML”, n. 18,1991, pp. 191 – 222: E. Miguez, Hasta que la Argentina nos una: reconsiderando las pautas matrimoniales de los inmigrantes, el crisol de razas y el pluralismo cultural, in “Hispanic American Historical Review”, n. 4, 1991, pp. 781 – 808; Id, Il comportamento matrimoniale degli italiani, in G. Rosoli, L. De Rosa (a cura di), Identità …, op. cit. pp. 81 – 105; M. Oporto, N. Pagano, La conducta endogámica de los grupos inmigrantes: pautas matrimoniales de los italianos en el barrio de la Boca en 1895, in F. Devoto, G. Rosoli, L‟Italia nella società …, op. cit. pp. 90 – 101; H. Otero, Una visión crírica de la endogamia: refleziones a partir de una reconstrucción de familias francesas, in “EML”, n. 5, 1990, pp. 343 – 378; R. F. De Seefeld, La integración social de extranjeros en Buenos Aires según sus pautas matrimoniales: ¿Pluralismo cultural o crisol de razas? (1860 – 1920), in “EML”, n. 2, pp. 203 – 231.

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155 fase e, non ultimo, ad un conteso locale che iniziava appena il suo processo di modernizzazione e nel quale le possibilità di ascesa e interazione sociale risultavano ancora limitate, non riuscendo a sostituirsi alle iniziative di solidarietà etnica.

Tra il 1911 e il 1920 il tasso endogamico dei leonfortesi a Paraná subì una lieve flessione in concomitanza al calo dei flussi in entrata, dovuto alla prima guerra mondiale e ad una maggiore flessibilità sociale che il singolo conseguì sia grazie ad un più ampio panorama professionale e d’interazione offerto dalla città e sia alla conseguente riduzione del ruolo delle catene nella vita dei membri del gruppo.

La pratica endogamica divenne minoritaria tra il 1920 e il 1930 anche se negli stessi anni i flussi ripresero ad essere consistenti. Per spiegare questa tendenza, oltre alla maggiore integrazione sociale delle seconde e terze generazioni d’immigrati – argentini per lingua, cultura e nazionalità – vale la pena di chiarire alcune delle caratteristiche principali dei nuovi immigrati leonfortesi che arrivarono in città. Anche loro si mossero all’interno delle catene stabilite prima della partenza e - una volta giunti a destinazione - furono avvantaggiati dalla stabilità raggiunta dalle prime generazioni; poterono, quindi, inserirsi in un mercato lavorativo più ampio e redditizio e accelerare il processo di adattamento alla società d’accoglienza. Diverso fu anche il legame che ebbero col paese d’origine, dato che la prima guerra mondiale contribuì a sviluppare una certa coscienza nazionale che la prima generazione d’immigrati non ebbe. Per questa nuova generazione d’immigrati, quindi, il legame col paese d’origine fu raramente in contraddizione con l’appartenenza italiana e ciò consentì una maggiore apertura a contrarre matrimonio al di fuori del gruppo leonfortese e ad aderire alle associazioni, ai club e alle istituzioni, italiane e argentine che, nel frattempo, erano nate a Paraná e che avevano abbandonato il solo carattere mutualistico. (Tabella 27) Se le reti, le strategie sociali e i comportamenti familiari degli immigrati leonfortesi mutarono nel tempo è ipotizzabile che ciò avvenne in relazione ad un parallelo processo di ridefinizione della loro identità. Il dialogo con altri gruppi etnici e con le nuove generazioni d’immigrati,

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156 così come l’interazione con la cultura locale e le mutate realtà storiche favorirono un percorso di adattamento alla società ricevente, che si tradusse in un gioco dialettico, nel quale mutarono sia la cultura originaria degli immigrati e sia quella della stessa società argentina. Il risultato di simile processo di negoziazione fu tanto la partecipazione attiva dei leonfortesi alla vita politica, culturale e istituzionale della città, quanto una riqualificazione della stessa società paranense.

TABELLA 27: percentuale di matrimoni endogamici tra gli immigrati leonfortesi a Paraná (1900 – 1930)

PERIODO NUMERO DI MATRIMONI CON ALMENO UN CONIUGE DI ORIGINE LEONFORTESE % DI MATRIMONI ENDOGAMICI 1900-1905 12 67% 1906-1910 8 63% 1911-1915 15 50% 1916-1920 30 50% 1921-1925 34 44% 1926-1930 27 41%

Fonte: nostra elaborazione su dati provenienti da: Dirección Provincial de las Personas de Paraná, Registros de casamientos, anni: 1901 – 1930.

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157

4.3 I leonfortesi a Paraná tra associazionismo, politica, cultura e sport

Secondo l’efficace definizione di Milton Gordon l’etnicità è definibile come il «senso d’appartenenza ad un popolo» che – nei gruppi immigrati – è il risultato di un processo graduale, avente molteplici dimensioni47

. In termini più precisi, l’integrazione degli immigrati nella società ricevente passerebbe, per Gordon, attraverso sette fasi - non necessariamente consequenziali - che prevedono: l’assimilazione culturale; l’ingresso su larga scala degli immigrati in associazioni, circoli e istituzioni; la presenza di matrimoni misti; lo sviluppo di un’identità basata esclusivamente sulla società ospitante; l’assenza di pregiudizi, di discriminazione e di conflitti di potere.

Si tratta, certamente, di una rappresentazione schematica del fenomeno dell’integrazione, complesso di per sé, che appare ancor più problematico nel caso dell’emigrazione italiana in Argentina; ciò sia perché i flussi furono composti da gruppi eterogenei - privi di un’identità nazionale almeno fino ai primi decenni del Novcento - e sia perché lo stesso Paese ricevente, all’epoca dei flussi di massa, mostrava tutti i limiti di una società ancora in formazione dal punto di vista culturale, politico e istituzionale. E’ merito, tuttavia, dello stesso Gordon l’aver liberato il concetto classico d’assimilazione dalle ambiguità in cui era stato stretto dalla diatriba su «melting pot» e «multiculturalismo»48, sottolineandone la natura processuale e fornendo un punto di vista euristico utile anche per l’approfondimento del tema dell’integrazione dei leonfortesi nella società paranense. A questo proposito, proprio le prime due dimensioni descritte da Gordon suggeriscono non poche considerazioni sia

47 M.M. Gordon, Assimilation in America life: the role of race, religion and National

origin, New York, Oxford University Press, 1964, cit. in G. Pollini, G. Scidà, Sociologia delle migrazioni …, op. cit. pp. 159 – 160.

48 Sul problema dell’assimiliazione e del pluralismo si limita a citare aclcuni dei lavori

più interessanti sul caso argentino: M. Bjerg, H. Otero, Inmigración y redes sociales …, op. cit.; M. Borges, Inmigración y asimilación en la Argentina …, op. cit. p. 385-392; F. Devoto, De crisol al pluralism ..., op. cit.; G.Germani, Política y sociedad …, op. cit.; M. Marger, Race and Ethnic Relations, Belmont, Wadsworth Publishing Company, 1985; R. Merton, Teoría y estructura sociales, México, FCE, 1995; H. Sábato, El pluralismo cultural en la Argentina …, op. cit. pp. 350-366; S. Szuchman, Mobility and Integration in Urban Argentina. Córdoba in the Liberal Era, Austin, Texas University Press, 1980.

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158 sull’assimilazione culturale dei leonfortesi e sia sulla loro partecipazione alla vita istituzionale della società argentina.

Fino agli inizi del XX secolo essi mantennero legami di sociabilità principalmente con i loro compaesani e in ambiti informali, spinti dal solo sentimento di appartenenza al paese d’origine. La loro progressiva integrazione alla società argentina passò attraverso il distacco da questa appartenenza locale che fu facilitato dalla nascita di un sentimento d’«italianità» - fino ad allora sconosciuto - appreso proprio all’estero per mezzo del confronto con altri gruppi d’immigrati e con gli stessi nativi49. Un ruolo fondamentale nella creazione di una coscienza nazionale negli immigrati fu svolto dalle associazioni mutualistiche, nate in Argentina sin dalla metà del XIX secolo e che fino alla metà del Novecento rappresentarono le uniche espressioni formalmente organizzate di queste comunità50.

A Paraná, gli italiani diedero vita a varie associazioni che rispecchiarono tanto le profonde divergenze ideologiche e di obiettivi, quanto il marcato regionalismo della collettività italiana51. La prima entità associativa fu la «Società Italiana di Unione e Benevolenza» che nacque nel 1864 - su iniziativa del sacerdote Vincenzo D’Argenzio - per fini filantropici e mutualistici. Ben presto, a questa si affiancarono la «Opera Italiani», l’«Italia Meridionale» e la «Patriottica XX Settembre». A contraddistinguere le varie entità, per tutta la fine del XIX secolo, non furono tanto le finalità, votate in gran parte al mutuo soccorso, quanto le dispute ideologiche e il campanilismo che si accrebbe con l’ingresso dei

49 E. Franzina, Una patria espatriata… op. cit. pp.37-48 50

Sull’associazionismo in Argentina si è sviluppata negli anni un’abbondante letteratura, per cui ci si limita ad elencare solamente alcune delle opere che potrebbero essere un utile punto di partenza per un maggiori approfondimenti: A. Bernasconi, Inmigración italiana, colonización y mutualismo …, op. cit. pp. 178-189; F. Devoto, Partipación y conflictos en las sociedades italianas de socorros mutuo, in F. Devoto, G. Rosoli (a cura di), La inmigración italiana ..., op.cit., pp. 141-164; Id, Storia degli italiani …, op. cit., pp.161-234; A.E., Fernández, L‟associazionismo italiano nella provincia di Mendoza, in G. Rosoli, L. De Rosa, Identità …, op. cit., pp. 241-265; M.C. Nascimbene, Historia de los italianos ..., op. cit.; O. Pianetto, M. Galliari, La inserción de los inmigrantes españoles en la ciudad de Córdoba, 1870-1914, in “EML”, n. 4, 1989, pp. 583-608;

51 Sulla storia dell’associazionismo italiano a Paraná passim: G.L. De Paoli, De Italia a

Paraná… op. cit; Id, La inmigración italiana …, op. cit.; A. Zanini, Paginas de Oro ..., op. cit.

(32)

159 meridionali nei flussi migratori in Argentina. La fase delle divisioni cessò all’inizio del XX secolo, quando il progresso del Paese platense, il miglioramento delle condizioni degli immigrati, la loro migliore integrazione nella società ospitante e le politiche di nazionalizzazione, promosse dallo Stato, imposero un ripensamento delle finalità e dell’apparato amministrativo delle vecchie associazioni. Presero corpo, così, diversi progetti di fusione e federazione delle varie entità esistenti, per ridurre i costi di gestione, ovviare al problema del calo delle iscrizioni e al conseguente indebolimento economico delle stesse. La «Unione e Beneficienza» e l’«Italia Meridionale» si fusero nel 1894, dando vita alla «Italiani Uniti» che, a sua volta, nel 1910 venne incorporata dalla «Patriottica XX Settembre». Tra il 1922 e il 1923, infine, dalla fusione della «Operai Italiani» e della «Patriottica XX Settembre» nacque la «Società Italiana di Mutuo Soccorso» che divenne l’unica associazione degli italiani a Paraná con circa seicentottantadue soci. Non disponendo di alcuna documentazione inerente l’attività delle entità italiane nel capoluogo entreriano fino alla nascita della «Società Italiana», è possibile discutere sulla partecipazione associativa dei leonfortesi solamente ragionando sulle indicazioni che provengono dalle fonti più recenti.

La partecipazione dei leonfortesi è già provata dal documento di approvazione della fusione tra la «XX Settembre» e la «Operai» del 31 dicembre 1922, nel quale sono menzionati i soci delle due entità in fusione, presenti alla seduta. Scorrendo l’elenco dei membri delle due associazioni s’incontrano i nomi di leonfortesi solamente tra i soci della «XX Settembre»52. Tra questi, un posto di primo piano nella vita della nuova associazione venne occupato da Antonio Vitale che nel 1923 entrò a far parte della commissione direttiva dell’associazione, presieduta da Zecca, in qualità di segretario53. Allo stesso Vitale furono affidati inoltre incarichi di responsabilità come quello dell’organizzazione del

52 Probabilmente perché questa, a suo tempo, aveva incorporato l’associazione «Italia

Meridionale», alla quale è dunque verosimile credere che i leonfortesi aderirono sin dal loro arrivo a Paraná.

53

Archivio della Società Italiana di Mutuo Soccorso culturale e ricreativa, d’ora in poi ASIMS, Reuniones Comisión Directiva. 1922-1930, pp.1-4.

Figura

TABELLA 24: popolazione straniera presente nel Dipartimento di  Paraná in % sul totale degli stranieri nella provincia di Entre Ríos
TABELLA 25: numero di edifici censiti e occupati da italiani  nelle località del Dipartimento di Paraná al 1895  Località  Edifici censiti  Occupati da Italiani
Foto 20 : leonfortesi che si aiutano nella costruzione di una  casa
Foto 21: tavolata di San Giuseppe imbandita da Melita  Aricó, discendente di leonfortesi, a Paraná
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