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All’inizio della neurulazione, una parte dell’ectoderma viene specificato in neuroectoderma da segnali induttivi provenienti dal sottostante cordomesoderma

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INTRODUZIONE

La neurulazione e lo sviluppo del SNC nei Vertebrati

Nei Vertebrati il sistema nervoso comincia a svilupparsi durante gli stadi embrionali precoci, grazie all’interazione dei tre foglietti embrionali (endoderma, mesoderma ed ectoderma).

All’inizio della neurulazione, una parte dell’ectoderma viene specificato in neuroectoderma da segnali induttivi provenienti dal sottostante cordomesoderma. Alla fine della gastrulazione il neuroectoderma acquisisce un aspetto colonnare, tanto da diventare anatomicamente distinguibile dal resto dell’ectoderma. Si forma così la piastra neurale che ben presto darà origine al tubo neurale, l'abbozzo del sistema nervoso centrale (SNC), attraverso un processo chiamato neurulazione (Figura 1). Inizialmente i margini della piastra neurale si ispessiscono formando le pliche neurali, mentre la zona mediana forma un avvallamento che prende il nome di solco neurale. Contemporaneamente le pliche si sollevano e convergono verso la linea mediana andando a chiudere dorsalmente il tubo neurale. Questi movimenti sono accompagnati dalla formazione di regioni di cerniera, nelle quali le cellule del tubo neurale assumono un aspetto cuneiforme che facilita la rotazione del tessuto intorno all'asse longitudinale della piastra. L’ectoderma si salda dorsalmente a ricoprire il tubo neurale appena formato.

Figura 1. Fasi successive di formazione del tubo neurale. (Gilbert, Developmental Biology, 7th edition).

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Successivamente si verificano modificazioni anatomiche, istologiche e cellulari che porteranno al differenziamento del cervello e del midollo spinale. La regionalizzazione del tubo neurale avviene grazie all’espressione di geni specifici (es. geni Hox) in determinati domini lungo l’asse antero-posteriore e alla formazione di gradienti morfogeni lungo l’asse dorso- ventrale.

Prendendo in considerazione lo sviluppo dei Vertebrati, il primo segno di regionalizzazione rostrocaudale consiste nella formazione anteriore di tre vescicole primarie denominate prosencefalo, mesencefalo e romboencefalo (Figura 2). Con il procedere dello sviluppo il prosencefalo si suddivide in un telencefalo anteriore, che formerà gli emisferi cerebrali, e in un diencefalo posteriore che darà luogo all'epitalamo, al talamo, alla retina e all'ipotalamo. Il mesencefalo rimane indiviso, mentre il romboencefalo si suddivide in un metencefalo anteriore, dal quale si svilupperanno il cervelletto e il ponte, e in un mielencefalo posteriore che darà luogo al midollo allungato.

Morfogenesi dell’occhio dei Vertebrati: lo sviluppo della retina

La retina dei Vertebrati è una struttura altamente organizzata e stratificata, la cui genesi dipende dalle stesse strutture embrionali che contribuiscono alla formazione del SNC nell’individuo adulto.

Dopo la neurulazione e la formazione degli abbozzi del cervello (telencefalo, diencefalo, mesencefalo, metencefalo e mielencefalo), si formano due estroflessioni a partire dalle pareti laterali del diencefalo. Queste due estroflessioni prendono il nome di vescicole ottiche (Figura

Figura 2. Differenziamento anteriore del sistema nervoso centrale, con formazione di vescicole primarie e secondarie (Gilbert, Developmental Biology, 7th edition).

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3). Le vescicole ottiche si accrescono e si allontanano dal diencefalo, a cui però restano ancorate attraverso il peduncolo ottico. Ciascuna vescicola ottica interagisce con l’ectoderma sovrastante per indurre quest’ultimo a formare un ispessimento ectodermico pseudostratificato, il placode della lente, che darà origine al futuro cristallino attraverso un movimento di invaginazione.

Ciascun placode a sua volta provoca l’invaginazione della vescicola ottica, conferendole un aspetto bistratificato caratteristico. A questo punto le vescicole ottiche prendono il nome di coppe ottiche, formate da uno strato esterno (prossimale), da cui si formeranno le cellule dell’epitelio pigmentato, e uno strato interno (distale), formato da cellule con destino neurale che origineranno la retina. L’epitelio pigmentato è una sottile struttura ricca di melanina, che riduce il riflesso di ritorno della luce che entra nell’occhio e si occupa di mantenere vitali e funzionanti i fotorecettori che su di esso si appoggiano. Il peduncolo si assottiglia e diventa nervo ottico, struttura formata dagli assoni delle cellule gangliari che si dirigono alle strutture bersaglio, come il tetto ottico e il talamo. L'iride e il corpo ciliare derivano dalla porzione più periferica della retina, mentre la sclera e la cornea derivano da cellule mesenchimatiche provenienti dalle creste neurali.

Struttura della retina matura

La retina matura dei Vertebrati è l'organo di senso deputato alla trasduzione del segnale luminoso.

Istologicamente la retina presenta una circuiteria con tipica organizzazione trilaminare: lo strato nucleare esterno (ONL), contenente i fotorecettori (coni e bastoncelli), lo strato nucleare

Figura 3. Sviluppo precoce dell’occhio.

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interno (INL), contenente cellule bipolari, orizzontali, amacrine e cellule della glia di Müller, e infine lo strato di cellule gangliari (GCL) (Figura 4). I corpi cellulari dei differenti tipi neuronali si dispongono negli strati sopraelencati, mentre i prolungamenti e i contatti sinaptici si ramificano nello strato plessiforme esterno e in quello interno. La retina è un centro nervoso dotato di vie di trasmissione centripete dei messaggi (fotorecettori, cellule bipolari e gangliari) e di vie associative che permettono un'elaborazione periferica dell'informazione (cellule amacrine e orizzontali). I fotorecettori convertono opportunamente lo stimolo luminoso in messaggi chimici ed elettrici. Tali messaggi sono trasportati dalle cellule bipolari nella porzione interna della retina, ma essi sono modulati in uscita dall’ONL attraverso la presenza delle cellule orizzontali e in entrata nel GCL mediante le cellule amacrine. Infine i prolungamenti assonici delle cellule gangliari, che costituiscono il nervo ottico, provvedono a inviare i segnali verso i distretti centrali del cervello.

Le cellule di Müller non appartengono ad uno strato preciso della retina, ma si estendono per l’intera porzione della retina neurale e sono cellule con funzione gliale.

Figura 4. Organizzazione trilaminare della retina dei Vertebrati. (Purves et al., Neuroscience, 3rd edition).

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Le molecole dell’induzione neurale

Nonostante la prima evidenza morfologica della formazione dell’occhio sia l’evaginazione delle vescicole ottiche, gli eventi che scatenano lo sviluppo retinico iniziano in stadi più precoci, durante la gastrulazione. Evidenze sperimentali ottenute in Xenopus laevis dimostrano che l’area della piastra neurale a partire dalla quale si formerà l’occhio è specificata già da stadio di midgastrula (Lupo et al., 2002). La prima evidenza di un fenomeno di induzione neurale si ottenne nel 1924, quando Spemann e Mangold effettuarono un trapianto del labbro dorsale del blastoporo (un gruppo di cellule provenienti dalla futura regione dorsale di un embrione a stadio di gastrula precoce) in embrioni di tritone: il labbro dorsale del blastoporo era in grado di organizzare la formazione di un embrione secondario una volta trapiantato nella futura regione ventrale vegetativa di un embrione ricevente allo stesso stadio di sviluppo (Spemann e Mangold, 1924). Per la capacità di organizzare un asse corporeo secondario con una corretta polarità antero-posteriore e dorso-ventrale, Spemann si riferì alle cellule trapiantate come all'Organizzatore, oggi conosciuto come Organizzatore di Spemann. Esperimenti successivi deposero a favore della natura diffusibile dei segnali rilasciati dall'Organizzatore e dimostrarono la presenza di una via di segnalazione verticale che origina dal mesoderma involuto, nella sua componente più dorsale, e raggiunge l'ectoderma prospettico sovrastante inducendolo a differenziarsi in tessuto nervoso (recensito in Gilbert, 2001).

Durante la gastrulazione, quindi, l’endomesoderma interagisce con l’ectoderma dorsale sovrastante, tramite una via di segnalazione verticale, per indurre il destino neurale in quella regione che poi prende il nome di piastra neurale (Spemann, 1938).

Per studiare l’eventuale presenza di una via di segnalazione orizzontale coinvolta nel fenomeno dell’induzione neurale, si approntarono esperimenti in cui si aboliva la via di induzione verticale e si valutava una eventuale neuralizzazione. Trattando gli embrioni di Xenopus con soluzioni saline ipertoniche allo stadio di gastrula precoce si provoca una esogastrulazione: il mesoderma non subisce involuzione ma i movimenti di gastrulazione procedono normalmente all'esterno dell'embrione, portando a una situazione dove l'ectoderma viene a trovarsi completamente separato dal mesoderma e non si sovrappone ad esso.

Nell'ectoderma delle esogastrule di X. laevis fu dimostrata l'espressione di marcatori neurali, fra cui N-CAM. Oltre agli esperimenti di esogastrulazione anche un'altra metodica permise di osservare gli effetti dell'abolizione della via di induzione verticale: gli espianti a “sandwich” (o di Keller). In questa metodica due espianti contenenti il neuroectoderma presuntivo e il labbro dorsale venivano sovrapposti specularmente per impedire l'involuzione del mesoderma. In tali esperimenti sia l'ectoderma indotto che il mesoderma non involuto dell'Organizzatore mostravano una corretta regionalizzazione antero-posteriore. Ciò indica la presenza di una via di segnalazione orizzontale che, in registro con quella di natura verticale, era responsabile non solo di una induzione neurale ma anche della regionalizzazione della parte posteriore del sistema nervoso (Doniach et al. 1992; recensito in Gilbert, 2001).

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Considerando sia la segnalazione verticale che quella orizzontale, Nieuwkoop e i suoi collaboratori proposero un modello detto di “attivazione/trasformazione” per spiegare il patterning della piastra neurale anteriore e del sistema nervoso in toto. Tale modello prevede anzitutto una fase di attivazione tramite la quale l’ectoderma dorsale è indotto a divenire neuroectoderma con caratteristiche prosencefaliche (cioè anteriori) da segnalazioni verticali provenienti dal mesendoderma sottostante; segue una fase di trasformazione in cui parte del neuroectoderma indotto viene rispecificata in modo da acquisire identità posteriore, e ciò avviene ad opera di segnali caudalizzanti provenienti dal mesoderma dorsale posteriore, che diffondono lungo una via orizzontale (Nieuwkoop, 1952; Nieuwkoop, 1954).

Studi successivi hanno dimostrato che calotte animali espiantate da embrioni di Xenopus producono tessuto neurale, in assenza di mesoderma ed endoderma, quando dissociate e riaggregate dopo alcune ore (Nieuwkoop, 1963).

L’apparente contraddizione tra i due gruppi di dati sperimentali si risolve ipotizzando che il destino neurale delle cellule ectodermiche della calotta animale sia quello di default, ma che normalmente esso sia inibito da molecole che spingono verso l’acquisizione di un destino epidermico. La diluizione di tali molecole (che si ottiene tramite la dissociazione e la dispersione delle cellule dell’animal cap), o il loro sequestro e inattivazione da parte di molecole neuralizzanti, portano al destino neurale. Infatti furono identificate in Xenopus laevis alcune molecole, come noggin, chordin, follistatina, Xnr3 e cerberus, secrete dal mesendoderma dorsale durante gli stadi di gastrula e neurula (Harland, 2000; Weinstein and Hemmati- Brivanlou, 1999): queste molecole agiscono come attivatori del destino neurale legando fisicamente le proteine morfogenetiche ossee (BMP), come BMP4, una molecola TGFβ-like ad attività “epidermizzante” che deve essere repressa per convertire l’ectoderma in neuroectoderma (Sasai et al., 1994; Zimmerman et al., 1996). In base a questi dati, nel 1994 Hemmati-Brivanlou e Melton proposero il modello di “default” dell'induzione neurale: “l'Organizzatore produce inibitori contro fattori anti-neuralizzanti”. Secondo questo modello l'Organizzatore avrebbe un ruolo protettivo sull'ectoderma il cui futuro prospettico di base sarebbe quello di tessuto neurale e non di epidermide (recensito in Gilbert, 2001).

In seguito sono stati identificati anche i fattori responsabili dell’attività trasformante prevista dal modello di Nieuwkoop: l’acido retinoico, Wnt e FGF8 sono tutti capaci di attivare l’espressione di geni neurali posteriori nel neuroectoderma indotto inizialmente con caratteristiche prosencefaliche (Gamse e Sive, 2001; Munoz-Sanjuan e Brivanlou, 2001; Sasai e De Robertis, 1997). Complesse interazioni tra queste molecole secrete con i fattori cerberus, noggin, frzb-1 e dickkopf-1, insieme con i pathways di nodal e di IGF, permettono di ottenere una appropriata regionalizzazione della piastra neurale anteriore (Houart et al., 2002; Lagutin et al., 2003; Lupo et al., 2002; Pera et al., 2001; Piccolo et al., 1999; Wilson and Houart, 2004);

ciascuna delle molecole prodotte dall’organizzatore esercita una funzione antagonista rispetto alle molecole BMP e/o alle molecole Wnt, rispettivamente “epidermizzanti” e

“posteriorizzanti”, e così permette lo sviluppo delle aree più rostrali del sistema nervoso.

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Allo stadio di gastrula precoce esiste un altro centro segnalatore, situato nella parte ventrale, che produce i fattori di crescita contro i quali l'Organizzatore produce i suoi antagonisti. Nel centro ventrale della gastrula, questo il nome dato al centro segnalatore, vengono prodotte molecole come Bmp4 e Bmp7, e la proteasi Xolloid, in grado di degradare Chordin (recensito in De Robertis, 2006) (Figura 5).

Noggin nei Vertebrati superiori

Quando gli animal cap, provenienti da embrioni allo stadio di blastula, vengono separati dal resto dell'embrione e tenuti in coltura, essi si sviluppano in una epidermide atipica, cioè priva di strutture morfologicamente distinguibili. Al contrario, quando questi vengono posti in contatto con gli emisferi vegetativi, si ottiene il differenziamento di derivati mesodermici a partire dalle cellule della calotta animale. Se trattati con molecole responsabili di induzione neurale, gli animal cap seguono invece il destino neurale e formano neuroectoderma.

Quindi le calotte animali isolate possono essere utilizzate come modello per lo studio delle molecole capaci di indurre un destino differenziativo, anche di tipo neurale.

Nel 1992 Smith e Harland isolarono il cDNA di noggin da una libreria plasmidica ottenuta da embrioni, dorsalizzati mediante trattamento con LiCl e completamente privi delle strutture ventrali (Smith e Harland, 1992). Essi videro che l'iniezione precoce dell'mRNA purificato era capace di dirigere la formazione di un nuovo asse dorsale in embrioni ventralizzati, cioè privi delle strutture dorsali, ottenuti mediante trattamento con UV.

Quando iniettato precocemente in embrioni ventralizzati, noggin ha un effetto dose-dipendente ed in elevate concentrazioni determina soprattutto lo sviluppo delle regioni anteriori.

Figura 5. Localizzazione del centro ventrale e dell’Organizzatore di Spemann a stadio di gastrula, con elenco dei principali fattori prodotti. (De Robertis, 2006).

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L'espressione spaziotemporale del suo trascritto è del tutto coerente con i dati riguardanti l'Organizzatore: l'espressione zigotica inizia a livello del labbro dorsale del blastoporo per poi proseguire a livello della notocorda e della piastra precordale. La sua espressione si espande mediante trattamento con LiCl e viene abolita mediante trattamento con UV.

L'analisi del cDNA di noggin dimostra la presenza di una cornice di lettura aperta contenente una sequenza amino-terminale idrofobica con funzione di peptide segnale per la secrezione extracellulare (Smith e Harland, 1992). Nel 1993 Lamb, un'altra collaboratrice di Harland, dimostrò la capacità di noggin d'indurre tessuto neurale anteriore dalle calotte animali in assenza di marcatori mesodermici (Lamb et al., 1993).

La forma umana di Noggin è composta da 205 aminoacidi (residui 28-232) dopo la rimozione del peptide segnale (residui 1-27), e viene secreta come proteina omodimerica covalentemente legata e glicosilata. Noggin è un antagonista specifico dei fattori secreti BMP e mostra un'elevata affinità per BMP4 ed una minore affinità per BMP7. La risoluzione del complesso proteico non covalente Noggin-BMP7 ha evidenziato che la capacità di bloccare la via di segnale dei BMP deriva dalla capacità di Noggin di mimare la modalità di legame dei due tipi di recettore ai loro ligandi (Groppe et al., 2002).

Nel topo, noggin viene prodotto dal nodo, una struttura omologa all'Organizzatore di Spemann. Il nodo e l'endoderma viscerale anteriore, un altro centro segnalatore importante per lo sviluppo della testa nel topo, svolgono una funzione sovrapponibile a quella esercitata dal mesendoderma di Xenopus. Nei due sistemi questi centri segnalatori esprimono geni omologhi come Hesx-1, Lim-1 e Otx2. La condizione di omozigosi per la mutazione di ciascuno di questi geni comporta l'assenza del SNC anteriore nel topo (Acampora et al., 1995; Shawlot e Behringer, 1995; Dattani et al., 1998).

Tuttavia l'inattivazione di chordin non influisce sullo sviluppo precoce e sull'induzione neurale, ma causa soltanto anormalità di sviluppo successive. In maniera simile l'inattivazione di noggin non altera la gastrulazione e la regionalizzazione del sistema nervoso centrale anteriore (Bachiller et al., 2000). Questi risultati, apparentemente in contraddizione con l'effetto d'induzione neurale anteriore indotta nelle cellule di animal cap di Xenopus, sono spiegabili alla luce di una ridondanza di questi due prodotti genici nello sviluppo del sistema nervoso. Solo la condizione di doppia mutazione produce topi privi del prosencefalo, occhi, naso e strutture facciali (agnatia). In questi topi il telencefalo e il diencefalo sono ridotti a una piccola vescicola composta da un sottile strato di neuroepitelio, mentre la maggior parte delle strutture nervose posteriori sono pressoché normali (Bachiller et al., 2000) (Figura 6).

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Competenza, specificazione e differenziamento del tessuto retinico

Xenopus laevis costituisce un buon modello per lo studio, in vivo, dei meccanismi preposti al differenziamento retinico. Tutti i tipi cellulari presenti nella retina matura derivano da nove blastomeri situati nella regione dorso-animale dell'embrione allo stadio di trentadue cellule (recensito in Moore e Moody, 1999; Kenyon et al., 2001 e Zaghloul et al., 2005) (Figura 7);

ognuno di questi blastomeri produce proporzioni caratteristiche delle cellule che andranno a formare la retina matura. Esperimenti di “cell lineage”, ottenuti mediante l'iniezione precoce di traccianti, mettono in evidenza il diverso contributo quantitativo di ciascuno di questi blastomeri alla formazione del tessuto retinico (Huang e Moody, 1993).

Il trapianto in posizioni diverse da quella di origine dimostra che a questo stadio di sviluppo i blastomeri a contributo retinogenico non sono determinati nel loro differenziamento in senso retinico, bensì risentono dei segnali provenienti dalle regioni circostanti dell'embrione (recensito in Moore e Moody, 1999; e in Kenyon et al., 2001). Se i blastomeri a più alto contributo retinogenico vengono trapiantati nella regione ventro-vegetativa dell'embrione, deputata alla

Figura 7. Embrione di Xenopus allo stadio di trentadue cellule. Il numero presente in ciascun blastomero indica la percentuale di contributo alla formazione del tessuto retinico. In arancione sono indicate le cellule a maggiore contributo retinogenico. (Zaghloul et al., 2005).

Figura 6. Effetti fenotipici degli embrioni Chd-/-;Nog+/+ e Chd-/-;Nog-/- . A sinistra: embrione normale a stadio E12,5. Al centro: embrione Chd-/-

;Nog+/+. A destra: Chd-/-;Nog-/- (Bachiller et al., 2000).

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formazione dell'intestino e della coda, questi non si sviluppano in retina (Gallagher et al., 1991).

Se, al contrario, dei blastomeri provenienti dalla regione ventro-animale o equatoriale, che normalmente non formano tessuto retinico, vengono trapiantati nella regione dorsale essi contribuiscono alla formazione della retina (Huang e Moody, 1993). Se ne deduce che l'informazione posizionale all'interno degli emisferi animali contribuisce a individuare i blastomeri che daranno luogo ad una discendenza retinogenica.

Un ruolo chiave in questo contesto, come abbiamo visto, è svolto dalla via delle proteine morfogenetiche ossee (BMP), appartenenti alla famiglia TGFβ, e in particolare dal fattore BMP4. Durante la gastrulazione di Xenopus, BMP4 è espresso in un dominio ventrale situato in posizione diametralmente opposta rispetto all'Organizzatore di Spemann denominato centro ventrale della gastrula (Reversade et al., 2005). Se il trascritto di BMP4 viene iniettato nei blastomeri a maggiore contributo retinogenico questi perdono la capacità di formare retina, al contrario l'iniezione del trascritto di noggin, un inibitore di BMP4 espresso dall'Organizzatore, nei blastomeri animali non retinogenici determina un'acquisizione di competenza verso il destino retinico (Moore e Moody, 1999).

Questi dati indicano che il primo evento necessario per acquisire la competenza retinica coincide con l'individuazione del tessuto neurogenico.

Il campo morfogenetico dell’occhio (eye field) e i geni di specificazione delle cellule staminali retiniche

Esperimenti di trapianto dimostrano che l'intero territorio presuntivo della piastra neurale allo stadio di mediogastrula ha la capacità di formare retina (Kenyon et al., 2001), ma la specificazione del territorio neurale deputato allo sviluppo dell'occhio inizia verso il termine della gastrulazione tramite l'individuazione di un campo morfogenetico dell'occhio (eye field) nella parte anteriore della piastra neurale (Li et al., 1997) (Figura 8).

Figura 8. A sinistra: campo morfogenetico dell'occhio in un embrione di Xenopus a stadio 15 (immagine modificata da www.muhlenberg.edu); A destra: campo morfogenetico dell'occhio (celeste) all'interno della regione anteriore della piastra neurale (rosso) nell'embrione di topo (www.med.unc.edu).

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Cellule dell’eye field isolate hanno la capacità di differenziarsi in tessuto retinico in un ambiente esterno all'embrione; ciò coincide con l'espressione localizzata di alcuni geni estremamente conservati durante l'evoluzione (Kenyon et al., 2001). Questi geni sono necessari per lo sviluppo dell’occhio; alcuni di essi sono sufficienti a indurre la formazione di occhi ectopici se espressi fuori della loro normale area di accensione (Zuber et al., 2003). Viceversa la loro perdita porta a decremento o scomparsa del tessuto dell’occhio.

Dunque si può affermare che l’eye field è posizionato e caratterizzato dall’espressione congiunta di alcuni geni, che codificano per fattori di trascrizione del campo morfogenetico dell’occhio (EFTFs), mostrati in figura 9 e di seguito elencati.

Pax6, un omologo dei geni di Drosophila eyeless e twin of eyeless, è stato il primo dei geni contenenti homeobox di cui si sia dimostrata un'espressione spazio-temporale concorde con il processo di sviluppo dell'occhio nel topo (recensito in Wawersik e Maas, 2000). Pax6 è altamente espresso nel campo dell’occhio ed è richiesto per la formazione della retina dei Vertebrati; difatti la sua aploinsufficienza, ossia la presenza di una singola copia mutata, causa aniridia nell'uomo e la condizione Small eye (Sey) nel topo. L'omozigosi causa anoftalmia e altri difetti a carico del sistema nervoso centrale (recensito in Wawersik e Maas, 2000; Hanson, 2001). Esperimenti di sovraespressione in Xenopus causano la formazione di lenti e tessuto retinico ectopici (Chow et al., 1999). La ricerca degli omologhi di Pax6 in Drosophila ha portato all'identificazione di ey (eyeless) (Quiring et al., 1994) e toy (twin of eyeless) (Czerny et al., 1999), espressi a livello del disco immaginale dell'occhio. La perdita di funzione di ey impedisce la formazione dell'occhio, mentre la sovraespressione a livello dei dischi immaginali di zampe, antenne o ali causa la formazione di occhi ectopici.

Figura 9. Rappresentazioni schematiche dei pattern di espressione parzialmente sovrapposti di alcuni dei fattori di trascrizione del campo morfogenetico dell’occhio di Xenopus laevis, a stadio di sviluppo 12,5 e 15. Gli EFTFs di Xenopus sono: Rx1, Pax6, Six3, Optx2, Lhx2, ET, tll e Otx2. (Zuber et al., 2003).

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In Drosophila sono stati identificati anche altri geni coinvolti nello sviluppo dell'occhio, quali sine oculis (so) (Cheyette et al., 1994), che mostra una modesta capacità di indurre occhi ectopici. La sua coespressione con altri geni simili, come eyes absent (eya) e dachshund (dac), potenzia notevolmente l'effetto a causa di interazioni proteina-proteina. Molti degli omologhi di questi geni nei Vertebrati conservano il loro ruolo nello sviluppo dell'occhio. Ad esempio, alcuni geni della famiglia Six (omologhi di sine oculis) sono espressi durante lo sviluppo della retina. Six3 e Optx2, altri due geni homeobox, risultano condividere un grado di omologia maggiore con Optix di Drosophila, un paralogo di so (Ghanbari et al., 2001).

I geni Otx sono geni omeotici omologhi a orthodenticle di Drosophila. Sono necessari allo sviluppo dell’occhio e intervengono a monte di Pax6 nella specificazione delle regioni anteriori del neuroectoderma (Zuber et al., 2003). Infatti la sovraespressione di Xotx2 o di Xotx5 in Xenopus produce ghiandole del cemento e tessuti neurali ectopici con perdita o riduzione delle strutture posteriori (Pannese et al., 1995; Andreazzoli et al., 1997; Vignali et al., 2000).

Otx1, Otx2 e Crx sono tutti omologhi a orthodenticle, un gene homeobox importante per lo sviluppo della testa e dei fotorecettori nella Drosophila (recensito in Wawersik e Maas, 2000).

Un’altra classe di geni con un ruolo essenziale nello sviluppo dell’occhio dei Vertebrati, espressi inizialmente presso l’eye field, sono i geni Rx. Esperimenti in Xenopus mostrano come Xrx1 sia necessario non solo alla specificazione delle strutture neurali anteriori, ma anche al controllo della proliferazione dei progenitori (Andreazzoli et al., 1999). Il gene omeobox Rx/Rax è espresso a livello delle vescicole ottiche nel topo (Mathers et al., 1997); anche il suo omologo in Drosophila, DRx, è espresso durante lo sviluppo della testa (Eggert et al., 1998).

TBX3, omologo a omb di Drosophila e ET di Xenopus, appartiene alla famiglia genica T-box ed è espresso a livello dello strato nucleare interno della retina e nella lente durante lo sviluppo del topo (Sowden et al., 2001).

mtll, omologo a tailless (tll) di Drosophila e Xtll di Xenopus (Hollemann et al., 1998), è un recettore nucleare orfano che funziona come attivatore trascrizionale monomerico ed è espresso nel prosencefalo e in particolare nelle vescicole ottiche durante lo sviluppo del topo (Yu et al., 2000). L'omozigosi per la mutazione di questo gene porta a difetti di sviluppo dell'occhio e del cervello, e determina una condizione patologica definita “topo aggressivo”

(Monaghan et al., 1997).

Lhx2 è un membro della famiglia dei fattori di trascrizione LIM-homeodomain (LIM- HD) richiesto per il normale sviluppo di occhi e di altre aree del SNC (Viczian et al., 2006).

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In Xenopus la sovraespressione di Xrx1, XPax6, Xsix3, XOptx2 e ET nei progenitori del SNC causa la formazione di tessuto retinico ectopico o l'espansione del campo morfogenetico dell'occhio (Casarosa et al., 1997; Andreazzoli et al., 1999; Chow et al., 1999; Zuber et al., 1999; Zuber et al., 2003; Gestri et al., 2005). Ciò deriva dalla loro capacità di iniziare il programma retinogenico mediante l'induzione dell'espressione degli altri fattori di trascrizione del campo dell'occhio.

Tuttavia questa azione non risulta essere sufficiente ad indurre la formazione di tessuto retinico in territori soggetti all'azione anti-neuralizzante esercitata da Bmp4 (Kenyon et al., 2001). Si è visto comunque che Rx1, Pax6 e Otx2 hanno la capacità di influire sui movimenti cellulari durante la gastrulazione inducendo, con un'elevata frequenza, il posizionamento della progenie dei blastomeri iniettati all'interno della piastra neurale contribuendo così a partecipare alla formazione della retina. In modo complementare, la coespressione di Pax6 e noggin determina la formazione di tessuto retinico ectopico (Kenyon et al., 2001).

Recentemente è stato dimostrato che in Xenopus la microiniezione contemporanea degli RNA messaggeri codificanti per Rx1, Pax6, Six3, Optx2, ET, tll e Otx2 ad uno stadio molto precoce di sviluppo (stadio di due cellule) comporta la formazione di tessuto retinico ectopico con un'elevata frequenza ed anche in sedi non neurali molto distanti dal SNC (Zuber et al., 2003).

Questi esperimenti dimostrano che la rete genica di cui fanno parte gli EFTFs è sufficiente a dirigere la formazione di un campo dell'occhio secondario (Figura 10, a sinistra).

Figura 10. A sinistra: formazione di tessuto retinico ectopico in seguito alla sovraespressione di Rx1, Pax6, Six3, Optx2, ET, tll e Otx2 ad uno stadio molto precoce di sviluppo (stadio di due cellule); A destra: Effetto sull'espressione dei fattori di trascrizione del campo dell'occhio in animal cap non iniettati (U), iniettati con noggin o con Otx2. (Zuber et al., 2003).

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Coerentemente con quanto osservato precedentemente riguardo all'effetto degli induttori neurali sull'induzione del destino retinico nelle cellule dell'emisfero animale, noggin ha la capacità di attivare l'espressione di tutti i fattori di trascrizione del campo dell'occhio, negli espianti ectodermici, con l'eccezione di ET (Zuber et al., 2003) (Figura 10, a destra).

La repressione mostrata nei confronti di ET viene rimossa con un effetto dose-dipendente mediante l'azione di Otx2 (Zuber et al., 2003). Questo effetto è in accordo con il ruolo svolto da Otx2 durante le prime fasi della neurulazione, quando inizialmente la sua espressione marca il confine tra futuro cervello anteriore e posteriore (Figura 11, A); successivamente Otx2 viene represso dall'azione di Rx1 per individuare il confine retina-diencefalo (Andreazzoli et al., 1999) (Figura 11, B e C).

Nel modello di sviluppo proposto, inizialmente l'ectoderma sarebbe indotto a diventare piastra neurale grazie all'azione di induttori neurali come noggin e chordin, che agiscono inibendo le molecole BMP e dunque bloccano il destino epidermico che queste molecole promuovono.

Successivamente, l'azione transiente di Otx2 delimiterebbe la parte rostrale della piastra neurale,

Figura 11. Espressione precoce di Otx2 nel territorio del prosencefalo- mesencefalo presuntivo durante le fasi precoci della neurulazione (A).

Espressione transiente e complementare con Rx1 nella definizione del margine tra campo dell'occhio-diencefalo (B e C). (Zuber et al., 2003).

Figura 12. Modello proposto di individuazione successiva della piastra neurale, della parte anteriore presuntiva del cervello e del campo dell'occhio (sopra). Rete genica responsabile del meccanismo, che coinvolge gli EFTFs (sotto). (Zuber et al., 2003).

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conferendole un’identità anteriore (Piccolo et al, 1996; Zimmermann et al., 1996). L’azione di Otx2 servirebbe a indurre l'espressione dei fattori di trascrizione del campo morfogenetico dell'occhio, quali Rx1, Pax6, Six3, Optx2, ET, tll e lo stesso Otx2, che identificano con precisione l’area dell’eye field (Zuber et al., 2003) (Figura 12).

La retinogenesi: lo sviluppo dei tipi cellulari retinici nell’anfibio Xenopus laevis

Le varie classi di neuroni e le cellule gliali che compongono la retina matura vengono sempre generate partendo da precursori retinici indifferenziati, che dapprima vanno incontro a varie divisioni cellulari, e successivamente escono dal ciclo cellulare in modo spazialmente e temporalmente ordinato; la progenie in differenziamento migra nello strato appropriato, esprimendo neurotrasmettitori e pigmenti visivi cellula-specifici e sviluppando le corrette connessioni sinaptiche, garantendo così la formazione di una struttura anatomica ben organizzata e stratificata.

Il campo morfogenetico dell’occhio (“eye field”) è composto da progenitori retinici multipotenti, cioè da cellule che hanno la capacità di originare tutti i tipi cellulari della retina matura (Price et al., 1987; Turner e Cepko, 1987). Ciò può essere dimostrato trasfettando un plasmide con gene reporter (es. GFP) all’interno dell’eye field di Xenopus laevis, precocemente a stadio di neurula. Uno o più progenitori dentro all’eye field vengono di conseguenza trasfettati con il gene reporter; a stadi più tardivi, otteniamo cloni cellulari esprimenti GFP, ognuno dei quali derivato dal singolo progenitore marcato che lo ha originato per divisione cellulare. Nei cloni ritroviamo tutti i tipi cellulari retinici, e ciò significa appunto che il progenitore è multipotente, cioè la sua progenie ha assunto tutti i destini differenziativi retinici possibili (Figura 13).

Figura 13. Dimostrazione sperimentale della pluripotenza dei progenitori retinici che compongono l’eye field di Xenopus laevis: il clone cellulare retinico originatosi da un progenitore trasfettato con GFP comprende al suo interno tutti i tipi cellulari della retina matura.

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Durante il normale sviluppo retinico, i progenitori dell’eye field passano attraverso degli “stati di competenza” che favoriscono la specificazione di ogni tipo cellulare differenziato, grazie all’azione di fattori estrinseci e fattori intrinseci che in quel momento si trovano in combinazione nella cellula e che regolano la determinazione del destino cellulare. Ciascun precursore può assumere solo un determinato destino differenziativo, a seconda dello stato di competenza in cui si trova al momento dell’uscita dal ciclo cellulare. Si tratta di un processo irreversibile: la cellula non può più tornare al suo stato originale a causa della specificità dei fattori entranti in gioco in quel momento (Figura 14).

In tutti i Vertebrati, i diversi tipi cellulari differenziati vengono generati seguendo un preciso ordine temporale, durante finestre temporali parzialmente sovrapposte: le cellule gangliari si differenziano per prime, seguite dai coni e dalle cellule orizzontali, seguite a loro volta dalle cellule amacrine e dai bastoncelli, per finire con le cellule bipolari e le cellule della glia di Müller (Figura 14). Si è dimostrato che le cellule della retina vengono generate in una sequenza ordinata tramite marcatura delle cellule in fase S in diversi tempi di sviluppo (Cepko et al., 1996).

La graduale variazione dello stato di competenza dei progenitori durante lo sviluppo e la maniera sequenziale con cui i vari tipi cellulari retinici si differenziano sono due aspetti strettamente collegati tra loro. Infatti, nel momento in cui un progenitore esce dal ciclo cellulare e va incontro al differenziamento, esso segue il destino differenziativo determinato dallo stato di competenza che possiede in quel momento dello sviluppo. Lo stato di competenza, a sua volta, è determinato dalla precisa combinazione di geni con ruolo istruttivo per il differenziamento espressi all’interno della cellula, geni che esprimono fattori intrinseci importanti nell’indirizzare il precursore verso uno specifico destino differenziativo nel momento in cui esso esce dal ciclo cellulare e si differenzia. In questo senso si parla di codice combinatorio, riferendosi al

Figura 14. Rappresentazione schematica del graduale cambiamento dello stato di competenza (specificazione) dei progenitori retinici durante lo sviluppo. Il tempo di sviluppo al quale il progenitore esce dal ciclo cellulare e si differenzia è importante nel definire il tipo cellulare retinico che si origina.

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“cocktail” di geni accesi dentro ai progenitori e finemente regolati in base al tempo di sviluppo dell’animale.

I geni coinvolti nella specificazione dei progenitori retinici e dei tipi cellulari differenziati sono stati studiati a livello della zona del margine ciliare (CMZ) della retina, che corrisponde alla regione più periferica della retina.

Negli Anfibi e nei pesci la retina si accresce per tutta la durata della vita dell’animale, mantenendo le proporzioni con le dimensioni corporee, grazie alla presenza di un pool di cellule proliferative multipotenti nella CMZ. Le nuove cellule sono aggiunte in corrispondenza di questa regione; il risultato di questo processo è che nell’adulto l’area più centrale della retina è formata dalle cellule più vecchie, generate durante l’embriogenesi, mentre lateralmente si differenziano e si appongono cellule più giovani.

La CMZ dell’adulto, formata da cellule ancora in proliferazione, è utile al fine della comprensione di quanto è successo nella retina durante l’embriogenesi, in quanto strutturata in zone che ricapitolano le varie fasi del differenziamento dei retinoblasti nelle diverse strutture mature localizzate nella retina centrale (Harris e Perron, 1998).

In base allo stadio di differenziamento retinico dei progenitori della CMZ, si possono identificare varie aree al suo interno:

La zona 1 si trova nella parte più periferica della retina, cioè nella regione più distale della CMZ; accoglie le cellule staminali che, rispetto ai retinoblasti ai quali danno origine, si dividono più lentamente ed esprimono geni del campo morfogenetico dell'occhio come Pax6, Six3, Rx1 e Optx2 (Perron et al., 1998; Zuber et al., 1999). Queste cellule rinnovano continuamente sia l'epitelio pigmentato che la retina neurale (Perron et al., 1998; Ohnuma et al., 2002).

La zona 2, corrispondente all’area mediana della CMZ, contiene i retinoblasti in attiva proliferazione che esprimono i maggiori attivatori del ciclo cellulare come la ciclina D1, ciclina A2 e cdk2. In essi i geni del campo dell'occhio continuano ad essere attivi, ma iniziano anche ad essere espressi geni proneurali omologhi al complesso genico achaete- scute di Drosophila, come Xash1 e Xash3, e geni neurogenici come X-Notch-1 e X-Delta- 1, implicati in fenomeni di inibizione laterale (Perron et al., 1998; Ohnuma et al., 2002).

Nella zona 3 gli attivatori del ciclo cellulare iniziano ad essere repressi, in concomitanza con l'espressione di geni proneurali omologhi ad atonal di Drosophila, quali Xath5, Xath3 e XneuroD, che codificano per fattori di trascizione bHLH (“basic Helix Loop Helix”);

sono inoltre attivati inibitori del ciclo cellulare come p27Xic1. In particolare XneuroD è espresso a livello dei neuroblasti e dei neuroni in differenziamento. Durante questa fase inizia ad essere espresso anche Otx2 (Perron et al., 1998; Ohnuma et al., 2002).

Nella zona 4, la più prossimale alla retina matura, i precursori retinici appaiono come cellule che smettono di dividersi ed iniziano a differenziarsi. Ciò è permesso dallo spegnimento dei geni neurogenici e dal mantenimento dell'espressione di alcuni geni proneurali (Perron et al., 1998; Ohnuma et al., 2002).

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Una volta usciti dalla CMZ, i precursori postmitotici raggiungono la loro localizzazione finale e si differenziano, iniziando ad esprimere neurotrasmettitori o pigmenti visivi e sviluppando le loro corrette connessioni sinaptiche.

Questo processo è regolato mediante il codice combinatorio a cui si accennava precedentemente. Tale codice coinvolge fattori intrinseci, rappresentati principalmente da fattori di trascrizione espressi nei progenitori retinici, appartenenti alla classe omeodominio (homeobox) e alla classe bHLH (basic Helix-Loop-Helix) (Figura 15). Tra i geni con omeodominio sono compresi fattori espressi precocemente durante la retinogenesi, a partire dalla specificazione dell’eye field, come Pax6, Rx1 e Six3, e fattori più tardivi, che si esprimono quando si ha il differenziamento neurale, come Otx2, Chx10 e Vsx1 (recensito in Zaghloul et al., 2005). Ai fattori di classe bHLH appartengono geni neurogenici precoci come Xash e Ngn e geni neurogenici tardivi come Xath e neuroD (recensito in Vetter e Brown, 2001).

Specificazione del destino cellulare:

La specificazione del destino cellulare dei diversi neuroni retinici richiede combinazioni differenti di geni homeobox e fattori bHLH (Hatakeyama e Kageyama, 2004). Secondo il modello attualmente proposto i geni homeobox agirebbero in maniera congiunta con i geni dei fattori bHLH, determinando il destino cellulare retinico e forse regolando anche la specificità dello strato cellulare (ONL, INL o GCL).

Figura 15. Codice combinatorio dei fattori di trascrizione omeodominio e bHLH responsabili dell'indirizzamento dei progenitori verso destini cellulari specifici. (Hatakeyama e Kageyama, 2004).

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Sono di seguito elencati i fattori coinvolti nel differenziamento dei singoli tipi cellulari:

Cellule bipolari:

Otx2 e Chx10 risultano essere necessari per lo sviluppo delle cellule bipolari in Xenopus. Gli esperimenti di lipofezione (una tipologia di trasfezione) di Otx2 nei precursori retinici di vescicole ottiche di Xenopus promuovono il differenziamento delle cellule bipolari a spese dei fotorecettori (Viczian et al., 2003) (Figura 16). Nel topo la sovraespressione mediante retrovirus di Otx2 promuove l'attivazione di Crx e il differenziamento dei fotorecettori, mentre il mutante condizionale per questo gene promuove il differenziamento in cellule amacrine a spese dei fotorecettori (Nishida et al., 2003). Chx10 è espresso a livello dei progenitori retinici e delle cellule bipolari mature nel topo, la sua mutazione comporta l'insorgenza di microftalmia e l'assenza di cellule bipolari differenziate (Burmeister et al., 1996). Esso coopera con Xash1 e Xath3 (Hatakeyama e Kageyama, 2004). Anche Vsx1 è espresso a livello dei neuroblasti in differenziamento e delle cellule bipolari (Chow et al., 2001; D'Autilia et al., 2006) (Figura 16).

Fotorecettori:

NeuroD, Xash1 e Otx5b, omologo a Crx di topo, sono importanti per il differenziamento dei fotorecettori (Viczian et al., 2003; Hatakeyama e Kageyama, 2004) (Figure 15 e 16). La lipofezione di Xotx5 nei precursori retinici di Xenopus comporta un aumento dei fotorecettori, e una leggera diminuzione delle cellule gangliari, amacrine, orizzontali e cellule di Müller (Viczian et al., 2003). Mutazioni legate a Crx comportano l'insorgenza di malattie come la Retinite pigmentosa, l'amaurosi congenita di Leber e la distrofia dei coni e dei bastoncelli (Freund et al., 1997; Furukawa et al., 2002).

Insieme al fattore di trascrizione NRL, implicato nell'attivazione di geni specifici dei bastoncelli, Crx è responsabile dell'espressione del gene dell'opsina, un marcatore terminale di differenziamento dei fotorecettori (Whitaker e Knox, 2004).

Cellule gangliari:

Xath5, Xath3, Brn3d e Xbh1 sono coinvolti nella formazione delle cellule gangliari (Poggi et al., 2004; Liu et al., 2001). Il mutante lakritz di Zebrafish, un ortologo di ath5, esibisce una riduzione delle cellule gangliari e un aumento di cellule amacrine, bipolari e glia di Müller (Kay et al., 2001); similmente il topo mutante per Math5 è privo di cellule gangliari e di nervo ottico, ma mostra inoltre un aumento dei coni (Brown et al., 2001). Al contrario la sovraespressione di Xath5 nei progenitori retinici di Xenopus causa un aumento delle cellule gangliari a spese di altri tipi cellulari quali amacrine, bipolari e glia di Müller (Kanekar et al., 1997). Gli esperimenti di lipofezione di Xbh1 nei progenitori retinici in Xenopus comportano un aumento differenziativo verso il destino gangliare a spese di quello dei fotorecettori (Poggi et al., 2004) (Figura 16).

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Cellule orizzontali:

Prox1 regola l'uscita dei progenitori retinici dal ciclo cellulare ed è responsabile dello sviluppo delle cellule orizzontali (Dyer et al., 2003). Anche la sovraespressione di Math3 con Six3 o Pax6 è in grado di promuovere il differenziamento di questo tipo cellulare (Inoue et al., 2001).

Cellule amacrine:

In Xenopus la sovraespressione di neuroD nei progenitori retinici promuove il differenziamento in cellule amacrine a discapito delle cellule bipolari (Moore et al., 2002).

Controllo trascrizionale e traduzionale dei fattori homeobox Xotx5, Xotx2 e Xvsx1

La trascrizione e la traduzione dei fattori di trascrizione homeobox coinvolti nella specificazione di tipi cellulari retinici differenziati, come Xotx5, Xotx2 e Xvsx1, vengono finemente regolate nel tempo e nello spazio all’interno della retina di Xenopus laevis (Decembrini et al., 2006). Come anticipato, esperimenti di lipofezione in vivo hanno dimostrato che Xotx5 promuove il destino di fotorecettori, mentre Xotx2 e Xvsx1 promuovono entrambi il destino bipolare. Nell’esperimento di lipofezione i progenitori dell’eye field vengono trasfettati con un costrutto gene reporter (come la GFP, che quindi consente il riconoscimento delle cellule efficacemente trasfettate) assieme al plasmide che fa sovraesprimere il gene di interesse; se il gene candidato possiede un ruolo istruttivo per il differenziamento, i cloni cellulari derivanti dal progenitore saranno prevalentemente indirizzati verso uno specifico destino retinico. Nella

Figura 16. Rappresentazione schematica del ruolo di alcuni geni homeobox nella determinazione del destino differenziativo di progenitori retinici: i progenitori che esprimono Xotx5b, ad esempio, vengono frequentemente indirizzati verso il destino di fotorecettore.

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retina matura si riscontrerà un aumento percentuale di quel tipo cellulare, rispetto alle normali percentuali di differenziamento nella retina WT.

Osservando i domini di espressione degli mRNA di Xotx5, Xotx2 e Xvsx1 e comparandoli con i domini di effettiva traduzione delle relative proteine, si nota come un fine controllo a livello post-trascrizionale e traduzionale consenta di regolare l’espressione di questi geni nel tempo e nello spazio, all’interno alla retina di Xenopus (Decembrini et al., 2006).

Xotx5, ad esempio, si accende sia nello strato nucleare esterno, dove consente lo sviluppo dei fotorecettori, sia nello strato nucleare interno della retina a stadio 42 di Xenopus laevis, dove invece non avrebbe ragione di agire (Figura 17). Lo studio della traduzione del gene, effettuato con un anticorpo in grado di riconoscere la proteina, mostra infatti che la traduzione avviene soltanto a livello dello strato nucleare esterno. Si tratta di un chiaro esempio di regolazione spaziale dell’espressione genica.

Per quanto riguarda la regolazione temporale, si nota anzitutto che durante fasi precoci dello sviluppo (st. 34) gli mRNA dei tre geni sono espressi nell’intero spessore dell’abbozzo di retina;

le proteine corrispondenti, però, inizialmente non sono ancora prodotte. Soltanto in fasi più tardive dello sviluppo (st. 37/42) i geni vengono tradotti, e ciò avviene secondo una sequenza temporale ben precisa, dove ogni proteina relativa ai tre geni è prodotta esattamente secondo la successione temporale con la quale vengono generati i tipi cellulari corrispondenti. La traduzione di Xotx5 è molto precoce (a partire dallo st. 34 di sviluppo); Xvxs1 viene tradotto soltanto in seguito, attorno allo stadio 37 di sviluppo. Per ultimo si traduce Xotx2; lo si ritrova nello strato nucleare interno solo intorno a stadio 42 (Figura 17).

Figura 17. Trascrizione (evidenziata in rosso con ibridazione in situ) e traduzione (in verde, con immunoistochimica) dei geni homeobox Xotx5, Xotx2 e Xvsx1 nella retina di Xenopus.

(Decembrini et al., 2006).

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L’orologio molecolare con cui la cellula misura il trascorrere del tempo e in base al quale essa regola l’espressione e la traduzione dei geni di differenziamento sembra essere il ciclo cellulare, la cui durata aumenta mano a mano che si va avanti con lo sviluppo. Numerosi esperimenti di blocco o prolungamento del ciclo cellulare hanno dimostrato come tale orologio molecolare sia attivamente connesso alla determinazione del destino differenziativo dei progenitori retinici (Decembrini et al., 2009, in press).

La traduzione di geni homeobox Xotx5b, Xvsx1, e Xotx2 nella retina di Xenopus laevis è permessa solo in specifici tipi cellulari e a precisi tempi di sviluppo perchè regolata dalle regioni 3’ UTR degli mRNA. I 3’ UTR determinano l’inibizione della traduzione dei tre geni in maniera cellulo-specifica. Il meccanismo alla base di questa inibizione comprende l’azione di alcuni microRNA (miRNA), che raggiungono alte concentrazioni in progenitori che si dividono rapidamente (cioè nei progenitori precoci) e in tale contesto impediscono la traduzione di geni coinvolti nel differenziamento di tipi cellulari tardivi come le bipolari e i fotorecettori. Con il procedere dello sviluppo, i progenitori aumentato gradualmente la lunghezza del ciclo cellulare, cioè si dividono meno frequentemente; l’allungamento del ciclo cellulare comporta una diminuzione di concentrazione dei miRNA coinvolti in questo meccanismo. Così, nelle fasi tardive dello sviluppo, gli mRNA di Xotx5b, Xvsx1, e Xotx2 non sono più inibiti, vengono prodotte le proteine dei tre geni e come risultato si ha il differenziamento di tipi cellulari tardivi, fotorecettori e bipolari (Decembrini et al., 2006; Decembrini et al., 2009, in press).

Degenerazioni retiniche: la Retinite pigmentosa

Le malattie degenerative della retina, come la Retinite pigmentosa, sono malattie eterogenee ed ereditarie che portano alla graduale perdita della vista mediante l'attuazione di un programma multifasico di morte cellulare, perdita dell'organizzazione trilaminare e rimodellamento aberrante delle connessioni sinaptiche. Il danno retinico coinvolge inizialmente i fotorecettori e successivamente molti degli altri tipi cellulari della retina neurale. La fase finale della degenerazione comprende un abbondante fenomeno apoptotico che colpisce gli strati più interni della retina.

Il gruppo di malattie ereditarie che rientra sotto il nome di Retinite pigmentosa colpisce la popolazione con una frequenza di 1 persona su 3.500-4.000 nati vivi, con caratteristiche variabili che possono portare alla totale cecità (fonte Telethon; www.telethon.it).

Terapia cellulare

Lo studio delle cellule staminali embrionali di Mammifero (cellule ES) costituisce uno degli aspetti più interessanti della moderna biologia cellulare e dello sviluppo. Uno dei motivi principali riguarda il loro possibile utilizzo quale fonte di materiale di “ricambio” o veicolo di

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fattori trofici/protettivi, nei confronti di malattie degenerative che causano la progressiva morte di specifiche popolazioni cellulari. Questo approccio viene identificato con il nome di “terapia di trapianto basata sulle cellule staminali” o “terapia cellulare sostitutiva” e richiede che le cellule ES siano opportunamente trattate e fatte differenziare in vitro prima di essere somministrate (Figura 18).

Sono attualmente al centro dell'attenzione scientifica i protocolli sperimentali basati su queste strategie per la cura di malattie neurologiche come il Parkinson, l'Alzheimer, la Corea di Huntington, la Sclerosi multipla e la Sclerosi laterale amiotrofica (Lindvall e Kokaia, 2006).

In uno scenario come quello della Retinite pigmentosa, una terapia basata sulla “sostituzione cellulare”, cioè sul trapianto nella retina di cellule staminali o progenitori capaci di sostituire le cellule in degenerazione dell'ospite, potrebbe efficacemente contrastare la neurodegenerazione degli strati retinici e i suoi effetti sulla visione.

Perché la terapia cellulare sia efficace nell’ambito della Retinite pigmentosa, è necessario che:

si disponga di cellule staminali come materiale di partenza. Per le loro caratteristiche pluripotenti le cellule ES sembrano essere un ottimo candidato in tal senso.

Figura 18. Terapia cellulare sostitutiva. La terapia sostitutiva richiede anzitutto una fase di differenziamento in vitro di cellule staminali multipotenti (es. cellule ES derivate dalla ICM), al fine di ottenere cellule indirizzate verso un destino retinico, capaci di integrarsi nel tessuto ospite (occhio) e differenziarsi in tutti i sottotipi cellulari affetti dalla degenerazione.

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possa essere allestito un efficace protocollo di differenziamento in vitro di cellule staminali multipotenti, al fine di ottenere cellule indirizzate verso il destino retinico, capaci di integrarsi correttamente nel tessuto ospite in degenerazione e ripopolarlo.

le cellule siano somministrate durante le fasi precoci della malattia, quando l'organizzazione istologica e funzionale della retina non sono state ancora compromesse.

le cellule abbiano la capacità di raggiungere tutti gli strati retinici e differenziarsi in tutti i sottotipi cellulari affetti dalla degenerazione.

Appare ovvia dunque la necessità di mettere a punto protocolli di differenziamento in vitro, che consentano di indirizzare cellule staminali embrionali multipotenti verso un destino retinico, generale o specifico a seconda delle esigenze.

Cellule staminali embrionali: parallelismi tra cellule ES di mammifero e cellule di animal cap di Xenopus laevis

Sviluppo precoce del topo e caratteristiche delle cellule ES

Vediamo brevemente quali sono gli eventi iniziali nello sviluppo del topo che portano alla formazione delle cellule ES.

La fecondazione avviene all'interno dell'ovidotto e provoca il rapido completamento della meiosi nell'ovocita, che espelle il secondo globulo polare. Dopo circa 24 ore avviene la prima divisione di segmentazione e ciascuna delle seguenti impiega circa 12 ore per completarsi.

Queste divisioni formano una sfera di cellule detta morula che ben presto subisce il fenomeno della compattazione, che si realizza attraverso l'aumento dell'area di contatto tra cellule. In seguito alla compattazione le cellule divengono polarizzate mediante la presenza di microvilli presenti solo sulla superficie esterna. Le divisioni successive hanno un orientamento sia radiale che tangenziale, comportando un posizionamento esterno di alcune cellule, che allo stadio di trentadue blastomeri sono in numero di circa venti. Successivamente l'embrione si sviluppa in una blastocisti (tre giorni e mezzo dopo la fecondazione) composta da una massa cellulare interna, derivata appunto dalle cellule interne alla morula, e da un trofoectoderma derivato dalle cellule superficiali della morula.

Dal trofoectoderma deriveranno strutture extraembrionali come la placenta, che provvede al nutrimento dell'embrione. A questo punto il trofoectoderma inizia a pompare del fluido all'interno della blastocisti costringendo la massa cellulare interna a disporsi su di un lato della superficie interna della blastocisti stessa, in posizione eccentrica nella cavità. Tra il giorno 3,5 e il 4,5 di gestazione si distinguono due popolazioni diverse della massa cellulare interna. Le cellule più superficiali e in contatto con il liquido interno alla blastocisti divengono l'endoderma primitivo che contribuirà alla formazione delle membrane extraembrionali;

mentre la restante parte costituisce l'epiblasto (o ectoderma primitivo) da cui deriverà

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