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troppo presto per poter vedere realizzato questo mio grande sogno ma che

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Academic year: 2021

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare tutte le persone che, a vario titolo, mi hanno permesso di raggiungere questo importante traguardo: il prof. Michele Lisanti, che mi ha messo a disposizione la sua Unità Operativa; il dott. Marco Rosati, che mi ha fornito il materiale necessario per realizzare questo studio; il dott. Pietro Battistini, valido tutor diventato anche un amico; il dott. Andrea Poggetti, responsabile della nascita di questa mia passione per la traumatologia della mano e figura indispensabile per lo sviluppo e il completamento di questo lavoro; il prof. Giuseppe Naccarato, dal quale ho ricevuto una importante iniezione di autostima; il dott. Piero Mungai, che ha sostenuto con forza la mia scelta sia moralmente che fisicamente; i tanti colleghi studenti che negli anni hanno riposto in me la loro fiducia e mi hanno manifestato stima e gratitudine; Sergio Meini, che mi ha fatto conoscere da tante, tantissime persone; gli amici più cari, ai quali troppo spesso ho dovuto anteporre lo studio; i miei genitori, i miei nonni, Alessandro, Arianna, Filippo, Gaia, tutti i miei parenti e gli straordinari amici di famiglia che mi hanno supportato (e sopportato) sempre e comunque.

Un pensiero speciale va infine alle persone che purtroppo se ne sono andate

troppo presto per poter vedere realizzato questo mio grande sogno ma che

oggi - ne sono certo - mi saranno comunque vicine.

(2)

LISTA DELLE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI

AOUP = Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

AO/ASIF = Association for Osteosynthesis/Association for the study of Internal Fixation

APSI = Adaptive Proximal Scaphoid Implant

AROM = Active Range of Motion

AVN = Avascular Necrosis

DISI = Dorsal Intercalated Segmental Instability

FCR = Flessore radiale del carpo

ICSRA = 1,2 Intercompartimental Supraretinacular Artery

LP = Luno-piramidale

RCD = Radio-carpico dorsale

RL = Radio-lunato

RSC = Radio-scafo-capitato

SL = Scafo-lunato

(3)

MF = Metacarpo-falangea

MP = Metacarpo-phalangeal

PRWE = Patient Rated Wrist Evalutation

PSA = Pseudoartrosi

RMN = Risonanza magnetica nucleare

SLAC = Scapholunate Advanced Collapse

SNAC = Scapho-Nonunion Advanced Collapse

STd = Scafo-trapezoide

STT = Scafo-trapezio-trapezoide

TC = Tomografia computerizzata

UO = Unità Operativa

VISI = Volar Intercalated Segmental Instability

(4)

INDICE

• 1. Introduzione………...…..….6-7

• 1.1 Anatomia dello scafoide…... 8-16

• 1.2 Biomeccanica del polso……….………..…..….17-22 o 1.2.1 Biomeccanica carpale………..…………..…23-25 o 1.2.2 Unità funzionali biomeccaniche……...….…..…..26-32

• 1.3 Fratture dello scafoide………..………..33-35 o 1.3.1. Classificazione………...…………..36 o 1.3.2 Diagnosi………37-40 o 1.3.3 Trattamento……….…..……41-48 o 1.3.4 Complicanze………....…..49

§ 1.3.4.1 Necrosi Ischemica di scafoide (AVN)...49-52

§ 1.3.4.2 Pseudoartrosi di scafoide……..………...52-70

• 2. Materiali e metodi………...…...71-83

• 3. Risultati………...………...…...84-91

• 4. Discussione………..…...…….92-107

• 5. Bibliografia………...……...108-120

• 6. Appendici...121-122

(5)

1. INTRODUZIONE

Per pseudoartrosi di scafoide si intende la mancata consolidazione di una frattura di quest’osso a distanza di oltre 90 giorni (3 mesi) dall’evento traumatico che la ha provocata. Essa, come sottolineato dagli studi epidemiologici di Kawamura et Al. 1 , è una complicanza tutt’altro che rara in caso di frattura del corpo dello scafoide. Fra i fattori che predispongono al suo sviluppo possiamo annoverare: la peculiare anatomia dello scafoide, la sua caratteristica vascolarizzazione, la scomposizione dei frammenti di frattura e il trattamento chirurgico intrapreso talvolta tardivamente (ad esempio solamente dopo un evidente fallimento delle tecniche conservative) 2,3 . Dal canto suo la pseudoartrosi, qualora non venga trattata, diventa causa di una alterazione della biomeccanica del carpo che a sua volta conduce inevitabilmente verso una degenerazione artrosica periscafoidea con dolore e limitazione funzionale 4,5 . Per tentare di arrestare la progressione dell’artrosi vengono impiegati interventi di osteosintesi, innesti di osso vascolarizzato e non (spongioso o cortico-spongioso) ed interventi di salvataggio (resezione della prima filiera del carpo, artrodesi parziale delle ossa carpali e artrodesi di polso) 3,6-8 .

Qualora la pseudoartrosi non abbia ancora alterato la morfologia dello

scafoide ed i processi degenerativi siano ancora in fase iniziale, è possibile

(6)

trattare la lesione mediante l’utilizzo di un innesto spongioso autologo

associato ad una sintesi con vite. I mezzi di sintesi proposti negli anni sono

stati vari: fili di Kirschner, chiodi di Galluccio, cambre a memoria di forma,

viti con doppia filettatura senza testa (Herbert), viti troncoconiche (Acutrak) e

viti da spongiosa (AO/ASIF). La maggior parte dei lavori in letteratura riporta

i risultati ottenuti con l’utilizzo di viti headless che dovrebbero garantire un

minor grado di impingement con le ossa carpali vicine (in particolare con il

trapezio) e dovrebbero poter ripristinare la lunghezza e la morfologia dello

scafoide permettendo allo stesso tempo un’efficace stabilità primaria ed una

precoce mobilizzazione 9 . Gli obiettivi del presente studio sono stati quelli di

valutare con un lungo follow-up (5,2 ± 3,8 anni) i risultati ottenuti nel

trattamento delle pseudoartrosi del corpo dello scafoide in assenza di

deformità utilizzando un’inconsueta sede donatrice di osso (olecrano

ipsilaterale) e una vite da spongiosa di tipo AO/ASIF dotata di testa a basso

profilo (ASNIS Micro Stryker® 3.0 mm).

(7)

1.1 ANATOMIA DELLO SCAFOIDE

Lo scafoide carpale è un osso che, insieme al semilunare e al piramidale, fa parte della filiera prossimale del carpo (visto che il pisiforme viene invece considerato un sesamoide del flessore ulnare del carpo) e che prende questo nome a causa della somiglianza alla forma dello scafo di una nave (dal greco

“skaphè”: “barca” e “eidos”: “forma”). Esso è caratterizzato da un asse maggiore di circa 30 mm, obliquo in basso, in avanti e lateralmente ed è interposto tra la faccetta articolare carpale del radio e il complesso trapezio- trapezoidale assumendo la funzione di “distanziatore carpale”.

Lo scafoide è rivestito per l’80% da cartilagine articolare mentre le rimanenti superfici non articolari vanno a formare dei margini che convergono sulla prominenza ossea che viene indicata con il nome di “tubercolo”.

Anatomia dello scafoide.

(8)

Lo scafoide origina da due distinti nuclei di ossificazione (di cui uno prossimale e uno distale) uniti tra di loro da un corpo (o istmo). In virtù di questa sua particolare modalità di sviluppo, in genere viene suddiviso in 3 porzioni: il polo prossimale, il corpo e il polo distale 10,11 .

Il polo prossimale è una porzione interamente ricoperta dalla cartilagine che costituisce la superficie carpale laterale della articolazione radio-carpica. Esso si articola medialmente con il semilunare (mediante una artrodia) e inoltre vi risulta saldamente connesso mediante il legamento interosseo scafo-lunato. Il polo prossimale è connesso anche con le altre ossa della filiera prossimale del carpo mediante i legamenti intercarpici dorsali e palmari 10 .

Il corpo è una porzione leggermente più stretta che presenta sulla propria

superficie mediale una piccola cresta che la suddivide in una faccetta

articolare per il semilunare e una molto più concava per il capitato. Oltre a

questo, il corpo rappresenta la sede di importanti inserzioni ligamentose

nonché il punto di entrata di una buona parte dei vasi nutritizi perforanti 10 .

Il polo distale è infine la porzione dello scafoide che si caratterizza per la

presenza, sul proprio lato palmare, del processo osseo che viene indicato con

il nome di “tubercolo”. Esso si articola con il trapezio e il trapezoide mediante

una artrodia che viene stabilizzata dal ligamento scafo-trapezoide (STd) teso

(9)

tra la loro superficie prossimale e il tubercolo dello scafoide. Tale ligamento è di per sé abbastanza sottile ma viene tuttavia rinforzato dalla guaina e dal tendine del muscolo flessore radiale del carpo. Sul tubercolo si va poi ad inserire anche il ligamento trasverso del carpo e vi prende origine una parte delle fibre del muscolo abduttore breve del pollice 10 .

Come possiamo comprendere da questa prima descrizione, lo scafoide è quindi un osso caratterizzato da una posizione “a cavallo” tra le due filiere del carpo. Questo implica sia un ruolo centrale nella biomeccanica del polso che anche una particolare vulnerabilità in caso di traumatismi a livello della estremità distale dell'arto superiore.

1.1.1 Inserzioni ligamentose

Per poter comprendere pienamente la biomeccanica fisiologica e patologica dello scafoide è molto importante la descrizione delle sue numerose inserzioni ligamentose. Tali ligamenti vengono solitamente suddivisi in 3 gruppi: a) gruppo capsulare dorsale, b) gruppo capsulare volare; c) gruppo di ligamenti interossei.

Il gruppo capsulare volare è costituito dal ligamento radio-scafo-capitato e

dal legamento trasverso del carpo. Il primo rappresenta il più radiale dei

legamenti volari del carpo. Esso origina dal processo stiloideo del radio e si

porta distalmente e medialmente inserendosi sia sul corpo che sulla porzione

(10)

distale dello scafoide per poi terminare sul collo del capitato. Il legamento trasverso del carpo è invece una robustissima lamina fibrosa tesa tra la eminenza radiale (scafoide e trapezio) e la eminenza ulnare del carpo (pisiforme e uncino dell’uncinato). Esso, rispetto alla superficie ossea sottostante, determina la formazione del cosiddetto “canale del carpo”

all’interno del quale decorrono i tendini di alcuni dei muscoli flessori della mano nonché il nervo mediano.

Il gruppo capsulare dorsale è costituito dal solo ligamento radio-carpico dorsale che origina dal margine posteriore della superficie articolare distale del radio, medialmente al tubercolo di Lister, e si porta quindi distalmente per inserirsi sulla faccia dorsale del semilunare e del piramidale. Oltre a questo abbiamo anche il ligamento intercarpale dorsale che è una struttura analoga al ligamento traverso del carpo sul versante palmare.

Il gruppo dei ligamenti interossei è infine quello più numeroso visto che comprende il ligamento scafo-lunato (SL), il ligamento scafo-trapezoide e il ligamento scafo-capitato.

Il ligamento scafo-lunato è la struttura che si occupa di unire tra di loro lo

scafoide e il semilunare. Esso possiede, in sezione trasversale, una

conformazione a “C” aperta verso la giunzione medio-carpica; per questo

esso può essere suddiviso in una componente prossimale, una componente

(11)

palmare e una componente dorsale. Di queste 3 componenti, tuttavia, solamente quella palmare e quella dorsale sono dei veri e propri ligamenti e oltretutto la seconda risulta nettamente più robusta rispetto alla prima.

La componente dorsale misura in media 5 mm di lunghezza e 3 mm di spessore ed è istologicamente formata da fibre collagene orientate in senso trasversale. Sulla sua parte prossimale si inserisce la capsula articolare radio- carpica mentre la parte distale si fonde con il ligamento scafo-piramidale 12,13 . La componente prossimale ha uno spessore molto ridotto ed è composta quasi completamente da fibrocartilagine sottile e flessibile, con pochi fasci collagene e quasi completamente priva di vasi 14,15 . Talvolta può essere presente una protrusione distale a forma di cuneo che si estende all’interno della articolazione scafo-lunata in modo simile ad un menisco 16 . Sul suo versante dorsale appare separata dalla componente dorsale del ligamento SL mentre sul versante palmare risulta fusa alla sua componente volare 17 .

Dettagli anatomici del ligamento scafo-lunato

(12)

La componente palmare è nettamente più sottile rispetto a quella dorsale (in media misura 1 mm di spessore) ed è strutturalmente composta da fibre collagene disposte leggermente in obliquo in direzione prossimo-distale e ulno-radiale. Questa componente del legamento SL è quella che viene completamente attraversata dal ligamento radio-lunato (RL) ma anche quella sulla quale si lega il ligamento radio-scafo-capitato (RSC) 18 .

La diversa struttura regionale del legamento scafo-lunato riflette il differente contributo che ciascuna componente offre alla stabilità dell'articolazione. In particolare, la componente dorsale - ed in misura minore quella più sottile palmare - provvedono al controllo delle forze esercitate sull'articolazione scafo-lunata, la parte dorsale ne limita gli spostamenti, e quella volare ne limita la rotazione. La componente prossimale membranosa funziona invece come un asse flessibile sul quale le componenti dorsale e palmare ruotano e traslano durante i movimenti del polso. Vista l’importanza funzionale delle varie componenti ligamento scafo-lunato, possiamo capire come una dissociazione scafo-lunata sia invariabilmente causa di un anomalo

movimento dello scafoide e del semilunare rispetto al radio ma anche tra di

loro. Questo comporta una profonda alterazione della biomeccanica carpale

che a sua volta innesca la degenerazione artrosica del polso che culmina nella

condizione di vera e propria “SLAC” (Scapho-Lunate Advanced Collapse) 19 .

(13)

Il ligamento scafo-trapezoide (STd) è localizzato lungo la superficie palmare della articolazione STT, subito lateralmente alla guaina del tendine del flessore radiale del carpo (con la quale molto spesso tende a confondersi).

Esso origina dal tubercolo dello scafoide (laddove le fibre terminali radiali del ligamento radio-scafo-capitato si fondono con esso) e si inserisce quindi sul trapezio e sul trapezoide 19 . Questo ligamento è una struttura relativamente sottile, rinforzata dal tendine del flessore radiale del carpo e dalla sua guaina a formare quello che propriamente viene indicato come “complesso scafo- trapezio-trapezoide”. Tale complesso viene attualmente considerato l’elemento “chiave” nella stabilità del carpo visto che, solidarizzando lo scafoide con il trapezio, consente a queste ossa di costituire un unico pilastro solido in grado di mantenere l’altezza del carpo e quindi la corretta distanza radio-metacarpale 20 . Le conseguenze biomeccaniche della rottura di questo ligamento sono in effetti molto importanti: lo scafoide si flette e il capitato recede prossimalmente provocando una DISI o una VISI a seconda del fatto che vi si associ rispettivamente la rottura del ligamento scafo-lunato o del ligamento luno-piramidale.

La DISI, in particolare si forma nel momento in cui la flessione dello scafoide

si associa alla rottura del ligamento scafo-lunato. In quel caso infatti il

capitato arretra e, premendo sul semilunare, fa sì che esso interponga tra radio

(14)

e capitato stesso la sua parte più sottile (cioè quella dorsale) orientandosi quindi in estensione 21 . La VISI invece si forma nel caso in cui si abbia la conservazione delle connessioni scafo-lunari e la rottura del ligamento luno- piramidale visto che, in questo caso, il semilunare viene tratto in flessione volare dallo scafoide stesso.

Il ligamento scafo-capitato è infine una struttura che origina dal tubercolo dello scafoide per inserirsi sul collo del capitato in maniera distinta rispetto all’adiacente componente radio-scafoidea del ligamento RSC 14,22 .

Nel corso dei decenni sono stati condotti numerosi studi istologici volti a comprendere meglio la struttura dei ligamenti interessati nella stabilizzazione delle le numerose articolazioni della mano.

Rappresentazione schematica dei

movimenti delle ossa del carpo in

caso di lesione del ligamento STd

associata a quella del ligamento

scafo-lunato. Il capitato arretra e

provoca la dorsiflessione del

semilunare.

(15)

Questi studi hanno evidenziato che le strutture ligamentose della mano sono

composte da diverse percentuali delle stesse tre componenti ovvero: a)

collagene di tipo I; b) collagene di tipo III; c) elastina. La elastina, in

particolare, è una componente più rappresentata nei ligamenti capsulari

mentre il collagene è più rappresentato nei ligamenti interossei. Queste

differenze strutturali sono alla base di differenze funzionali tra queste due

tipologie di ligamento. I ligamenti ricchi di elastina sono infatti in grado di

sostenere forze di trazione di circa 100-200 N (al pari della maggior parte

degli altri ligamenti del nostro corpo) ma anche ad importanti forze di

torsione, mentre i ligamenti ricchi di collagene resistono a forze di trazione

fino anche a 300 N ma, al tempo stesso, a forze di torsione decisamente

minori 23, 24 .

(16)

1.2 BIOMECCANICA DEL POLSO

La biomeccanica dell'articolazione del polso umano è estremamente complessa ma solamente conoscendola a fondo è possibile comprendere la sua fisiologia e fisiopatologia e scegliere le opzioni terapeutiche più opportune per le varie patologie che possono interessarla.

I movimenti del polso avvengono grazie alle articolazioni esistenti fra le quindici ossa del carpo, la azione dei tendini dei muscoli flessori ed estensori che su di esso passano a ponte (muscolo estensore radiale lungo e breve del carpo, estensore ulnare del carpo e flessore ulnare del carpo) e quella dei numerosi ligamenti intrinseci ed estrinseci in parte già descritti in precedenza 25 .

Le articolazioni che partecipano maggiormente alla esecuzione dei movimenti del polso sono due: la articolazione radio-carpica e medio-carpica. Il movimento di tali articolazioni è impartito essenzialmente dalle inserzioni tendinee sulle ossa della filiera distale del carpo visto che la filiera prossimale esegue invece solo movimenti passivi impressi dalle varie strutture ligamentose che collegano le ossa che la compongono a quelle della filiera distale stessa.

I movimenti del polso possono eseguiti rispetto a tre piani ortogonali tra di

loro: il piano x, il piano y e il piano z.

(17)

Il piano frontale (piano x) è quello in riferimento al quale possono essere compiuti i movimenti di flesso-estensione.

Nella flessione, la faccia palmare della mano si avvicina alla faccia volare dell'avambraccio. L'ampiezza dalle flessione è data dalla somma dei movimenti delle articolazioni radio-carpica (50°) e della medio-carpica (35°) per un totale di 85°.

Nella estensione, la faccia dorsale della mano si approssima alla faccia posteriore dell'avambraccio. L'ampiezza dell'estensione è opposta a quella della flessione: l'articolazione radio-carpica si muove di 35° mentre la mediocarpica di 50°. Si mantiene comunque la ampiezza totale di 85°.

L'ampiezza totale del movimento garantito dalle due articolazioni è la stessa (85°) ma la direzione della massima ampiezza è opposta: la radio-carpica si

I tre assi e i rispettivi piani rispetto ai quali si compiono i movimenti della mano.

(18)

flette di più di quanto si estende e la medio-carpica si estende di più di quanto si flette) 14 .

Il piano sagittale (piano y) è invece quello lungo il quale possono essere eseguiti i movimenti di adduzione e abduzione.

La adduzione è un'inclinazione ulnare della mano che con il proprio margine mediale va a formare un angolo ottuso e aperto medialmente rispetto al margine ulnare dell'avambraccio. L'ampiezza massima dell'adduzione è di 45°. La abduzione è invece un'inclinazione radiale della mano nella quale il suo margine laterale va a formare con quello radiale dell'avambraccio un angolo ottuso e aperto radialmente. L'ampiezza massima del movimento di abduzione e di 15°. La ampiezza dei movimenti di adduzione e di abduzione è influenzata in modo significativo dalla posizione della mano, risultando massimi con la mano in posizione neutra e minimi durante la flessione o l'estensione massimale del polso.

Normali rapporti articolari tra radio, semilunare, capitato e terzo osso metacarpale

nella posizione neutra, in flessione e in estensione.

(19)

Durante l'esecuzione di questi movimenti, il polso mantiene costante il rapporto di altezza del carpo (la distanza fra la base del terzo metacarpo e il

piano sub-condrale distale del radio, divisa per la lunghezza del terzo metacarpo) con un valore normale di 0.54 +/- 0.03

Il piano z è infine quello rispetto al quale avvengono i movimenti di pronazione e di supinazione della mano.

Movimenti di abduzione/adduzione e di flesso/estensione.

(20)

Oltre ai movimenti lungo singoli assi, occorre considerare anche i movimenti combinati del polso. In particolare, il movimento rispetto ai piani frontale (x)

e sagittale (y) porta alla formazione del cosiddetto “cono di circonduzione”

ovvero un immaginario solido che ha per apice il centro del polso e per base l’ellissoide disegnata dalla traiettoria del terzo dito durante il movimento stesso. La base del cono di circonduzione è di forma ellissoidale dal momento che la ampiezza dei movimenti del polso è maggiore in ulnarizzazione piuttosto che in radializzazione.

Movimenti di circonduzione del polso.

(21)

L’escursione di tutte le articolazioni del corpo si valuta clinicamente in base

alla ampiezza misurata a partire da una da una posizione di riferimento. Nel

caso dei movimenti del polso, la posizione di riferimento è quella nella quale

la mano viene disposta lungo l’asse che passa per la diafisi del radio, il terzo

metacarpo e il terzo dito ovvero il prolungamento dell’asse longitudinale

dell’avambraccio (Appendice 2). Tale ampiezza è influenzata da fattori quali

la integrità/lassità dei legamenti del carpo ma anche la stessa posizione della

mano nello spazio visto che - come accennato in precedenza - i movimenti di

flessoestensione sono massimi quando la mano è in posizione neutra e minimi

quando essa è in pronazione così come quelli di adduzione e abduzione sono

massimi con la mano in posizione neutra e minimi durante la flessione e la

estensione massimale del polso.

(22)

1.2.1 Biomeccanica carpale

Dopo aver descritto la biomeccanica del polso, andiamo ad illustrare le caratteristiche cinetiche delle varie componenti ossee del carpo.

[1.2.1.1] Movimenti della filiera distale

Le ossa che compongono la filiera distale del carpo possono essere considerate come un’unica unità funzionale dal momento che sono connesse tra di loro tramite solide strutture ligamentose.

Durante la flessione del polso la filiera distale si flette e devia verso l’ulna;

durante la estensione essa invece si estende e devia radialmente.

Durante l’abduzione la filiera distale si estende, devia radialmente e ruota verso l’alto; nella adduzione la filiera distale tende a flettersi, deviare verso l’ulna e ruotare verso il basso 26 .

[1.2.1.2] Movimenti della filiera prossimale

Le ossa che compongono la filiera prossimale del carpo sono meno saldamente legate rispetto a quelle della filiera distale per cui non eseguono un movimento consensuale ma relativamente indipendente l’uno dall’altro 27,30 .

(23)

[1.2.1.3] Movimenti reciproci prossimo-distali

I movimenti reciproci tra la filiera prossimale e distale del carpo si mantengono - almeno in condizioni fisiologiche - in un equilibrato sinergismo ,31 . Tale sincronismo serve a mantenere il polso compatto durante l’esecuzione delle varie tipologie di movimento 32 .

Nella esecuzione dei movimenti di flesso-estensione abbiamo di norma un movimento coordinato tale che alla flessione della filiera prossimale corrisponda anche quella della filiera prossimale e alla estensione della prima corrisponda la estensione della seconda.

Nei movimenti di adduzione la filiera distale tende ad inclinarsi verso l’ulna, a flettersi e a pronarsi mentre la filiera prossimale si estende e si lateralizza;

l’osso piramidale è forzato ad estendersi in virtù della trasmissione della forza attraverso il ligamento luno-piramidale (LP).

Nella abduzione, infine, la filiera distale si lateralizza, si estende e ruota in

alto mentre la filiera prossimale si flette, si medializza e ruota in basso 33 . In

questo movimento lo scafoide normalmente si flette per evitare l’urto con lo

stiloide radiale ma questa flessione è possibile solamente in caso di integrità

del ligamento scafo-lunato (SL).

(24)

[1.2.1.4] Movimenti delle singole ossa

Il destino delle singole ossa del carpo durante la esecuzione dei movimenti del polso può essere schematizzato come segue:

• Scafoide: nella deviazione ulnare tende a dorso-flettersi e a spingere quindi anche il semilunare in questa stessa direzione. Nella deviazione radiale esso invece si flette verso il palmo della mano (evitando il conflitto con lo stiloide radiale) forzando anche il semilunare in flessione palmare 34 .

• Semilunare: ha una forma a cuneo e una naturale tendenza alla dorso- flessione 35 . I suoi movimenti, come descritto in precedenza, dipendono direttamente da quelli dello scafoide. In particolare, il risultato finale della azione congiunta di queste forze è quello di ottenere una dorsi- flessione del semilunare durante la deviazione ulnare e una sua flessione volare durante la deviazione radiale 23 .

• Capitato: durante l'adduzione l'osso si flette verso il palmo della mano, spingendo il semilunare in dorsi-flessione. Nella abduzione invece il capitato si dorso-flette e forza il semilunare in palmar-flessione 23 .

• Giunzione piramido-uncinata: in deviazione ulnare tende ad assumere

una posizione di dorso-flessione mentre in deviazione radiale si flette

verso il palmo della mano 23 .

(25)

1.2.2 Unità funzionali biomeccaniche

I chirurghi della mano hanno cercato nel corso degli anni di elaborare modelli interpretativi che consentissero di analizzare la complessa biomeccanica delle ossa del carpo tramite la definizione di una serie di “unità funzionali”.

Le teorie proposte sono molto numerose ma, pur essendo ognuna utile a mettere a fuoco certi aspetti funzionali del polso, nessuna riesce da sola a unificarne e chiarirne la complessa cinetica d’insieme.

1] Modello Tradizionale

Il modello tradizionale prevede la disposizione delle ossa del carpo in due filiere trasverse: una fila prossimale (costituita dal polo prossimale dello scafoide, dal semilunare e dal piramidale) e una distale (formata da trapezio, trapezoide, capitato, uncinato e dal polo distale dello scafoide); lo scafoide rappresenta l’elemento in comune 36 .

2] Modello di Gilford

Gilford fu il primo, nel 1943, a suggerire l'analogia fra polso e giunture. La

sua interpretazione d’insieme del movimento del polso focalizza l'attenzione

sul sistema longitudinale costituito dal complesso radio-semilunare-capitato,

interpretandolo come formato da tre barre fra loro vincolate da giunzioni che

ne permettono un movimento consensuale.

(26)

Durante la flessione del polso, il semilunare “scivola” sotto il capitato mentre nei movimenti di compressione, il radio, il semilunare e il capitato restano in asse ed entra in gioco lo scafoide con funzione di stabilizzatore articolare 37 .

3] Modello colonnare di Navarro e Fisk

Il modello colonnare venne proposto nel 1919 e si basa sulla distinzione del carpo in 3 colonne: una colonna radiale, una colonna centrale e una colonna ulnare 38 .

La colonna laterale è formata dallo scafoide, dal trapezio e dal trapezoide. Lo scafoide agisce da elemento a ponte fra filiera prossimale e distale. Esso deve muoversi in modo consensuale al semilunare in radio-ulnarizzazione e in flessoestensione e può farlo grazie alla presenza del legamento scafo-lunato 38 . La colonna centrale è costituita dal semilunare, dal capitato. Essa rappresenta il principale vincolo alla flesso-estensione lungo l'asse formato da radio, semilunare e capitato 38 .

La colonna mediale è formata dal piramidale, dall'uncinato e dal caput ulnare.

Essa ha la funzione di perno sul quale il polso ruota nei movimenti di pronosupinazione 38 .

La principale differenza con la precedente teoria sta nel riconoscere un ruolo

attivo all’osso piramidale nella complessa anatomia del carpo 23 .

(27)

Berger e colleghi hanno contestato successivamente il modello colonnare perché le ossa del polso non sono in realtà un insieme di strutture rigide ma si muovono fra di loro in modo indipendente 27 .

4] Modello di Taleisnik

Il modello di Taleisnik è una modifica del modello di Navarro e Fisk da almeno 2 punti di vista: a) il ruolo dell’osso pisiforme viene ridimensionato;

b) vengono inclusi il trapezio e il trapezoide nel gruppo di ossa che formano la colonna centrale 27 .

5] Modello “oval ring” di Lichtman

Il modello proposto da Lichtman esclude l’osso semilunare dalla rigida

“colonna centrale” sulla base della evidenza che esso possiede un certo grado

di mobilità rispetto al capitato sia durante la flesso/estensione che anche

durante la adduzione/abduzione. L'oval ring model considera quindi il carpo

come conformato a “ferro di cavallo”, con due legami fisiologici che

permettono la motilità reciproca fra le filiere prossimali e distali durante la

deviazione ulnare e radiale. Questi legami sono i legamenti che dallo scafoide

vanno al trapezio e la giunzione rotatoria piramido-uncinata. La rottura di

queste connessioni, in qualunque punto avvenga, porta ad un movimento

anomalo e quindi ad un'instabilità carpale 23 .

(28)

6] Modello delle colonne longitudinali di Weber

Gli studi di biomeccanica di Weber hanno portato a considerare le ossa del carpo da una nuova prospettiva basata sul ruolo di due colonne longitudinali 39 .

La colonna forza-portante è costituita dall'insieme di ossa poste dal lato radiale del carpo, le quali si occupano di trasmettere all’avambraccio le forze applicate alla mano. Le ossa che la formano sono: a) superficie articolare distale del radio; b) due terzi prossimali dello scafoide; c) trapezio; d) trapezoide; e) semilunare; f) capitato; g) base del secondo e terzo metacarpo.

La colonna di controllo occupa la parte ulnare del polso. Molto importante è il ruolo del piano degradante verso il lato ulnare formato dalla giunzione piramido-uncinata assieme ad una porzione del semilunare ma anche dalla fibrocartilagine triangolare e dalle basi del quarto e quinto metacarpo 23 .

7] Modello di Henke

E’ il modello che meglio spiega i movimenti del carpo nel suo insieme. Esso è

basato sulla presenza di due piani obliqui sui quali giacciono rispettivamente

la articolazione radio-carpica (piano con direzione dietro-avanti e esterno-

interno) e quella medio-carpica (piano con direzione antero-posteriore e ulno-

radiale). Tali articolazioni eseguono movimenti con doppie componenti

annullandosi a vicenda.

(29)

Secondo questo modello, i movimenti del polso si ripercuotono direttamente sulla filiera distale del carpo e da questa poi, in modo passivo, sulla filiera prossimale

Le ossa che partecipano maggiormente al moto sono quindi lo scafoide, il semilunare, il capitato e la articolazione piramido-uncinata.

8] Fionda di Kuhlmann

Nel paragrafo dedicato alla descrizione delle varie unità funzionali del carpo e del polso non possiamo non parlare anche della cosiddetta “fionda di Kuhlmann” (altrimenti detta “fionda del piramidale”).

Rappresentazione schematica

delle principali teorie

riguardo le caratteristiche

cinetiche delle diverse ossa

del carpo.

(30)

Essa è una struttura costituita da un complesso di ligamenti volari e dorsali, tesi tra radio e piramidale, che costituiscono una sorta di “fionda” che ha il compito di mantenere il semilunare e lo scafoide a contatto con il radio durante i movimenti di radializzazione. Tale sistema si oppone infatti alla naturale tendenza della prima filiera del carpo a “scivolare” verso l’ulna durante i movimenti di deviazione radiale stessi.

La fionda di Kuhlmann è composta, nel dettaglio, dal ligamento radio-

carpico-dorsale (DRC) sul versante dorsale e dal ligamento radio-scafo-

capitato (RSC) sul versante volare (entrambe strutture descritte in

precedenza). Il DRC (detto anche ligamento radio-lunato-piramidale)

condiziona in particolare lo spostamento ulnare del piramidale e stabilizza il

semilunare durante l’apposizione alla parte distale del radio 40 . L’RSC, d’altro

canto, ha la funzione di fulcro attorno al quale si flette lo scafoide. L’accesso

chirurgico volare standard allo scafoide comporta il passaggio attraverso

questo legamento ed impone quindi una sua accurata riparazione al fine di

evitare la perdita della funzione di stabilizzatore dello scafoide. Questo

ligamento deve essere inoltre attentamente conservato durante gli interventi di

carpectomia prossimale considerando che sarà l’unica struttura ligamentosa

radio-carpica che rimarrà in sede a stabilizzare la articolazione del polso.

(31)

Veduta dorsale; in giallo il DRC

Veduta volare; in giallo l’RSC

Rappresentazione schematica della naturale tendenza della prima filiera del carpo a

“scivolare” verso l’ulna

durante i movimenti di

deviazione radiale.

(32)

1.3 FRATTURE DELLO SCAFOIDE

Le fratture dello scafoide carpale rappresentano una percentuale variabile tra il 50 e l’80% del totale delle fratture del carpo 41 nonché la seconda causa di frattura dell’arto superiore dopo quelle della epifisi distale del radio.

Quest’ultima grava tuttavia su di un target di popolazione diverso visto che le fratture dello scafoide sono più frequenti nel maschio di 20/30 anni mentre le fratture del polso sono più frequenti nelle donne di 60/70 anni. Questa differenza è verosimilmente legata al fatto che nel soggetto di età avanzata, specie se di sesso femminile, la estremità distale del radio rappresenta una delle sedi maggiormente coinvolte nella degenerazione osteoporotica che la rende molto più vulnerabile alla frattura rispetto allo scafoide.

Il trauma che porta alla frattura dello scafoide può essere diretto oppure indiretto.

Le fratture da trauma diretto sono molto rare. Questo dipende dal fatto che lo scafoide risulta sufficientemente protetto dalla epifisi distale del radio ma anche perché è assai difficile che un trauma abbia caratteristiche tali da poter agire violentemente ed esclusivamente sullo scafoide senza provocare altre lesioni della articolazione radio-carpica.

Le fratture in assoluto più frequenti sono quindi quelle causate dal trauma

indiretto costituito dalle sollecitazioni trasmesse allo scafoide dalla epifisi

(33)

distale del radio soprattutto in caso di caduta a terra con la mano in estensione di circa 95-100° e in deviazione radiale. In questo caso lo scafoide si trova infatti sottoposto a 2 forze contrastanti: il peso del corpo trasmesso dal radio alla sua porzione prossimale e la resistenza del suolo trasmessa dai metacarpi alla sua porzione distale. Come conseguenza della applicazione di queste due forze si ottiene la frattura del corpo dello scafoide ovvero la regione meccanicamente più vulnerabile 3 . Nel caso in cui il movimento in iper- estensione della radiocarpica venga abnormemente esagerato, la mano devia ulnarmente, il terzo prossimale viene bloccato dai vari ligamenti contro la stiloide radiale e la forza lesiva che si esercita a livello del terzo prossimale provoca una frattura in questa stessa sede 3 .

Rappresentazione schematica del principale meccanismo

patogenetico delle fratture di scafoide ovvero il trauma indiretto da

caduta a terra con la mano in estensione di 95-100°.

(34)

Epidemiologicamente, secondo i calcoli di Kozin et Al. (2001) 42 , il 70-80%

delle fratture di scafoide avviene a livello del corpo, il 10-20% a livello del polo prossimale e il resto a livello del polo distale. Le fratture del polo distale diventano invece molto più frequenti nel caso in cui si prendano in considerazione le sole fratture di scafoide nel bambino; questo dato dipende dal fatto che la ossificazione dello scafoide avviene in senso disto-prossimale e quindi il polo prossimale del bambino, essendo costituito prevalentemente da tessuto cartilagineo, risulta più deformabile e meno incline alla frattura rispetto al polo distale stesso 43 .

Le occasioni nelle quali si realizzano più frequentemente le condizioni

necessarie allo sviluppo di una frattura dello scafoide sono, in ordine di

frequenza: a) le cadute accidentali con la mano iper-estesa e protesa; b) i

traumi sportivi; c) gli incidenti stradali (automobilistici e motociclistici).

(35)

1.3.1 Classificazione

La classificazione più utilizzata per le fratture dello scafoide è quella formulata da Herbert nel 1984 9 . Essa prevede la suddivisione in fratture stabili (TIPO A) e instabili (TIPO B) come segue:

FRATTURE TIPO A

• Fratture del tubercolo dello scafoide (A1)

• Fratture incomplete del corpo (A2)

FRATTURE TIPO B

• Fratture distali oblique (B1)

• Fratture complete del corpo (B2)

• Fratture del terzo prossimale (B3)

• Fratture associate a lussazione perilunare del carpo (B4)

La classificazione delle fratture

dello scafoide secondo Herbert.

(36)

1.3.2 Diagnosi

Nella maggior parte dei casi una frattura dello scafoide si mantiene paucisintomatica potendo essere causa di un dolore al polso che spesso regredisce totalmente o parzialmente dopo la semplice applicazione di ghiaccio e/o un breve periodo di riposo. In questo caso ovviamente il paziente non è spinto a presentarsi dal medico e la frattura rimane inizialmente misconosciuta per poi rendersi evidente solo successivamente nel caso in cui si complichi con una pseudoartrosi. Nel caso in cui invece il paziente arrivi alla attenzione del medico al momento della frattura, guideranno in genere la diagnosi una storia di un trauma in iper-estensione del polso oltre che una serie di segni clinici tra i quali: dolenza/dolorabilità e/o edema nella regione della tabacchiera anatomica e del tubercolo dello scafoide, significativa riduzione della mobilità del polso e dolore durante il suo utilizzo ma talora anche una apprezzabile riduzione della forza di prensione 1 . Nonostante tutto è da considerare che, secondo Grover et Al. (1996) 44 , la sensibilità dell’esame clinico nella diagnosi di frattura dello scafoide è limitata al 70-80% dei casi.

Rappresentazione schematica della

tabacchiera anatomica e dei

principali tendini che la delimitano.

(37)

Ecco quindi che, nel caso in cui siano presenti una storia di trauma

compatibile con frattura di scafoide e/o segni e sintomi suggestivi della stessa,

è sempre bene ricorrere ad un accertamento diagnostico mediante RX in 4

proiezioni: una dorso-volare, una laterale vera e due oblique in

semipronazione a 45° e in semisupinazione a 45°. Oltre a queste possiamo

aggiungere anche la cosiddetta “proiezione per scafoide” ovvero una

radiografia a palmo disteso e deviazione ulnare del polso che permette al

raggio di incidere quasi perpendicolarmente all'asse maggiore dell'osso in

modo da mettere il più possibile in evidenza una eventuale frattura. E'

importante sottolineare come, secondo Gabler et Al. (2001), la sensibilità

della radiografia nella diagnosi di frattura dello scafoide si aggiri intorno al

70%; essa è quindi soggetta di fatto ad una buona percentuale di falsi

negativi. Ecco quindi che di fronte ad un sospetto clinico fondato ma una RX

negativa è sempre bene optare per l’utilizzo di una doccia gessata del polso da

mantenere per 2-3 settimane prima di eseguire un nuovo controllo

radiografico 46 . Grazie a questo espediente, potrà essere infatti più facile

mettere in evidenza la frattura dello scafoide che, durante questo periodo di

tempo, subirà inevitabilmente un riassorbimento osseo che porterà ad un

allargamento della rima di frattura. Nel corso degli anni è stato calcolato

tuttavia che circa il 70-80% dei soggetti ai quali veniva confezionata una

(38)

doccia gessata nella ipotesi di una frattura di scafoide era in realtà

completamente sano 47 . Sulla base di questi dati si è cominciato ad ipotizzare il

ricorso a tecniche diagnostiche di secondo livello per minimizzare il rischio di

incorrere in ingessature improprie. Uno studio condotto utilizzando la

scintigrafia ossea, ha mostrato una sensibilità del 92-95% e una specificità del

60-95% nel riconoscimento delle fratture di scafoide 48 . La RMN si è mostrata

superiore alla scintigrafia ossea grazie ad una sensibilità e una specificità del

95-100% 49 oltre che la possibilità di fare diagnosi di altre condizioni in grado

di causare dolore nella regione del polso (come ad esempio danni a livello dei

legamenti). La migliore tecnica di secondo livello per la diagnosi delle

fratture di scafoide è tuttavia la TC visto che possiede una sensibilità e una

specificità sovrapponibili a quelle della RMN ma anche costi decisamente

inferiori 50 . In sintesi, nel caso in cui ve ne sia l’opportunità, è bene ricorrere a

queste metodiche di secondo livello per ridurre il rischio di ingessare

impropriamente i pazienti con sospetta frattura. Considerando i maggiori

costi, queste metodiche dovrebbero tuttavia essere riservate solamente a casi

particolari come ad esempio quelli con particolari esigenze (professionali,

sportive etc.) di recupero funzionale entro brevi periodi di tempo; in questi

casi infatti non sarebbe sicuramente adatto il ricorso alla “classica” doccia

gessata per 10-15 giorni.

(39)

Una volta eseguita la diagnosi di frattura di scafoide, indipendentemente dalla

metodica strumentale utilizzata, occorre definire se essa sia stabile oppure

instabile visto che da questo dipende la scelta della tipologia più adeguata di

trattamento.

(40)

1.3.3 Trattamento

Il trattamento delle fratture di scafoide si differenzia in base al fatto che esse siano composte e stabili oppure scomposte e/o instabili.

[1.3.3.1] Fratture composte e stabili

Le fratture composte e stabili sono quelle che fanno parte del “Tipo A”

secondo Herbert.

Il trattamento di questo tipo di fratture è solitamente di tipo incruento e consiste nella immobilizzazione per un periodo compreso tra le 8 e le 12 settimane mediante apparecchio gessato con I° articolazione metacarpo- falangea (MF) inclusa. Ancora non esiste un parere condiviso in letteratura circa la necessità di includere la articolazione del gomito all’interno del gesso.

In linea generale è preferibile utilizzare per le prime 4-6 settimane un

apparecchio brachio-metacarpale (in modo da evitare i movimenti di prono-

supinazione che potrebbero svolgere “ad elica” la frattura impedendone il

consolidamento) per poi passare all’utilizzo di un gesso antibrachio-

metacarpale fino alla fine del periodo di immobilizzazione. La posizione della

mano dovrà essere in leggera flessione (15-20°) e inclinazione radiale (10°)

per favorire il contatto tra i monconi di frattura 20 . Nonostante questo esistono

Autori secondo i quali i movimenti di prono-supinazione non sarebbero in

grado di influire sulla biomeccanica dello scafoide rendendo inutile la

(41)

immobilizzazione del gomito mediante apparecchio antibrachio-

metacarpale 51 . Esistono oggi discussioni anche in relazione all’inclusione in

gesso della della I° articolazione metacarpo-falangea (MF); i suoi movimenti

infatti, secondo gli ultimi studi biomeccanici condotti su cadavere, non

sarebbero in grado di influire sulla stabilità delle fratture dello scafoide 52 .

I risultati del trattamento conservativo delle fratture stabili e composte dello

scafoide sono molto buoni se si considera che il tasso di consolidamento varia

dall'88 al 95% 53 . Il trattamento incruento presenta tuttavia anche una serie di

svantaggi rispetto alla sintesi chirurgica tra i quali: a) necessità di visitare e

sottoporre ripetutamente a RX il paziente per verificare il corretto

allineamento dei frammenti di frattura; b) prolungato periodo di

immobilizzazione; c) maggiore limitazione dei movimenti di flessione del

polso al termine del trattamento. Per questi motivi, sempre più chirurghi

tendono ad estendere le indicazioni alla sintesi chirurgica anche a buona parte

delle fratture composte e stabili. Lo studio di Bond et Al. (2001) 54

sembrerebbe giustificare questo tipo di atteggiamento confermando risultati

migliori derivanti dal trattamento cruento rispetto a quello incruento. Lo

studio di Dias et Al. (2005) 55 sottolinea tuttavia come, nonostante un più

precoce recupero della forza di prensione e della mobilità del polso dopo un

intervento di sintesi chirurgica, ci sarebbe tuttavia da considerare una

(42)

maggiore incidenza di complicanze tra le quali la deiscenza della ferita, le infezioni, i danni a vasi e nervi e la algodistrofia. Il dato certo è che attualmente sempre più pazienti richiedono per motivi professionali, sportivi etc. un repentino ripristino della funzione del polso; di fronte a questo tipo di richiesta, il trattamento chirurgico risulta essere senza ombra di dubbio quello da preferire. La analisi economica di Papaloizos et Al. (2004) 56 sottolinea oltretutto come l’intervento chirurgico comporti vantaggi anche dal punto di vista economico in quanto i maggiori costi diretti sarebbero pienamente coperti (e addirittura superati) dalla riduzione dei costi indiretti dovuti alla più lunga inabilità allo svolgimento delle mansioni pre-frattura.

[1.3.3.2] Fratture scomposte o instabili

Per definizione, le fratture scomposte sono quelle che mostrano una distanza tra i margini di frattura maggiore di 1 mm in almeno una proiezione radiografica mentre le fratture instabili sono quelle che rientrano nel “Gruppo B” nella classificazione di Herbert.

Nonostante non esistano ancora in letteratura delle linee guida precise, il

trattamento di queste fratture – al contrario di quello delle fratture composte e

stabili – è esclusivamente di tipo chirurgico e può consistere in una sintesi

percutanea oppure a cielo aperto. I risultati della osteosintesi chirurgica delle

fratture di scafoide sono molto buoni sotto vari punti di vista. In effetti,

(43)

nonostante sia previsto l’utilizzo di una vite, essa permette ad esempio di ottenere una minore limitazione della escursione articolare del polso in flessione rispetto al trattamento conservativo 20 .

a) Sintesi percutanea

La sintesi percutanea è un intervento che comincia con una mini-incisione sul lato palmare della mano centrata sul tubercolo dello scafoide. Attraverso questa incisione andiamo ad inserire un filo di Kirschner in senso disto- prossimale controllando il suo percorso con un amplificatore di brillanza. Una volta certi della riduzione e del buon posizionamento del filo guida, si va a calcolare la lunghezza della vite necessaria con un apposito misuratore e quindi si inserisce sul filo stesso una vite cannulata di Herbert. Questa vite (ideata da Herbert nel 1984) è caratterizzata da una doppia filettatura prossimale e distale le quali possiedono un passo diverso. Una volta posizionata, essa consentirà di ottenere la compressione dei frammenti di frattura e quindi permetterà l’innesco della formazione del callo osseo.

Essendo inoltre una vite priva di testa, essa può essere fatta “sparire” al di

sotto della cartilagine articolare che riveste completamente il polo distale

dello scafoide evitando quindi l’impingement con le superfici ossee circostanti

(soprattutto la superficie articolare prossimale del trapezio) e la degenerazione

artrosica che ne deriverebbe 20 .

(44)

Una volta concluso l'intervento, viene quindi prescritta la immobilizzazione in stecca gessata con la prima MF inclusa per circa 30 giorni; tale stecca dovrebbe comprendere solamente l'avambraccio visto che, grazie all'utilizzo della vite come mezzo di sintesi, la pronosupinazione dello stesso non sarà certamente in grado di provocare una dislocazione dei frammenti ossei.

Nonostante la maggiore difficoltà di esecuzione rispetto alla sintesi a cielo aperto, l'intervento di sintesi percutanea è sicuramente molto più vantaggioso visto che consente di evitare la aggressione dei legamenti carpali (e quindi le strutture di supporto del polso) e di danneggiare il delicato supporto vascolare dello scafoide e inoltre riduce il rischio di possibili complicanze dovute ad una ferita di maggiori dimensioni.

Grazie alla ridotta invasività, questo intervento si sta quindi sempre più diffondendo anche nel trattamento delle fratture composte (in passato trattate solamente in modo conservativo) in modo da ridurre sensibilmente i tempi di immobilizzazione 20 .

Secondo i calcoli di Bushnell et Al. (2007) 57 i tassi di consolidamento e di

complicanze post-chirurgiche rispetto alla sintesi a cielo aperto sono

rispettivamente del 94 e dello 0% contro il 100% e il 30%.

(45)

b) Sintesi a cielo aperto

La sintesi a cielo aperto viene eseguita mediante accesso palmare dal

momento che esso rispetta maggiormente la vascolarizzazione dorsale e

consente di ottenere una buona visuale operatoria. Al tempo stesso va

considerato anche che esso comporta il danneggiamento dei legamenti volari

e non consente una ottima esposizione del polo prossimale 20 . L'incisione

viene fatta in modo rettilineo: comincia in corrispondenza del bordo radiale

del flessore radiale del carpo, per portarsi oltre la plica di flessione del polso

di circa 2 cm. A questo punto viene divaricato il tendine del flessore radiale

del carpo in senso ulnare e la arteria radiale, che deve essere attentamente

separata e protetta, viene divaricata in senso radiale. Una volta eseguita la

capsulotomia, si procede quindi con la sintesi della frattura mediante l'utilizzo

di un filo di Kirschner; su di esso viene fatta scorrere quindi una vite di

Herbert che viene avvitata in senso disto-prossimale in modo da ottenere la

compressione dei due frammenti ossei 20 . Anche in questo caso, una volta

concluso l'intervento viene prescritta la immobilizzazione in stecca gessata

corta con la prima MF inclusa per circa 30 giorni.

(46)

c) Osteosintesi da accesso dorsale

Oltre alla sintesi a cielo aperto tramite il “classico” accesso palmare, può

essere talora sfruttato un accesso dorsale. In particolare, questo è

indispensabile nel trattamento delle fratture del polo prossimale che, come

accennato in precedenza, sono difficilmente accessibili mediante approccio

palmare 58 . L’accesso “classico” in questi casi non consentirebbe infatti di

individuare correttamente il piccolo frammento prossimale con il rischio di

provocarne la dislocazione durante l’inserimento della vite in senso disto-

prossimale 59 . In questo caso viene quindi praticata una incisione di circa 2-

2,5 cm in corrispondenza del tubercolo di Lister in modo da creare un accesso

attraverso i tendini del III° e del IV° compartimento dorsale. La capsula della

articolazione radio-scafoidea viene quindi aperta a T e il polso viene

posizionato in flessione ed ed inclinazione radiale per mettere meglio in

evidenza la frattura 20 . Si procede quindi, con la frattura ben in evidenza, alla

osteosintesi mediante inserimento di un filo di Kirschner sul quale viene fatta

scorrere una vita di Herbert che, in questo caso, verrà avvitata in senso

prossimo-distale. A questo punto la vite viene affondata fino a che,

osservando direttamente il campo operatorio, essa non vada a sparire al di

sotto della cartilagine articolare; tale precauzione è fondamentale per evitare

che la testa della vite sia causa di un impingement con la fossetta scafoidea

(47)

del radio innescando la degenerazione artrosica radio-scafoidea secondaria. È importante sottolineare come la scomparsa della vite al di sotto della cartilagine articolare debba essere valutata direttamente sul campo operatorio e non tramite le immagini proiettate sull'amplificatore di brillanza dal momento che questo strumento tende spesso a sovrastimare la sporgenza della vite stessa visto che non permette di apprezzare lo spessore della stessa cartilagine.

Anche in questo caso, ad intervento concluso, si prescrive una

immobilizzazione in stecca gessata corta con la prima MF inclusa per circa 30

giorni.

(48)

1.3.4 Complicanze

Le principali complicanze delle fratture di scafoide sono due: la necrosi ischemica e i difetti di consolidazione (pseudoartrosi). Tali complicanze sono peraltro frequenti a causa di particolari fattori predisponenti nella anatomia e nella vascolarizzazione dello scafoide oltre che una serie di problematiche che tipicamente si presentano nel trattamento delle sue fratture. Tra i fattori anatomici che predispongono allo sviluppo di queste complicanze abbiamo soprattutto la peculiare vascolarizzazione di quest’osso oltre che la intrinseca instabilità delle sue fratture (visto che sul suo polo prossimale e distale agiscono forze tra di loro contrapposte); le più frequenti problematiche relative alla gestione di queste fratture sono invece la diagnosi tardiva e il trattamento inadeguato (ad esempio una immobilizzazione troppo breve).

[1.3.4.1] Necrosi ischemica di scafoide (AVN)

La necrosi ischemica dello scafoide – come accennato in precedenza – è una delle due principali complicanze delle sue fratture. Secondo Steinmann et Al.

(2006) 3 , tale complicanza si sviluppa in una percentuale compresa tra il 13 e

50% delle fratture, con una incidenza significativamente maggiore in quelle

fratture che coinvolgono il polo prossimale a causa della sua peculiare

modalità di vascolarizzazione.

(49)

La vascolarizzazione dello scafoide avviene infatti prevalentemente a livello della sua porzione distale visto che la porzione prossimale, quasi interamente rivestita dalla cartilagine articolare, non può essere interrotta per lasciar passare i vasi 60 . Tale supporto vascolare viene fornito essenzialmente da rami della arteria radiale che penetrano all’interno dell’osso soprattutto dalla sua sua superficie dorsale ma in parte anche dalla superficie palmare. A fronte di una vascolarizzazione con queste caratteristiche, possiamo quindi capire come la porzione prossimale dell’osso sia costretta a ricevere una vascolarizzazione principalmente di tipo retrogrado ovvero tramite la diffusione del sangue che affluisce a livello del polo distale.

Detto questo possiamo anche comprendere il motivo per il quale la necrosi ischemica si sviluppa quasi esclusivamente a livello del polo prossimale e, in particolare, in modo tanto più frequente quanto più prossimale risulti la rima di frattura.

Vascolarizzazione dello

scafoide da parte della

arteria radiale: veduta

volare e dorsale.

(50)

La storia naturale della ischemia dello scafoide è variabile e dipende principalmente dalla stabilità della frattura. Nel caso in cui la frattura sia stabile (sia spontaneamente che anche dopo osteosintesi chirurgica) si può sperare nel suo consolidamento e quindi nel recupero del frammento ischemico. Nel caso in cui i frammenti di frattura siano invece instabili (come accade tipicamente nella maggior parte delle forme di pseudoartrosi) la ischemia del polo prossimale esita invariabilmente nella necrosi e nel riassorbimento del tessuto osseo coinvolto. Con queste premesse possiamo quindi comprendere come nel trattamento delle fratture del polo prossimale sia fondamentale raggiungere osteosintesi stabile perché solo in questo modo sarà possibile mantenere la vitalità del tessuto osseo coinvolto e ridurre al minimo la probabilità di svilupparne una necrosi avascolare.

Un problema ancora irrisolto nella pratica chirurgica è tuttavia quello rappresentato dalla diagnosi della necrosi ischemica del polo prossimale considerando che ancora non è stata definita la metodica ottimale per ottenerla con sufficiente sensibilità e specificità. Secondo Cerezal et Al.

(2007) 61 la migliore metodica non-invasiva per eseguire questa diagnosi è

rappresentata dalla RM con mdc che possiede una accuratezza diagnostica

dell'83% contro il 68% della RM standard. Nonostante questo, gli studi di

Green et Al. (1985) 62 sembrano dimostrare come la diagnosi di certezza di

(51)

AVN possa essere ottenuta attualmente solo in fase intraoperatoria durante la preparazione del frammento prossimale dello scafoide; in particolare, è il suo sanguinamento puntiforme che indica chiaramente la presenza di tessuto osseo vitale sottostante.

[1.3.4.2] Pseudoartrosi di scafoide

Si definisce pseudoartrosi di scafoide la mancata consolidazione di una sua frattura a distanza di oltre 90 giorni (3 mesi) dall’evento traumatico che la ha provocata. Prima che siano trascorsi 3 mesi non possiamo invece parlare di pseudoartrosi ma solamente di ritardo di consolidazione. Questo rappresenta una eccezione rispetto a tutte le altre possibili fratture dell’apparato locomotore per le quali possiamo parlare di pseudoartrosi solamente dopo che siano trascorsi più di 6 mesi senza che ne sia avvenuta la consolidazione.

Epidemiologia e fattori di rischio

Secondo Cooney et Al. (1980) la pseudoartrosi complica il 15% del totale

delle fratture dello scafoide 63 . La incidenza nel sottogruppo delle fratture

scomposte e/o instabili calcolata da Eddeland et Al. (1975) è invece del

55% 64 .

(52)

I principali fattori di rischio per lo sviluppo della pseudoartrosi di scafoide sono rappresentati da: a) insufficiente vascolarizzazione dei frammenti; b) diagnosi tardiva della frattura; c) trattamento inadeguato della frattura; d) instabilità della frattura; e) scomposizione dei frammenti 65, 66 .

Storia naturale

Nonostante siano riportati in letteratura casi di consolidamento spontaneo delle pseudoartrosi di scafoide senza uno specifico trattamento, questo tipo di evoluzione è da considerare estremamente rara 67 . Esistono in effetti numerosi studi che dimostrano come, a distanza di 10 anni dalla diagnosi di pseudoartrosi di scafoide, la maggior parte dei pazienti sia ancora priva di consolidamento e quasi il 100% di essi presenti anche segni di una franca artrosi radiocarpica 4,68 .

La degenerazione artrosica del polso avviene nel momento in cui a livello del focolaio pseudoartrosico si comincia ad assistere ad un progressivo riassorbimento osseo in sede volare al quale segue la flessione dello scafoide.

Il riassorbimento dell’osso volare e la conseguente flessione dello scafoide

avvengono a causa del contrasto tra le forze applicate al polo distale e al polo

prossimale: mentre il frammento prossimale tende a rimanere nella sua

posizione originaria grazie alla salda connessione con il semilunare, il

frammento distale tende infatti a ruotare in flessione palmare a causa delle

(53)

sollecitazioni trasmesse dal trapezio che è collocato in posizione volare rispetto all’asse del polso 69 . La flessione dello scafoide determina quindi la perdita della sua funzione di “distanziatore carpale” e il conseguente arretramento del capitato. Tutto questo porta inevitabilmente ad una vera e propria “instabilità biomeccanica carpale” visto che l’arretramento del capitato rappresenta una spinta in flessione dorsale per il semilunare fino allo sviluppo di una deformità in DISI quando l’angolo scafo-lunato arriva a superare i 60° oppure l’angolo capito-lunato (o radio-lunato) oltrepassa i 15°.

E’ facile comprendere come una condizione del genere determini una profonda alterazione dei rapporti tra le varie ossa del carpo alla quale consegue una degenerazione artrosica secondaria delle articolazioni tra di esse comprese fino allo sviluppo della condizione di vero e proprio “polso SNAC”

(Scapho-Nonunion Advanced Collapse).

Metodo per la diagnosi dello sviluppo di una deformità in DISI o

(54)

La artrosi del polso – sia essa conseguenza di lesioni ossee o ligamentose - viene in genere classificata secondo i criteri di Watson in 4 stadi successivi 70 :

• Stadio I: artrosi della porzione radiale (processo stiloideo) della articolazione radio-scafoidea

• Stadio II: artrosi radio-scafoidea franca

• Stadio III: artrosi radio-scafoidea, capito-scafoidea e capito-lunata

• Stadio IV: artrosi pancarpale (il vero e proprio “polso SNAC”)

E' importante sottolineare la totale assenza di una correlazione tra il grado della artrosi del polso secondo Watson e la severità della sintomatologia clinica 4 ; esistono in effetti pazienti con minimi segni radiografici di artrosi che lamentano dolore cronico e significativa limitazione funzionale e al tempo stesso pazienti con una franca SNAC che possono risultare paucisintomatici o addirittura del tutto asintomatici.

Rappresentazione schematica degli stadi della artrosi del polso

secondo Watson.

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