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ACCESSO: TREDICI RACCONTI (ACCESS: THIRTEEN TALES)

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Academic year: 2021

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ACCESSO: TREDICI RACCONTI

(ACCESS: THIRTEEN TALES)

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LUCE PLUMBEA

Nel fine settimana Ida e Rand fecero il giro di tutte le attrazioni turistiche: da Gamla Stan, la città vecchia, per la storia, alla cena a mezz'aria al Gondolen, per una vista di Stoccolma dall'alto. Nel tardo pomeriggio una bevuta al T/Bar, dove dovevano assolutamente andare, a detta di tutti i colleghi di Rand. Sessanta

dollari per delle vodke che pago meno a New York? Andiamo via subito, aveva

detto. Forse, aveva suggerito Ida, i suoi colleghi si erano fatti un'idea sbagliata sul fatto che fosse Americano e facoltoso, e dovevano aver pensato che amasse l'eccentricità. Ebbene, in quel fine settimana, furono i portoni a suscitare i maggiori apprezzamenti da parte di entrambi: in ogni luogo visitato nella città i portoni erano grandi, di legno e massicci, e si mostravano solidi e impenetrabili.

Domenica sera, anche se erano passati un paio di mesi dall'ultima volta che si erano visti, Ida volle aspettare ancora un po' prima del sesso, fino a che il suo corpo sarebbe stato pronto a giacere nuovamente con lui. Rand, come sempre, fu comprensivo. Ciò che non gli disse fu come il suo corpo stesse cambiando, le pareti della vagina che si assottigliavano, a tal punto che al solo pensiero del sesso provava dolore.

La mattina si svegliò presto e trovò Rand già pronto e vestito. Colazione di lavoro, si scusò, baciandola, ma pranzo a mezzogiorno? La sua barba, che di solito non le piaceva, ora le sembrava sexy, un'impronta ispida sulla sua guancia. No, non aveva rimpianti; lo aveva detto alla sorella Gina, tempo prima del viaggio. Nonostante la mancanza di intimità, lei e Rand funzionavano.

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Si alzò con calma. Non dover essere in nessun luogo particolare prima di mezzogiorno era un lusso irresistibile. La frenesia da post-Ringraziamento e pre-natalizia, questo viaggio di una settimana, un inaspettato regalo per i cinquant'anni. Tutto aveva un tempismo perfetto. Quando Rand aveva chiamato una settimana prima per offrirle un biglietto gratuito in business class – le ore di volo di lui superavano persino quelle di lei - Ida aveva appena venduto al suo più grande cliente dell'anno due mila scatole di bacchette cinesi per il solstizio invernale ed era pronta a mettersi in gioco, che fu ciò che gli disse.

“Scatole di bacchette cinesi?”

“Per i loro set in madreperla. Il mio cliente è una banca di Shanghai e anziché regali di Natale, volevano qualcosa di cinese per i loro clienti. Così, abbiamo pensato al solstizio d'inverno.”

“Eh sì,” ma si era già accorta di aver perso la sua attenzione, come ogni volta che una conversazione non risultava particolarmente stimolante per la sua immaginazione. Cose cinesi, per esempio, o i suoi progetti di grafica design. Rand Hillman aveva cinquantacinque anni, divorziato da tempo, senza figli; un architetto che corteggiava musei e restauri storici, ma che si era guadagnato da vivere grazie ai progetti commerciali, collegando gli imprenditori e i loro soldi attraverso le nazioni. Ciò che più amava di Ida Ching era la sua indipendenza economica e che fosse la donna più calma e posata che conosceva, cosa che le ripeteva ogni volta che facevano l'amore. Erano stati una specie di coppia per quasi cinque anni e dopo il loro primo anno, Ida aveva insistito per rendere la cosa esclusiva, come lei l'aveva considerata fin dall'inizio, e lui aveva prontamente acconsentito.

Ida gli aveva chiesto: “A che ora è il volo?”

Le aveva risposto, aggiungendo: “Ci vediamo al bar?” “E dove sennò?”

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Conversazioni brevi, il privilegio degli innamorati. Si erano incontrati in uno dei bar della compagnia aerea Newark International poiché entrambi erano membri d'élite di qualunque cosa rendesse il viaggio esclusivo. Dopo la sua chiamata, si era sentita quasi romantica.

Ora, la coltre ancora scura del mattino le era di conforto, così come lo era ogni cosa di Rand ormai divenuta familiare. Alle nove si fece la doccia, e dopo la colazione e un caffè forte, iniziò la giornata con una mappa di Stoccolma dispiegata a farle da guida. C'era un caldo fuori stagione e, giunto mezzogiorno, aveva percorso a piedi un lungo cerchio per oltre due ore, tornando al centro della città e all'appartamento della compagnia dove erano alloggiati.

Nell'ufficio a fianco l'unico presente era Knut. Era norvegese, l'ultimo informatico arrivato, e quando Ida entrò non distolse lo sguardo dal computer. Pensò che fosse nervoso. “Pranzo cancellato,” dichiarò lui. Lo schermo emetteva dei flash che come luci colorate gli danzavano attorno al viso brufoloso. Il rumore di sottofondo era intermittente e acuto, come un colpo d'arma. “è cambiato il programma della settimana.”

“Come?”

“Volano ad Oslo nel pomeriggio.” “E dov'è Rand?”

Strizzò gli occhi, come se stesse cercando di ricordare. “Ti chiamerà più tardi. Per un pelo non vi siete incrociati.”

Erano solo le dodici e cinque minuti. Ida faticava a credere che Rand non avesse potuto aspettarla per dirglielo di persona. “Quando tornano?”

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Più tardi, nel pomeriggio, Rand ancora non aveva chiamato. Ida provò al suo cellulare, ma ogni volta il telefono suonava a vuoto e non veniva reindirizzata alla segreteria telefonica, come invece avrebbe dovuto. Controllò la sua casella di posta diverse volte, ma gli unici messaggi erano del suo cliente di Shanghai, che la ringraziava per l'ottimo lavoro, e di Gina che le ordinava di dimenticare il lavoro e di passare “una buona settimana di tu-sai-cosa.” Gina, a cinquantaquattro anni, era divorziata da tre anni e invidiava il sesso più o meno regolare della sorella, anche se Ida le diceva spesso che con Rand non era solo sesso, alché Gina rispondeva, con tutti gli uomini è così.

Avrebbe dovuto preoccuparsi? La maggior parte delle cose di Rand erano ancora nell'appartamento e tutto quello che si era preso era una borsa per la notte. Il suo portatile era sulla scrivania, il che voleva dire che non avrebbe dovuto stare via a lungo. Ma questa mancanza di contatto non era da lui. La cosa che Ida amava di più di Rand era che manteneva sempre un contatto, seppur in modo fugace.

Saltò il pranzo e aspettò all'incirca fino alle otto prima di avventurarsi fuori alla ricerca di cibo e bevande. La sua mappa fornita di guida riportava nelle vicinanze Ander's Kök che si rivelò più lontano di quanto s'aspettasse, su per la collina, lontano dalla via principale. Era piccolo e affollato, ma trovò uno sgabello libero e si sistemò, contenta di aver trovato il tipo di posto che piaceva a loro: alla moda, ma non esagerato, abbastanza costoso da considerarsi di qualità, ma non oltraggioso, cucina locale con uno spirito globale. Subito dopo aver ordinato un Cabernet, il suo cellulare squillò. Apparve il numero di Rand.

Si ripiegò su un lato, sporgendosi in avanti, e si coprì l'orecchio sinistro. Il gomito destro appoggiato sul bancone. “Ehi straniero,” disse. Nessuna risposta. “Rand, non ti sento.” Rand?” Ancora nessuna risposta.

“Non prende la linea?”

La voce maschile, proprio al di sopra della sua testa, era profonda, e a Ida ci volle un po' per registrare la domanda. Era seduto accanto a lei, sembrava oltre i trenta o sui quaranta, ed era l'unico uomo nel locale a indossare un cardigan.

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“A volte capita,” continuò. “Soprattutto qui dentro. C'è qualcosa che isola il segnale.”

Sembrava svedese - spalle larghe, biondo, atletico - ma il suo vago accento europeo non era scandinavo. Non riusciva a collocare i toni curiosamente sbilanciati. “È un cliente abituale?” domandò.

“Quando vengo a Stoccolma.” I suoi occhi azzurri erano provocanti.

Riportò l'attenzione dallo sguardo di lui al menù. “Dunque che c'è di buono qui?”

“È tutto delizioso.”

Una traccia di francese nell'accento, e stava bevendo qualcosa che sembrava whisky. Tutti gli altri al bancone stavano bevendo vino. Ordinò una bistecca, perché era la cosa meno complicata, e si rivolse di nuovo a lui, cercando di decidere quanto spazio gli avrebbe concesso per conversare. Spense il cellulare e lo fece scivolare dentro la borsa.

“Così tu sei la puttana di Rand,” disse. Lo fissò scioccata.

Le sue parole si trascinavano e l'accento era svanito. “Mi ha parlato di te.” Si rese conto che era ubriaco. Il barista gli disse qualcosa in svedese e lui sorrise, lasciò qualche banconota sul bancone e si diresse fuori con passo incerto.

“Il prossimo bicchiere di vino è offerto dalla casa,” disse il barista, “per scusarci del nostro amico.” Fece un cenno allo sgabello vuoto. “Rolf è innocuo, ma gli piace dar fastidio alle nostre clienti. Sfortunatamente è il fratello del proprietario.”

“Mi ha colto di sorpresa,” ammise. “Non ci pensi più.”

Ma ovviamente, tornò a pensarci. Fino all'arrivo della bistecca. Era perfetta, e bevve altri due bicchieri del rosso d'Argentina. Il suo cellulare non squillò più quella notte.

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La mattina seguente, il suo corpo si risvegliò in preda a un formicolio, le punte dei capezzoli inspiegabilmente sensibili, tutto di lei scosso da un'asciutta avidità rabbiosa. Si sedette rapidamente e si sentì come se stesse spingendo via un uomo - non Rand, questo corpo era più pesante, più muscoloso - e si accorse all'istante che il vino e Rolf, avevano invaso il suo sonno. Nel suo stato di dormi-veglia aprì le pesanti tende di broccato. La luce del sole filtrò attraverso il cielo grigio annuvolato. Era tardi, le dieci passate.

Dov'era Rand? Staccò il telefono dal caricatore e ricompose il numero. Ancora, suonava a vuoto.

I raggi del sole stuzzicavano il cielo, trapassando dentro e fuori il grigio nuvoloso. Una luce plumbea. Brillava, spariva, brillava di nuovo. Cinque piani giù da basso la mattinata era in trambusto. Chiamò l'ufficio, ma ne ricavò solo una voce registrata in svedese, incomprensibile, e riattaccò prima che il messaggio terminasse.

Venticinque anni prima, quando Ida viveva ancora a Hong Kong, durante un viaggio di lavoro a Bangkok aveva conosciuto un uomo. Avevano fatto sesso per ore nella sua camera d'hotel e la mattina dopo aveva notato che lui aveva dimenticato il suo maglione, un cardigan di cotone fine, e ora gli tornava in mente quell'uomo, che doveva essere stato svedese e che somigliava un pochino a Rolf.

Per il viaggiatore costante arriva un punto durante il viaggio in cui l'idea di ordine diventa irrilevante. Nella doccia Ida si domandava se Rand se ne fosse andato per sempre, se ora fosse bloccata a Stoccolma, straniera in una terra dove nulla era reale. Avrebbe dovuto essere preoccupata e stava per chiamare Gina; sua sorella avrebbe insistito perché si mettesse in contatto con la polizia o l'ambasciata americana. Ma Gina non era mai stata lontana dalla casa di Hong Kong per lunghi periodi, dove entrambe le sorelle erano cresciute, tranne che per le gite occasionali oltre la frontiera di Shenzhen, perché lì le massaggiatrici e le sarte si pagavano meno della metà che a casa. L'unica volta che Gina visitò Ida a New York si era lamentata che il taxi non avesse l'aria condizionata.

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Inoltre Gina era stata sposata allo stesso uomo per quasi trent'anni e lo sarebbe ancora stata se non l'avesse lasciata per l'onnipresente donna cinese più giovane. Aveva tre bambini, tutti grandi.

Sentì bussare forte alla porta. Ida chiuse la doccia, urlò “un momento” e afferrò una sottoveste. Knut si sporgeva in avanti in maniera impacciata, con aria cupa. La grossa porta in legno dell'ufficio appena aperta. “La SIM di Rand è morta,” disse. “Chiamerà quando ne avrà presa un'altra.” Si voltò per tornare in ufficio.

“Aspetti.” disse Ida. “Quando torna?”

“Non lo so.” La porta si richiuse di colpo dietro di lui.

Il tempo era ancora troppo caldo per essere dicembre e nelle strade la gente rimuoveva strati di piumini o poliestere, mettendo allo scoperto i propri corpi prima che l'inverno infine li forzasse a nasconderli. Quel giorno, ovunque andasse, uomini che assomigliavano a Rolf o all'uomo di Bangkok - non era sicura quale dei due - sembravano fissarla. Quel giorno, il suo corpo voleva Rand. Rand era alto, magro, capelli scuri, naso lungo come quello della madre tedesca e la pelle pallida come quella del padre inglese. Viveva a Burlington, Vermont, e volava in Europa e nel Medio Oriente per affari qualcosa come quaranta volte all'anno, a volte di più. Capitava che quando facevano l'amore Ida provasse il desiderio di sacrificare tutta la sua vita per lui. I loro incontri erano brevi e imprevedibili, poiché gli affari di Ida la portavano a Hong Kong e in Cina circa sei volte all'anno ed era spesso via per tre settimane o più. Questa settimana sarebbe stato il periodo più lungo trascorso insieme.

Il suo cellulare fece un bip per segnalare un messaggio non appena entrò nel museo di arte moderna. Scusa, scrisse Rand, ma barbecue per cena comple,

divertiti. Questo accadeva giovedì. Sarebbero ripartiti sabato. Questa settimana si

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Insolito da parte sua, era sull'orlo dell'isteria. Attorno a lei Stoccolma si accalcava: alunni coi loro insegnanti, gruppi di turisti, compratori di Natale. Un lungo corridoio illuminato a giorno sulla sua sinistra portava alle opere. Ida si muoveva lentamente, ondeggiante, i suoi occhi ancora sul messaggio, e si scontrò con un uomo. L'urto la fece tornare d'improvviso in sé e si scusò, imbarazzata. La mano di lui la rassicurò toccandole il braccio, “nessun problema, davvero,” la sua voce un sorriso. Colta di sorpresa da un altro Rolf di Bangkok, si affrettò sulla destra e finì nel negozio del museo.

Non avrebbe, certo che no, non avrebbe vagato per una città straniera con l'intenzione di scopare. Non lei. Intelligente, indipendente, altamente professionale, il mondo nelle sue mani, non più arrabbiata, veramente. Aveva una relazione delicata con un uomo desiderato, il sogno di tutte quelle donne tristi e sole che scrivevano annunci personali ottimisticamente romantici o spinti, una cosa che Ida non aveva mai fatto. Concentrata. Il qui e ora del giorno quest'oggi era solido, incrollabile. Il corpo sarebbe stato domato.

A Bangkok quella notte del '79 Ida si era accesa di energia nervosa. Già il viaggio era stato un disastro; il team era giunto a destinazione per scoprire che l'incontro era stato cancellato, la seconda volta che la sua agenzia associata operava a quel modo. Una notte libera a Bangkok, poiché erano atterrati troppo tardi per un volo in uscita la sera stessa. Gli uomini erano felici e le loro intenzioni erano ovvie, specialmente quelle degli uomini sposati. Si congedò per restare sola quella notte a Bangkok, incapace di passare un'altra serata coi ragazzi. Era, ancora una volta, l'unica donna con il team creativo, proprio come di solito era l'unica donna a non servire tè o a fare trascrizioni durante gli incontri in altre città dell'Asia dove viaggiava regolarmente per lavoro. “Ghiaccio Piombo” Ching l'avevano soprannominata affettuosamente i suoi colleghi. Fredda. Intoccabile. Linda.

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Dopo cena, risentendo della solitudine auto inflittasi, si era diretta al bar dell'hotel. Era una discoteca, non affollata, e un uomo malesiano le aveva chiesto di ballare. Accettò, gli occhi di tutti i farangs, gaijins, gweilos su di lei. Gli uomini occidentali la fissavano, più incuriositi che predatori, perché sapevano che non era una prostituta. Ida era ambiziosa, ma arrabbiata. Il business dell'Asia era svolto in un mondo di uomini, il che significava hostess, bariste, prostitute di fronte alle quali aveva scelto di essere cieca, mentre gli uomini, il suo capo in particolare, accumulavano spese sui conti. La sua ricompensa erano trattamenti viso e manicure a carico della compagnia, così che il suo resoconto di spese di viaggio non sarebbe stato troppo fuori linea con quello degli altri. E ricevere incarichi ambiti, di quelli che offrivano opportunità e la libertà che le altre donne sognavano, il prezzo del silenzio.

La musica aveva rallentato e aveva rifiutato la danza successiva. Il malese l'aveva guardata deluso. A Ida non piaceva particolarmente ballare, ma l'hotel non aveva piscina e le strade erano troppo affollate per correre nella notte. Aveva bisogno di qualcosa per tirarsi su e il whisky era un misero rimpiazzo. Precedentemente quella settimana aveva anche rifiutato una proposta di matrimonio - da parte di un facoltoso uomo di Hong Kong, proprietario di una galleria d'arte - e ora non aveva più un fidanzato. Gina le aveva dato della pazza. Ida non aveva pensato di essere pazza a non volersi sposare, almeno non in Asia. I suoi genitori volevano dei nipoti e una figlia che sacrificasse se stessa alla loro senilità, il prezzo della scalata sociale con la giusta famiglia cinese.

Era comunque da matti starsene seduti lì, in quel bar dell'hotel, da soli. Ma una notte fuori in città - calda e rancida, con fumi esausti, e la vicinanza di troppi corpi sui tuk-tuk e sulle motociclette - la disgustava. Allora, non le piaceva essere

lei - l'invidia degli amici, specialmente delle sue compagne americane di

università, la maggior parte delle quali erano o sposate o volevano esserlo, da quando l'economia degli Stati Uniti era ancora in recessione.

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Lo svedese si sedette accanto a lei. Era troppo muscoloso e sicuro di sé per essere attraente. Il suo ormai ex-ragazzo era sottile e un po' distratto, come Rand.

Cos'era stato quello svedese? Ora non importava. Attorno a lei ora, Europei e altri turisti esaminavano astucci di plastica per matite, calendari, ciondoli, tutti gli artefatti costosi del Moderna Museet che dicevano souvenir, ricordo. Ida prendeva in mano gli oggetti distrattamente, pensando di comprare un regalo a Gina, idealmente qualcosa di piccolo, facile da infilare in valigia. Due bambini si lanciavano l'un l'altro una luce bianca in una busta di plastica, strillando, mentre correvano intorno per il negozio, fino a quando il padre afferrò la cosa a mezz'aria e disse stop. Lanciò l'oggetto in un grosso cestino quadrato per i rifiuti.

Incuriosita, Ida controllò il cestino e raccolse una palla di neve in una busta di plastica. La strizzò, e il rumore che ne risultò fu quello di una vera palla di neve staccata da un grosso cumulo in qualche posto tipo il Vermont, modellata dalle mani inguantate di un bambino. Intossicata dalla sensazione, la strizzò di nuovo. La sua prima nevicata, Connecticut, matricole all'università, Gina che la scuoteva per svegliarla, gridando, Ehi mettiti il cappotto stiamo andando fuori e la sorella maggiore che le lanciava addosso una palla dopo l'altra, ridendo, mentre attorno a loro i cumuli crescevano. Da quel momento aveva realizzato, questo decisamente

non era Hong Kong, e che finalmente aveva davvero lasciato casa.

Cos'era quella cosa? Non poté resistere a strizzarla una terza volta. L'etichetta diceva Finlandia. Il cestino era strapieno di quelle palle di neve imbustate. Un voglia insana di raccoglierne un bel mucchio e strizzarle una a una quando cadevano. Dopo tutto, questa era la terra delle regine di ghiaccio e delle fanciulle di neve, anche se l'inverno era in ritardo. Dov'era – e lei sapeva che non era Rand – quella persona con cui giocare, ridere con una palla di neve finlandese imbustata, in vendita a Stoccolma per Natale? Ne comprò due – una per il figlio del collega di Hong Kong, che aveva cinque anni e non aveva mai visto la neve, e una per Gina, la cui risata risuonava attraverso lo spazio.

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Fuori, le nuvole si erano diramate e un raggio divino luccicava sulla superficie dell'acqua. Il sole era ancora nascosto e abbastanza rapidamente tornò l'oscurità. Erano solo le tre. Ida pensò di tornare al museo, dato che ancora non aveva visto le opere d'arte. Qual era il vero motivo per cui era lì? Una rete sociale e di lavoro la teneva impegnata a New York, Hong Kong e Shanghai. Quanto significava stare con Rand se non le era mai vicino? E onestamente, vivrebbe mai a Burlington, nel Vermont, ammesso che glielo avrebbe chiesto?

Aveva bisogno di camminare, per assorbire il buio gelido, per dissipare le energie, per toccare l'apice di quel malumore. In un attimo, c'erano Rolf di Bangkok dappertutto, che la superavano, la seguivano, la guardavano. La puttana

di Rand. Basta, si disse a se stessa. Di ubriachi ne è pieno il mondo, te la fanno

solo se li stai ad ascoltare.

Invece, Rand: Stoccolma è stupenda. Una promessa di bellezza, per convincerla ad accompagnarlo in questo viaggio improvviso. Aveva ragione, offriva linee nitide e pulite di edifici antichi e contemporanei, assemblati in maniera piacevole su un gruppo di isolette, il tutto in un'atmosfera salutare e di aria buona. Tirò fuori la mappa - aprire, dispiegare, scoprire, leggere attraverso la copertina - e balzò all'ultima sezione, F, Söderman, il quartiere che Rand aveva detto di non conoscere bene. Quella era la Boemia della città e Ida pensò a ciò che una volta era l'East Village, quando tutta la vita era un parlare di arte e design, su troppe tazze di caffè e vino di scarsa qualità, come se quella fosse la cosa più importante. La “passeggiata attraverso i lotti di terreno”, diceva la guida, dove gli appezzamenti di una volta erano stati dati ai poveri per coltivare verdure. La promessa di un sentiero pedonale nel verde accanto all'acqua era invitante e, nonostante la luce che andava riducendosi, si mise in marcia, confidando nelle mappe e nel suo istinto di viaggiatrice esperta. La voce di Gina: non è pericoloso

non hai paura, perché se ne andava a spasso per tutta Parigi, Seoul, Kuala

Lumpur, Memphis, Salonicco, Kolkata, nelle sue avventure fuori mano, a volte usando come mappa poco più che una guida dell'hotel stampata su un volantino. Chiedeva ora al suo istinto di procedere, di muoversi costantemente in qualche

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direzione, come se ogni posto nuovo dovesse rendere il miracolo di una prima nevicata in Connecticut.

Una fermata T-bana era lì vicino, anche se, arrivata alla stazione Skanstull, vide che avrebbe potuto andare a piedi. Non fu subito chiaro in che direzione andare e per un po' gironzolò fino a quando non vide un cartello come punto di riferimento, un impronunciabile badet, e rivolto verso il basso. Accelerò il passo, certa ora di trovarsi sul sentiero giusto. Il Rolf di Bangkok era sempre lì. Lo ignorò, lo spinse via. La strada era più lunga di quello che aveva immaginato, ma poteva vedere l'acqua in lontananza. Presto raggiunse la riva. Scese il tramonto. Le parole scherzose di Rand: l'ora dei vampiri. Un brivido e indossò la giacca di pelle, allacciando il primo bottone, rammaricandosi di non essersi messa il cappotto lungo. Camminò lungo il sentiero lastricato, reso spettrale dal silenzio, questa oscurità corrotta, ancora troppo agli inizi per i vampiri, anche se non le sarebbe dispiaciuto un gufo che chiurlasse. Sicuramente la realtà superava la finzione, importava di più il reale dell'irreale? Accelerò il passo, a mala pena scorgeva i lotti di terreno lungo la riva dell'acqua, sperando da una parte che qualcuno le venisse incontro, dall'altra che potesse procedere diritta da sola.

Il sesso con lo svedese era stato violento, atletico, ginnico contro le pareti, sopra il bancone, sul pavimento, spaziando tra le posizioni del Kama Sutra in un decathlon yogico. Le aveva spazzato via tutta la rabbia fino a quando collassarono, ridendo. Il dopo sesso fu civile, cortese, uno scambio di biglietti da visita senza numeri personali, con la consapevolezza che non avrebbero mai più avuto bisogno di rivedersi. Eminentemente da dimenticare, fino a quel momento. Non aveva niente a che vedere col sesso che faceva con l'uomo che, secondo Gina, avrebbe dovuto sposare, o con Rand.

Camminava più veloce, quasi correva, mentre il desiderio, o qualcosa di simile, si scontrava con il freddo. Nel suo lontano mondo di Bangkok, il desiderio era tutto. Se fossi riuscito a infilarti nel bisogno inespresso, a scovarlo con una promessa, la tua campagna pubblicitaria avrebbe influenzato la gente e persino vinto dei premi, cosa che molte delle sue ottennero. False promesse, creare un

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bisogno laddove prima non esisteva. Fu il motivo per cui infine impacchettò i suoi rifornimenti artistici e se n'andò, scegliendo la semplicità del design alla più grande finzione del desiderio. Ne aveva avuto abbastanza di quel mondo, troppo incasinato, un doppio strato di gelato al frutto della passione quando la vaniglia era tutto ciò che voleva. Design voleva dire linee pulite, forme funzionali, rendere l'immagine reale. Nel suo mondo attorno a Bangkok lei occupava una posizione stabile e persino invidiabile da cui avrebbe potuto raggiungere il cielo, fino a quando sarebbe stata impermeabile alla maniera asiatica di fare affari, di essere donna, di vivere la vita. Ghiaccio Piombo, gelida nonostante il calore, un'anomalia sotto il sole tropicale e subtropicale.

E poi, così rapidamente che a mala pena riusciva a prendere fiato, eccola là, superati i cinquanta da qualche giorno, un'imprenditrice indipendente con un piccolo business stanziato a New York, con una sorella, due nipotine, un nipote, un'estesa famiglia assortita attorno al globo, un amante stabile anche se occasionale. Jogging a Stoccolma. Ripensando a uno svedese da dimenticare.

A chi dovrebbe raccontare la propria vita? A Rand?

La voce di Rand: Il design riguarda la bellezza. Rand non si occupava più di design, delegando quel privilegio al suo staff di talentuosi giovani architetti, occupandosi piuttosto di gestire la società. Quando Rand provava desiderio, lo rivolgeva a fotografie e immagini mozzafiato, la silhouette del grattacielo Flatiron contro la luce fredda della quasi alba di Manhattan. I suoi occhi ardevano e lei sapeva che il suo piacere aumentava quando la vedeva indossare dei colori belli o degli oggetti belli, un bel taglio di capelli, un gioiello e i suoi regali – era generoso nell'assenza – erano sempre perfetti. Gli edifici ti parlano se glielo

permetti, diceva, e anche lei lo sentiva mentre con gli occhi divoravano i profili

delle città. Ma le loro voci, come quella di lui, riecheggiavano solo nella memoria, non le si aggrappavano alle viscere né suscitavano le profondità del desiderio. La bellezza era salva. La verità ti veniva incontro, ficcando il suo brutto naso laddove non apparteneva.

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Zia, cos'è una puttana? La sua nipotina più giovane, una volta, aveva

origliato i loro pettegolezzi e Ida e Gina erano scoppiate a ridere, ma tutto ciò era indietro nel tempo, quando c'era un cognato e una famiglia più felice.

Il percorso era più lungo di ciò che si era aspettata dalla mappa e ancora vuoto e nell'oscurità cominciò ad aver paura. Non del buio, come diceva a se stessa, anche se avvertiva una leggera apprensione. Era l'assenza di realtà. C'era il suo cellulare, ma quanto c'era di reale se non poteva richiamare il codice internazionale per la Svezia? All'improvviso si rese conto del codice di cui aveva bisogno per chiamare chiunque lì. Gli alberi si stagliavano minacciosi al di sopra di questa favola gotica mentre tutti i troll e le creature mitiche le danzavano dinanzi agli occhi. Tuttavia niente vampiri. Non era lo stato giusto, sicuro. Ma un lupo o un Loki avrebbero potuto fare la loro comparsa e spingerla verso qualche foresta nordica dove si sarebbe persa per sempre. Rand non conosceva Söderman, nonostante la sua familiarità con Stoccolma. Se si fosse fermata e fosse uscita dal percorso fin dentro al fiume, nessuno l'avrebbe trovata per giorni.

Basta con queste cose macabre, si disse. Queste storie che si raccontavano ai bambini non avevano niente a che fare con lei, ormai cinquantenne, la sua vagina che si asciugava mentre faceva jogging. Rand era comprensivo, un uomo di questa era moderna post-femminista, post-psicologica, post-mortem, che non si dilungava troppo in cagate emotive. Alcune porte rimanevano chiuse.

Il cellulare fece bip. Il messaggio diceva, ehi, torno stas;). Si fermò, gli rispose per chiedergli a che ora. 8, scrisse, mettiti alba, ok? E lei sapeva che Rand aveva in mente di fare sesso. Alba era il vestito grigio con la sciarpa arancione pallido, quello che scivolava via facilmente la notte in cui disse, Noi due stiamo

bene insieme, io e te, o no. Non era stata una domanda. Questi inaspettati

cambiamenti di programma erano tipici del lavoro di Rand, della vita di Rand. Almeno, aveva fatto lo sforzo di tornare, così avrebbero potuto passare la settimana insieme, come pianificato. Alzò le spalle, va bene, e la sua risposta la stupì: grazie x per la pazienza.

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Quanto era lungo questo percorso? Erano le quattro e trenta e il buio era sceso completamente. Il fiume scorreva in modo regolare, niente ondate o fragori, niente profondità apatiche e torbide. Il Rolf di Bangkok l'aveva sorpresa con la sua galanteria. Non ti ho fatto male, vero? Le aveva chiesto e anche se sentiva un po' di dolore – come non avrebbe potuto dopo tutte quelle insolite acrobazie – aveva fatto cenno di no con la testa, aveva sorriso, aveva detto di no e lo aveva ringraziato per averglielo chiesto. Si erano comportati in modo civile, proprio come lei e Rand rimanevano sempre civili nelle loro passioni. Funzionava meglio a quel modo. C'erano stati alcuni uomini occasionali dopo il Rolf di Bangkok, non molti, e quelli erano già bell'e dimenticati. Si era frequentata con un altro paio di uomini, uno in maniera abbastanza seria per un po', ma poi il lavoro aveva preso il sopravvento, la vita a New York era piacevolmente sociale e impegnata, poi morirono i suoi genitori, uno dopo l'altro, poi incontrò Rand, poi sua sorella divorziò e quella disperazione per un po' perpetuò monotona. Era una vita come tante altre, alcuni momenti più dolorosi di altri, e Rand era nel continuum che non infrangeva le aspettative.

Affrettò il passo, consapevole dell'ora, la realtà di un programma stranamente calmante. Il corpo era una cosa meravigliosa e il sesso era doloroso solo se dicevi che lo era. Altrimenti, il disagio passava e potevi andare oltre. L'ultima volta che vide il suo ginecologo le disse che avrebbe potuto considerare l'idea di una crema topica agli estrogeni. Allora, la secchezza non era così acuta.

Un campanello alle sue spalle la fece trasalire. Salve, disse la ciclista, mentre superava Ida pedalando. Di fronte a lei, una coppia stava camminando lungo il percorso, e li fermò per chiedere quanto mancasse alla stazione successiva. Venti minuti, disse lui, mezzora, disse lei, e poi si guardarono l'un l'altro e scoppiarono a ridere. Ida si sentì arrossire le guance mentre camminava svelta, con determinazione. I brividi erano passati e l'aria era rinvigorente mentre i suoi arti si risvegliavano al movimento costante. I terreni che si lasciava indietro non erano in fiore, ma ovunque guardasse, vedeva segnali di vita in una stagione diversa. Le barche legate. I mobili coperti, fuori dalle abitazioni.

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Quelle piccole case in fila sulla riva, come posti di guardia che delimitavano il sentiero storico di sostegno per i poveri, quel sentiero che fu una tregua per la città, una deviazione verde per anime logorate. I minuti ticchettavano mentre avanzava lungo la via. La Civiltà dinanzi, presto.

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ACCESSO

Si trattava di un semplice conto di risparmio con accesso a internet, senza fogli e carte varie. Elna lo aprì con il suo rimborso fiscale da millecinquecento dollari. L'avviso pubblicitario della banca offriva tassi di interesse estremamente vantaggiosi. Tutto ciò accadeva a inizio estate, prima che colassero a picco gli interessi, dopo la scomparsa delle torri in autunno

Fece il suo ingresso la prima comunicazione della banca, ELNA, LA

RINGRAZIAMO PER AVERCI SCELTO. NON RIMARRÀ DELUSA. La

confezione conteneva un CD-ROM per l'installazione guidata del software. Eccoli lì, 1.500 dollari, più un bonus di 20 dollari per l'apertura del conto e gli estratti che poteva visualizzare online. Era come quel posto segreto di cui solo lei era a conoscenza, da non condividere né con Mamma, né con nessun altro.

Elna era “tornata a casa” da quando la madre Hélene, settant'anni, era caduta e soffriva di capogiri. Una sistemazione temporanea, aveva rassicurato Stan, suo marito, fino a quando non avrebbe trovato un'assistenza a tempo pieno per Mamma, e, inoltre, vivevano giusto nella città vicina, a venti minuti, quindi non era un vero trasloco. Hélene si era rimessa, ma il tempo passava e non spuntava fuori nessun assistente. Elna rientrava comunque a casa tutti i giorni alle dodici per preparare il pranzo a Stan, che faceva il turno di notte alla Federal Express, e a volte, al pomeriggio, facevano l'amore. Ora, due mesi dopo il “trasferimento”, come l'aveva soprannominato la famiglia, Hélene si era abituata alla presenza della figlia.

Quando avevano discusso della situazione una settimana prima, Stan aveva detto: “Ci stiamo perdendo l'estate. Fa' venire tua cognata ad aiutarti. Si potrebbe prendere una pausa da quegli stupidi romanzi di serie B che si legge sempre.”

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Elna increspò la fronte e le labbra. “Devo intervistare un'altra signora la prossima settimana. Sembra promettente.”

Stan aveva allungato il collo all'indietro, una dichiarazione di scontento. “Myrna non ha nient'altro di meglio da fare se non forse pagare la signora delle pulizie o decidere cosa mettersi per cena, quando non devono uscire. Tu hai un lavoro vero.”

“Va bene, le parlerò.”

Ma sapevano entrambi che non lo avrebbe fatto.

Nell'ultimo anno Elna aveva accresciuto la sua attività lavorativa realizzando curricula; ciò era un di più per i clienti che si rivolgevano a lei per volantini, brochure e altre produzioni grafiche basilari. Niente di stravagante diceva loro e quelli tornavano perché garantiva tempi rapidi e costi accessibili. La sua attività da casa durava da poco più che un paio d'anni. Aveva puntato su una nuova vita, ritrovandosi disoccupata, dopo che la società per cui aveva lavorato per dieci anni - una media impresa di gestione costruzioni di cui era stata il capoufficio – aveva cessato l'attività.

In quei giorni dedicava le mattine a pulire la casa di Mamma e a prepararle il pranzo e la cena, di modo che Hélene doveva solo preoccuparsi di infilare nel microonde le pietanze incartate. Svolgeva il suo lavoro fra le tre e trenta e le dieci, una volta uscito Stan per andare al lavoro e prima che Mamma si coricasse alle undici. Spesso Hélene la chiamava di prima mattina, alle sei o alle sette, per qualche sua crisi immaginaria. Il fratello di Elna, Matt, viveva a due isolati, ma non era mai capitato che la madre chiamasse la nuora. Myrna, insisteva Hélene, era praticamente una sposina, essendosi sposata solo da due anni, e aveva già troppe obbligazioni sociali che erano assolutamente, positivamente vitali per la carriera di Matt, e la sua bellezza richiedeva ore di sonno.

La prima volta che Elna ebbe un problema con il numero PIN del suo account si piantò il sistema. Aveva affittato un portatile così da poter lavorare da casa di Mamma. Hélene la guardava con sospetto mentre inseriva la presa nella linea

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telefonica. Borbottando qualcosa sulle correnti elettriche che vanno in tilt, se ne tornò a fare zapping tra i canali della TV. Hélene non aveva mai toccato nemmeno una macchina da scrivere.

“Non mi è piaciuta quella là,” dichiarò, intendendo la signora messicana che era venuta per un colloquio durante la mattina.

Elna le rispose: “Non sembrava male,” ma era occupata a riavviare il computer.

“Sembrava... senza cultura.”

“Era soltanto il suo accento.” Elna sapeva che la signora andava bene, così come molte altre – questa, fra tutte la migliore, in regola e un' infermiera vera. Una volta avrebbe accusato Mamma di avere dei pregiudizi. Anche l'inglese di Hélene, seppur acculturata, aveva un accento. Il padre di Elna, Americano-portoghese, era stato un banchiere in pensione, ancora pieno di vita a cinquantasei anni, quando incontrò e sposò la madre di Elna, una Cinese-libanese che veniva dalla Francia. Hélene era giunta a New York poco più che trentenne in veste di “modella vivente” e ben presto aveva scoperto che non avrebbe avuto la statura che vantava a Parigi. Il matrimonio, d'altro canto, le assicurò un'immigrazione agevolata e uno stato privilegiato di vedova negli ultimi otto anni.

Quando Elna aveva portato Stan a casa sette anni fa, lei aveva ventotto anni e lui trentaquattro.

“Il turno di notte,” aveva detto sua madre in seguito. “Perché accidenti lo fa?” “Libertà alla luce del giorno,” le aveva risposto. Due anni dopo erano sposati, una volta acconsentito a non avere bambini, questione su cui Stan era irremovibile, dato che proprio la sua infanzia era stata violata. Ad Elna non era importato, anche se poi aveva pensato che Stan fosse eccessivamente cauto, visto che sembrava del tutto fuori discussione che potesse essere un padre violento; ma poi, quando lo si era detto a Mamma per la prima volta e lei aveva risposto con aria indifferente, alzando le spalle, que será, chi può saperlo per certo?, Stan aveva commentato che Hélene non avrebbe voluto diventare nonna perché l'avrebbe costretta a diventare un'adulta.

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La maternità per Hélene era stata poco più che un prolungamento dell'adolescenza.

Elna eseguì l'accesso in rete e tentò, di nuovo, di vedere il suo conto. Dopo due tentativi falliti, sullo schermo risuonò l'avviso allarmante ACCESSO NEGATO.

Il supporto tecnico fu utile, ma vago. “Potrebbe aver inserito il PIN errato per tre volte consecutive, perciò le sarebbe impedito l'accesso, per una questione di sicurezza. O magari ci sono dei problemi con il sito web in costruzione, potrebbe essere anche quello il motivo.”

“Cosa dovrei fare?”

“Può riprovare più tardi, o forse, no, aspetti, mi sembra di vedere qualcosa.” Elna aspettò, chiedendosi perché si stava occupando del problema dato che non è che avesse bisogno di farci qualcosa con il suo account. In effetti, si sentì un po' stupida a causare tutto quel trambusto poiché tutto ciò che voleva era vedere i suoi soldi. Non aveva mai avuto un conto online prima di allora.

Il supporto tecnico continuò: “Forse era quest'altro errore nel sistema. Bè, ad ogni modo, ho resettato il suo profilo e può inserire un nuovo PIN. Ma prima si disconnetta, riavvii il computer e quindi faccia un tentativo.

“Grazie.” Si rese conto che avrebbe richiesto troppo tempo e per il momento decise di rimandare. Poi, si ricordò, “Comunque dovrei ricevere una carta per i prelievi e i depositi. Non mi è mai arrivata.”

“Ah.” Il supporto tecnico si trovò momentaneamente in imbarazzo, ma ritrovò la lucidità piuttosto velocemente. “Non è compito nostro. Dovrà rivolgersi al servizio clienti.”

Hélene stazionava nella sua poltrona. Non appena Elna riattaccò, iniziò col dire: “Non capisco perché dovremmo far entrare in casa nostra un completo estraneo.”

“Non lo sarebbe del tutto. La signora Richardson ce l'ha raccomandata in persona. Inoltre, facevi sempre venire le signore delle pulizie, alcune di loro non erano nemmeno immigrate regolari.”

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Questa pratica passata riguardava Matt che preferiva tenere il fisco a distanza di sicurezza.

“Io non sono sempre stata in regola, se ben ricordi.” La breve vita semi-legale di Hélene come modella vivente, con un visto turistico fino a quando Papà non l'ha “salvata” era una leggenda di famiglia.

“Quello era anni fa Mamma. Non è che avevi avuto bisogno di lavorare.” “Comunque non capisco perché ci serva. Le cose vanno bene così come sono. Anche a Matt sta bene questa sistemazione.”

Facile per Matt, pensò Elna, dopo che Mamma si era ritirata per la notte. Suo fratello era un avvocato fiscalista in città e suo suocero era un nome importante tra i partner anziani della società. Faceva vacanze da sogno con la perfetta Myrna – triste, diceva, che Myrna non potesse avere bambini, il che le spezzava il cuore, perciò questo era il minimo che lui potesse fare – e gestiva gli investimenti di Mamma, ripetendo spesso che l'avrebbe portata fuori non appena avesse avuto tempo, cosa che sembrava accadere di rado. Era di un anno più giovane di Elna e ambizioso. Non c'erano altri fratelli o sorelle. Con la luce giusta, Matt avrebbe potuto essere il gemello di loro padre.

“La casa a fianco è in vendita. Alla fine il suo vicino è passato a miglior vita.” disse Elna a Stan passato qualche giorno, dopo aver fatto sesso.

Stan si stiracchiò il braccio, dolorante dalla notte precedente. Uno del suo staff stava facendo dondolare una borsa di posta prioritaria e lo aveva colpito accidentalmente. Il tizio aveva già avuto due richiami e Stan stava faticando non poco per non farlo licenziare perché, come disse a Elna, ha solo bisogno di un po'

di tempo, è un bravo ragazzo in fondo, fa solo un po' troppo il pagliaccio.

Le loro posizioni per fare l'amore non avevano proprio giovato al braccio. “E in pratica tua madre dovrebbe smontare la tappezzeria e insediarsi. È ciò che vuoi?”

“Bè no, ma...”

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Lei esitò. “Bè, Matt ci potrebbe dare un aiuto.” “No.”

“Sarebbe un prestito, glielo renderemmo.”

“Eddai, sai come la penso sul fatto di andare oltre le nostre possibilità.”

“Ma ha talmente tanti soldi che neanche lui sa che cosa farci. È lui stesso a dirlo.”

Piegò il braccio. “Possiamo parlare di altro?”

In segreto, Elna pensava che sua madre se la potesse cavare da sola. Ma Hélene, che amava che gli altri si prendessero cura di lei, non avrebbe gradito quelle parole. In qualche modo, la situazione era sfuggita al controllo e Mamma aveva sviluppato una dipendenza tale da Elna che quest'ultima sentiva di essere utile a qualcosa. Non che si sentisse inutile, o cose simili, e lei e Stan erano veramente felici insieme, ma qualcosa di quel contatto quotidiano faceva rivivere un'antica sensazione famigliare. Erano sempre stati Mamma e Matt, con Elna lasciata in disparte, dimenticata, fino ad allora.

Quella sera, appena dopo le sei, Elna chiamò Mamma. Era un giorno buono perché Hélene era distratta, tutta assorta in Rosie la rivettatrice, un film che diceva di non aver mai visto né di cui aveva mai sentito parlare. Anche se Mamma aveva torto sul film, Elna non volle ribattere, felice di sentirsi libera da impegni. Alle nove e trenta controllò per un'ultima volta l'email. La sua casella era vuota. Stava per spegnere, ma poi si ricordò di non aver resettato il codice PIN.

Scelse 9270, l'età dei suoi genitori, pensando che le avrebbe fornito la scusa per aggiornare il PIN ogni anno. Entrambi i loro compleanni erano a febbraio, il che avrebbe reso più semplice ricordarsene. L'accesso filò liscio e il suo conto si materializzò sullo schermo in pochi secondi.

Il saldo diceva 3.020 dollari. Elna strabuzzò gli occhi. Stava sicuramente leggendo male. Aprendo la schermata delle attività cercò gli indizi di un deposito erroneo. Eppure, l'unica aggiunta che vide furono i 20 dollari di bonus che facevano sembrare i 3.000 dollari il deposito iniziale. Prendendo in mano il numero del servizio clienti si ricordò che ancora non aveva chiesto per la carta per

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prelevare.

Il servizio clienti fu gentile, ma risoluto. “Il suo deposito era di 3.000 dollari. È sicura di non essersi sbagliata?”

“Non credo che potrei sbagliarmi su una cosa del genere.” Provò a ridere, ma le uscì soltanto una fiacca risatina.

“Bè, se è un errore a suo favore, lo sistemeremo. Ci può scommettere. Nel frattempo, facciamo in modo che riceva la sua carta, va bene?”

Una voce del Midwest proveniente da qualche zona del Colorado o del Kansas la rincuorò.

Quella notte Elna sognò che una fila di donne messicane l'attendeva di fronte all'entrata di casa della madre, mentre Mamma le lasciava entrare una alla volta, dicendo di ognuna “Lei non mi piace.”

Una settimana dopo, il saldo di Elna ammontava a 96.020 dollari. Il che era più di quanto rimanesse del mutuo sulla casa sua e di Stan.

Cercò di dirlo a Stan. “Questo conto. Non capisco. È come se i miei soldi ogni giorno raddoppiassero.”

“Quale conto?” Il suo braccio non era migliorato. Stava iniziando a pensare che fosse ora di sentire un dottore.

“Quella banca online di cui ti avevo parlato, ti ricordi? Dove ho depositato il rimborso fiscale?”

“Hai avuto un rimborso? Ehi, devi essere proprio in gamba.”

Da quando aveva intrapreso la sua attività, su consiglio di Matt, avevano iniziato a gestirsi ognuno per conto suo. Elna non ne capiva bene il motivo, ma Stan non sembrava comunque molto interessato. Iniziò a dirle del braccio e tra una cosa e l'altra non tornarono più sull'argomento dei soldi.

Quando provò a dirlo a Mamma, Elna non riuscì ad andare oltre la nozione di una banca senza filiali.

“Non può essere una vera banca,” disse sua madre. “Devi esserti sbagliata. Come fai a prenderti i soldi se non ci sono filiali?”

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“Da uno sportello per il prelievo.”

“Quelle specie di macchinette? L'unica volta che ne ho usata una mi ha

digerito la carta. Ho detto al dirigente che non mi sarei preoccupata di usarla

ancora, e sai una cosa? Mai più usata.” “Sì, Mamma.”

“E la sai un'altra cosa? Oggigiorno i cassieri sono lenti all'inverosimile. Dovresti vedere quanto sono lunghe le file in banca. Ho detto a Matt di occuparsi di tutti i depositi perché mi rifiuto di perdere il mio tempo a quel modo. È così bravo nelle faccende, considerando quanto è impegnato.”

Elna sapeva che non aveva senso dire altro. Pensò che fosse qualche errore del computer che alla fine si sarebbe sistemato da solo. Ma immaginare di estinguere il mutuo e averne ancora a sufficienza per fare quella vacanza che Matt e Myrna e persino Mamma si erano presi! Non che pensava sarebbe mai successo, ma era divertente fantasticare. Inoltre, ad ogni modo, lei e Stan non si sentirebbero a loro agio con troppi soldi.

Diversi giorni dopo lei e Stan ebbero il loro primo vero litigio riguardo al “trasferimento”. Era scocciato perché sembrava proprio che quell'estate non sarebbero andati in vacanza. Lei non riusciva a spiegare, per quanto provasse, che non aveva niente a che fare con lui, ma con qualcosa dentro di lei.

“Pensavo che mi avessi sposato perché non ero come loro, perché tu ed io ci serviamo ancora delle biblioteche, compriamo le cose di seconda mano. E leggiamo anche, per davvero.”

“Non è quello. Mamma ha bisogno di me ora. Le cose sono cambiate.” “Non potendo controllare Matt, le vieni più comoda tu.”

“Non è così!”

In seguito, non riuscì a calmarsi e divenne doppiamente furiosa per aver sbottato con Stan, il quale non aveva voluto dire niente con quella frase, niente di niente. Stan definiva le cose per come le vedeva e in cuor suo, sapeva che lui aveva ragione.

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Mamma aveva fatto la sua strada. Papà, così anziano, era stato una presenza, nel modo in cui un nonno avrebbe potuto esserlo. Ma Mamma era stata sovrastante. Niente di ciò che Elna avesse mai fatto sembrava piacere o dispiacere a Mamma, che si prodigava a essere incessantemente cordiale e non lamentevole. Del malcontento, nei suoi confronti, non fu mai apertamente dichiarato. Ciò che Elna

non capiva erano le lodi a profusione a Matt. Ciò che Elna sapeva era che Matt,

così come Mamma, manifestava una specie d'amore, come avrebbe dovuto fare un fratello maggiore, ma che se non ci fosse stata, probabilmente, nessuno di loro avrebbe sentito la sua mancanza, non eccessivamente.

Nel frattempo, il suo conto era cresciuto a 7.776.020 dollari. Durante gli ultimi quattro giorni lavorativi il suo saldo era triplicato ogni giorno.

La signora messicana che sarebbe dovuta restare, se ne andò dopo due settimane. Furono le due settimane più stressanti della vita di Elna. Ogni sera era quasi sul punto di piangere dopo un intero giorno passato a rispondere alle numerose chiamate di Mamma. Nel giorno peggiore, ne contò almeno trentacinque, ognuna con un commento apparentemente innocuo sull'assistente, ma abbastanza a voce alta per essere sentito dalla signora. Quando Elna esprimeva anche la minima irritazione, sua madre ansimava sonoramente, come se fosse stata insultata, e riattaccava. Di tanto in tanto Hélene chiamava Matt che poi chiamava Elna che poi doveva richiamare Mamma per scusarsi, in una staffetta infinita.

La vita era frenetica e disorganizzata. Rischiò quasi di mancare una scadenza per un cliente.

“Devi rilassarti,” le disse Stan dopo la prima settimana. “Facile per te a dirsi.”

“Dai, non è poi così male. Almeno non devi fare avanti e indietro.” “Lo preferirei a questo.”

Stan se ne stette zitto, rifiutandosi di litigare. Il tempo, credeva, stava dalla sua parte.

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Il giorno prima che la signora se ne andasse, Elna si era ricordata della sua carta per prelevare, che ancora non era arrivata. Eseguì l'accesso al suo conto e vide che da allora era salito a 23.328.020 dollari. Per un attimo, le prese un colpo. Quell'importo superava persino il patrimonio netto di Matt. Poi però si infuriò per l'incompetenza della banca e quindi limitò la sua irritazione perché l'illogicità era spaventosa. Un errore di sistema, o un virus o qualcosa era responsabile di quest'ultima triplicazione.

Il servizio clienti si scusò per la carta non pervenuta e promise che sarebbe arrivata nell'arco di una settimana. Il servizio clienti non seppe spiegare perché il suo saldo fosse così alto. Ridendo, Bè, troppi soldi non sono mica un problema,

giusto?, promisero che avrebbero controllato.

Elna ritraslocò per tutta la settimana successiva, ma era decisa riguardo all'assunzione di una seconda signora, una Filippina questa volta.

“Ti piacerà,” promise a Mamma. “Se lo dici tu.”

Sua madre sprofondò nel silenzio della reinstallata presenza di Elna.

Matt e Myrna portarono Hélene a trascorrere un fine settimana lungo a Parigi. Un viaggio improvvisato. Grazie a Matt, usufruirono tutti dei vantaggi per

frequent flyer, e il suo cliente, che li avrebbe sistemati in un hotel di lusso per quattro soldi, tra l'altro mettendo a disposizione una stanza gratis, si scusò di

avere solo una stanza in più, e Mamma aveva bisogno di quella pausa. D'altronde, non avrebbero mica potuto andare tutti, intendendo Elna e Stan, lasciando la casa di Mamma incustodita, giusto? Stan scoppiò a ridere quando lo sentì. Si vede che Myrna, disse, aveva bisogno di fare shopping sugli Champs-Élysées.

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Sabato sera Elna controllò il suo conto. Il saldo era salito a 23.335.520 dollari, un aumento di 1.500 dollari giornaliero negli ultimi cinque giorni lavorativi, aggiunto, non poté che pensare, ad ogni giorno passato da quando era tornata a casa con Mamma. La carta per prelevare non era arrivata. Elna fissava la somma pantagruelica, immaginando la borsa di studio che Stan avrebbe voluto mettere a disposizione nella sua alma mater, una piccola università statale dove un ex alunno manteneva un fondo per beneficiare gli studenti promettenti con genitori divorziati, che è come Stan si era pagato gli studi universitari. Tuttavia, pensò soprattutto a comprare il computer di cui aveva estremamente bisogno e un camper, il meglio della classe dei veicoli da vacanza, per concedersi tutti i loro desideri più sfrenati.

Stan stava leggendo in salotto.

Condusse suo marito al computer, desiderosa di condividere quella ricchezza, anche se non reale. “Vuoi dare un'occhiata a questo?”

Lo schermo era nero. Picchiettò sulla tastiera e il monitor tornò in vita, ma la connessione era andata e la schermata con il conto era svanita. “Non capisco,” disse. “Era lì un minuto fa.”

La baciò sulla guancia. “Stai lavorando troppo.”

Qualcosa dentro di lei era pronto a esplodere, ma si trattenne. Non c'era spiegazione a questo fenomeno, se addirittura stava veramente accadendo, e a volte Elna sentiva che non era così. Forse era tutta un'immaginazione, questo cumulo di denaro che non poteva certo avere. Una volta si chiese se suo fratello non avesse scoperto il conto e stesse segretamente depositando delle somme, ma scartò l'idea, dato che la cifra cresceva oltre ogni misura ragionevole. D'altronde, a meno che una carta per prelevare non fosse comparsa, non aveva ancora accesso alla cifra.

Inaspettatamente a Mamma piacque la signora filippina. Per Elna, fu un enorme sollievo e seppe che quell'anno poteva affrontare l'autunno – l'inizio del periodo impegnativo sia per lei che per Stan – con una rinnovata capacità di

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resistenza.

Verso la fine dell'estate, lei e Stan si presero una lunga meritata vacanza – due settimane e mezzo di campeggio nell'Eastern Oregon – durante il quale non chiamò mai Hélene nemmeno una volta. Lei puliva e cucinava il pesce che lui pescava e non si poteva chiedere di meglio del sesso sotto le stelle. E Stan si godette sua moglie tutta per sé, lontani dalla vita normale.

Tornarono a casa la notte del 10 settembre. L'indomani, le Torri Gemelle scomparvero. La vita cambiò, in modo irreversibile.

In poco tempo, i tassi di interesse scesero ulteriormente.

Dieci settimane più tardi, ripuliti dalla polvere, ma non ancora sistemati, Elna si rese conto che la sua carta per il prelievo non era mai arrivata. Aveva pensato di chiudere il conto, dato che quelli della banca erano chiaramente degli incompetenti, ma ultimamente la vita le suggeriva un continuo perdono. Effettuato l'accesso, vide che il suo saldo si era fermato a 23.335.520 dollari. La sua chiamata al servizio clienti e al supporto tecnico non ricevette risposta.

Il giorno seguente, Mamma ricominciò con le sue chiamate, con commenti sull'aiuto della filippina, che prontamente rinnegava se contestata, dicendo che era

meraviglioso avere qualcuno accanto che si prendesse cura di lei, dato che da sola non poteva proprio farcela. Nella settimana che seguì, le chiamate salirono a

quota 45 in una giornata, fino a quando la donna se ne andò.

La mattina in cui Elna si preparava a traslocare, arrivò con la posta la sua carta. Guidò fino allo sportello bancario più vicino, più curiosa che speranzosa. Quella somma pantagruelica contraccambiò il suo sguardo: meno 20 dollari. Un messaggio apparve sullo schermo:

Dal momento che non ha depositato nessuna nuova somma entro le prime sei settimane dall'apertura del conto, il suo bonus di apertura è stato revocato, in accordo coi termini del contratto. Confidiamo nel fatto che non sia rimasta delusa del nostro servizio e che continuerà a servirsi di noi. Le auguriamo una buona giornata.

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La somma disponibile per il prelievo si era fermata a 1.500 dollari. “Un'altra cifra” era offuscata, inaccessibile. Elna pensò a tutti gli accessi negati a lei e alle persone di ogni dove, quanto di tutto ciò fosse semplicemente oltre il loro controllo ordinario. Pensò alle signore delle pulizie messicane e alle domestiche filippine, soprattutto a quelle illegali, tutte parte di quell'enorme, incredibile caos che era il centro di Manhattan, a come queste vittime non avrebbero mai visto un centesimo di tutto il denaro donato per le buone cause. Al fatto che le cose stavano proprio in questo modo, che sono sempre state così, e che forse lo sarebbero sempre state, anche se Stan nutriva ancora della speranza, ma quello era Stan, che credeva sempre che il bene avrebbe potuto venir fuori da tutto e da tutti, persino da questo. Pensò a quanto Matt e Myrna e Mamma fossero dimentichi a dispetto del loro dichiarato interessamento, dato che nessuno che conoscevano era morto, e si lamentavano della polvere e del fumo, del traffico molesto nel tunnel, mentre articolavano i loro riscoperti timori sulla sicurezza e sul patriottismo. A quanto

tutto quel loro palare non c'entrava nemmeno lontanamente con tutto quello. A

come non avrebbero mai capito, come invece capiva Stan, a come avrebbero ma non potevano perché la guerra reale, l'unica, vera, la guerra interminabile, era proprio qui e anche lontano, fuori dal loro spettro di visione, e combattuta da quelli che non avrebbero mai e poi mai saputo, nemmeno nel loro più sfrenato immaginario, aprire un conto bancario da nessuna parte nel mondo reale o virtuale.

Elna premette il pulsante per 1.500 dollari; contò le banconote, “nuovissime” e verdi; e le ficcò nel portafoglio. Fuoriuscì uno scontrino, ma la carta non venne espulsa. La macchinetta le balenò un Grazie per aver usato questo sportello. Per un attimo, ebbe la volontà di chiamare il servizio clienti per lamentarsi della carta e degli interessi che mancavano, il che era un suo diritto, così come tutta questa confusione assurda.

E poi, l'odore del pesce fritto si diffuse, distraendola. Elna vide la rosticceria da asporto lì di fianco, dove l'inserviente stava preparando l'offerta del giorno.

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Una visione dell'estate – suo marito mentre avvolgeva con forza la lenza fuori dal fiume, il grosso pesce che lottava, mentre penzolava all'amo impotente – e la risata di Stan. Ehi ehi, guarda qui, che cena stasera!

Elna si allontanò dallo sportello, dirigendo il passo attraverso l'area di parcheggio. La brezza di fine autunno le pungeva gli occhi, riportandole alla mente il giorno in cui portò Stan a casa per la prima volta. “Il turno di notte” aveva ripetuto pensierosa sua madre. “Bè, suppongo che l'amore ci sia durante il giorno, anche se con troppa luce.” Elna non era stata in grado di dire se Mamma stesse sorridendo.

Accartocciando lo scontrino del prelievo, lo lanciò nella spazzatura. Nel benessere del privilegio, la verità, piuttosto che la speranza, era il regalo più grande. Il sapere comportava la volontà di vedere ciò che le stava di fronte agli occhi. La sua banca, decise, non l'aveva delusa.

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AGORÀ

Quando Walter se ne andò all'improvviso, alla fine della primavera1, la casa

si fece più grande, svuotata della sua presenza. Di lui rimasero alcune tracce per un po' di tempo: Walter Dean, il suo nome sulla cassetta delle lettere, pur non essendo sposati, un paio di sci, visto che in Florida non sciava, e un calzino bianco nell’asciugatrice. Passarono settimane prima che rimuovesse quei resti e il calzino rigirava assieme al suo bucato, ripetendo cicli di asciugatura.

Fu un gennaio troppo caldo per le rose che morirono non appena iniziarono a fiorire. La casa sembrava enorme. In realtà, misurava poco meno di cinquanta metri quadrati, piccolina a confronto con le stanze in affitto a Key West, dove si erano conosciuti, ma nella media per un paese sulla costa orientale dell’Isola del Sud. Walter aveva aspettato oltre due mesi a chiamare, ma solo perché voleva i suoi sci. Lei gli disse delle rose.

“Quel giardino ti sfinirà,” le aveva detto. “Cosa ne sai di cicli di fioritura o di potatura delle piante? O di pecore?” aveva brontolato, e lei si aspettava la solita battuta “più pecore che persone” – che, come aveva notato, pochi Neo Zelandesi trovavano divertente.

“Mi insegnerà Bronwyn”. Intendeva la lo loro vicina.

“See, quando gli asini voleranno... Torna qua Arcy. Lì sei infelice. Noi eravamo infelici.”

“Perché? Perché tu non sei riuscito a tenertelo nei pantaloni? Ti ho detto che non mi importava di Jill. Non era necessario che te ne andassi.” Con una manata schiacciò un moscone sul braccio. La mosca ronzò via intontita e volò fuori dall’entrata principale. “Inoltre, c’è la casa.”

1 Le stagioni in Nuova Zelanda sono l'opposto di quelle dell'emisfero settentrionale: la primavera arriva in settembre e l'estate in dicembre, l'autunno va da marzo a maggio e i mesi invernali sono giugno, luglio e agosto.

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“Vendila. Vale già quattro volte di più di quando l’hai comprata.”

Aspettò cinque settimane prima di spedire gli sci e non rispose alle sue email intimidatorie. Per quando gli arrivarono, la stagione sciistica era già finita in Colorado, dove viveva ora e dove, lei sapeva, era in vacanza Jill,.

Jill viveva in città, a Dunevin, un'ora e mezzo verso sud, ed era sposata, ma questo non le aveva impedito di sedurre Walter. Arcy l'aveva incontrata la prima volta al The Café, dove le serviva una cameriera.

Jill aveva letto il suo curriculum, aveva lanciato uno sguardo ad Arcy e di nuovo aveva fissato lo sguardo sul foglio. “Chan.” Lo aveva pronunciato “Cii-an.” “La tua famiglia è di qui, giusto?”

Arcy aveva scosso la testa. “Non esattamente. Mio padre aveva un cugino alla lontana, ma quando morì, mia madre mi riportò a casa. Avevo due anni. Non sono più tornata.” Poi, in risposta allo sguardo incuriosito di Jill, aveva spiegato, “Mia madre è Americana. Bianca.”

Era la stessa cosa che aveva detto a Walter, dopo aver fatto l'amore la prima volta, riguardo all'essere di razza mista, perché, in qualche modo, lo si poteva vedere, ma non chiaramente, anche se con lui aveva aggiunto, Mamma è una dei

bassifondi, feccia bianca della Georgia, anche se non lo diresti mai - si sposò quando incontrò Papà, un misero pescivendolo cinese, girovago e senza fissa dimora. Ciò che Walter voleva sapere era perché non fosse mai tornata in Nuova

Zelanda, avendo notato che aveva la doppia cittadinanza ed essendo uno stato fantastico e tutto il resto. Walter andava in barca. Ad oggi il suo miglior viaggio era stato in squadra durante la Coppa America a Auckland.

Jill aveva detto: “Una volta sono stata in America, in Colorado. Aspen è adatta agli amanti.” Aveva sogghignato ad Arcy, maliziosamente. “Sei assunta,” aveva continuato, osservando il fisico snello e asciutto di Arcy e i suoi capelli lunghi fino al sedere. “Piacerai ai ragazzi. Quando puoi iniziare?”

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Era tornata a casa felice quel giorno, compiaciuta di aver trovato lavoro così facilmente. E poi aveva detto a Walter che c'era un piano al The Cafe, il che significava che avrebbe potuto esibirsi, se ne avesse avuta voglia, si era affrettata ad aggiungere. Walter si guadagnava qualche mancia suonando musica jazz. Ma ciò che più aveva a cuore da quando si era laureato alla Bowdoin era navigare e il suo fondo fiduciario. Ne avrebbe avuto pieno possesso raggiunti i venticinque anni d'età, gliene mancavano due quando si erano incontrati. Avevano la stessa età, un mese di differenza tra i loro compleanni, lei la più giovane.

Ora, a Walter mancava un mese per i soldi.

Ora, Arcy, sul finire di febbraio, se ne stava sdraiata sopra un asciugamano in giardino, gli occhi chiusi contro il sole luminoso della sera. Alcune pere sfatte giacevano attorno all'albero vicino alla siepe. Un uccello planò sulla siepe accuratamente tagliata, beccò la pera e volò via. Bronwyn gettò un'ombra, facendola trasalire.

“Scusa,” disse Bronwyn, “ma ti ho chiamata dall'entrata”.

“Non fa niente,” rispose, ma si ritrovò a pensare che quell'intero paese non fosse che una grande piazza del mercato, la gente che se ne entrava e usciva dalle case e dai giardini dell'uno e dell'altro, servendosi dei frutti del tuo albero, del tuo zucchero in cucina, dei ceppi di legno dalla tua catasta, del barattolo dalla tua dispensa. Walter incoraggiava questo viavai, amando quello che chiamava “l' amichevole modo di fare dei Kiwi”, e a volte ne discutevano. Ad ogni modo, da quando se n'era andato, solo Bronwyn e il giardiniere le facevano visita.

“Ti sei presa di nuovo un giorno di malattia?”

Fece spallucce. Era il suo giorno libero, ma non c'era bisogno di dirlo a Bronwyn.

“Arachne...”

“Non mi chiamare così. Lo sai che odio quel nome.”

“Secondo me è carino avere un nome mitologico. Molto più carino di Bronwyn.”

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“Solo quello stupido di mio padre poteva venirsene fuori con un nome così stupido. Merda. Non era nemmeno Greco, anche se non sarebbe comunque stata una buona ragione.”

“Ti stai piangendo addosso, lo sai? Non puoi startene qui rintanata per sempre. Devi affrontarlo, Arcy, Walter è una merda. E ad ogni modo, se n'è andato.”

Alzò la voce quasi a urlare. “Io non mi sto piangendo addosso e lui non è una merda.”

Una pausa stridente. Poi, la sua vicina puntò verso la siepe, un pochino troppo cresciuta. “Ha bisogno di una spuntatina. Ehi, non avresti mica una birra per caso?”

“Serviti pure.” “Vuoi fumare?”

“Più tardi, Bronwyn. Non sono dell'umore.”

La sua amica se ne andò via irritata. Che liberazione, pensò Arcy, nonostante un leggero senso di colpa. Non era strano voler stare un po' da soli ogni tanto, vero?

Più tardi, Arcy guidò fino in città perché c'era la serata musica al The Cafe. Non lo disse a Bronwyn, nonostante l'ira feroce che avrebbe scatenato, accompagnata da brontolii su quanto certe persone fossero egoiste, quelle che avevano tutte le fortune. Bronwyn non aveva la macchina. Non aveva nemmeno il telefono, né lavoro, né altro denaro oltre a quello del sussidio, e in più un vezzo alla droga: maria, hashish, eroina... non era schizzinosa. Ma era artistica e da quando aveva lasciato la scuola dieci anni prima, stava ancora provando a dipingere. Fingeva di provarci. Pensò Arcy con una veemenza che la fece trasalire. Non era corretto. Bronwyn ci provava per davvero. Considerato il suo retroscena di abusi, che ce l'avesse fatta fino a qui, qualcosa voleva dire. Inoltre, Bronwyn era un'amica, l'unica a cui davvero importasse qualcosa di lei e non delle feste di Walter.

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Diede gas alla macchina, forzandola su per la collina. La piccola Toyota a stento faceva gli ottanta; il limite di velocità era cento e una Lexus la tallonava, impaziente per la corsia di sorpasso più avanti. Le unità di misura le incasinavano il cervello. I numeri o erano troppo piccoli o troppi grandi per quello che sapeva doveva essere la realtà e più di un anno in Nuova Zelanda non si poteva ancora considerare una preparazione sufficiente.

Quando arrivò, la Lexus era fuori dal The Cafe e occupava un posto e mezzo. Il portabagagli – bagagliera – era aperto, lasciando intravedere mezzo set da batteria. Rigirando intorno a George Street, parcheggiò sull'angolo, pensando che almeno in quel modo fosse già ben direzionata per ripartire. Erano solo le dieci e mezza, ma si trattava di una serata infrasettimanale e l'Ottagono era già silenzioso.

L'Ottagono si definiva per ciò che era letteralmente. Posizionato nel centro della città, i cerchi più esterni delle strade si diramavano in sette punti in diverse vie, George che puntava verso nord, dove si trovavano i migliori negozi per lo shopping. The Cafe era sul lato sud-est del cerchio più interno, due vetrine a sud di Stuart, dove una volta c'era un negozio di anticaglie. The Caf(e), la E non accentata, forzando la pronuncia del monosillabo: slang Kiwi. Ogni volta che Arcy guardava quell'insegna, pensava sempre che fosse una stupidaggine, mentre Walter si scompisciava.

Quando Jill aprì il The Cafe l'estate scorsa ben presto divenne il ritrovo preferito di giovani viaggiatori e gruppi di artisti, gli unici che avrebbero sborsato dei soldi per dei cocktail americani. La gente del posto beveva soprattutto birra e vino. Nel posto giusto, al momento giusto. La voce di sua madre. Sua madre Lucy, agente immobiliare (di successo - chi altro poteva esserci a Key West?) aveva lodato “l'idillio esotico e a suo modo avventuroso” di Arcy con Walter che incantava le donne mature come Jill.

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Quella sera Nick era al bancone e temporaneamente anche gestore, dato che Jill era in vacanza, della quale aveva “disperatamente bisogno” (sans marito, sottolineandolo, a riprova della sua indipendenza). Suo marito era finanziatore del locale - una voce deducibile, presumeva Arcy, dato che l'idea di lavoro di Jill era impiegare più personale del necessario così da poter passare il suo tempo a scolarsi l'inventario e a socializzare. E a scoparsi Walter.

Nick agitava uno shaker in aria. “Ti faccio un cocktail? Offro io.”

“Qui non abbiamo di queste iniziative, e se Jill lo sapesse ti ucciderebbe.” “E glielo dirai?”

Lei sorrise. “Fammene uno di gran classe.”

“E sia.” Prese la bottiglia di Grey Goose dal ripiano più alto.

Guardando Nick lavorare, Arcy, per un breve momento, provò il desiderio di cedere al collega americano. Nick era uno studente laureato all'Università di Otago e sarebbe presto tornato negli Stati Uniti, a casa nell'Oregon. Aveva un debole per lei e sarebbe andata bene, perché era tutto a posto in quel ragazzo alto, magro, nuotatore, con un sorriso a fossette, che lavorava per mantenersi, che le faceva venire voglia di finire l'università. Diciotto crediti per finire una triennale

non è niente, un semestre, due tutt'al più, in Florida ci sono delle buone scuole e saresti studente in sede. Walter non parlava mai come Nick. Il problema era che a

Nick dispiaceva per lei per la storia di Walter e, a differenza di Bronwyn, Arcy non era favorevole al sesso per compassione.

Sul palco, i musicisti si stavano sistemando. Arcy si focalizzò sulla batterista, una donna, la più anziana, sui trenta o giù di lì come Bronwyn. Prese dal bancone il suo calice di Martini corretto e si diresse verso il palco.

“Tu guidi una Lexus.”

La batterista la fissò. “Sì. Perché?” “Piuttosto eccentrica.”

“È di mio fratello.” Si girò dall'altra parte e posizionò uno sgabello dietro la batteria.

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