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Marchi collettivi, marchi di qualità e indicazioni geografiche

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Capitolo Ottavo

Marchi collettivi, marchi di qualità e

indicazioni geografiche

Sommario: 203. Marchi collettivi, marchi di qualità e indicazioni geografiche. Premessa. – 204. (Se-gue). I marchi collettivi.  A) Marchi collettivi e marchi di garanzia e certificazione. B) La

disci-plina applicabile ai marchi collettivi. Gli impedimenti assoluti. Il regolamento. Differenze rispet-to ai c.d. “marchi di selezione e di raccomandazione”. C) (Segue). La disciplina applicabile ai marchi collettivi. L’accesso. D) (Segue). L’ampiezza della tutela. Gli impedimenti relativi. Le libere utilizzazioni. E) (Segue). Altri profili applicativi. – 205. (Segue). I marchi di qualità. – 206. Le indicazioni geografiche. L’evoluzione legislativa internazionale. A) Il problema. B) Le soluzioni. L’Accordo di Madrid sulle indicazioni di provenienza. C) L’Accordo di Lisbona sulle denominazioni di origine. D) Le norme dei TRIPs sulle indicazioni geografiche. E) Il diritto comunitario e il diritto italiano. – 207. Le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche agroalimentari protette ai sensi del regolamento (UE) n. 1151/2012. – 208. (Segue). Il rapporto fra le denominazioni comunitarie e: a) i marchi individuali; b) i marchi collettivi; c) le indica-zioni di provenienza; d) i marchi di qualità. – 209. (Segue). Il diritto nazionale.

203. Marchi collettivi, marchi di qualità e indicazioni geografiche. Premessa

Possono essere registrati come marchi collettivi i segni idonei a distinguere i beni di una pluralità di imprese autorizzate dal titolare del segno da quelli prove-nienti da altre imprese (art. 2570 c.c. e art. 11 c.p.i.; art. 66 r.m.c.).

Dal punto di vista della funzione giuridica svolta dal segno, il marchio col-lettivo presenta una fondamentale differenza rispetto al marchio individuale. Questa differenza era particolarmente netta nel nostro ordinamento prima della Novella del 1992, quando il marchio individuale ancor svolgeva esclusivamente una funzione distintiva dell’origine imprenditoriale dei beni1. All’epoca, titolare del marchio collettivo doveva essere un ente “avente il fine di garantire l’origine, la na-tura o qualità” di determinati beni (art. 2.1 l.m.); e la norma altresì richiedeva che fra l’ente titolare del marchio collettivo e le imprese da esso autorizzate a utilizzare il segno intercorresse un rapporto di partecipazione o associativo. Si rilevava perciò esattamente che il controllo operato dall’ente titolare del marchio collettivo sulle

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caratteristiche delle produzioni immesse sul mercato dai membri dell’ente costituiva l’essenza dell’istituto e che quindi il marchio collettivo svolgeva una funzione di-versa da quella distintiva, e, precisamente, di garanzia qualitativa2.

L’evoluzione del diritto dei segni distintivi d’impresa operata a partire dalla ri-forma del 1992 ha però accorciato le distanze fra i marchi collettivi e quelli indi-viduali. Infatti, anche con riferimento a questi ultimi, la funzione di garanzia quali-tativa del segno trova oggi, come si è visto3, protezione diretta (ancorché derivata).

Sotto altro profilo, ai marchi “privati”, individuali e collettivi si contrappongo-no tanto le indicazioni geografiche quanto i marchi di qualità. Le contrappongo-norme che prevedono queste ultime tipologie di segni hanno però un punto importante di contatto con la disciplina dei marchi collettivi: anch’esse prevedono e regolamen-tano ipotesi di uso plurimo dello stesso segno da parte di una pluralità di imprese reciprocamente indipendenti. Vi è tuttavia una differenza importante: i marchi collettivi nascono da un atto di autonomia privata, dato dalla domanda di registra-zione del segno ed, ancor prima, dalla costituregistra-zione del rapporto che lega l’ente che chiede la registrazione del segno alle imprese destinate a usarlo; viceversa, le indicazioni geografiche e i marchi di qualità si basano su di una riserva istituita ex

lege di utilizzazione del segno a favore di certe imprese. La fonte normativa che

conferisce la tutela può essere, a seconda dei casi, di origine internazionale, co-munitaria o interna; ma in nessun caso la protezione presuppone la registrazione del segno presso un Ufficio marchi.

Tuttavia, anche la differenziazione delle indicazioni geografiche e dei marchi di qualità rispetto ai marchi “privati” è oggi meno netta di quanto non fosse in passato. Nel caso delle indicazioni geografiche e dei marchi di qualità, l’uso plu-rimo dello stesso segno da parte di più imprese è, da sempre, previsto e disciplina-to in ragione delle caratteristiche dei beni destinati a essere da esso contraddistin-ti; il segno svolge, quindi, la medesima funzione di garanzia qualitativa che sta alla base del marchio collettivo (ed ora in parte anche del marchio indivi-duale). Di recente si è anche assistito a un’ulteriore convergenza fra la disciplina delle indicazioni geografiche e quella dei segni distintivi di impresa sempre sotto il profilo funzionale: come nel diritto dei marchi “privati” ha trovato emersione il riconoscimento giuridico della funzione pubblicitaria e attrattiva svolta dal segno sul mercato, così – come si potrà verificare fra breve – anche le indicazioni geogra-fiche sono state in misura crescente prese in considerazione dalla legislazione degli ultimi decenni in funzione dell’investimento promozionale operato sul segno.

2In questo senso v. la ricostruzione proposta ormai più di quarant’anni fa da P. A

UTERI,

Territo-rialità del diritto di marchio e circolazione di prodotti ‘originali’, Giuffrè, Milano, 1973, 403 ss. e

largamente condivisa dalla dottrina maggioritaria (A. VANZETTI-V. DI CATALDO, Manuale di diritto

industriale, Giuffrè, Milano, 20056, 259 s. e M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche e segni distintivi,

in Riv. dir. comm. 1997, I, 1034 ss., 1040 ss.), con alcune cospicue eccezioni (D. PETTITI, Profilo

giuridico del marchio collettivo privato, Jovene, Napoli, 1963; P. SPADA, Il marchio collettivo

«pri-vato» tra distinzione e certificazione, in Scritti in onore di G. Minervini, vol. II, Impresa, concor-renza, procedure concorsuali, Morano, Napoli, 1996, 475 ss., 477 ss.).

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Si potrebbe dunque concludere che i punti di contatto fra le diverse normative che disciplinano l’uso plurimo di un segno sul mercato si sono moltiplicati con il passare del tempo. Resta tuttavia un dubbio sul piano ricostruttivo generale. La regolamentazione delle indicazioni geografiche e dei marchi di qualità affonda le proprie radici in esigenze promozionali di alcune categorie di produzioni e di pro-duttori, in funzione di interessi e valori, come la diversificazione qualitativa delle produzioni in conformità alle tradizioni locali, che paiono essere diversi e ulteriori rispetto all’interesse del pubblico alla corretta identificazione delle produzioni of-ferte sul mercato, che costituisce il baricentro del diritto dei segni distintivi di im-presa. Questa specificità della disciplina dei fenomeni di uso plurimo di un segno diversi dai marchi collettivi era ben chiara, fintantoché le disposizioni corrispon-denti erano ascritte a specifici settori normativi, come il diritto agrario nel ca-so delle indicazioni geografiche e il diritto amministrativo nel caca-so dei mar-chi di qualità. Ora la stessa specificità rismar-chia di essere però persa di vista quando si riconducano integralmente indicazioni geografiche e marchi di qualità al diritto dei segni distintivi e alle categorie ordinanti del diritto della proprietà intellettuale.

***

Converrà procedere all’analisi esaminando prima i marchi collettivi (al § 204) e poi le indicazioni geografiche (ai §§ 206-208), senza trascurare la peculiarità degli interessi “agraristici” sottesi alla disciplina di queste ultime4. Un intermezzo apposito verrà poi dedicato (al § 205) ai marchi di qualità, che continuano per l’appunto a occupare una posizione a parte in ragione della matrice pubblicistica della loro disciplina.

204. (Segue). I marchi collettivi

5

. A) Marchi collettivi e marchi di garanzia e

certificazione. B) La disciplina applicabile ai marchi collettivi. Gli

impe-dimenti assoluti. Il regolamento. Differenze rispetto ai c.d. “marchi di

sele-zione e di raccomandasele-zione”. C) (Segue). La disciplina applicabile ai

marchi collettivi. L’accesso. D) (Segue). L’ampiezza della tutela. Gli

impe-dimenti relativi. Le libere utilizzazioni. E) (Segue). Altri profili applicativi

A) Marchi collettivi e marchi di garanzia e certificazione

Il marchio collettivo viene registrato a nome dell’organizzazione cui fanno ca-po le imprese aderenti 5. Esso è destinato però a essere impiegato dalle imprese

4Per avere un’idea della complessità e della profondità degli interventi conformativi nel campo del

diritto agrario vale la pena di consultare il reg. (CE) del Consiglio 22 ottobre 2007, n. 1234 recante orga-nizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM). In argomento v. L.COSTATO-P.BORGHI-S.RIZZIOLI, Compendio di diritto alimentare,

Ce-dam, Padova, 2013; M.FERRARI-U.IZZO, Diritto alimentare comparato, Il Mulino, Bologna, 2012. 5In argomento, oltre ai miei scritti Marchi collettivi geografici e marchi di certificazione, in G.

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aderenti e non dal titolare, e deve invece svolgere “la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti e servizi” e, quindi, anche a distinguere i beni provenienti da queste ultime da quelli di altre imprese (art. 66, par. 1, r.m.c. e artt. 11.1 e 7 c.p.i.). Si ha qui una dissociazione fra titolarità del segno e uso del medesimo6.

La struttura giuridica del soggetto titolare del marchio collettivo non è oggi sottoposta a particolari limitazioni. Secondo il diritto comunitario può trattarsi, oltre che di persone giuridiche di diritto pubblico, di associazioni di fab-bricanti, di produttori, di prestatori di servizi o di commercianti comunque costi-tuite, purché esse diano vita a un centro di imputazione di rapporti giuridici distin-to dalle imprese partecipanti7. Il diritto nazionale appresta a tal fine le forme più varie: il consorzio, le società, anche consortili, i GEIE, le cooperative, le associa-zioni riconosciute e quelle non riconosciute8. In tutti questi casi le imprese

auto-Ajani, A. Gambaro, M. Graziadei, R. Sacco, V. Vigoriti e M. Waelbroek (a cura di), Studi in onore

di Aldo Frignani. Nuovi orizzonti del diritto comparato europeo e trasnazionale, Jovene, Napoli,

2011, 743 ss. e Geographical Symbols in Intellectual Property Law: the Policy Options, in

Fes-tschrift für Ulrich Loewenheim zum 75. Geburstag, Schutz von Kreativität und Wettbewerb, Verlag

Beck, 2009, 231 ss., v. M.IACUONE, Il marchio collettivo geografico, in Il dir. ind. 2014, 338 ss.; D. SARTI,Il marchio collettivo, in L.C. Ubertazzi (a cura di), La proprietà intellettuale, in Trattato di diritto privato dell’Unione europea diretto da G. Ajani e G.A. Benacchio, Vol. XI, Giappichelli,

Torino, 2011, 131 ss.; P.SPADA,Qualità, certificazione, segni distintivi (rilievi malevoli sulla

certi-ficazione delle Università), in Il dir. ind. 2008, 152 ss.; P. MASI, Il marchio collettivo, in G. M ARA-SÀ-P. MASI-G. OLIVIERI-P. SPADA-M.S. SPOLIDORO-M. STELLA RICHTER, Commento tematico della

legge marchi, Giappichelli, Torino, 1998, 71 ss.; P. SPADA, Il marchio collettivo «privato» tra

di-stinzione e certificazione, cit., 475 ss.; M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche e segni distintivi, cit., 1034 ss. Per il regime previgente v. R. FRANCESCHELLI, Sui marchi d’impresa, Giuffrè, Milano,

1988, 187 ss.; P. AUTERI, Territorialità del diritto di marchio, cit., 403 ss. e D. PETTITI, Profilo

giu-ridico del marchio collettivo privato, cit. Dal punto di vista del diritto internazionale ed europeo v.

A.F. RIBEIRO DE ALMEIDA, Key Differences between Trade Marks and Geographical Indications, in

EIPR 2008, 406 ss.; J. BELSON, Certification Marks, Special report, Sweet & Maxwell, London,

2002; R.LARGO GIL-A.L.MONGE GIL,Marcas comunitarias colectivas, in A. Casado Cervino-M.L.

Lobregat Hurtado(a cura di), Comentarios a los Regolamentos sobre la Marca Comunitaria, La Ley-Actualidad, Madrid, 20002, 629 ss.; per le convenzioni internazionali v. N.P

IRES DE CARVALHO,

The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, Wolters-Kluwer, The Hague, 2006, 214 ss. e 369 ss.

e nonché S.P. LADAS, Patents, Trademarks and Related Rights. National and International

Protec-tion, Harvard University Press, Cambridge, Massachussets, 1975, Vol. II, 1289 ss. Con riferimento

al diritto inglese, per il quale l’istituto del marchio collettivo rappresenta una novità apportata dal diritto comunitario, KERLY’S Law of Trade Marks and Trade Names, Sweet & Maxwell, 200514, 335 ss. e A. MICHAELS, A Practical Guide to Trade Mark Law, Sweet & Maxwell, London, 2002, 86 s. Per il diritto tedesco v. B.WÜST eA. BENDER,in F.L. Ekey-D. Klippel (a cura di), Heidelberger

Kommentar zum Markenrecht, C.F. Műller, Heidelberg, 2003, 692 ss., nonché K.H. FEZER,

Marken-recht: Kommentar zum Markengesetz, Beck, Műnchen, 2001, 1702 ss. Per il diritto spagnolo M. L O-BATO, Comentario a la Ley 17/2001, de marcas, Ed. Thomson – Civitas, Pamplona, 20072, 993 ss.

6La circostanza che l’uso già in via programmatica avvenga ad opera non del titolare ma delle

imprese aderenti a ciò abilitate non contrasta con l’assolvimento della funzione distintiva quale deli-neato dal sistema della legge: v. il 1° comma dell’art. 19 c.p.i. (sul quale supra, § 14).

7V. la pt. seconda del par. 1 dell’art. 66 r.m.c.

8V. rispettivamente gli artt. 2602, 2447 ss. e 2615ter c.c., il reg. n. 2137/85 CEE, gli artt. 2511, 14

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rizzate sono legate all’ente titolare del marchio collettivo da un rapporto di parte-cipazione.

Fino alla Novella del 1992, la figura del marchio collettivo accolta dal nostro diritto si collocava in una linea di continuità rispetto alle tradizioni europeo-con-tinentali, basate sul presupposto che fra il titolare del segno e i suoi utilizzatori sussistesse un rapporto associativo o partecipativo. Dopo la Novella del 1992, però, l’ambito di applicazione dell’istituto ha conosciuto un ampliamento notevole. Infatti la legittimazione all’acquisto della titolarità di un marchio collet-tivo spetta, alla stregua del diritto nazionale9, anche ai soggetti e agli enti, ivi in-cluse le imprese che svolgano la funzione di «verificatore professionale» di stan-dard qualitativi, che siano legati alle imprese utilizzatrici non da un rapporto di partecipazione o associativo ma da un vincolo contrattuale meramente di scambio10.

Ha trovato così emersione nel nostro diritto interno la figura che altrove è de-signata come marchio di garanzia o di certificazione. Anche se il legisla-tore storico non si è avveduto di aver compiuto inequivocabilmente questa scel-ta11, essa deriva necessariamente dalla previsione in forza della quale titolari del marchio possano anche essere figure soggettive, come l’impresa individuale o l’ente pubblico, che non presuppongono alcun rapporto associativo con le imprese utilizzatrici. Il marchio di garanzia o certificazione costituisce istituto ben noto al diritto anglosassone, che anzi mostra di prediligere i “certification marks” rispetto alla tradizione europeo-continentale dei marchi collettivi12. Esso è anche previsto

dalla registrazione del marchio di una società capofila in un raggruppamento temporaneo di imprese, di un’associazione temporanea di imprese (ATI) o di una rete, § 193.1. Ci si è domandati se sia ammissi-bile il ricorso allo schema delle società lucrative; il quesito per la verità attiene non al piano della legit-timazione dell’ente all’acquisito della titolarità del segno ma a quello della concreta idoneità della for-ma prescelta a garantire l’accesso alla compagine di nuovi membri, che può talora essere richiesta dalle norme: in argomento v. infra, lett. B). Diversamente però G.G.AULETTA-V.MANGINI,Del marchio.

Del diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Comm. del cod. civ. a cura di A.

Scialoja e G. Branca, (Art. 2569-2583), Zanichelli-Foro it. Bologna-Roma, 19772, 89. 9Art. 11.1 c.p.i.

10In argomento v. anche per una discussione delle posizioni dottrinali successive alla riforma del

1992, P.MASI, Il marchio collettivo, cit. 71-74 ss. ove anche a 83 s. l’individuazione dei diversi

rappor-ti (associarappor-tivi o di scambio) fra rappor-titolare del marchio colletrappor-tivo e urappor-tilizzatori che possono legitrappor-timare l’uso del segno da parte dei «produttori e commercianti». Da un punto di vista soggettivo, titolare di un marchio di certificazione può essere anche una società non mutualistica, come anche una persona fisi-ca, visto che non è più richiesto dalla norma che le imprese aderenti siano legate da un rapporto di par-tecipazione al soggetto titolare e quindi non si profila l’esigenza di apprestare una struttura idonea a garantire l’accesso di tutti gli operatori di settore all’ente titolare, su cui v. infra, lett. B).

11Secondo il legislatore storico l’ipotesi di introdurre nel nostro sistema la figura del marchio di

certificazione e di garanzia sarebbe stata presa in considerazione e poi deliberaramente scartata: co-sì, e autorevolmente, uno degli estensori della Novella, G. FLORIDIA, Il riassetto della proprietà

in-dustriale, Giuffrè, Milano, 2006, 81. Il testo dei verbali della discussione in proposito avvenuta in

seno alla Commissione istituita per la riforma del 1992 si trova in G. Floridia(a cura di), Marchi

invenzioni e modelli. Codice e commento delle riforme nazionali, Giuffrè, Milano, 1993, 118.

12A. M

ICHAELS, A Practical Guide to Trade Mark Law, cit., 86 s. Per gli U.S.A. v. Ch.R.

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dal regolamento sul marchio comunitario, sia pur implicitamente e limitatamente all’ipotesi in cui la titolarità del segno collettivo faccia capo a “persone giuridiche di diritto pubblico13.

Nel diritto nazionale, dunque, si può oggi istituire un marchio di garanzia e certificazione senza limitazione alcuna sotto il profilo soggettivo. Questo risultato è conseguibile valendosi degli spazi che la previsione generale dell’art. 11 c.p.i. accorda all’autonomia privata nella configurazione dell’istituto del marchio col-lettivo senza la necessità di ricorrere a un’ulteriore e distinta categoria di marchi. Nel nostro diritto interno dunque il marchio di garanzia e certificazione finisce quindi per assumere il significato di una subfattispecie rispetto alla più ampia ca-tegoria dei marchi collettivi, cui esso appartiene14.

L’innovazione deve essere accolta con favore. La figura di recente istituita ben si presta ad accogliere in sé fenomeni recessivi, come il marchio di qualità15. Il principio di sussidiarietà, che governa la relazione fra il diritto comunitario e i di-ritti nazionali, suggerirebbe anche che molte ipotesi che hanno trovato tutela co-me denominazioni di origine o indicazioni geografiche protette16 vengano ricon-dotte all’alveo privatistico dei marchi di garanzia e di certificazione.

109 s., 136 e 161. Non sarebbe però esatto pensare che tutti i Paesi anglosassoni e di common law abbiano dato la precedenza all’istituto dei marchi di certificazione rispetto a quello dei marchi col-lettivi, ché, anzi, gli Stati Uniti introdussero l’istituto dei marchi collettivi già nel 1936, inizialmente riservandoli ad associazioni straniere al fine di soddisfare il precetto dell’art. 7bis della CUP,per estendere nel 1938 l’istituto anche alle associazioni domestiche: Public Law 586 del 10 giugno 1938 (v. J. BELSON, Certification Marks, cit., 21 e 41); mentre perché venissero introdotti i certification

marks si dovette attendere fino al 1946, quando venne adottato il Lanham Act (15 U.S.C.A. § 1054).

Per una trattazione comparata dei “certification marks” con la tutela offerta in Europa v. L.V. FAULHABER,Cured Meat and Idaho Potatoes: A Comparative Analysis of European and American

Protection and Enforcement of Geographic Indications of Foodstuffs, in 11 Columbia Journal of European Law 2005, 623 ss., dove a 643 ss. la discussione dei certification marks. Certo è, però,

che l’apertura soggettiva tipica del marchio di certificazione è oggi particolarmente cara ai trade

negotiators statunitensi, che lo propongono come modello alternativo rispetto a istituzioni come le

indicazioni geografiche, che essi percepiscono come discriminatorie: v. H.RANGEL-ORTIZ, Patent

and trademark rights in commercial agreements entered by the United States with Latin American nations in the first decade of the twenty-first century: Divide et vinces, in G. Ghidini, J.R. Peritz e

M. Ricolfi (a cura di), TRIPs and Developing Countries. Towards a New IP World Order, Edward Elgar, Celtenham, 2014, 72 ss. a 98-99; B.O’CONNOR,The EU and the US. Conflicting agendas

on Geographic Indications. What’s happening in Asia?, in Kluwer Law online, disponibile a http://www.kluwerlawonline.com/abstract.php?id=GTCJ2014009&PHPSESSID=7fv86pdbnd1fscm iiq2snjecd1 e J. BELSON, Certification Marks, cit., 3.

13V. il par. 1 dell’art. 66 r.m.c. Sulle ragioni che hanno condotto a questa claudicante soluzione

comunitaria v. R.LARGO GIL-A.L.MONGE GIL,Marcas comunitarias colectivas, cit., 611 s.

14Come è stato efficacemente detto, nel nostro diritto il marchio collettivo è quindi divenuto

“un dispositivo giuridico ambivalente”: P.SPADA,Qualità, certificazione, segni distintivi (rilievi ma-levoli sulla certificazione delle Università), cit., 155. La tutela all’estero di entrambe le

subfattispe-cie di marchio collettivo può essere conseguita ai sensi dell’art. 7bis della CUP, come anche, nel caso inverso, la protezione in Italia di marchi collettivi o di certificazione stranieri. Non è tuttavia previsto un meccanismo di registrazione internazionale specificamente riferito ai marchi collettivi.

15V. infra, § 205. 16V. infra, §§ 206-207.

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B) La disciplina applicabile ai marchi collettivi. Gli impedimenti assoluti. Il

rego-lamento. Differenze rispetto ai c.d. “marchi di selezione e di raccomandazione”

In linea di principio, ai marchi collettivi si applica la stessa disciplina prevista in via generale per i marchi individuali17, salva, si intende, l’applicazione delle regole particolari per essi specificamente dettate. E tuttavia è facile comprendere come questo sia solo un punto di avvio per chi voglia affrontare il compito, non semplice, di reperire le regole applicabili a ciascuna situazione concreta. Ciò per due ordini di motivi.

In primo luogo, si tratta di prendere atto del fatto che, fra il marchio individua-le e i marchi colindividua-lettivi esiste una discontinuità sul piano funzionaindividua-le. Infatti la fun-zione giuridicamente tutelata dei marchi collettivi, come delineata nel nostro or-dinamento, attiene essenzialmente alla garanzia qualitativa dei prodotti destinati a essere contraddistinti dal segno, mentre, nel caso dei marchi individuali, la stella polare continua a essere, anche dopo la Novella, la funzione distintiva, sia pur in-tesa, come oggi generalmente si riconosce18, in senso più ampio di quanto non avvenisse in passato.

In secondo luogo, occorre considerare che i marchi collettivi sono nati come marchi collettivi geografici; e ancor oggi la disciplina riserva ai marchi collettivi geografici qualche frammento normativo specificamente calibrato a partire dalle particolarità che li caratterizzano.

La necessità di un adattamento della disciplina generale già si avverte nell’esa-me delle regole relative agli impedinell’esa-menti alla registrazione. Fra gli impe-dimenti assoluti alla registrazione del marchio collettivo va certamente annovera-ta, in coerenza con la disciplina ordinaria dei marchi individuali, la mancanza di capacità distintiva; sicuro è però anche che in questo caso la valutazione del tasso di descrittività del segno19 vada calibrata a partire dalla diversità funzionale del marchio collettivo rispetto a quello individuale. Infatti, il marchio collettivo iden-tifica una sottoclasse di prodotti individuata nell’ambito del genere merceologico più ampio cui essi appartengono non tanto in ragione della sua origine imprendi-toriale quanto in ragione di una caratteristica qualitativa la cui presenza è per l’ap-punto attestata dall’apposizione del segno. Quindi, che il marchio sia in qualche mi-sura descrittivo della qualità verificata appare “funzionalmente del tutto coerente” allo scopo dell’istituto20; e questa circostanza legittima un gradiente di vicinanza al termine descrittivo più elevato di quello ammesso in via generale21. Questa

con-17Art. 11.5 c.p.i.; nello stesso senso, per i marchi comunitari, art. 66, par. 3, r.m.c. 18V. supra, § 8.

19Sul quale v. supra, § 23.2; v. gli artt. 13.1, lett. b ), c.p.i. e 7, par. 1, lett. c ), r.m.c. 20In questo senso P. S

PADA, Il marchio collettivo «privato», cit., 481 s.

21Si tratta, peraltro, di un’attenuazione e non di un’obliterazione dell’impedimento. Così, in

se-de comunitaria è stata negata la registrabilità se-del marchio “GG” per bevanse-de di alta qualità (Trib. UE 14 novembre 2012 (Ottava Sezione), causa T-278/09, Verband Deutscher Prädikatsweingüter e.v. c. UAMI, caso «GG») e del marchio “Member of the Society of Financial Advisors”; v. anche per i necessari richiami A. BENDER,in F.L. Ekey-D. Klippel (a cura di), Heidelberger Kommentar

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clusione, già argomentabile a partire dai principi, trova un’esplicita conferma te-stuale in relazione alla sottocategoria dei marchi collettivi di carattere geografico. Secondo il 4° comma dell’art. 11 c.p.i., infatti, “in deroga all’art. 13, 1° comma, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi”22.

Alla norma è quindi affidata una duplice funzione: quella di ridefinire l’impe-dimento specifico relativo alla registrazione dei marchi individuali; e allo stesso tempo di riservare ai soli marchi collettivi la registrazione dei “segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi”, cui resta invece preclusa la registrazione come marchio indi-viduale23. Ciò non significa che sia ammessa la registrazione come marchi collet-tivi di segni che hanno da lungo tempo perso, nella percezione del pubblico, l’o-riginario collegamento con una località. Da questo punto di vista il termine “sa-pone di Marsiglia” sta a indicare una tipologia di prodotto e non una provenienza geografica; esso non può quindi essere registrato come marchio collettivo. Lo stesso vale per l’espressione “acqua di Colonia”24.

Peraltro, l’eventuale carattere (più o meno accentuatamente) descrittivo del marchio collettivo non manca di esplicare i suoi effetti sul piano del potere invali-dante e della tutela: il carattere descrittivo di un marchio collettivo, che pur non costituisce impedimento assoluto, può rilevare ai fini dell’apprezzamento del ri-schio di confusione, da ritenersi escluso in assenza di somiglianza visiva e foneti-ca, ad onta dell’accertata somiglianza sul piano concettuale25.

gennaio 2013, Chaussures Eram s.a.r.l., Syndicat national de Commerce Succursaliste de la Chaus-sure e altri c. Unic e Unic Servizi, caso «Vera Pelle», «Vero Cuoio» e «vacchetta», che ritiene che possano essere registrati come marchi collettivi anche segni descrittivi e privi da carattere distintivo. La stessa decisione intende peraltro in termini piuttosto ampi l’impedimento relativo ai segni “dive-nuti di uso comune” (riferendolo al simbolo indicato come “vacchetta”).

22E vedi l’art. 66, par. 2, r.m.c. La previsione va peraltro coordinata con le previsioni che

garan-tiscono l’accesso al segno geografico da parte delle imprese aventi diritto e la sua libera utilizzazio-ne da parte dei terzi legittimati (su cui v. la lett. C); e queste suggeriscono che il marchio collettivo consistente in segni o indicazioni designanti l’origine geografica non possa svolgere la sola funzione di identificazione della località di produzione ma debba attestare la conformità a requisiti ulteriori specificamente previsti dal regolamento: per una dimostrazione dell’assunto D. SARTI, Il marchio

collettivo, cit., a 132 ss. e 135 ss.. L’ambito di applicazione della previsione è circoscritto alle

indi-cazioni che designino la provenienza geografica e non la menzione tradizionale di un bene, anche se questa è ordinariamente associata a una provenienza geografica, secondo Trib. UE 17 maggio 2011 (Quarta Sezione), causa T-341/09, Consejo Regulador de la Denominación de Origen Txakoli de Álava, Consejo Regulador de la Denominación de Origen Txakoli de Bizkaia e Consejo Regulador de la Denominación de Origen Txakoli de Getaria c. UAMI, caso «Txakoli».

23Nei limiti segnalati al § 25.5; e v. Trib. Voghera 15 febbraio 2000, Cantina Sociale La Versa

s.p.a. c. Cascina Versa s.r.l., in Giur. ann. dir. ind. 4139, caso «La Versa»; sulla questione del-l’operatività del c.d. secondary meaning in relazione ai segni geografici v. § 26 A ).

24Trib. UE 25 novembre 2014 (Terza Sezione), causa T-556/13, Verband der Kölnisch-Wasser

Hersteller e.V c. UAMI, caso «Original Eau de Cologne», che precisa anche (al par. 26) che l’aggiunta dell’aggettivo “originale” non vale a far pensare che il segno designi, fra tutte le acque di Colonia, proprio quelle che provengono da Colonia.

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Perché il titolare del marchio collettivo, sia esso l’ente esponenziale delle im-prese abilitate all’uso del segno o un terzo estraneo a esse che le autorizza in via contrattuale, possa effettivamente «garantire l’origine, la natura o la qualità» dei beni immessi in commercio dalle imprese abilitate26, è necessario che l’uso del marchio da parte delle imprese abilitate medesime sia oggetto di apposita disci-plina. A questo fine occorre che in sede di domanda di registrazione del marchio la documentazione ordinaria sia integrata da un regolamento concernente le condizioni di uso del marchio collettivo, i controlli e le relative sanzioni27.

Il significato del regolamento28 può essere colto, se si consideri che, in sua as-senza, non potrebbe esplicarsi quella funzione di garanzia qualitativa che è asse-gnata al segno dalla legge29. Sotto questo secondo profilo il rispetto del regola-mento risulta essenziale anche nell’interesse dei consumatori, che non debbono essere ingannati sull’effettiva corrispondenza dei beni alle caratteristiche indicate: tant’è che l’“omissione da parte del titolare dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull’uso del marchio collettivo” comporta la decadenza del marchio collettivo30.

Sta qui la grande differenza fra il marchio collettivo e quei segni che sono stati in passato designati come marchi di selezione e di raccomandazione31. Si tratta, in questo caso, di marchi individuali; e il titolare di un marchio individuale ben può svolgere un’attività di selezione – e anche, se ritiene, di vera a propria certifica-zione – per attestare che certi beni offerti sul mercato da terzi sono conformi a de-terminati standard, cui il titolare del marchio indichi di volersi attenere. Il titolare del marchio individuale può altresì segnalare al pubblico i risultati di questa pro-pria valutazione consentendo a che il proprio marchio venga apposto sui beni of-ferti da altri, ma selezionati, raccomandati o anche omologati e certificati dal

tito-Kypriakis Galaktokomikis Viomichanias c. UAMI e Garmo, caso «Hellim/Halloumi», parr. 38 ss., confermato da Corte UE 21 marzo 2013 (Sesta Sezione), causa C-393/12 P., Foundation for the Pro-tection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloumi c. UAMI, caso «Hellim/Halloumi». E v. sul tema § 58.3.

26Art. 11 c.p.i. e art. 2570 c.c.

27Art. 11.2 c.p.i.; artt. 67 e 71 r.m.c. Sulla natura dei controlli dell’Ufficio sul regolamento v. P.

MASI, Il marchio collettivo, cit., 80 s. 28Sul quale v. A. V

ANZETTI-V. DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., 260 s. e V. DI

CATALDO, I segni distintivi, cit., 162 s.

29Il rilievo primario di questo profilo è stato di recente sottolineato da P. S

PADA, Il marchio

col-lettivo «privato» tra distinzione e certificazione, cit., 475 ss. In argomento v. anche A.GERMANÒ-E. ROOK BASILE,Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione europea diretto da G. Ajani

e G.A. Benacchio, Vol. XI, Giappichelli, Torino, 2006, 257 ss., a 258; P. MASI, Il marchio

colletti-vo, cit., 87, 92 s. e M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche e segni distintivi, cit.

30V. l’art. 14.2, lett. c ), c.p.i. e, in termini ancor più rigorosi, l’art. 73 r.m.c. Sulla decadenza del

marchio collettivo v. P. PETTITI, Il marchio collettivo. Commento alla nuova legge sui marchi, in

Riv. dir. comm. 1994, I, 621-636 s. e M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche, cit., 1040.

31Per un esempio ancor oggi spesso ricordato v. App. Milano 12 giugno 1973, in Riv. dir. ind.

1976, I, 239 ss. con nota di R. FRANCESCHELLI,caso «Elle». In argomento v. anche P. MASI, Il

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lare medesimo. E, tuttavia, come è stato sottolineato ancor di recente32, in questo caso i criteri e le specifiche cui il titolare si attiene non sono preventivamente ve-rificati dall’Ufficio e resi accessibili al pubblico con le modalità proprie del “re-golamento” previsto per i marchi collettivi. Quindi, un’attestazione o certificazio-ne che si rivelasse carente, superficiale o altrimenti impropria resterebbe soggetta al solo diritto comune dei marchi individuali; e non quella specifica causa di estinzione del diritto che è data dalla decadenza per omissione di controlli33. C) (Segue). La disciplina applicabile ai marchi collettivi. L’accesso

La regola che legittima l’appropriabilità come marchio collettivo di un segno dota-to in qualche misura di carattere descrittivo o richiamante un dota-toponimo produce con-seguenze anche su di un piano diverso da quello che attiene agli impedimenti alla re-gistrazione. Essa infatti rende ancor più cruciale la questione, già di per sé di grande rilievo, relativa all’accesso al marchio collettivo. È sufficiente che un opera-tore possegga le caratteristiche oggettive richieste dal regolamento e sia intenziona-to ad attenervisi per concludere che questi abbia un vero e proprio diritintenziona-to soggettivo a essere ammesso all’uso? La domanda appare pertinente, posto che l’operatore che si veda rifiutare l’accesso all’uso del segno collettivo rischia di trovarsi esposto a uno svantaggio concorrenziale anche grave, dato che gli è negato il ricorso a un par-ticolare segno descrittivo di caratteristiche della sua produzione rilevanti per l’ap-prezzamento del pubblico al cui uso i suoi concorrenti sono, invece, ammessi34.

Nella nostra tradizione, di regola abbiamo fornito risposta a questo quesito avendo esclusivamente in mente i marchi collettivi come essi si presentano nella configurazione propria della tradizione europeo-continentale e, quindi, caratteriz-zati dalla presenza di un vincolo partecipativo fra operatori ed ente titolare del se-gno. In questa prospettiva, è parso logico concludere che, almeno in linea di prin-cipio, l’accesso al marchio collettivo non debba necessariamente essere aperto a tutte le imprese che siano interessate a farne uso. Infatti, anche se esse siano in grado di fornire beni dotati delle caratteristiche richieste dal regolamento, la loro ammissione all’uso del marchio dipende pur sempre da un atto di autonomia pri-vata, ad es. dall’ammissione a un consorzio ai sensi dell’art. 2607 c.c., che, in coerenza con le caratteristiche di questo negozio associativo, può essere concessa ma anche negata. La possibilità di una restrizione di questo tipo è apparsa (ed

ap-32Da P.S

PADA,Qualità, certificazione, segni distintivi, cit., 155.

33La distinzione fra quei marchi collettivi e questo marchio individuale è dunque netta sul piano

legislativo; e dovrebbe esserlo anche dal punto di vista della comunicazione al pubblico da parte dei rispettivi titolari; al punto che parrebbe sostenibile che l’impiego di un marchio individuale capace di illudere il pubblico destinatario della presenza di certificazioni dotate delle caratteristiche proprie dei marchi collettivi possa condurre alla decadenza, per decettività, del segno individuale così im-propriamente impiegato. E v. l’art. 14.1, lett. a ), c.p.i.; un’argomentazione in questo senso mi pare desumibile dalle previsioni, opposte ma simmetriche, degli artt. 68.2 e 73 r.m.c.

34Sul tema, inverso ma anche simmetrico a quello qui trattato, delle libere utilizzazioni del

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pare) del resto coerente con l’assolvimento della funzione legislativamente asse-gnata al marchio collettivo nella sua configurazione tradizionale: esso individua i prodotti provenienti da quelle specifiche imprese che siano legate al titolare del marchio da un vincolo di partecipazione e non da qualsiasi impresa che si attenga a un determinato standard qualitativo35.

Occorre però soggiungere che il carattere geografico del marchio collettivo provoca oggi una notevole modificazione della disciplina ordinaria. È del resto facile comprendere come, proprio nel caso dei marchi collettivi geografici, l’esigenza di garantire l’accesso al marchio collettivo a favore di tutte le imprese dotate dei requisiti richiesti dal regolamento si faccia avvertire in modo partico-larmente pressante. Non vi è infatti ragione perché una denominazione geografi-ca, specie se essa già sia tipica di una produzione, sia riservata ad alcune imprese ad esclusione di altre che pure siano insediate sullo stesso territorio e possano of-frire beni equivalenti, solo perché essa è stata registrata come marchio collettivo da un ente che sia promanazione di alcuni soltanto fra gli operatori interessati.

Di primo acchito parrebbe che il diritto comunitario e quello nazionale forni-scano risposte differenziate a queste istanze di apertura soggettiva. Infatti, la di-sciplina del marchio comunitario prevede espressamente che il regolamento indi-chi anche le condizioni di partecipazione all’associazione titolare del marindi-chio col-lettivo; e si spinge a statuire che “il regolamento d’uso di un marchio” che designi la provenienza geografica dei beni “deve autorizzare le persone i cui prodotti o 35Sotto questo profilo, non pare richiesta, ai fini della concessione del marchio collettivo da

par-te dell’Ufficio, una verifica relativa al grado di apertura soggettiva che caratpar-terizza la forma di orga-nizzazione (associativa, mutualistica o lucrativa) prescelta in sede di costituzione dell’ente destinato a essere titolare del marchio collettivo. Infatti, una volta che si ammetta che l’ingresso di nuovi uti-lizzatori può essere negato anche in presenza di forme organizzative tendenzialmente aperte (quali sono le associazioni e gli enti mutualistici), altrettanto ammissibile risulta anche il ricorso a forme organizzative tendenzialmente chiuse (quali sono le società lucrative), posto che anche per queste ultime l’ingresso di nuovi soci potrebbe essere consentito, con le maggioranze richieste, dai vecchi. In senso conforme M. LIBERTINI, La legittimazione a registrare il marchio e il procedimento di

re-gistrazione, in Riv. dir. ind. 2002, I, 470 ss., 505.

È peraltro fuori di discussione che l’esclusione di imprese terze in possesso dei requisiti deve esse-re valutata alla luce delle esse-restanti norme dell’ordinamento e quindi anche della pesse-revisione dell’art. 2597 c.c. e del diritto antitrust e ben può, in questa seconda visuale, essere considerata discriminazione vie-tata. V. per il diritto tedesco, in termini corrispondenti, B.WÜST,in Heidelberger Kommentar zum

Markenrecht, cit., 706; e per il diritto comunitario v. la Comunicazione della Commissione (2001/C

3/02) Linee direttrici sull’applicabilità dell’art. 81 del Trattato CE agli accordi di cooperazione orizzon-tale, § 6, parr. 159, 166, 177 nonché (con grande cautela, però) K.H. FEZER, Markenrecht, cit., 1715; in

argomento v., oltre ai riferimenti al caso deciso da Corte di Giustizia EU 16 luglio 2009 (Grande Se-zione), causa C-385/07 P., Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland GmbH c. Commissione, Intersoh Dienstleistungs GmbH, caso «Grüne Punkt», supra, al § 202.4, che peraltro si riferisce alla liceità della determinazione delle royalty richieste da un ente pubblico costituito da un atto normativo, anche V.FALCE,Denominazioni di origine protetta e limitazioni della produzione: i profili antitrust, in Giur. comm. 2005, I, 45 ss. e M. LIBERTINI, La legittimazione a registrare il marchio e il procedimento

di registrazione, cit., 508. In questa seconda prospettiva, sostanzialistica, la scelta di una forma

orga-nizzativa chiusa anziché aperta può assumere rilievo, al fine di apprezzare il carattere restrittivo dell’oggetto o degli effetti dell’intesa della cui valutazione si tratti.

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servizi provengano dalla zona geografica in questione a diventare membri dell’as-sociazione titolare del marchio”36.

A sua volta, il diritto nazionale detta una disciplina specializzata al riguardo. Infatti, nel valutare la domanda, l’Ufficio deve verificare se la registrazione possa creare «situazioni di ingiustificato privilegio» a favore di alcune imprese della zo-na e a scapito delle altre37. Anche se il legislatore nazionale non si è spinto avanti come quello comunitario nel prevedere un vero e proprio diritto soggettivo all’ac-cesso all’ente da parte degli operatori dotati dei necessari requisiti, non appare impossibile provarsi ad accorciare le distanze fra la previsione nazionale e quella comunitaria. Così, in sede interpretativa della disposizione trascritta, si potrà rite-nere che l’assolvimento del precetto comporti che, in fase di registrazione del marchio collettivo geografico, l’Ufficio debba estendere la propria verifica anche alle regole, statutarie o di altra natura, che presiedano all’ammissione delle impre-se in posimpre-sesso dei requisiti richiesti dal regolamento e si assicuri che queste garan-tiscano l’accesso a tutti gli operatori del settore che siano disposti a rispettare il regolamento38.

Dopo la Novella del 1992, il principio dell’accesso libero pare dovere essere esteso anche alla seconda subfattispecie di marchio collettivo, quella che, nel-l’ambito del “dispositivo giuridico ambivalente” ora apprestato dal marchio col-lettivo, dà spazio per la creazione di marchi di certificazione e di garanzia. Infatti, è proprio la modalità aperta di questi ultimi che, storicamente, li ha contrapposti alla modalità chiusa dei marchi collettivi come si erano venuti delineando nella tradizione europeo-continentale39. Se, dunque la Novella del 1992 ha introdotto

36Art. 67, par. 2, p.te seconda, r.m.c. 37Art. 11.4 c.p.i.

38In questo senso, e in termini riferiti a tutti i marchi collettivi, P. S

PADA, Il marchio collettivo «privato», cit., 484, anche se si potrebbe rilevare che la soluzione appare più facilmente argomenta-bile per i marchi collettivi geografici che per i restanti marchi collettivi. In diritto tedesco v. la rego-la di cui al § 102, 2° comma, MarkenG, riferita ai soli marchi collettivi geografici, su cui K.H. F E-ZER, Markenrecht, cit., 1729.

Nello svolgere il compito descritto nel testo, e, quindi, con specifico riferimento ai marchi geo-grafici, l’Ufficio parrebbe legittimato a mettere in discussione l’idoneità della scelta di una forma di organizzazione lucrativa dell’ente titolare, e delle pattuizioni che la accompagnano, dal momento che essa non garantisce di per sé quell’apertura soggettiva che invece è tipica degli enti mutualistici e associativi.

Il diritto nazionale assegna all’Ufficio anche un ulteriore, e delicato, compito in fase di esame della domanda: esso deve verificare che la registrazione del marchio collettivo geografico non possa «recare pregiudizio allo sviluppo di analoghe iniziative nella regione». Può infatti essere che, per talune tipologie di beni, possa apparire sconsigliabile che gli operatori di ciascuna zona agiscano «in ordine sparso», quando a livello più elevato abbiano già potuto delinearsi interventi coordinati delle associazioni di categoria, dei pubblici poteri o degli stessi operatori economici. Su questi profili v. M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche, cit., 1041 ss.

39In effetti, gli studiosi anglosassoni ancor oggi sottolineano che, se per i marchi collettivi, “their

use may be restricted to members of the association, … certification marks can be used by any person who satisfies the conditions of use of the mark” (A. MICHAELS, A Practical Guide to Trade Mark Law,

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una seconda subfattispecie di marchi collettivi, nei quali il titolare possiede poteri di normazione e di controllo sulle caratteristiche dei beni destinati a essere muniti del marchio pur in assenza di un vincolo partecipativo degli utilizzatori con il soggetto titolare, vi è da domandarsi se coerenza non voglia che, in questo speci-fico caso, esista un diritto soggettivo perfetto di qualunque operatore che soddisfi i requisiti posti dal regolamento ad avere i propri beni sottoposti al controllo e conseguentemente “certificati” come conformi grazie all’apposizione del marchio (formalmente) collettivo (ma sostanzialmente di certificazione); e se non debba allora ritenersi che il compito dell’Ufficio si arricchisca in questo caso di un profi-lo ulteriore, consistente nella verifica che la modalità “aperta” di accesso sia ido-neamente assicurata dal regolamento medesimo40.

La risposta positiva all’interrogativo parrebbe sorretta da buone ragioni di or-dine sistematico. Invero, fintantoché l’autorizzazione all’uso del marchio presup-pone anche la partecipazione all’ente titolare, si può comprendere come la stessa prerogativa dell’autonomia privata che può condurre al diniego dell’ammissione all’ente possa, per necessaria implicazione, condurre altresì al diniego dell’uso del segno. Quando però l’accesso al segno viceversa non presupponga la partecipa-zione all’ente titolare, quella giustificapartecipa-zione viene meno. In questo assetto, il di-niego dell’interesse all’accesso si rivela contrario alla curvatura funzionale pro-pria di questa seconda subfattispecie di marchio collettivo, in quanto rivolto a identificare e distinguere i beni muniti del segno in ragione delle loro caratteristi-che e qualità; e contrastante con il principio di rango costituzionale di libertà con-correnziale, cui, in definitiva, la disciplina dei segni distintivi è ispirata41.

D) (Segue). L’ampiezza della tutela. Gli impedimenti relativi. Le libere utilizzazioni Quale ruolo ha la curvatura funzionale dei marchi collettivi nel determinarne l’ampiezza della tutela? Ancor in tempi recenti si è riproposta l’impostazione che, dalla premessa secondo cui i marchi collettivi si riferirebbero a “uno

specifi-from collective marks, to which access is limited to members of an association” (J. BELSON,

Certifica-tion Marks, cit., 33; e v. anche 16). Dal canto loro, i giudici americani si sono spinti ancor oltre,

avvici-nando il meccanismo che impone al titolare di un marchio di certificazione di aprire il segno all’uso di tutti gli operatori che soddisfino i requisiti posti dal regolamento al congegno, da noi ritenuto poco compatibile con il funzionamento dei segni distintivi (v. supra, § 7; ma anche l’evoluzione documenta-ta al § 204.4), della licenza obbligatoria: “Certification mark licensing programs are a form of limited compulsory licensing … and the certifier has a duty to certify the goods or services of any person who meets the standards and conditions which the mark certifies”, secondo la sentenza Idaho Potato

Com-mission c. M.&M. Produce Farm & Sales, in 335 F.3d 130 (2 Cir. 2003), 138.

40Fonda il diritto soggettivo all’accesso nelle situazioni di cui al testo sulle previsioni

concor-renziali v. P. SPADA, Il marchio collettivo «privato», cit., 484. La prospettiva è convergente con l’argomento qui formulato nel testo, che, però, si riferisce alla fase genetica delle verifiche dell’Uf-ficio in sede di registrazione, piuttosto che al momento funzionale dei rimedi giurisdizionali dell’a-vente diritto escluso. Nella prospettiva del diritto tedesco, v. l’apertura di K.H. FEZER, Markenrecht,

cit., 1715.

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co preciso prodotto e non (al)l’attività produttiva di una determinata impresa”, deduce la conseguenza che la protezione a essi accordata sarebbe circoscritta “ai prodotti specificamente contraddistinti”42 ad esclusione di quelli affini. In questa prospettiva viene negato che, pur in presenza di segni identici o simili a un mar-chio collettivo, sussista il rismar-chio che il pubblico possa ricondurre beni non identi-ci ma simili all’attività svolta sotto l’ombrello del marchio collettivo, come invece avverrebbe se il marchio anteriore fosse un marchio individuale.

La soluzione, pur autorevolmente sostenuta, oggi non pare più attendibile. Cer-to, il richiamo operato dagli artt. 11.5 c.p.i. e 66, par. 3, r.m.c. alla disciplina det-tata per i marchi ordinari non può essere di per sé sufficiente per argomentare di-versamente43. Invero, occorre prendere atto della circostanza che il titolare di un marchio collettivo, a differenza di quanto avviene per il titolare di un marchio in-dividuale, non ha di regola né l’interesse, né – forse – neppur la facoltà di destina-re il proprio marchio (collettivo) a produzioni diverse da quelle pdestina-reviste dal destina- rego-lamento44.

E tuttavia occorre anche considerare che la tutela del marchio, collettivo non meno che individuale, non appare calibrata solo sulla salvaguardia degli interessi del titolare ma, più ampiamente, di quelli, assiologicamente prioritari, dei destina-tari del messaggio veicolato dal marchio. Ora, collocandosi nella prospettiva del pubblico, si può aver ragione di temere che il consumatore incorra in un rischio di confusione, che può anche consistere in un’associazione, quando trovi un segno identico o simile a un marchio collettivo su beni anche non identici. A questo proposito, si deve anche considerare che, applicando i principi, l’ambito della tu-tela appare destinato a variare, in funzione della maggiore o minore notorietà del segno sul mercato; e che, soprattutto nella dimensione europea, nella quale sono chiamati a operare i marchi collettivi comunitari, difficilmente si può ipotizzare che tutti i consumatori abbiano ben presenti le limitazioni merceologiche contenu-te nel regolamento. Forse i consumatori italiani potranno sapere che il “prosciutto di Parma” è solo crudo; ma è difficile che lo stesso valga per i finlandesi e i por-toghesi. Piuttosto si può argomentare che, quando il marchio anteriore fatto valere sia un marchio collettivo, il parametro di valutazione ordinario possa essere in qualche modo corretto, facendo ad esempio riferimento non ai beni “simili”, come vuole il diritto comunitario, o “affini”, come prevede il diritto nazionale, potendo 42In questi precisi termini Cass. 19 marzo 1991, n. 2942, Consorzio del Prosciutto di Parma c.

Parmacotto s.p.a., in Giur. ann. dir. ind. 2596, caso «Parmacotto I».

43Sembra però degno di nota che nella letteratura straniera si dia per scontato che i presupposti

per la tutela di un marchio collettivo o di certificazione non differiscano per nulla da quelli dei mar-chi individuali: v. ad es. B.WÜST,in Heidelberger Kommentar zum Markenrecht, cit., 700 e J. B EL-SON, Certification Marks, cit., 34 e 39.

44In particolare se si ipotizzi che sulla registrazione del marchio collettivo possa influire, come

talora accade, una normativa speciale, che si riferisca a specifiche produzioni tipiche. Non è detto che l’ipotesi sia, oggi, particolarmente frequente; e comunque nulla parrebbe impedire all’ente col-lettivo di registrare un marchio individuale per proteggere le produzioni complementari ulteriori: in questo senso K.H. FEZER, Markenrecht, cit., 1714.

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risultare al riguardo più adeguato il criterio impiegato nel settore finitimo delle denominazioni protette, che fa riferimento alla nozione di “beni comparabi-li” o “dello stesso tipo”45. Infatti, questi ultimi parametri potrebbero essere utilmente impiegati per accordare ai marchi collettivi una tutela di estensione ca-librata su direttici qualitative, anziché merceologiche, ad es. considerando illecito l’uso non autorizzato del segno anche per prodotti di classi diverse ogni qualvolta sia verosimile un fenomeno di trasferimento dell’immagine di qualità dal marchio collettivo al prodotto nuovo.

Quest’ultima soluzione pare del resto coerente con il dato, sopra argomentato, per cui la disciplina dei marchi collettivi è oggi fondata anche sulla tutela della funzione di garanzia qualitativa da essi svolta sul mercato. Né si può escludere che l’ampiezza della tutela del marchio possa essere opportunamente dimensiona-ta anche tenendo conto di un fattore che non appare inimpordimensiona-tante, anche se è ra-ramente considerato nelle discussioni sull’argomento46. Ci si riferisce alla circo-stanza che il marchio collettivo di regola non costituisce il solo marchio apposto sul bene, essendo esso di regola destinato ad accompagnare, come una classica

Begleitungsmarke, il marchio individuale adottato dall’utilizzatore.

Occorre anche chiedersi se il richiamo alla disciplina dei marchi individuali, operato dalle previsioni nazionali e europee47, non si estenda anche oltre, fino ad abbracciare la tutela della funzione pubblicitaria, che pure ha – come è ben noto – trovato emersione nella disciplina dei marchi individuali.

La soluzione è sotto questo profilo più incerta: infatti non tutte le disposizioni relative ai marchi individuali che stanno a testimoniare un riconoscimento della funzione pubblicitaria sono estensibili ai marchi collettivi. Così, dal punto di vista della disciplina del trasferimento, appare difficile ipotizzare che il valore econo-mico di un marchio collettivo possa essere monetizzato attraverso una cessione c.d. “libera” del segno. Il titolare non lo utilizza direttamente; e pare dubbio che possa cederlo, se non con il consenso di tutte le imprese abilitate all’uso e, forse, con l’approvazione dell’Ufficio48. D’altro canto, difficilmente le regole statutarie dell’ente esponenziale possono ammettere che un’impresa abilitata all’uso del marchio possa sostituire a sé altra impresa se non quando questa acquisisca i

fat-45Sulla nozione di “prodotti comparabili” di cui all’art. 13, par. 1, lett. a), del reg. (UE) n. 1151/2012

(sulla quale v. §§ 207 B) e D) e quella di “lo stesso tipo di prodotto”, di cui alla previsione della lett. k) del par. 1 dell’art. 7 r.m.c. (sulla quale v. §§ 30.2, 117.3, 207 e 208), per altro collocata nell’area degli impe-dimenti assoluti, le quali potrebbero entrambe considerarsi intermedie fra quelle di beni “affini” e “identi-ci” rispettivamente, v. lo Study on the Overall Functioning of the European Trade Mark System presented by the Max Planck Institute for Intellectual Property and Competition Law, Munich, 2011, consultabile a

http://www.ip.mpg.de/ww/de/pub/aktuelles/studie_zum_europ_ischen_marken.cfm, 130.

46Ma cfr. R.L

ARGO GIL-A.L.MONGE GIL,Marcas comunitarias colectivas, cit., 634. 47V. gli artt. 11.5 c.p.i. e 66, par. 3, r.m.c.

48In argomento P. M

ASI, Il marchio collettivo, cit., 77; e v. l’art. 71 r.m.c. In Germania, la tra-sferibilità è stata ammessa a far data dall’entrata in vigore, nel 1994, del MarkenG: v. K.H. FEZER,

Markenrecht, cit., 1714 s. Curiosamente il diritto britannico richiede l’approvazione dell’Ufficio per

il trasferimento di un marchio di certificazione ma non di un marchio collettivo: v. KERLY’S Law of Trade Marks and Trade Names, cit., 338 e 340.

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tori produttivi che le consentono di assolvere agli obblighi qualitativi posti dal re-golamento49.

Per altro verso, è verosimile che la nuova disciplina della volgarizzazione50 si applichi anche ai marchi collettivi; e la soluzione trova una conferma nelle scelte operate dal diritto comunitario nel settore finitimo delle denominazioni protette51.

Sembra pertanto che la funzione pubblicitaria penetri nella disciplina dei mar-chi collettivi in modo selettivo e non generalizzato. Per questo qualche incertezza può registrarsi proprio sul piano, cruciale, della tutela, dove in effetti ci si può domandare se siano configurabili marchi collettivi che godono di rinomanza ed, in caso di risposta affermativa, se essi beneficino della tutela allargata di cui alla lett. c) del 1° comma dell’art. 20 c.p.i.52.

Il richiamo generale alle disposizioni sul marchio individuale non esclude, dunque, una qualche misura di flessibilità, per adattare le regole generali alla par-ticolare curvatura funzionale del marchio collettivo. Così, per quanto concerne gli impedimenti relativi alla registrazione del marchio collettivo (ed ai mo-tivi di nullità relativa), non va considerata come preclusiva della protezione come marchio collettivo la parziale coincidenza del segno con un’anteriore indicazione di provenienza geografica protetta, anche se poi, in questo caso, il marchio collet-tivo dovrà possedere una configurazione e delle varianti rispetto alla indicazione tali da rappresentare una differenziazione sufficiente rispetto all’indicazione

me-49Nella legge spagnola esiste un divieto espresso al riguardo, sancito dall’art. 62, par. 4, sul

quale v. M. LOBATO, Comentario a la Ley 17/2001, de marcas, cit., 998.

50Artt. 13.4 e 26.1, lett. a ), c.p.i. V. supra, § 26 B ).

51V. la soluzione, assai più radicale, adottata dal par. 2 dell’art. 13 del reg. (UE) 1151/2012, su

cui infra, § 207 C ).

52Per una risposta negativa v. Trib. Bolzano 30 agosto 2003, Provincia Autonoma di Bolzano c.

Internet Consulting s.r.l., in AIDA 2004, 987 con osservazioni critiche di L. I[NNOCENTE], caso

«Südtirol.com», che ha dedotto dalla premessa, secondo la quale “la funzione specifica” del marchio collettivo sarebbe quella “di garantire le caratteristiche e le qualità del prodotto che contraddistin-gue”, la conseguenza di escludere che esso simultaneamentre assolva anche quella, distintiva, di “individuare l’origine di un prodotto”, e di qui ha tratto il corollario ulteriore – e forse non del tutto conseguente – che a tale tipologia di segno sarebbe preclusa la tutela (oggi) prevista dall’art. 20.1, lett. c), c.p.i., nella specie nei confronti dell’uso da parte di un terzo del marchio collettivo come

domain name. In senso opposto v. però Trib. Parma 22 gennaio 2001 (ord.), Consorzio del

Prosciut-to di Parma c. Media Strategy s.r.l., caso «ProsciutProsciut-todiparma.it», in C. GALLI,I domain names nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2001, 447 ss., proprio sulla base della qualificazione del marchio

collettivo corrispondente come dotato di rinomanza.

Il quesito può forse iniziare a trovare linee di soluzione, se si tenga presente che (i) la stessa connotazione funzionale dei marchi collettivi esclude che possa trovare giuridica tutela per essi l’interesse proprio dei titolari di marchi celebri di sfruttare il capitale reputazionale accumulato dal segno estendendo la loro presenza a settori merceologicamente distanti (come riconosciuto da Trib. Parma 22 gennaio 2001 (ord.), caso «Prosciuttodiparma.it», cit.); e che, tuttavia, (ii) il pregiudizio al carattere distintivo e alla reputazione del segno può, anche nel caso dei marchi collettivi, provenire dal suo impiego pure in settori distanti; cosicché si potrebbe ipotizzare di calibrare la protezione dei marchi collettivi che godano di rinomanza accordandola contro gli atti che producano pregiudizio e non indebito approfittamento.

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desima53 e dovrà essere formato in maniera tale da evitare di ingenerare l’im-pressione che solo i prodotti da esso contraddistinti provengano dalla zona di rife-rimento.

Sempre dal punto di vista degli impedimenti c.d. relativi, il marchio collettivo anteriore può comunque distruggere la novità di un marchio individuale successi-vo54. A sua volta, un marchio individuale anteriore (ad es. «Corvo di Salaparuta» per vini) può ostare alla successiva registrazione di un marchio collettivo che con esso interferisca55.

Naturalmente le considerazioni che precedono si lasciano trasporre dal piano del potere invalidante, di cui si è detto, a quello della tutela.

Il marchio geografico collettivo è caratterizzato da alcune particolarità ulteriori sotto il profilo degli usi leciti o, come pure si dice, delle libere utilizzazioni. Infatti,“un marchio collettivo non autorizza il titolare a vietare a un terzo l’uso in commercio di siffatti segni o indicazioni, purché l’uso sia conforme alle consue-tudini di lealtà in campo industriale o commerciale; in particolare un siffatto mar-chio non può essere opposto ad un terzo abilitato ad utilizzare una denominazione geografica”56. Dal canto suo, la norma italiana sancisce che “l’avvenuta registra-zione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l’uso nel commercio del nome stesso, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi limitato alla funzione di indica-zione di provenienza”57. Entrambe le previsioni vanno raccordate alle regole or-dinarie in materia di libere utilizzazioni58.

La norma interna sembra contenere un’imperfezione rispetto al testo comunita-rio di riferimento. Infatti, per essa, il nome geografico registrato come marchio collettivo può essere usato da imprese terze solo come indicazione di provenienza 53Sulle difficoltà che comporta la coesistenza – non del tutto preclusa, peraltro – fra due marchi

collettivi analoghi v. M. LOBATO, Comentario a la Ley 17/2001, de marcas, cit., 998.

54Cfr. gli artt. 12.1, lett. h ) nonché 14.1 lett. c), c.p.i.; art. 4, par. 4, lett. d ) ed e ) direttiva; artt.

8, par. 4 e 53, par. 2, r.m.c.

55Nell’esperienza comparatistica v. Schweizerischer Bundesgerichtshof 21 agosto 2002, in 35

IIC, 2004, 219 ss., caso «Appenzeller», che ha ritenuto preclusiva della validità della registrazione

del marchio di garanzia “Appenzeller Natural” l’esistenza di un anteriore marchio individuale “Ap-penzeller Switzerland” dopo aver verificato che quest’ultimo, per sua natura descrittivo, avesse ac-quisito secondary meaning, e dopo aver accertato un’interferenza fra l’uso anteriore (per formaggi) e quello posteriore (per latticini). Va peraltro osservato che nella specie il marchio anteriore, pur formalmente individuale, presentava profili funzionali assai vicini a quelli di un marchio collettivo, essendo stato registrato originariamente dal Cantone di Appenzell per essere poi trasferito a una so-cietà emanazione degli agricoltori della zona.

56Art. 15, par. 2, direttiva e 66, par. 2, pt. seconda r.m.c. 57Pt. seconda del 4° comma dell’art. 11 c.p.i.

58Artt. 12 r.m.c. e 21.1 c.p.i., su cui v. supra, §§ 141-145. Per la collocazione del 4° comma

dell’art. 2 della previgente legge marchi (corrispondente all’attuale 4° comma dell’art. 11 c.p.i.) co-me previsione speciale rispetto alle disposizioni della lett. b), 1° comma dell’art. 18 e del 1° comma dell’art. 1bis legge marchi (corrispondenti al 1° comma dell’art. 13 e alla lett. b) del 1° comma dell’art. 21 c.p.i.) v. M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche, cit., 1042 ss., 1044.

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geografica distinta e separata dal (diverso) marchio da esse adottato (ad es. «Spu-mante X di Y»); e, poi, in altra porzione dell’etichetta, («prodotto e imbottigliato dalla Y in Santa Maria della Versa») e quindi in funzione non distintiva dell’ori-gine imprenditoriale del bene ma descrittiva della sua provenienza geografica. In-vece, nel diritto comunitario, l’uso in funzione non distintiva ma descrittiva è solo una fra le possibili modalità di uso lecito del marchio altrui, essendo ipotizzabili modalità distintive professionalmente corrette di impiego del segno che altri usi come marchio collettivo59, come anche situazioni nelle quali viceversa l’uso sia descrittivo ma non leale60.

Il legislatore interno ha preso atto, sul piano generale della disciplina degli usi leciti del marchio altrui, della più ampia portata liberalizzatrice della norma co-munitaria61; ma ha poi omesso di trarre le logiche conseguenze da tale principio in materia di conflitto fra marchi collettivi e altri segni. Anche in questo caso, è da ritenersi che la norma nazionale debba essere interpretata alla luce del diritto co-munitario e, se del caso, disapplicata per la parte in cui contrasta con quest’ulti-mo, in modo tale da ammettere la liceità dell’impiego leale, ancorché non descrit-tivo, di segni che potrebbero interferire con l’altrui marchio collettivo anteriore.

Il diritto comunitario contiene altresì un’ulteriore precisazione, che, invece, manca nel testo italiano. Secondo l’art. 66, par. 2, ultima parte, r.m.c. in nessun caso il marchio collettivo può essere “opposto ad un terzo abilitato ad utilizzare una denominazione geografica”. Può essere che le imprese insediate su di un dato territorio abbiano conseguito la facoltà di significare le caratteristiche della pro-pria produzione impiegando una denominazione geografica62. Poiché in alcuni

59Così, in relazione peraltro al conflitto tra due marchi individuali, Corte di Giustizia 7 gennaio

2004, causa C-100/02, Gerolsteiner Brunnen GmbH & Co. c. Putsch GmbH, caso «Gerolsteiner Brunnen» (su cui § 142.1). Diversamente però con riferimento alla lett. a) dell’art. 6, par. 1, della direttiva la sentenza del Trib. di primo grado CE 13 luglio 2005, causa T-40/03, caso «Murùa», par. 43 ss. Questa situazione, di uso distintivo confliggente ma “leale”, può essere meno infrequente di quanto non si possa di primo acchito immaginare: si pensi per l’appunto all’ipotesi, corrispondente al caso «Gerolsteiner Brunnen», in cui il secondo marchio sia solo simile, ma non identico, rispetto al marchio collettivo anteriore; si basi su di una denominazione geografica effettivamente esistente; nel Paese di origine sia stato a sua volta usato in data anteriore alla registrazione del marchio collet-tivo ed, infine, non risulti la volontà di appropriarsi dell’avviamento conseguito da quest’ultimo sul proprio mercato. In argomento v. C. GALLI, Globalizzazione dell’economia e tutela delle

denomina-zioni di origine dei prodotti agro-alimentari, in Riv. dir. ind. 2004, I, 60 ss., 77 ss.

In senso conforme la disciplina contenuta nel MarkenG tedesco: come sottolinea K.H. FEZER,

Markenrecht, cit., 1721, “Die Schutzrechtsschranke des § 100 Abs. 1 stellt nicht auf eine mar-kenmäßige Benutzung ab”; per qualche precisazione non sempre convincente ivi, 1722.

60Come è stato ipotizzato nel caso deciso dalla Corte di Appello di Copenhagen del 16 aprile

1998, Anheuser Busch Inc. e Posh Inc. A/S c. Theodoridis Budveiser, in 31 IIC 2000, 104 ss., caso «Budweiser», nel quale il postadottante aveva iniziato le proprie vendite sulla scia del successo del prodotto rivale.

61In argomento v. supra, § 143.2. Su questa vicenda normativa v. A. C

OGO,Commento all’art.

21 c.p.i. in L.C. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza. Appendice di aggiornamento, Cedam, Padova, 2005, 50-51.

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