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3. Come si può misurare la sostenibilità complessiva della filiera

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3. Come si può misurare la sostenibilità complessiva della

filiera

3.1 Introduzione alle misure generali adottate nella filiera

È opinione diffusa che per gestire un’azienda, e di conseguenza l’intera filiera, secondo criteri di sostenibilità si debba governare l’impresa seguendo tre linee di azione. Il triple bottom line, il concetto che sta alla base di questa logica, coniato da John Elkington,58 sviluppa un modello di gestione incentrato su tre direzioni diverse: Persone, Ambiente e Profitti. Il legame tra un miglioramento continuo delle prestazioni aziendali e la sostenibilità è il principio su cui si basa il triple bottom line.

Le aziende che seguono questa logica sono impegnate nello sviluppo del benessere verso le comunità e il lavoro delle persone, rifiutandosi di utilizzare lavoro minorile, impegnandosi nel garantire un ambiente di lavoro sicuro e con orari accettabili, nonché cercare di restituire parte della ricchezza generata alle comunità locali (es: fornire assistenza ed istruzione) senza sfruttare la forza lavoro.

L’area sociale proposta dal modello fa riferimento all’impegno che le aziende esercitano nel creare e mantenere nel tempo un rapporto di trasparenza e fiducia con i propri clienti, fornitori e con tutti gli stakeholder in generale, ma anche alle politiche rivolte al benessere dei propri dipendenti in termini di riconoscimenti, premi per l’adozione di un comportamento socialmente etico, sicurezza sul luogo di lavoro, work life balance e iniziative per creare un sistema che rispetti le persone e la società, traducibile in una maggiore efficienza esterna ed interna.

Le politiche che fanno riferimento all’ambiente sono orientate alla minimizzazione dell’impatto che le attività aziendali hanno sulla natura, utilizzando energia rinnovabile

                                                                                                                         

58 Nato nel 1949 in Inghilterra, si è affermato come imprenditore sostenitore del green business, da molti definito come “un evangelista per la responsabilità sociale e ambientale delle aziende”

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e riducendo gli sprechi; è opportuno individuare metodi ecosostenibili per lo smaltimento dei rifiuti tossici per salvaguardare l’ambiente e quindi le persone.

Sono inclusi in questa categoria gli aspetti che riguardano gli utilizzi degli input nel processo produttivo, gli impianti e le attrezzature utilizzate, ma anche la volontà del management di influenzare le attività aziendali verso il rispetto dell’ambiente. Gli indicatori che misurano questo aspetto possono tradursi in numero di ore dedicate alla formazione e alla sensibilizzazione degli impiegati e operai o al numero degli audit effettuati in un certo periodo di riferimento. Le attività rivolte al rispetto delle comunità locali e al territorio in cui operano le aziende sono incluse in questa categoria, controllando le emissioni e i rifiuti generati.

Per quanto riguarda l’ambito “profitti” è necessario precisare che, con tale termine, non si intende la definizione contabile tradizionale, ma il beneficio che la società “ospitante” trae dall’implementazione di tale politica, si riferisce, quindi, all’impatto che la gestione aziendale ha sull’aspetto economico locale.

Per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità non è sufficiente focalizzare l’attenzione sul ritorno degli investimenti, sul profitto tradizionalmente inteso, ma l’obiettivo è quello di generare valore per gli stakeholder, includendo gli aspetti relativi all’ambiente, alla società e tutti gli aspetti economici e finanziari dell’azienda.

Agli indicatori che misurano i risultati finanziari o il vantaggio competitivo derivati dall’uso di particolari risorse o da processi innovativi, vanno affiancati indicatori di tipo non finanziario, ad esempio indicatori che monitorano la soddisfazione dei clienti, il grado di innovazione di un prodotto o la qualità dello stesso.

L’obiettivo è definire un valore monetario agli impatti che l’azienda genera in termini di risparmio ottenuto, impiegando materiali riciclati, o di costi inferiori per aver prevenuto l’inquinamento o gli incidenti sul lavoro.

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I fattori che generano un impatto sulle tre dimensioni della sostenibilità dipendono dal tipo di business che l’azienda e tutta la filiera persegue. Risulta, quindi, necessario che le aziende siano in grado di definire gli obiettivi di breve e lungo periodo considerando l’impatto che le attività d’impresa generano sull’ambiente, sul capitale sociale ed umano.

Per misurare la sostenibilità, le imprese devono essere capaci di monitorare, in corso d’opera, il grado di raggiungimento degli obiettivi e le azioni messe in atto per raggiungerli. I responsabili d’azienda devono valutare l’impatto che le attività d’impresa generano sulle tre dimensioni della sostenibilità e considerando che, potenzialmente, ogni attività può avere un impatto ambientale, sociale ed economico, il Global Reporting Initiative59 ha stabilito un criterio da seguire per non cadere in errore. È necessario basarsi sul principio della materialità secondo cui, per misurare le proprie performance in termini di sostenibilità, devono essere presi in considerazione solo alcuni aspetti del business che hanno una certa significatività ed influenza sulla triple bottom line.

Definiti gli aspetti considerati più rilevanti, le aziende devono fissare i propri obiettivi e soprattutto definire un set di indicatori che vadano a misurare le performance verso il raggiungimento degli obiettivi stessi. Se un’organizzazione non possiede un sistema in grado di monitorare i propri risultati, difficilmente raggiungerà gli obiettivi prefissati.

                                                                                                                         

59 Il Global Reporting Initiative è un ente non-profit nato con lo scopo di supportare le performance sostenibili delle organizzazioni di tutto il mondo.

Il GRI (Global Reporting Initiative), è stato promosso per la prima volta nel 1997 in partnership con l’United Nations Environment Programme (UNEP), mira principalmente a: favorire la redazione di un report in cui vengano integrate le tre dimensioni: economica, ambientale e sociale dell’attività di un’impresa; creare uno strumento capace di rappresentare la responsabilità dell’azienda verso la società per quantificare e monitorare le sue prestazioni ambientali, sociali oltre che economiche; dialogare con gli stakeholder rispondendo alle loro aspettative.

Fonte:

www.gse.it/it/Sostenibilita/Il%20nostro%20impegno/Gli%20indicatori%20GRI/Pages/default.a sp

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Gli indicatori comunemente utilizzati sono definiti key performance indicator per il ruolo chiave che hanno nella realizzazione della strategia. Un indicatore deve poter fornire informazioni in maniera sintetica e comprensibile evitando interpretazioni sbagliate o soggettive. È opportuno che un indicatore supporti il processo decisionale dell’azienda, individui possibilità di miglioramento e che il manager sia in grado di controllarlo e influenzarlo con le proprie azioni, potendo rendere partecipi gli stakeholder dei progressi raggiunti.

Un aspetto molto importante è l’efficienza di un indicatore, cioè la possibilità di reperire le informazioni necessarie senza dover sostenere azioni troppo onerose o molto impegnative, in quanto genererebbero, comunque, un impatto negativo sulle performance aziendali, a causa delle risorse impiegate per reperirle. Risulta necessario selezionare gli indicatori più rilevanti in base al tipo di business di ogni azienda ed in base a ciò che deve essere misurato; a tale scopo le metodologie utilizzate sono molte tra cui quella definita dal Global reporting initiative che classifica il set di indicatori, in base al tipo di misurazione, in sei categorie (economia, ambiente, diritti umani, lavoratori, prodotto e società). 60

Facendo riferimento alla letteratura61 possiamo enunciare, a titolo di esempio, l’analisi svolta da SDA Bocconi sugli indicatori di performance per la sostenibilità di Greentire s.c.r.l. Si tratta di una società consortile, senza scopo di lucro che si occupa della gestione degli pneumatici fuori uso (PFU) e massimizza il loro recupero in modo da poterli riutilizzare successivamente. Integrando le linee guida del Global reporting initiative (GRI) e gli indicatori messi a disposizione dalla ISO-14001 è possibile ottenere un set di indicatori adatto alla misurazione delle performance di Greentire. Per

                                                                                                                         

60 Per Approfondimento si veda il sito web:

https://www.unglobalcompact.org/system/attachments/cop_2015/162321/original/COP_GRI201 5.pdf?1432624287 pag.121

61 Baglieri E. Vitagliano F. (2014) Rapporto di Ricerca per Greentire S.C.R.L Indicatori di Performance per la sostenibilità SDA Bocconi

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ogni dimensione (economica, sociale, ambientale) sono stati redatti 25 indicatori62, ciascuno dei quali è catalogato in base al tipo di misurazione, così come previsto dal GRI.

Dal set di indicatori è stato possibile estrapolarne quattro, ritenuti particolarmente significativi per le attività svolte da Greentire:

-­‐ Bilancio di Materia: Bilancio di materia input/Output andando a scomporre l’output per tipo (cippato, polverino) o l’output non trasformato.

Si tratta di uno dei principali indicatori per la misurazione dell’efficienza dei processi di recupero e viene applicato alla maggior parte dei settori industriali. Greentire favorisce il recupero di materia verso le aziende trasformatrici aderenti alla società consortile. Il recupero dei materiali riduce a zero l’aliquota degli PFU destinati alla termovalorizzazione e genera un profitto a favore della sostenibilità economica delle attività di recupero.

Il bilancio input/output può essere espresso in rapporto percentuale tra le tonnellate di materie in ingresso e in uscita o come valore assoluto delle quantità in ingresso dei trasformati.

-­‐ Emissioni di CO2 derivanti dai trasporti: considerando l’attività svolta da Greentire, le emissioni derivanti dai trasporti danno un’idea dell’impatto generato dalle attività di recupero. Queste devono essere relazionate con la quantità di input per misurare l’efficienza ambientale dei processi di recupero dei PFU, dove ciò che conta sono le emissioni per tonnellata di pneumatici raccolti.

Greentire utilizza il sistema web based63 per la gestione dei trasporti e delle forniture di PFU, e attraverso questo sistema è possibile risalire ai dati necessari

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per il calcolo delle emissioni. Utilizzando la classe EURO per le emissioni inquinanti, come misura dell’efficienza del vettore impiegato, è stato possibile moltiplicare i km percorsi per il fattore di emissione di ciascun automezzo, ottenendo così una stima delle emissioni. La relazione con il quantitativo di input sarà data dal rapporto tra tonnellate di CO2 e tonnellate di input destinato

al riutilizzo come materia prima.64

-­‐ Valore aggiunto generato: considerando che Greentire è una società senza scopo di lucro, ai fini del calcolo di questo indicatore, sono stati presi in considerazione i dati relativi alle società partner del Consorzio, quindi la performance economica fa riferimento alle quantità di PFU trasformati e venduti a terzi dalle suddette attività. L’indicatore misura le quantità di PFU in ingresso presso i trasformatori e la materia prima da essi ricavata e venduta attraverso le società del consorzio.

Il dato viene calcolato considerando il rapporto tra il tipo di pneumatico in ingresso e il tipo di output; quello che si ottiene è la performance economica del processo trasformativo, cioè la capacità del consorzio di trasformare un rifiuto in un bene. 65

-­‐ Iniziative di responsabilità sociale: questo indicatore misura l’impegno effettivo verso la sostenibilità da parte di Greentire e consiste in un elenco delle attività a favore della comunità e l’investimento totale per queste attività.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    63 Web based è un sistema informativo in grado di gestire un insieme di informazioni utilizzate dall’azienda durante l’esecuzione dei processi aziendali, inoltre è in grado di risalire alle modalità con cui le informazioni sono state trattate e alle risorse, sia umane, sia tecnologiche, che sono state coinvolte.

Fonte: https://corsocrm.wordpress.com/2008/09/26/che-cosa-significa-applicativo-web-based/ 64 Per un approfondimento consultare: Baglieri E. Vitagliano F. (2014) Rapporto di Ricerca per Greentire S.C.R.L Indicatori di Performance per la sostenibilità SDA Bocconi Tabella 3 pag. 33 65 Per un approfondimento consultare: Baglieri E. Vitagliano F. (2014) Rapporto di Ricerca per Greentire S.C.R.L Indicatori di Performance per la sostenibilità SDA Bocconi pag. 35

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Gli indicatori sopra enunciati e applicati ad un caso concreto come quello di Greentire sono solo alcuni strumenti per poter misurare in azienda il livello si sostenibilità.

Le aziende, in linea generale, per valutare se la scelta degli indicatori è stata efficace, possono fare appello alla classificazione gerarchica proposta dal Lowell Center for Sustainable Production66 (LCSP) nel 2001, che suddivide gli indicatori in cinque livelli basati sulla sostenibilità:

• Il primo livello fa riferimento a tutti gli indicatori che valutano la conformità dell’azienda alle normative di riferimento.

• Nel secondo livello vengono considerati tutti gli indicatori che misurano l’efficienza dell’uso delle risorse impiegate (energetica, idrica ecc.) nel perseguimento di una strategia volta alla sostenibilità.

• Nella terza categoria rientrano gli indicatori che misurano l’impatto delle attività aziendali sul fattore umano tra cui la salute, sicurezza sul lavoro e numero di infortuni. • Nel quarto livello vengono inclusi gli indicatori che misurano la sostenibilità lungo tutta

la filiera produttiva e non limitatamente alla singola azienda, compreso l’approvvigionamento, lo smaltimento dei rifiuti o l’uso di energie rinnovabili.

• Nella quinta e ultima categoria si mira a misurare il grado in cui l’azienda interagisce con il contesto sociale in cui opera, in termini di impatto generato sul territorio, sulla qualità di vita delle popolazioni locali e sui rapporti con le stesse.

Una volta che è stata valutata l’idoneità degli indicatori il lavoro non è terminato, in quanto sono necessarie azioni di implementazione, controllo e miglioramento continuo degli stessi in base ai cambiamenti del contesto in cui opera ogni azienda. Nel momento

                                                                                                                         

66Il Lowell Center for Sustainable Production è un centro nato nel 1996 presso l'Università del Massachusetts Lowell. Lo scopo del centro è la promozione di sistemi di produzione aziendali sostenibili, attraverso strategie innovative, rispettando le comunità locali, la sicurezza sul lavoro e la qualità dei prodotti alimentari, garantendo la salute umana e la salvaguardia dell’ambiente naturale.

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in cui tutti gli indicatori sono stati selezionati e implementati inizia la fase in cui i risultati delle performance ottenute dovranno essere comunicati all’interno e all’esterno dell’organizzazione; il rapporto sulla sostenibilità si rivela molto importante in quanto dovranno essere comunicati sia i risultati positivi che negativi derivati dalle azioni intraprese. L’evidenza di risultati negativi implica la necessità di rivedere e correggere il processo che li ha determinati in modo da proseguire verso il raggiungimento degli obiettivi.

Tra i classici esempi di indicatori, che possono essere utilizzati come strumenti indicativi del livello di sostenibilità in azienda, possiamo citare il cosiddetto “zaino ecologico” (Ecological Rucksack) dei singoli prodotti. Si tratta di un indicatore che comprende tutte le risorse utilizzate nel processo produttivo, incluso il materiale e l’energia utilizzata dell’esercizio commerciale per vendere il prodotto (manutenzione, riscaldamento e raffreddamento, ecc.) l'energia e materiali necessari per utilizzare il prodotto stesso (elettricità o carburante, per esempio) e, infine, tutto ciò che è richiesto per il suo disassemblaggio, riciclo e smaltimento.

Lo zaino ecologico misura, in chili, il carico di natura che ogni prodotto o servizio si porta sulle “spalle” in un invisibile zaino e si calcola sottraendo al peso dei materiali, che abbiamo prelevato dalla natura per realizzare un prodotto o un servizio, il peso del prodotto stesso. 67

Lo zaino ecologico viene distinto in cinque componenti:

§ Materiali abiotici: pietre, ghiaia, sabbia, minerali, combustibili fossili (carbone, petrolio, gas minerale).

§ Materiali biotici: biomassa vegetale e animale.

                                                                                                                          67Fonte:

http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/il_wwf_per_una_cultura_della_sostenibilita/perche_e _importante2/gli_indicatori_di_sostenibilita_/

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§ Terreno per produzioni agricole e forestali: quantità di terreno fertile perso per erosione.

§ Acqua: prelevata per usi industriali o agricoli

§ Aria: prelevata per trasformazioni fisiche (separazione dei suoi gas) o chimiche (reazione dei suoi gas, per esempio l'ossigeno per la combustione).

I ricercatori del Wuppertal Institute68 hanno definito un indicatore per il calcolo dell’intensità di materiale per unità di prodotto o servizio (MIPS Material Input per Unit of Service) che considera, oltre al materiale di cui è composto un dato bene, anche i materiali utilizzati indirettamente di cui il bene non è composto (esempio: una collana d'oro ha come input indiretti le tonnellate di terra scavate per la ricerca dell'oro), tenendo conto dell'intero ciclo di vita del prodotto, comprese le fasi di scarto e l'eventuale riciclaggio.

Oltre allo zaino ecologico, le aziende possono monitorare l’impronta ecologica e l’impatto che esse generano in termini di risorse idriche utilizzate tramite il calcolo dell’impronta idrica.

L’impronta ecologica costituisce un importante indicatore che l’azienda, in relazione anche alla specifica attività che svolge, può tenere in considerazione.

Con l’impronta ecologica si va a calcolare l’area totale di superficie produttiva necessaria alla produzione di beni e servizi consumati dall’azienda, utilizzando come unità di misura gli ettari.

L'Impronta ecologica di un paese è costituita dalla somma di tutti i terreni agricoli, i pascoli, le foreste e gli stock ittici necessari a produrre il cibo, le fibre e il legname che il paese consuma, ad assorbire i materiali di scarto che emette nel momento in cui

                                                                                                                         

68 Il Wuppertal Institute per il clima, l'ambiente e l'energia (Wuppertal Institut für Klima,

Umwelt, Energie) è un istituto di ricerca tedesco che esplora e sviluppa modelli, strategie e

strumenti per sostenere lo sviluppo sostenibile a livello locale, nazionale e internazionale. La ricerca della sostenibilità presso l'Istituto Wuppertal si concentra sull'ecologia e la sua relazione con l'economia e la società.

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utilizza l'energia (cioè il biossido di carbonio) e a fornire lo spazio sufficiente per le infrastrutture che realizza.

Essendo l’Impronta di carbonio (carbon footprint) il 50% di tutta l’Impronta ecologica, la sua riduzione è essenziale per porre termine allo sfruttamento eccessivo delle risorse. Come componente dell’impronta ecologica, la carbon footprint viene tradotta nella quantità di area forestale necessaria ad assorbire le emissioni di anidride carbonica generate dalle attività umane fornendo un’idea della domanda esercitata sul pianeta derivante dall’uso dei combustibili fossili.

Nel calcolo dell’impronta di carbonio devono essere considerate le emissioni di tutti i gas ad effetto serra, che vengono convertite in CO2 equivalente attraverso parametri che

vengono stabiliti a livello mondiale dall’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Cange,69 organismo che opera sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Il calcolo dell’impronta di carbonio di un bene o servizio deve tenere conto di tutte le fasi della filiera a partire dall’estrazione delle materie prime, fino allo smaltimento dei rifiuti generati dal sistema stesso secondo l’approccio LCA70 cioè del Life Ciclo Assessment, o analisi del ciclo di vita).71

                                                                                                                         

69 È stato istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dall'United Nations Environment Program (UNEP) per fornire ai governi di tutto il mondo una chiara visione scientifica dello stato attuale delle conoscenze sul cambiamento climatico e sui suoi potenziali impatti ambientali e socio-economici. L'IPCC è un organismo scientifico che valuta le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte a livello mondiale per la comprensione dei cambiamenti climatici.

Fonte: http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/biodiversita/documenti/intergovernmental-panel-on-climate-change-ipcc-report

70 La LCA (come definito nella norma ISO 14040) considera gli impatti ambientali, in un caso specifico, nei confronti della salute umana, della qualità dell'ecosistema e delle risorse, considerando inoltre gli impatti di carattere economico e sociale. Cerca di reperire le informazioni necessarie per definire i comportamenti e gli effetti ambientali di una certa attività e identificare le opportunità di miglioramento per raggiungere migliori soluzioni.

71Fonte:

http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/il_wwf_per_una_cultura_della_sostenibilita/perche_e _importante2/gli_indicatori_di_sostenibilita_/

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L'impronta idrica, invece, (water footprint) è un indicatore del volume totale di risorse utilizzate dall’azienda per produrre i beni e i servizi; compresa l’acqua prelevata dai fiumi, laghi e falde acquifere (acque superficiali e sotterranee), impiegata nel settore agricolo, industriale e l’acqua delle precipitazioni piovose utilizzata in agricoltura. L’Impronta idrica di un prodotto è costituita dal volume totale, comprendente l’intera catena di produzione, di acqua dolce impiegata per produrre quel bene stesso.

È quindi interessante conoscere il fabbisogno idrico specifico di differenti beni di consumo, soprattutto per le merci che sono ad elevata intensità idrica, come prodotti alimentari e bevande. Questa informazione è rilevante non solo per i consumatori, ma anche per i produttori, i trasformatori, distributori, commercianti e altre imprese che svolgono un ruolo centrale nella fornitura di tali prodotti al consumatore.

Tradizionalmente le statistiche sull’uso idrico sono focalizzate sulla misurazione dell’uso diretto e raramente considerano la zona di provenienza di quel volume idrico. Molti problemi idrici dipendono, invece, dalla disponibilità locale della risorsa e, dunque, le informazioni sull’origine dell’acqua dolce sono essenziali per determinare la salute ambientale o umana e le implicazioni del suo utilizzo.72

Il perseguimento della sostenibilità, quindi, non è un concetto statico ma dinamico, le aziende devono essere capaci di adattarsi ai cambiamenti continui della domanda e del mercato e adottare in maniera ripetitiva, e non occasionale, azioni rivolte ai principi della sostenibilità.

3.2 Cenni storici e introduzione alla filiera agroalimentare del pane

Poiché il caso di studio presentato in questa tesi riguarda il pane, abbiamo ritenuto importante fornire informazioni su questo specifico prodotto e sulla sua filiera, in maniera da rendere comprensibile la trattazione del caso di studi stesso.

                                                                                                                         

72Fonte:http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/il_wwf_per_una_cultura_della_sostenibilita/p erche_e_importante2/gli_indicatori_di_sostenibilita_/impronta_idrica/

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Il pane è uno degli alimenti più acquistati e consumati dalle famiglie di tutto il modo e presenta una miriade di varianti, nella forma e nella quantità e qualità degli ingredienti. Volendo fare un brevissimo excursus storico possiamo dire che le prime tracce della preparazione di un alimento simile al pane risalgono alla preistoria, quando l’uomo iniziò a cuocere, su lastre roventi, un impasto di polvere di ghiande e acqua, ottenendo un prodotto simile ad una focaccia. Successivamente la polvere di ghiande fu sostituita con orzo e farro macinato. I primi che utilizzarono, per la prima volta, il lievito furono i Babilonesi, seguirono gli Egizi che inventarono anche i primi strumenti per la panificazione. I Greci aggiunsero altri ingredienti all’impasto di farina ed acqua ed istituirono i primi forni pubblici, mentre i Romani raffinarono la ricetta e la resero popolare.

Nel Medioevo, il pane veniva preparato con orzo o segale, mentre nel Rinascimento venne introdotto il lievito di birra e le farine di alta qualità. Infine è con l’avvento del diciottesimo secolo che vennero inventate le impastatrici meccaniche e la produzione di lieviti artificiali.

L’elemento cardine nella composizione del pane è il grano e risulta, spesso, difficilmente rintracciabile il luogo e le persone che lo hanno prodotto. Questa mancanza di informazioni è dovuta al fatto che, in fase di macinazione, grani di partite diverse vengono mescolati per ottenere farine che abbiano particolari caratteristiche di qualità.

Risulta, quindi, importante riuscire a dare un’identità al grano anche se gli sforzi finora effettuati hanno portato alla possibilità di rintracciare la regione di coltivazione ma non le informazioni su ogni singola azienda di produzione. Tuttavia rintracciare l’origine del grano è possibile solo con accordi e patti stipulati con i mugnai e le aziende agricole per preservare la storia della materia prima.

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Attraverso i sistemi di molitura “tradizionali” (del passato) la quantità di farina macinata di volta in volta era destinata a soddisfare il consumo di breve periodo, in quanto non venivano messe in pratica, come invece accade oggi, sistemi di scissione degli amidi del grano dalle sue parti oleose e proteiche, cosicché i tempi di conservazione erano limitati. Le parti proteiche ed oleose del grano conferivano al pane caratteristiche organolettiche e nutrizionali particolari, oggi perse nella produzione del pane industriale. La esigenze commerciali hanno portato le industrie moderne a produrre farine in cui la scissione tra le due componenti del grano è netta, ottenendo una farina conservabile per lunghi periodi di tempo, riducendone così le perdite. Il pane così ottenuto, però, risulta essere insipido e non certo facilmente commercializzabile; si è quindi resa necessaria l’aggiunta di sostanze, come grassi vegetali, grassi animali e malto, per raggiungere le caratteristiche organolettiche ricercate. Da qui nasce l’importanza di distinguere i pani che non siano ottenuti con processi industriali, volti a ottenere prodotti con determinate caratteristiche organolettiche, anche a scapito di caratteristiche nutrizionali importanti per la salute.

Assumono, così, notevole importanza i produttori di pani tradizionali che presentano caratteri tipici del luogo di produzione, per i quali, con molte difficoltà, è a volte richiesto il marchio di qualità DOP o IGP.73

                                                                                                                         

73 La denominazione di origine protetta (DOP) è un marchio attribuito dall'Unione europea agli alimenti che presentano particolari caratteristiche qualitative che derivano dal territorio in cui sono stati prodotti. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un'area geografica delimitata.

Il termine indicazione geografica protetta, (IGP) è anch’esso un marchio attribuito dall'Unione Europea, per quei prodotti che presentano una caratteristica qualitativa particolare e dipendente da un’area geografica. Per ottenere la IGP, quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area.

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3.3 La filiera agroalimentare del pane

La filiera agroalimentare del pane può essere così rappresentata: Figura 4 – Filiera del pane

Fonte: Galli, F., Smith, J., Brunori, G., & Barling, D. (2015). Global, Regional and Local food chains: an assessment of sustainability performance of wheat-to-bread chains across Italy and the UK.

Il primo anello della filiera del pane è costituito dalla fase agricola, nella quale avvengono tutte le fasi per la coltivazione del cereale, dalla preparazione del terreno, alla concimazione che con l’apporto di sostanze nutritive influenza la fisiologia e la crescita della pianta, preparando, così un terreno uniforme idoneo alla fase successiva del processo. La fase che segue è la semina nella quale si possono fare interventi di diserbo per tenere sotto controllo la crescita di piante infestanti che crescono in autunno. Successivamente, quando la maturazione del cereale è ottimale, si procede con la raccolta, detta trebbiatura, con la quale avviene la separazione della granella del

! ! Settore sementi, fertilizzanti e altri

nutrienti Agricoltore

Commercializzazione: Raccoglitori, distributori, trasporto Macinazione

Fornitori input aggiuntivi (lievito, sale, ecc)

Cottura: fornai

Rivenditore Consumatore

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frumento e degli altri cereali dalla paglia e dalla pula. Una volta che il cereale è stato raccolto dovrà essere conservato in silos nell’attesa di essere commercializzato.

In tutta Italia ci sono 210 aziende produttrici di sementi di cereali, che coprono circa 170.000 ettari e producono circa 128.000 tonnellate di sementi certificate all'anno. 74 Il settore delle sementi svolge un ruolo fondamentale nella protezione della biodiversità, migliora la qualità della materia prima, promuovendo la territorialità. Inoltre il settore contribuisce all’ottenimento di un prodotto che rispetta certi standard qualitativi e nutrizionali, di conseguenza la possibilità di ottenere un seme certificato, diventa fondamentale per la tracciabilità della filiera.

Produzione e Commercializzazione dei cereali, agricoltori, cooperative di produttori e associazioni agricole costituiscono la maggior parte dei produttori di cereali a livello nazionale. In Italia, circa 124.000 aziende agricole producono grano tenero su poco più di 500.000 ettari75 (Istat, 2010).

Il livello di produzione nazionale di grano tenero e duro non è sufficiente a soddisfare la domanda dell'industria di trasformazione italiana, dovendo ricorrere alle importazioni. L’Italia esporta una minima quantità di farina di frumento all’estero, trovandosi, così, in una situazione in cui la bilancia commerciale è in deficit strutturale. Il fabbisogno interno è coperto in minima parte dalla produzione nazionale, generando così una forte dipendenza dai paesi esteri.

I principali problemi della fornitura nazionale sono rappresentati da una forte polverizzazione dell’offerta (che non garantisce volumi adeguati) e scarsa fluidità del mercato. Inoltre gli impianti di stoccaggio non sono un punto di forza nella catena di fornitura, risultano, spesso, obsoleti e con una sola fossa di recezione rendendo

                                                                                                                         

74 Galli, F., Smith, J., Brunori, G., & Barling, D. (2015). Global, Regional and Local food

chains: an assessment of sustainability performance of wheat-to-bread chains across Italy and the UK.

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impossibile o molto difficile organizzare lo stoccaggio della produzione in lotti omogenei, generando molte difficoltà ai fini della tracciabilità del prodotto finale. La fase di molitura ha, invece, un ruolo importante a livello nazionale e internazionale; tuttavia l’aumento del prezzo del petrolio e le fluttuazioni del dollaro hanno messo a dura prova anche questo settore.

Secondo Italmopa76 (Associazione industriale mugnai d’Italia), negli ultimi anni, la macinazione italiana ha subito una riduzione significativa sia in termini di numero di mulini e capacità di lavorazione, sia per il frumento tenero che per il duro, analogamente a quanto è accaduto anche nel resto d'Europa. Questa ristrutturazione del comparto ha portato ad una significativa riduzione di mulini esistenti e ad un declino del potenziale annuo di produzione.

Dopo che il grano è giunto al molino, solitamente, viene stoccato in silo e pulito prima di essere macinato. Attualmente si hanno vari tipi di molini: a dischi, a martelli, a palle, ma quelli più comuni sono quello a cilindri e quello a pietra.

Il molino a dischi è costituito da due dischi verticali paralleli, rotanti intorno al loro asse, muniti di denti fissi. Il grano viene introdotto dal centro del primo disco e per effetto della forza centrifuga urta contro i denti dei dischi stessi e viene macinato. Nel molino a martelli vi è una camera di macinazione con al centro un albero orizzontale sul quale sono posti dischi con martelli. Il frumento è lanciato contro le pareti e viene frantumato dai martelli stessi. Questo tipo di macinazione avviene sfruttando l’energia cinetica degli organi macinati. Nel molino a palle vi sono sfere di metalli contenute in un cilindro rotante, la macinazione avviene per effetto dell’urto che provocano le palle, una volta portate ad una certa altezza, cadendo sul materiale.

                                                                                                                         

76 Associazione di categoria che rappresenta in Italia l’Industria molitoria, articolata nei due comparti della macinazione del frumento tenero e del frumento duro

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Il molino a cilindri invece è costituito da due o più cilindri rotanti, paralleli l’uno all’altro, la frantumazione avviene per la compressione che il frumento subisce durante il passaggio tra le superfici dei cilindri controrotanti.

Infine il molino a pietra è costituito da due mole, una fissa e una rotante. La macinazione si ottiene introducendo il materiale dal centro della mola superiore, questo passa necessariamente tra le due mole, e per la pressione esercitata viene macinato. 77 Anticamente le pietre erano mosse da uomini o animali e successivamente dai molini, alimentati ad acqua, vento, fino ai giorni nostri in cui viene utilizzata l’energia elettrica. Una volta che la fase di molitura è stata completata, la farina, acquistata o autoprodotta, costituisce l’input principale che dà avvio al processo di panificazione, che può essere descritto come segue:

Attraverso macchine (dette impastatrici) ha inizio il processo di panificazione, esse consentono di amalgamare tutti gli ingredienti e idratare le proteine della farina che vanno a costituire il glutine. La temperatura dell'impasto, una volta ultimato, è ottimale tra 22 gradi C e 26 gradi C., la temperatura della pasta viene regolata, a secondo della stagione, aumentando o diminuendo la temperatura dell'acqua. 78

Nella fase di puntatura l'impasto viene lasciato riposare e i tempi variano a seconda della ricetta e della forza della farina. Dopo la fase di riposo l’impasto viene diviso, manualmente o con l’ausilio di macchine spezzatrici, conferendogli la forma desiderata. Segue la fase di lievitazione, in cui le pagnotte vengono disposte su piani e ricoperte con teli di lino o plastica per evitare la formazione della crosta. In questa fase le forme aumenteranno di volume per effetto di reazioni chimiche che, a partire dagli zuccheri, producono alcol e anidride carbonica che viene trattenuta dal glutine. Inoltre esistono

                                                                                                                         

77  Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/mulino/

78 Galli, F., Smith, J., Brunori, G., & Barling, D. (2015). Global, Regional and Local food

chains: an assessment of sustainability performance of wheat-to-bread chains across Italy and the UK.

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anche delle celle di lievitazione che permettono di regolare e controllare la temperatura e umidità dell'aria.

Infine la cottura del pane avviene in forni che possono essere principalmente di tre tipi: a camere, rotativi e a tunnel. La temperatura di cottura varia da 180 °C a 275 °C e il tempo da 13 a 60 minuti. Durante la cottura la pasta al suo interno non supera i 98 °C. e il riscaldamento della pasta avviene in modo graduale.

L’ Italia produce e consuma circa 3,2 milioni di tonnellate di pane all'anno, per un valore di 8 miliardi di euro; di questi, il 90% è prodotto da panifici artigianali, e il 10 % è di tipo industriale, anche se, in termini di valore, il pane industriale mantiene una quota maggiore in termini di fatturato (oltre un miliardo di euro sugli 8 complessivi). Tradizionalmente, gli italiani comprano il pane direttamente nelle panetterie, venduto spesso in sacchetti di carta. Ci sono più di 300 varietà di pane artigianale in Italia e ogni regione ha le sue specifiche ricette e formati tradizionali.

A un piccolo numero di pani tradizionali è stato riconosciuto, a livello europeo, il marchio di qualità DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (indicazione geografica protetta). 79 Nonostante le diverse caratteristiche e tradizioni, il pane è sempre presente sulle tavole degli Italiani.

Questo dimostra il forte legame di alcuni tipi di pane con il territorio di riferimento, anche se la maggior parte del pane artigianale non soddisfa i requisiti richiesti per ottenere il marchio di qualità, a causa della variabilità nelle caratteristiche e nella provenienza dei cereali.

Nonostante il calo generale nel consumo, il settore della panificazione ha resistito alla crisi, con un trend positivo, anche se molto diversificato tra i vari segmenti. Il consumo

                                                                                                                         

79 Galli, F., Smith, J., Brunori, G., & Barling, D. (2015). Global, Regional and Local food

chains: an assessment of sustainability performance of wheat-to-bread chains across Italy and the UK.

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del "pane da tavola", che si riferisce al tradizionale pane fresco, è in calo. Il settore dei sostituti del pane, che comprende i grissini eventualmente arricchiti con diversi tipi di cereali, panini morbidi, tortillas, pane non lievitati, etc. ed il segmento dei prodotti senza glutine (adatti all’utilizzo da parte di consumatori affetti da celiachia), ha recentemente mostrato i più elevati tassi di crescita. C'è una forte spinta verso l'innovazione e le dinamiche più interessanti riguardano la capacità di offrire il giusto equilibrio tra gusto, genuinità e salubrità.

3.4 Come misurare la sostenibilità nella filiera del pane

Il settore del pane risulta essere molto interessante nella valutazione della sostenibilità di una filiera; il pane è un alimento consumato in ogni paese e il suo peso è rilevante sul commercio mondiale. I principi cardini su cui si basa la sostenibilità nella filiera agroalimentare del pane sono comuni a quelli trattati nella promozione della sostenibilità a livello generale d’azienda.

Ogni attività, tuttavia, presenta caratteri tipici, in relazione agli interventi e agli aspetti da valutare in tema di sostenibilità.

Gli aspetti che sono ritenuti rilevanti nella valutazione della sostenibilità nella filiera del pane riguardano:

1) Rispetto per l’ambiente e per le sue risorse.

Un’azienda agroalimentare, produttrice di prodotti della panificazione può agire a favore della tutela ambientale, senza perdere i vantaggi economici da sempre perseguiti. L’adozione di politiche, in tale direzione, può rivelarsi tutt’altro che fallimentare, infatti possono essere utilizzate come leve strategiche per ottenere un vantaggio sui concorrenti, riconosciuto dal consumatore finale.

Gli indicatori da utilizzare al fine di monitorare l’impegno dell’azienda verso il rispetto dell’ambiente sono:

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• Biodiversità: riguarda l’uso delle varietà impiegate nel processo produttivo; le aziende possono impiegare varietà di grano comunemente utilizzate, oppure investire nella riscoperta di varietà antiche di grano. La produzione di queste ultime era stata accantonata, in quanto meno efficiente dal punto di vista delle rese rispetto ad una varietà “moderna”, ma esse sono state recentemente rivalutate in quanto conferiscono caratteristiche nutrizionali ed organolettiche particolari al prodotto, oltre a presentare capacità di adattamento alle condizioni pedo-climatiche e tolleranza verso le malattie fungine, riducendo l’uso di pesticidi e altre sostanze chimiche. Tali caratteristiche risultano efficienti particolarmente importanti per l’agricoltura biologica e biodinamica, tali da far conseguire all’azienda un vantaggio competitivo riconosciuto.

La biodiversità delle varietà genetiche coltivate assume, di conseguenza, un ruolo importante nella conservazione dell’ambiente e delle sue risorse nonché sull’impatto nutrizionale della salute umana. Gli indicatori che sono comunemente utilizzati per misurare il grado di sostenibilità a favore di una marcata biodiversità fanno riferimento al numero delle varietà di cereali utilizzate per la produzione della farina, all’adesione a programmi nazionali e internazionali a favore della tutela dell’ambiente e al miglioramento della biodiversità dei terreni. Un altro aspetto molto importante è la tracciabilità dei cereali utilizzati nel processo produttivo. Le piccole filiere agroalimentari cercano di sostenere la tracciabilità, e di conseguenza la sostenibilità, facendo leva sulle modalità di produzione della materia prima o sulle modalità di approvvigionamento. Le filiere regionali o locali del pane fanno ricorso a cereali coltivati in specifiche aree della regione, garantendo l’identità del grano, favorendo l’economia locale e valorizzando il territorio.

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• Progresso Tecnologico: un ulteriore punto da prendere in considerazione, nell’analisi della sostenibilità della filiera agroalimentare del pane, è il progresso tecnologico che sta vivendo la nostra società. Anche in campo agroalimentare l’innovazione tecnologica assume un ruolo fondamentale creando un legame tra il sapere tradizionale e il progresso moderno. L’uso di attrezzature tecnologicamente avanzate rivela innumerevoli aspetti positivi a favore della sostenibilità ambientale, primo fra tutti la riduzione delle emissioni dei gas serra, utilizzando, in tutta la filiera agroalimentare, macchinari predisposti a tale scopo. Politiche rivolte allo smaltimento dei rifiuti o alla riduzione degli stessi possono essere sostenute con l’acquisizione di attrezzature innovative che permettano di attuare una riduzione dell’impatto ambientale. Così come l’uso di packaging ecosostenibile, la cui produzione riduce al minimo l’impatto sulla natura, riutilizzabile, il cui smaltimento risulta agevole in quanto biodegradabile. L’immissione nell’ambiente degli scarti di lavorazione e rifiuti può essere causa di danni agli ecosistemi; gli indicatori che rilevano il grado di inquinamento generato da un’azienda sono trattati dagli studi di LCA (Life Ciclo Assessment) ovvero “valutazione del ciclo di vita”. Gli studi trattano tutto il ciclo di vita di un prodotto, dalla fase di approvvigionamento, produzione, distribuzione, utilizzo, manutenzione e dismissione, il cui obiettivo è valutare l’insieme delle interazioni che il prodotto ha, in ogni fase, sull’ambiente. Gli indicatori utilizzati fanno riferimento al consumo di energia per ogni fase della catena produttiva e all’impatto sul riscaldamento globale, misurato in base alla quantità di gas serra rilasciati in ogni fase di produzione (unità di misura g CO2 con orizzonte

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2) Aspetto economico

L’aspetto economico è rilevante ai fini della sostenibilità, in particolare con riferimento a:

• Il valore creato e alla sua distribuzione lungo tutta la filiera produttiva, dove per valore creato si intende il valore che il prodotto ha assunto sul mercato in relazione ai prodotti dei principali competitor. Il maggior valore può essere raggiunto dall’impresa che adotta particolari politiche rivolte alla sostenibilità, riconosciute dal cliente finale, per il quale è anche disposto a pagare un maggior prezzo. La distribuzione del valore creato si riferisce a come, il prezzo finale del prodotto, viene ripartito tra gli attori della filiera e se gli attori a monte hanno un giusto ritorno economico.

• Le determinanti per il successo dell’impresa. Si tratta di capacità distintive che l’azienda mette in atto per creare maggior valore al consumatore e si riferiscono al sistema di informazioni e comunicazioni che l’azienda mette in pratica a favore dei propri clienti. L’informativa sulla tracciabilità del prodotto finito garantisce sicurezza per la salute umana e per l’ambiente e la possibilità di risalire tutta la filiera può rivelarsi determinante, per il consumatore, nella fase di acquisto. Anche le informazioni che il cliente trova sull’etichetta possono essere fondamentali; infatti le informazioni su un prodotto, quali un’accurata descrizione dello stesso, gli ingredienti, le indicazioni nutrizionali, i metodi per lo smaltimento, nonché marchi di certificazione che ne garantiscono la provenienza e il sistema di produzione, sono determinanti per la creazione di un valore aggiunto riconosciuto da tutti gli stakeholder. La scelta di perseguire un percorso orientato alla sostenibilità non può essere meramente etico, la derivazione di un beneficio economico per l’impresa è fondamentale; è

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necessario, quindi, essere in grado di valutale i costi e benefici derivanti dalle politiche verso la sostenibilità in modo da poter sfruttare i vantaggi della politica stessa.

3) Aspetti sociali

Infine, per l’analisi della sostenibilità è necessario considerare: • Le relazione con tutti gli stakeholder

L’azienda deve essere in grado monitorare periodicamente il grado di soddisfazione della clientela, in modo da poter agire per migliorarla o consolidarla. Il rapporto di fiducia che si instaura tra l’impresa e il cliente è la migliore leva strategica su cui puntare, la migliore strategia di marketing ma anche un’importante risorsa da non sottovalutare o trascurare una volta raggiunta. Anche il rapporto con i fornitori risulta determinante, in quanto un buon sistema di approvvigionamento si ripercuote a cascata sul sistema produttivo, sul prodotto finito, sull’immagine aziendale e quindi sul consumatore finale.

Le politiche che l’azienda adotta in tema di sostenibilità si traducono anche nell’impatto che la gestione aziendale genera sulle comunità locali in cui essa opera. L’integrazione dell’attività d’impresa con il rispetto e il coinvolgimento delle popolazioni risulta decisivo per lo svolgimento di un’attività che non distrugge ma crea, in termini di opportunità, posti di lavoro e benessere, senza essere invasivo e integrandosi perfettamente con il contesto in cui opera.

• Performance degli impiegati in azienda.

Le persone che lavorano in azienda, spesso, sono il cuore dell’impresa stessa, lo spirito con cui viene svolto il lavoro si ripercuote inevitabilmente sulla qualità

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delle prestazioni e di conseguenza sul prodotto finito. Creare un ambiente di lavoro in cui ognuno si sente gratificato e parte integrante del disegno dell’impresa attraverso riconoscimenti, corsi di formazione, premi, flessibilità in base alle esigenze di ognuno, si rivela efficace dal punto di vista del clima aziendale, della sostenibilità e dei profitti aziendali80.

Di conseguenza qualora l’impresa fosse in grado di misurare e monitorare tutti gli aspetti correlati alle tre macro aree di riferimento (ambiente, economica, sociale), di tradurle in azioni concrete per il miglioramento continuo e per lo sviluppo aziendale, riuscirebbe ad implementare un sistema basato sui principi fondamentali della sostenibilità e dell’etica che si traduce in una maggiore soddisfazione del cliente, dei fornitori e dei dipendenti e di conseguenza in maggiori profitti di lungo periodo per l’impresa.

Anche Barilla81, ad esempio, che da sempre ha fatto della sostenibilità d’impresa una leva strategica, ha sviluppato progetti in grado di monitorare e, di conseguenza, limitare l’impatto della gestione aziendale, sull’ambiente. Per misurare l’impronta che il prodotto genera lungo l’intero processo, Barilla ha sviluppato un sistema basato sulla metodologia del Ciclo di Vita (LCA), che coinvolge oltre il 60% della produzione mondiale del Gruppo. Grazie all’LCA, sono state individuate molte aree di miglioramento lungo la filiera: dalla coltivazione delle materie prime alla collaborazione con i distributori.

                                                                                                                         

80  Galli, F., Smith, J., Brunori, G., & Barling, D. (2015). Global, Regional and Local food

chains: an assessment of sustainability performance of wheat-to-bread chains across Italy and the UK.

81 Nata a Parma nel 1877 da una bottega che produceva pane e pasta, Barilla è oggi tra i primi gruppi alimentari italiani.

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Barilla è la prima azienda privata del settore food ad aver sviluppato e certificato da un ente terzo, Bureau Veritas,82 questo sistema di calcolo, in accordo con il sistema internazionale EPD Environmental Product Declaration83 (Dichiarazione Ambientale di Prodotto) che permette la pubblicazione dei dati sull’ impatto ambientale.

Nel 2012 le EPD pubblicate sono state 28 ed hanno riguardato il 55% della produzione, tra cui tutta la pasta in confezioni blu prodotta in 7 pastifici, in Europa e America. Barilla dal 2008 ha cominciato a valutare anche l’impronta idrica dei prodotti, basandosi sull’analisi del ciclo di vita e sul protocollo di calcolo sviluppato dal Water Footprint Network84.

Nel 2012 gli stabilimenti hanno consumato circa 2,4 milioni di metri cubi di acqua, risparmiando oltre 700.000 m3 rispetto al 2008, corrispondente a circa il 23% del totale. Sempre nel 2012, a Rubbiano, in provincia di Parma, è stato inaugurato il nuovo impianto sughi, che consuma il 47% in meno di acqua rispetto ai vecchi impianti prima utilizzati.

Inoltre, il 55% degli stabilimenti di produzione Barilla è dotato di un impianto di depurazione delle acque reflue, che ne riduce sensibilmente l’impatto, prima del loro scarico in fognatura o in acque superficiali.85

L’analisi del Ciclo di Vita dei Prodotti è stata e continua ad essere un importante strumento di gestione ambientale per Barilla.

                                                                                                                         

82 Bureau Veritas è leader a livello mondiale nella verifica, valutazione ed analisi dei rischi in ambito Qualità, Ambiente, Salute e Sicurezza e Responsabilità Sociale (QHSE-SA). Il Gruppo fornisce servizi di ispezione e controllo, verifica di conformità e certificazione a supporto delle Organizzazioni. Fonte: http://www.bureauveritas.it/home/about-us

83 Un EPD® (Environmental Product Declaration) è un documento verificato e registrato che comunica informazioni trasparenti e comparabili sul ciclo di vita di un prodotto e il suo impatto ambientale. Fonte:http://www.environdec.com/it/

84 Il WFN è un’organizzazione non governativa fondata per coordinare i soggetti interessati allo sviluppo della metodologia del Water Footprint (impronta idrica)

Fonte: UNEP (United Nations Environment Programme), (2009) Corporate Water Accounting Citato in: http://tesi.cab.unipd.it/39732/1/TESI_MARAGNO.pdf

85 Fonte: Rapporto di sostenibilità Barilla 2013, sito web: http://www.barillagroup.com/it/materiale-stampa/rapporti

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Infine, continuando a fare riferimento al settore agroalimentare, l’istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)86 ha selezionato quattro aree strategiche nelle quali è possibile implementare programmi di responsabilità sociale d’impresa, nel settore agroalimentare.

La prima macro area è quella delle risorse umane che, nel settore agroalimentare ricoprono un’importanza primaria, ma che rappresentano particolari criticità, soprattutto per la sicurezza e la salute dei lavoratori, per l’elevata stagionalità, per l’ampio utilizzo di manodopera immigrata e per il lavoro irregolare.

Scopo principale della CSR, anche nel settore agroalimentare, diventa, quindi, quello di valorizzare le risorse umane, favorendo lo sviluppo professionale dei lavoratori, nel rispetto dei diritti umani e a favore dell’integrazione degli immigrati. E’ importante, tuttavia, che tali principi si estendano a tutta la filiera produttiva e siano condivisi tra tutti gli attori economici, a monte e a valle.

La seconda macro area strategica della CSR, nel settore agroalimentare, è il prodotto. L’impresa deve garantire la qualità, la sicurezza e la tipicità dei prodotti, oltre a dover soddisfare le aspettative e le esigenze dei consumatori.

Le imprese che operano nella filiera devono quindi adottare un approccio integrato per trasferire ai prodotti il valore aggiunto connesso alla territorialità, rintracciabilità, sostenibilità e trasparenza delle informazioni. 87

                                                                                                                         

86 L'Istituto Nazionale di Economia Agraria è un ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. E' stato ricompreso tra gli enti del comparto ricerca dalla Legge n.70/75 ed indicato tra quelli di notevole rilievo. Con DPR 1708/65 è stato designato quale organo di collegamento tra lo Stato Italiano e l'Unione Europea per la creazione e la gestione della Rete d'Informazione Contabile Agricola (RICA). L'INEA svolge attività di ricerca, di rilevazione, analisi e previsione nel campo strutturale e socio-economico del settore agro-industriale, forestale e della pesca. Fonte: http://www.sinab.it/istituto-ricerca/inea-istituto-nazionale-di-economia-agraria. Dal 2015, l’INEA è confluito in CREA, il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria

87 Fonte sito web: http://www.uniba.it/elenco-siti-tematici/migrovillage/risultati/schede/i-bollini-etici

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La terza macro area nel settore agroalimentare è il territorio. È chiaramente comprensibile che un’impresa agricola abbia una forte relazione con il territorio in cui opera, perciò la salvaguardia del patrimonio, della cultura e la cooperazione positiva con il contesto economico-sociale divengono fattori essenziali per la sostenibilità economica ancor prima che per una strategia competitiva. Anche il territorio e le comunità locali traggono beneficio da un’azienda che cerca di conservare le tradizioni e la cultura, rispettando l’ambiente, ciò rappresenta una garanzia di benessere economico. Infine, la quarta macro area che l’impresa agroalimentare socialmente responsabile dovrebbe valorizzare è l'ambiente. Il peggioramento delle condizioni ambientali rappresenta un rischio per la collettività e per lo stesso sistema produttivo. Lo scopo della CSR è quello di contenere l’inquinamento e adottare metodi di coltivazione più attenti alla salvaguardia delle risorse naturali.88

L’azienda non si può limitare ad implementare correttamente le pratiche CSR, deve riuscire a comunicare, all’interno e all’esterno dell’azienda, il suo impegno verso la sostenibilità, altrimenti non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati.

È necessario riuscire a comunicare, in modo chiaro, accessibile ed efficace l’orientamento aziendale e dimostrare coerenza fra i comportamenti e il messaggio che viene comunicato

Una comunicazione trasparente e coerente oltre a consentire all’azienda di posizionarsi in modo forte sul mercato rispetto ai temi di CSR, contribuisce a sensibilizzare e promuovere una cultura della sostenibilità sia internamente sia esternamente all’azienda.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    88 Fonte sito web: http://www.uniba.it/elenco-siti-tematici/migrovillage/risultati/schede/i-bollini-etici

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La cultura aziendale, a tal fine, dovrebbe concentrarsi sul dialogo con gli stakeholder, non solo per costruire una relazione di fiducia con essi ma anche per garantire il soddisfacimento dei reciproci bisogni. Di conseguenza l’azienda deve dotarsi di strumenti in grado di captare le esigenze dei propri stakeholder per rispondere coerentemente ad essi, istaurando un dialogo reciproco

Ad esempio, nel 2009, “Nel Mulino che vorrei” 89 Barilla ha creato una piattaforma online di innovazione partecipativa. Si tratta di una piattaforma aperta a tutti, che consente a chiunque di comunicare con il brand per contribuire al suo miglioramento e alla sua crescita. 90 La creazione della piattaforma ha permesso di raccogliere nuove idee dai clienti e dai consumatori, sui prodotti, promozioni, confezioni, impegno sociale, tutela ambientale.91 Diventa quindi fondamentale riuscire ad individuare, gestire e monitorare gli aspetti che incidono di più sull’obiettivo che si vuole raggiungere, ed avere un sistema di misurazione e controllo che permette all’azienda di avere una linea d’azione sulla quale fare riferimento ed investire tempo e denaro.

                                                                                                                         

89 Fonte sito web: www.nelmulinochevorrei.it

90 Comunicazione della sostenibilità Nuovi approcci e strumenti per comunicare internamente ed esternamente all’azienda. Esiti del laboratorio con i soci Aprile 2015 Impronta etica Fonte:

http://www.improntaetica.org/wp-content/uploads/2015/04/documento-finale-lab-comunicazione_def.pdf

91 Comunicazione della sostenibilità Nuovi approcci e strumenti per comunicare internamente ed esternamente all’azienda. Esiti del laboratorio con i soci Aprile 2015 Impronta etica Fonte:

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3.5 Strategie aziendali per la sostenibilità nelle grandi imprese rispetto

alle piccole imprese

Le politiche aziendali rivolte alla sostenibilità possono essere efficacemente implementate dalla grande impresa ma anche dalla piccola azienda.

La sostenibilità non è limitata alla grande azienda, può essere adottata anche dalla media e piccola impresa con risultati sorprendenti. Sicuramente l’approccio esercitato da ognuna sarà molto diverso per le diverse peculiarità che le caratterizzano.

Nelle piccole imprese, spesso, vengono già adottate iniziative di responsabilità sociale senza che queste siano formalizzate e ciò è dovuto al fatto che in realtà più piccole le relazioni con i dipendenti e con il territorio sono più strette e dirette. In queste circostanze le politiche sulla sostenibilità vengono messe in pratica in maniera meno organizzata e più intuitiva rispetto ad una grande impresa, ed inoltre essendo più piccole sono più flessibili e le decisioni vengono prese con maggiore rapidità.

I problemi ambientali e sociali a cui una piccola impresa deve far fronte sono, spesso, limitati alla natura locale o regionale e comuni a tutte le altre piccole imprese del luogo; ciò si traduce nella possibilità di rispondere in maniera unitaria alle problematiche in modo da ottenere migliori risultati e minori costi di quanto un’impresa, singolarmente, avesse potuto ottenere.

Il modello di business della piccola impresa presenta caratteristiche insite nel sistema che meglio si prestano ad un approccio orientato alla sostenibilità e che molte grandi aziende ricercano faticosamente.

La capacità di coinvolgimento, l’energia dell’imprenditore e della sua famiglia, la capacità di lavorare in rete, di integrarsi con il territorio sono inclusi tra i caratteri tipici di un’impresa di piccole dimensioni rispetto ad una di dimensione maggiori, la quale deve lavorare per costruire un certo clima aziendale e una certa fiducia reciproca. Quindi, nonostante la letteratura abbia concentrato l’attenzione verso la sostenibilità

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sulla grande impresa, è nelle piccole imprese che si possono cogliere i principi sulla quale la sostenibilità si basa.

Nella piccola e media impresa, solitamente, l’imprenditore è anche il proprietario dell’azienda, quindi per capire fino a che punto l’etica può essere implementata nel sistema, è necessario risalire all’interesse dell’imprenditore su tale tema, ai suoi valori, ai suoi principi di gestione e alle motivazioni che spingono i suoi comportamenti e azioni. L’imprenditore proprietario rappresenta il punto di riferimento per tutti gli stakeholder e quindi il legame tra successo imprenditoriale e personale è più stretto rispetto alle aziende dove la proprietà è diffusa ed è implementato un sistema di deleghe. Le grandi aziende trovano, quindi, maggiori difficoltà a implementare un sistema rivolto all’etica, non solo perché sono in gioco molti più soggetti ma perché viene meno la possibilità di mettere in atto comportamenti, da parte del management, tali da generare sensazioni emulative da parte delle persone che hanno uno stretto contatto con l’imprenditore, creando una maggiore collaborazione, partecipazione, equità e di conseguenza comportamenti che meglio rispecchiano gli aspetti tipici di una gestione orientata alla sostenibilità.

Nonostante questa naturale propensione all’etica delle piccole e medie imprese, è la grande impresa che cerca di implementare formalmente politiche etiche e cresce l’importanza e l’attenzione verso la corporate social responsibility, non come carattere occasionale ma come vera politica da perseguire e diffondere in tutto il contesto organizzativo. A tal fine è la grande impresa che spesso introduce strumenti formalizzati di CSR come il codice etico o il bilancio sociale per promuovere un sistema informativo e comunicazionale tra tutti coloro che operano nell’azienda o con l’azienda stessa.

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