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CAPITOLO PRIMO

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CAPITOLO PRIMO

IL PENSIERO LIBERALE ESILIATO.

L'HEGELISMO DI BERTRANDO SPAVENTA

"Lo Spaventa (-ottimo fra tutti e taccio degli altri-) scrisse di dialettica in modo squisito, scovrì di nuovo Bruno e Campanella, delineò la parte utile ed utilizzabile di Vico, e trovò da sè (nel 1864!) la connessione fra Hegel e Darwin"1.

Questo è il ricordo di uno degli allievi più significativi, Antonio Labriola, orgoglioso delle comuni origini hegeliane proprie e del maestro, che, da storico finissimo, era arrivato a teorizzare un ponte logico tra il pensiero italiano del secolo XVI (basti qui ricordare le formulazioni di Giordano Bruno, volte a un ideale di rigenerazione della nostra cultura, sullo sfondo della battaglia per la libertà dello spirito inaugurata dalla Riforma in opposizione alla volontà di ingerenza della Chiesa di Roma nella vita civile degli Stati) e quello europeo contemporaneo -in primis tedesco, da Kant a Hegel, ma anche olandese (con Spinoza)- per arrivare a porre il confronto con la storia fenomenologica della filosofia italiana contemporanea, introducendo Galluppi, Rosmini, Mamiani, Gioberti. Quest'ultimo, in particolare, compendia gli altri (come Hegel compendia Kant, Fichte e Schelling), riuscendo in qualche modo a uguagliare, pur se in forme spezzate e dogmatiche, il filosofo di Stoccarda2.

Com'è possibile lo Spirito? -si interroga lo Spaventa- ovvero l'unità di umano e divino nell'idea di una realtà che è in divenire, ossia Storia; domanda già posta da Vico, nell'esigenza di una nuova metafisica, pur senza sciogliere la contraddizione tra la nuova unità e la vecchia metafisica dell'Ente; esigenza che è già in Kant, ossia la nascita della nuova filosofia e il risultato del movimento della filosofia europea, che legge il conoscere come causa e risultato di sé stesso.

Questo è il problema nuovo della filosofia, dello spirito, della creazione, l'interrogativo del conoscere kantiano e della filosofia tedesca, che offre il non trascurabile vantaggio di uno svolgimento critico autonomo, a differenza di quello italiano.

1 Lettera a Friedrich Engels del I4 marzo 1894, in Labriola, Croce, Gentile, di Nicola Badaloni e Carlo Muscetta, Roma-Bari, Laterza, 1977, 4. Bertrando Spaventa aveva aperto una scuola privata di filosofia a Napoli, di effimera durata in quanto ritenuta responsabile dell'introduzione di "un funesto divorzio tra la speculazione e le verità rivelate" (Prolusione alle lezioni di Logica e metafisica nella cattedra della R. Università degli studi, Napoli, Nobile, 1848, 18). Il filosofo insegnerà quindi filosofia del diritto all'università di Modena nel '59, poi storia della filosofia nell'ateneo bolognese e filosofia teoretica nel '61 in quello napoletano, ove Labriola seguirà le sue lezioni e quelle di Augusto Vera, altro celebre divulgatore della filosofia hegeliana in Italia.

2 Si legga la prefazione a B.Spaventa, Principii di filosofia, Napoli 1867, ripubblicati da G. Gentile col titolo di Logica e

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Hegel rimane per il filosofo di Bomba la soluzione migliore, il suo auctor, attraverso il quale rileggere il nesso tra filosofia e storia, e biasimare la mancanza, in Italia, del vero processo storico, che provoca sistemi come quello giobertiano, che altro non è se non una continua rappresentazione, in quanto mancante del concetto dello spirito3.

I filosofi sono gli eroi del pensiero, i precursori della rivoluzione: in tal senso il loro operare è pienamente rivoluzionario: l'azione è lo studio, la libertà il pensiero: tema che ritorna sovente nello struggente carteggio con il fratello Silvio, patriota e scrittore, che divide con lui il sogno di un'Italia "storica", libera e viva che occupi agli occhi delle altre nazioni il posto che merita4, e l'aspirazione a essere un giorno un libero cittadino

anzichè un esule costretto a vivere del poco che riesce a guadagnare.

Tra gli interlocutori italiani apprezza in modo particolare il napoletano Pasquale Villari (anch'egli esule e studioso di Hegel), che indaga il problema della filosofia nello specchio del positivismo storico che sta allora prendendo piede nella nazione5;

Spaventa ne apprezza la teorizzazione della natura umana come agire, l'idea dell'uomo visto come storia, intesa come positivismo, ovvero a-posteriorismo, attività: per lui l'assoluto è nell'atto stesso del mutare, del progredire: dunque il pensiero come un punto solo, unità di principio e fine6.

Quando, nel settembre 1850, su invito dell'amico Angelo Camillo De Meis7, nella

prospettiva, poi sfumata, di una cattedra universitaria di filosofia, si trasferisce a Torino dopo la breve parentesi fiorentina8, in breve fa l'amara scoperta che l'ambiente

della capitale del regno sabaudo non è il paradiso che credeva; innanzitutto, non è facile trovare spazio in un ambiente (e ha in mente l'università!), che, per quanto riguarda la filosofia, è in parte rosminiano, in parte giobertiano, quindi spaccato in due fazioni, ma unito nell'incomprensione totale verso la speculazione tedesca: anche chi

3 Lettere a Silvio Spaventa, 8 febbraio e 8 marzo 1858, in Epistolario di Bertrando Spaventa, vol. I 1847-1860, a cura di Maria Rascaglia, Istituto Poligrafico e Zecca della Stato, Roma 1995, 215-20. Nella lettera dell'8 marzo allude a una 'parentesi' che stava scrivendo in quelle settimane sul problema dello Spirito, che si può leggere pubblicata da Felice Alderisio con il titolo spurio Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, in Rendiconti dell'Accademia dei Lincei, Classe di Scienze morali, s. VI, vol. IX, luglio-ottobre 1933, 564ss.

4 Cfr. Principii, cit., xxxiii, nonchè la lettera di Silvio, 4 maggio '53, in Dal 1848 al 1861. Lettere scritti documenti di

Silvio Spaventa pubblicati da Benedetto Croce, Bari Laterza 1923², 181. Silvio (1822-93) è autore di testi a carattere

eminentemente politico e animatore della effimera rivista "Il Nazionale". Accusato di attività sovversiva, viene condannato all'ergastolo insieme ad altri 68 liberali militanti (come l'amico Luigi Settembrini e Carlo Poerio), poi ridotto all'esilio perpetuo e alla deportazione in Sud America; ma la nave farà rotta in Irlanda grazie all'intervento del figlio di Settembrini, ufficiale della Marina britannica, cosicché l'esule potrà riparare a Londra, poi a Torino (dove finalmente, nel maggio '59 potrà riabbracciare il fratello), e a Firenze, dove collaborerà con la "Nazione" di Alessandro D'Ancona. A Torino entra in contatto con Cavour divenendone amico e fautore, fino a conseguire la carica di senatore del Regno d'Italia e di segretario generale dell'Interno e della polizia a Napoli, nel tentativo quasi disperato di ripulire una città che "è una vera Babilonia". Cfr. lettera di Bertrando alla moglie Isabella Sgano, 23 nov. '60, in Dal 1848, cit., 357). 5 Studioso della questione meridionale, di Machiavelli e di Savonarola, allievo di De Sanctis da cui aveva appreso la lezione hegeliana. Diverrà deputato parlamentare e senatore del Regno d'Italia, nonché ministro della pubblica istruzione nel primo gabinetto Rudinì (febbraio 1891- maggio '92).

6 V. pref. ai Principii, cit., xiii.

7 Camillo De Meis, anche lui allievo del De Sanctis, medico e docente universitario; sodale e compagno d'esilio di Bertrando, durante il soggiorno torinese lo aiuta anche economicamente: l'amico lo ammira moltissimo e scrive al fratello (20 marzo '54): "voi (scil. tu e Camillo) siete uomini antichi, troppo grandi per questi tempi guasti", in

Epistolario, cit., 121.

8 "A Firenze non ho pensato per dieci mesi" scrive a Silvio il 19 febbraio 1855, in Epistolario, cit., 144, e, non riuscendo ad avere le opere di Kant e di Hegel annota tutto ciò che colpisce la sua attenzione.

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non ha mai preso in mano un testo di Hegel è prontissimo a condannarne il "pericoloso panteismo"; nello stesso tempo scopre che, in definitiva, a Torino non si vive così male come credeva: "l'esilio è una grande scuola e fa aprire gli occhi"9, "qui è la libertà [...] "Napoli è a Torino e a Genova; perché qui è l'Idea del nostro paese"10.

A Torino riesce a pubblicare opere di importanza capitale, quali gli Studi sopra la

filosofia di Hegel, anche se per vivere è costretto a dare lezioni private e a scrivere

articoletti letterari e politici, cosa che lo indispettisce perchè gli sottrae tempo allo studio; ma sopra ogni altra cosa lo offende la grettezza spirituale diffusa della "gente che non crede a nulla, se non al danaro, e che accusa gli altri di non credere"11:

Rosmini confuta Hegel e a fatica ha letto la Logica (in compendio e in italiano!), senza capirla, e quelli che vorrebbero farla conoscere agli italiani sono perseguitati, anche senza finire in carcere (realtà ben conosciuta dal fratello Silvio)12.

Eppure egli è convinto del fatto che, senza la filosofia tedesca, gli italiani non possano acquistare coscienza di loro stessi come nazione, e sempre esorta Silvio a studiare la storia della filosofia di Hegel, e la Critica della ragion pura, che considera il vero punto di connessione della filosofia moderna: ma il suo proposito non può dirsi di agevole realizzazione, visto che i professori stessi dicono spropositi della filosofia moderna e non si rendono conto che senza la Fenomenologia tutto va all'aria; manca la scienza, cioè la filosofia, il pensiero che pensa sè stesso13, come anima del

movimento dialettico essere-nulla, poiché la scienza e il metodo si identificano con la realtà, e quindi con la Verità, che è lo spontaneo e necessario movimento dell'essere. In Italia manca il vero processo storico: da Bruno e Campanella a Vico non c'è continuità, ma una specie di salto, e similmente da Vico a Gioberti; questa la grande differenza rispetto al processo del pensiero tedesco, che è naturale, libero, consapevole di sé, critico14.

Senza lo Stato non c'è nazione, poiché manca l'unità, laddove nello Stato si ha il suo compimento, e la coscienza nazionale sale e si perfeziona in coscienza politica: questa l'immagine napoletana di Hegel filosofo della storia, dove la storia è intesa come liberazione umana ritmata dialetticamente, cioè progresso e rivoluzione; stessa immagine che ha di lui il filosofo abruzzese: da qui il suo desiderio di renderlo comprensibile, ma senza svilirne la complessità.

9 A Silvio, 10 settembre '55, in Epistolario, cit., 164-5. 10 A P. Villari, 22 settembre 1850, in Epistolario, cit., 79. 11 A Silvio, 5 gennaio '57, in Epistolario, cit., 192.

12 30 giugno '55, in Trenta lettere inedite di Bertrando Spaventa al fratello Silvio (1850-1861), a cura di G. Vacca, in Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, LXXVIII, (1967), 327-95, 365. "Manca la vita del pensiero: ciò che si chiama qui filosofia è un esercizio formale e senza alcuna relazione col movimento concreto dello spirito", 26 marzo '55, in Ibid., 357.

13 9 agosto '55, in Trenta lettere, cit., 368.

14 Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861, Napoli, Vitale, 1862, titolo che G. Gentile, ritenendolo poco caratterizzante, mutò in La filosofia italiana nelle sue relazioni

con la filosofia europea, in occasione della ristampa per i tipi di Laterza nel 1908. La citazione è estrapolata dalla

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Il metodo hegeliano non è lo sviluppo formale di un principio pienamente determinato, un procedimento intellettuale estraneo al suo contenuto; al contrario, è il movimento spontaneo di un principio che ritorna continuamente su sè stesso e si compie e si realizza in ogni sua forma successiva, ossia, diviene15.

"La nazionalità è come un'opera d'arte, nella quale l'idea e la natura si conciliano e si contemperano, senza che questa sia distrutta e quella cessi di essere libera. Così bisogna svolgere il genio naturale italiano, senza distruggerlo, ed avvivarlo con la idea moderna, senza che questa cessi di muoversi in quello liberamente"16.

15 Cfr. Studi sul'etica hegeliana, apparsi per la prima volta negli Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, IV, (1869), 277-440 e ripubblicati dal Gentile col titolo di Principii di etica, Napoli Pierro1904. Il proemio era invece apparso nella "Rivista bolognese", III, s. II, Vol. I, (1869), 511-58, col titolo L'Assoluto, il relativo e la relazione

assoluta.

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L'hegelismo napoletano

Il pensiero di Hegel appare in Italia relativamente tardi, nel decennio 1830-40, quando in Germania ha già cominciato a subire profonde trasformazioni in direzione di conclusioni naturalistiche e rivoluzionarie, e da subito viene avversato e tacciato di "comunismo"; a Napoli viene assorbito e fatto proprio, pur senza esaurirne le problematiche, da professori di solida dottrina quali Pasquale Galluppi (coetaneo di Hegel) e il suo avversario Ottavio Colecchi, grande interprete di Kant e agguerrito conoscitore della lingua tedesca, che, ormai vecchio, appronta una esposizione dell'Estetica e un riassunto della Logica hegeliane, che per ragioni di censura, appariranno sul mercato soltanto nel 185717: alla sua scuola si formeranno i filosofi

più talentosi della generazione successiva, dal De Sanctis ai fratelli Spaventa al Settembrini.

Molti intellettuali non resteranno insensibili a questa esigenza di scavalcare il muro della lingua: basti citare Luigi Settembrini (compagno di cella di Silvio Spaventa nel carcere di Santo Stefano), Antonio Tari, bizzarra figura di filosofo-artista ma di sterminata dottrina che insegnò a Bertrando Spaventa i rudimenti del tedesco, Giambattista Calvello, Antonio Turchiarulo (traduttore della Filosofia del Diritto), Edoardo Salvetti, Giovan Battista Ajello, Vittorio Imbriani (allievo del De Sanctis a Zurigo, approfondisce a Berlino il pensiero di Hegel: scolaro di Bertrando Spaventa, fonderà con lui e con Francesco Fiorentino il "Giornale napoletano di filosofia e lettere"), Nicola Marselli, anche lui allievo del De Sanctis, et alii.

Francesco De Sanctis, solitaria figura che si erge nel panorama letterario e politico dell'epoca, merita un discorso a parte: durante la prigionia a Castel Dell'Ovo (dal '50 al '53) studia la lingua tedesca ed Hegel, poi si rifugia a Torino e successivamente a Zurigo, dove, professore del Politecnico, scatena l'entusiasmo degli allievi applicando i principî estetici idealistici alle questioni di storia letteraria.

Intanto, però, va crescendo l'inquietudine politica: la lotta per il trionfo della nuova metafisica tende a identificarsi con quella per l'affermazione dei principî liberali borghesi contro il particolarismo e la consunta ideologia degli stati di ancient régime; l'influenza positiva dell'hegelismo sulle vicende di questo tormentato periodo a cavallo del '48 dipende anche dal fatto che l'idea borghese di progresso non conosce ancora la crisi che la sta investendo in Germania, anzi, sopravvive in senso liberale: da qui la significativa fioritura degli studi sull'Illuminismo, su Vico, sullo sfondo della battaglia per il liberismo economico contro le politiche proibizionistiche e il vecchio sistema feudale, a favore della formazione di grandi mercati unici su scala nazionale.

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Poi, la definitiva crisi costituzionale che porta allo scioglimento della Camera ai primi di marzo del '49 da parte di Ferdinando II e alla promessa di nuove elezioni che non avranno mai luogo; e di lì a poco per gli ex deputati si apriranno i cancelli del carcere: il primo a essere arrestato, il 19 marzo, mentre passa per Via Toledo, è Silvio Spaventa18: ha così inizio la sua via crucis durata dieci anni, confortata dai testi

tedeschi, cui chiede le risposte ai suoi dubbi esistenziali, e dall'affetto incondizionato verso il fratello e gli amici napoletani prigionieri o esuli. Nell'ottobre Bertrando, ricercato dalla polizia, prende la via dell'esilio e lascia Napoli alla volta di Firenze, in compagnia della famiglia di Francesco Pignatelli principe di Strongoli (repubblicano del 1799 e generale di Murat19), poi, come abbiamo visto, sarà a Torino in compagnia di

numerosi amici esuli: l'intelligentia napoletana è ora dispersa per l'Italia, verso la Toscana e il Piemonte: tace la storia culturale negli ultimi anni del regime borbonico. "La nuova cultura è la cultura dell'Italia in esilio che, almeno da dodici anni, dal '48 al '60, era venuta maturando, all'estero e in altre città più ospitali d'Italia o nelle stesse prigioni, il suo destino"20.

Con il ritorno a Napoli si chiude la circolarità, indagata dallo Spaventa, tra l' "ultima filosofia italiana" e quella europea, a unificazione avvenuta, nel tentativo di sprovincializzare la filosofia italiana immettendola nel cerchio della filosofia europea. E ora, a Napoli, la riforma della cultura si accompagna a quella istituzionale: cambia la struttura istituzionale e direttiva degli istituti pubblici, auspice sempre l'infaticabile De Sanctis, ministro dell'istruzione nel '61, che rifonda l'università, "che era un orrore"21, e vi entrano professori del calibro di Augusto Vera, intransigente sostenitore

del 'sistema' hegeliano.

Viene riorganizzata anche la Società Reale Napoletana, con la creazione della nuova sezione di "Scienze morali e politiche", e sono invitati a farne parte il Vera, Bertrando Spaventa e lo stesso De Sanctis.

La riforma desanctisiana segna la fine di un'epoca, la fine della vecchia cultura napoletana, la fine di un regime: riprende piede il pensiero neoguelfo di Gioberti, che i fuoriusciti napoletani conoscono bene.

18 Cfr. Dal 1848, cit., 61. Condannato a morte insieme ad altri compagni dopo un processo-farsa, la pena viene commutata nel carcere perpetuo. Curioso l'aneddoto sul piano di fuga di Silvio e di Settembrini concertato da Antonio Panizzi, carbonaro modenese del '20 esule in Inghilterra e talentoso bibliotecario, che noleggia una goletta (con un capitano d'eccezione, Garibaldi!) secondo l'avventuroso disegno di accostarsi all'isola di S. Stefano e salvare i prigionieri usciti da un buco scavato nel muro: senonché la goletta naufraga nel '56 insieme al tentativo di liberazione (in Dal 1848, cit., 200s); ma nella corrispondenza col fratello, nessuna traccia di questa vicenda, forse per non dargli ulteriori motivi di apprensione. Anzi, è spesso lui a fare animo al fratello alle prese con le difficoltà della vita da esule, come leggiamo nella lettera del 12 giugno '56: "L'essenziale ora, tu l'hai raccomandato a me tante volte, è di vivere [...] E poi sei tu quegli che vuoi disperare dell'avvenire? Con tanto ingegno, con gli studi già fatti, il sapere acquistato, quella energia insigne del tuo intelletto che ha resistito finora felicemente a tutte le contrarietà della fortuna [...]?, in Voci da un ergastolo politico. Lettere inedite di Silvio Spaventa (1850-56), a cura di B.Croce, in Quaderni della Critica, II, IV (1946), 99-109, 108.

19 Cfr. Dal 1848, cit., 69n.

20 L. Russo, Francesco de Sanctis e la cultura napoletana, Firenze, Sansoni, 1959³. 21 Così Silvio al fratello, 28 ott.'60, in Dal 1848, cit., 355.

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Quando Bertrando Spaventa, nel novembre '61, torna a Napoli per presentare la sua prolusione d'ingresso alla cattedra di filosofia, Della nazionalità nella filosofia, oppugnando il concetto di nazionalità dichiarandolo immobile e identico nei secoli, afferma il processo di universalizzazione delle varie filosofie nazionali nell'ultimo secolo, che induce a parlare di un'unica filosofia europea. Naturalmente, i giobertiani non ci stanno e gli rovesciano addosso tutto il loro astio, pur non riuscendo a strumentalizzare la numerosa popolazione studentesca stregata dalle ardue dottrine del maestro22.

Ora, l'hegelismo, pur nell'omogeneità delle idee di fondo, diverge per quanto attiene le singole questioni: l'orientamento 'critico' del De Sanctis e dello Spaventa si oppone a quello 'ortodosso' del Vera e del gruppo cosiddetto 'di destra', anche se nessuno dei grandi maestri lascerà dietro di sè la continuità immediata di una scuola: gli allievi prendono altre strade, come vedremo. In particolare, gli 'ortodossi', al pari dei giobertiani, non perdonano allo Spaventa la tesi della circolarità della filosofia, accusandolo di falsare la filosofia hegeliana, nonchè la filosofia e la storia della filosofia

tout-court.

Il principio conoscitivo della filosofia spaventiana non è più, come in Hegel, lo spirito assoluto, ma l'uomo, il suo essere reale e totale, unità di opposti; il suo idealismo contempera naturalismo e positivismo: se non si spiega l'uomo, non si spiega nemmeno la natura. La filosofia hegeliana diventa così il motore del divenire storico, la grande rivoluzione liberatrice dei popoli: se Hegel vedeva il compimento di tutto nell'idealismo assoluto e nella monarchia prussiana, lo Spaventa fonda su quella filosofia la riforma del mondo reale attraverso l'attività pratica, la lotta politica e sociale.

Anche in Hegel la libertà vera è oggettiva e soggettiva a un tempo; l'uomo deve fare ciò che deve e volere ciò che fa: l'uno è il contenuto, l'altro la forma. Lo stato è la verità della libertà (=libertà oggettiva), mentre la libertà soggettiva è il consenso della volontà individuale, "das ist unendliche Recht des Subjechts"23; la libertà oggettiva giunge

in questo modo a compimento, alla sua verità, e anche la verità soggettiva, però essa, come coscienza, non ha la sua verità se non nella rappresentazione, e quindi la sua verità nello Stato è che vi sia rappresentata24.

22 A Silvio, 27 novembre '61, in La filosofia italiana, cit., 273-76. Spaventa viene chiamato dal De Sanctis, ministro della P.I. alla cattedra napoletana di logica e metafisica, proprio al posto di quel Luigi Palmieri, fisico prestato alla filosofia, suo antico nemico personale, responsabile della chiusura nel '47 della sua scuola di filosofia e che si proclamava "avverso alle aberrazioni di malsicure dottrine". Cfr. L. Russo, Francesco De Sanctis, cit., 77.

23 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, Mit einen Einleitung herausgegeben von J. Brunstäd, Leipzig Verlag, 1907.

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Lo stato è l'unità della volontà soggettiva con quella universale, la totalità etica nella sua forma concreta, la moralità, ossia la realtà in cui l'individuo gode della sua libertà, ma non una libertà intesa negativamente, dove il soggetto si autolimita in modo che questo impaccio collettivo lasci a ognuno il proprio angulus terrarum, bensì una libertà che è soddisfatta, positivamente, dal diritto, dalla morale e dallo stato; infatti, l'arbitrio non è libertà, o meglio, la libertà che viene limitata è appunto l'arbitrio del singolo, quello che riguarda il momento particolare dei bisogni.

La volontà soggettiva è la passione, l'inter-esse particolare, l'-essere in- qualcosa, mentre l'idea è il momento interiore; lo stato è la vita esistente, effettivamente morale, in cui i cittadini sono 'momenti', e non considerati un fine o un mezzo. Solo la volontà che obbedisce alla legge è libera, in quanto obbedisce a sè stessa e quindi è sè stessa; dal momento che lo stato, la patria, è una comunità di esistenza, poichè la volontà individuale si sottomette alle leggi, il contrasto tra libertà e necessità scompare.

Nello Spaventa il concetto della realtà come pensiero informa tutta la critica e la sua costruzione della storia della filosofia: è una metafisica della Mente, in cui l'Essere diventa l'operatore del movimento dialettico, cioè non più l'essere pensato, bensì Pensante, il Dio che crea e che governa, con continua creazione, il mondo, laddove in Hegel Dio non è il Pensiero ma l'Idea, unità di conoscere e di volere, sintesi suprema di tutti i gradi della natura e dello spirito25.

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Don Bertrando nella riflessione del nipote

Benedetto Croce non considerava la filosofia come una vera e propria professione, tale era l'ampiezza dei propri interessi e delle proprie curiosità, ma in ognuno di essi mostra il suo talento, la sua passione per la ricerca, che sia erudita, letteraria o filosofica, in un'ansia sempre rinnovata di trovare nello studio una sorta di pacificazione, una soluzione ai suoi contrasti interiori.

A poco più di nove anni, entrato in un collegio cattolico di orientamento neoguelfo, risalta sugli altri alunni per le qualità intellettuali, anche se la sua vocazione religiosa è assai debole: tant'è che, fra le sue varie crisi, quella più significativa sarà innescata dalle lezioni di "filosofia della religione" tenute dal direttore del collegio, "lievito gettato nel mio intelletto, sin allora inerte innanzi a quei problemi", ricorderà anni dopo26.

Verso la figura "eretica" dello zio Bertrando ha un atteggiamento ambivalente, ne percepisce la grandezza, come pure la diversità di indole e forma mentis, e questo lo rende in certo modo guardingo nei suoi confronti: diffidenza alimentata dai genitori, sospettosi di quel professore sui generis che ricordavano, non senza scandalo, aver celebrato messa in casa da giovane seminarista, prima di mutar strada e diventare quella figura tanto controversa quanto ammirata in tutta la nazione27.

Com'era naturale aspettarsi da un ingegno curioso come il suo, ne aveva seguito qualche lezione di logica formale all'università di Napoli, confuso tra la folla adorante degli uditori e senza avere il coraggio di palesarsi, perdendo così l'ultima occasione di conoscerlo personalmente, dal momento che di lì a poco, nel febbraio del 1883, l'illustre filosofo verrà a mancare.

Identica la diffidenza in famiglia verso Silvio, l'altro insigne zio, uomo d'azione e di pensiero, lontano anni luce dall'ideale di vita tranquilla dei cugini Croce, estranei alla vita politica e agli ideali risorgimentali: questo l'ambiente in cui il Nostro passa infanzia e adolescenza, grandemente attratto dai libri di ogni tipo ed epoca, che, nella sua brama di sapere, raccoglie per assaporare anche l'odore della carta stampata, e avido lettore di giornali, quali Il fanfulla della domenica di Ferdinando Martini28.

Grande è l'ammirazione nei confronti del De Sanctis e della forma vivace e popolare del suo stile, anche se per il momento ne intuisce la grandezza più che comprenderla in profondità, e allo stesso modo si sente attratto dalla prosa battagliera del Carducci.

26 B. Croce, Contributo alla critica di me stesso, Bari Laterza 1926², 21. Composto nel 1915, viene distribuito tre anni più tardi in un centinaio di esemplari, "sorta di liquidazione del passato", secondo la considerazione dell'autore. 27 Bertrando Spaventa aveva studiato, insieme al fratello Silvio, prima nel Collegio Teatino di Chieti, poi a

Montecassino; poi, pur scarsamente votato al sacerdozio era stato convinto da un fratello della madre, Onorato Croce, a farsi prete, poichè si trattava di uno dei pochi 'stati' aperti a un giovane di condizione dignitosa e modesta. A Napoli segue le lezioni del Galluppi e del Colecchi e frequenta i liberali, che gli prestano molti testi stranieri. 28 Supplemento del quotidiano Il Fanfulla, attivo dal 27 luglio del'79, al 31 ottobre 1919; vi collaborano nomi come il

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La grande svolta il 28 luglio 1883, quando il famigerato terremoto di Casamicciola devasta anche la sua vita: i genitori e la sorella Maria perdono la vita sotto le macerie, mentre lui, diciassettenne, rimane ferito insieme al fratellino Alfonso; sarà allora lo zio Silvio, fino a quel momento distante dalle loro vite, ad assumersi la responsabilità di fare da tutore ai due ragazzi rimasti soli, accogliendoli nella sua casa romana di via della Missione.

I fratelli Croce si ritrovano così catapultati in un ambiente che grondava già allora politica, diritto, scienze, ma Benedetto fatica ad apprezzarlo, incapace di scrollarsi di dosso il peso dei ricordi e incerto sul proprio avvenire: sono gli anni della Sinistra al potere e dei vari mandati del 'trasformista' Depretis, la cui politica è poco apprezzata da Silvio e dalla sua cerchia, ma il nostro futuro filosofo stenta a prender parte alla vivacità della querelle e non focalizza bene ciò che lo circonda:

"Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi", dirà anni più tardi rievocando quel periodo29.

Frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma senza gran convinzione, e appena può si rinchiude alla Casanatense a studiare; poi inizia a seguire le lezioni di filosofia morale di Antonio Labriola, allievo "infedele" di Bertrando Spaventa passato all'herbartismo, e frequentatore della casa dello zio, dove ha già potuto apprezzarne la dottrina e l'affascinante conversazione: sarà lui a confortare il suo bisogno di rifarsi in forma razionale una fede sulla vita, perduta la guida della religione e tentato da teorie materialistiche e sensistiche di cui pur avverte l'insufficienza.

I pensieri di allora, i contrasti emotivi, le riflessioni sul dovere e sul piacere passano attraverso il filtro dell'etica herbartiana del filosofo di Cassino, per trovare una sorta di pacificazione nella Filosofia della pratica30; il materialismo storico viene assorbito e depurato dalle formule metafisiche, nel tentativo di farne confluire l'insegnamento storiografico con quello dell'ultimo De Sanctis31.

Nondimeno, si tratta ancora di un filosofare per soffrir meno, e il Nostro non immagina affatto che quella diventerà la sua strada, la sua vera vocazione.

In casa di Silvio gli cápitano in mano i libri di don Bertrando e prova a leggerli, col risultato di spaventarsi della loro forma scabra: cosa che non lo induce nemmeno a cercare Hegel in Hegel, temendo in lui un'oscurità maggiore: è un primo approccio, tanto che in seguito muterà d'avviso, ma per il momento ha il sopravvento l'incomprensione verso questo zio proveniente dalla chiesa e dalla teologia, che considerava fondamentale il rapporto tra essere e conoscere, la questione dell'immanenza e della trascendenza, laddove egli, nella sua "religione senza Dio", si

29 Contributo, cit., 24. 30 Ibid., 26.

31 Cfr. P. Rossi, Benedetto Croce e lo storicismo assoluto, in Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Milano Lerici 1960, 287-330, 297.

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sente maggiormente attratto dai problemi dell'arte, della vita morale, del diritto (e, poi, della metodologia storica), pur, come detto, nell'eterogeneità delle influenze e degli elementi poco armonizzati. Apprezza in lui l'intelletto austero, il gran dispensatore della filosofia in Italia, ma gli rimprovera di aver lasciato cadere il ricco contenuto del sistema hegeliano per restringere la meditazione alle prime categorie della Logica e alla relazione, puramente astratta, tra Pensiero ed Essere, e in ciò è nascosto -avverte- un pericolo di misticismo, in quanto l'unità, nella quale si soddisfano i mistici, non è che un momento della filosofia, e pretendere di risolvere la questione assumendola da sola e separatamente dal resto è fatica angosciosa quanto sterile32.

Indubbiamente, ne apprezza la sete di verità e la coerenza di chi non riduce la propria fede a un catechismo, ma la rielabora continuamente senza sottrarla al fuoco delle critiche, desideroso di comprendere il punto di vista dell'avversario, e lo ritiene il pensatore più significativo dell'hegelismo napoletano, pur non scorgendo in lui un atteggiamento originale o un sostanziale sviluppo della dottrina, un critico che lavora intorno ai principî di Hegel senza volerne riprodurre meccanicamente le deduzioni come se fossero formule intoccabili (che era il modus operandi del Vera).

Ad ogni modo, si sente più vicino a Francesco de Sanctis, anche lui non conosciuto di persona ma soltanto grazie ai libri, il geniale allievo di Basilio Puoti, che "quasi parallelamente rinnovò in Italia la critica letteraria, creando un indirizzo originale, senza rivali nella letteratura italiana"33.

Dunque il Croce per il momento non intende risalire alle origini di quella filosofia che in qualche modo lo intimorisce, preferendole il marxismo del Labriola, che però maneggerà con cautela per poi abbandonarlo in virtù della fondamentale obiezione di essere una filosofia della storia su base materialistica, che pretende di determinare a priori i momenti successivi dello sviluppo storico: pure, ne conserverà alcuni concetti vicini alla propria forma mentis, quali l'esigenza di una concezione generale della realtà per intendere la storia, l'importanza accordata all'economia, il rispetto (quasi una religione) del lavoro, e il senso acuto del reale contro ogni retorico moralismo, oltre all'idea della prerogativa della storia di schiacciare e trascinare gli individui (e su questo torneremo più avanti).

32 Cfr. Una discussione tra filosofi amici, in Conversazioni critiche, II, Bari, Laterza, 1942³, 67-95, 71s. In realtà, non pare di poter leggere gli scritti dello Spaventa alla luce di questi presunti condizionamenti religiosi, sì che sorge il dubbio si tratti per lo più di un pregiudizio che il nipote si porta dietro per retaggio familiare e per formazione, cosa di cui lo abbiamo visto essere ben consapevole.

33 Cfr. Documenti inediti sull'hegelismo napoletano (dal carteggio di Bertrando Spaventa), in "La Critica", IV, (1906), 222-40, 223. Ma, attraverso la lezione desanctisiana assorbe, forse senza rendersene ben conto, molto idealismo hegeliano, che invece riferisce alla teoria dell'arte nella filosofia herbartiana del Labriola.

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Sarà l'amico Giovanni Gentile, erede, attraverso Donato Jaja, della tradizione spaventiana, resa un po' più aperta e flessibile, a condurlo a far sue le dimensioni dell'idealismo col ripensare l'opera del celebre hegeliano, di cui raccoglierà con passione tutti gli scritti, anche gli inediti, nella convinzione che quel pensatore così fascinoso abbia ancora molto da dire alle generazioni più giovani. Pure, lo presenterà come il filosofo dello spiritualismo assoluto, forma parziale e non definitoria, lasciandone in ombra la concezione della filosofia come risultato del processo storico, che è invece un aspetto di primaria importanza all'interno della riflessione spaventiana.

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