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CONCLUSIONI Rebiya Kadeer, “la prigioniera di coscienza”

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CONCLUSIONI

Rebiya Kadeer, “la prigioniera di coscienza”1

Soprannominata la “madre di tutti gli uiguri”, prima di essere accusata da Pechino di aver rivelato segreti di stato e per questo condannata a otto anni di carcere, era esempio di convivenza pacifica. Ripercorriamone le tappe biografiche principali. Imprenditrice di successo, Rebiya si fece da sola, dimostrando che, dentro la cornice del governo cinese, ogni uiguro poteva crearsi una certa posizione sociale. Iniziò come commerciante a partire dagli anni Settanta, cucendo e vendendo vestiti in un Paese che, per il passaggio di consegne dal comunismo maoista alla liberalizzazione di Xiaoping, aveva ancora bisogno di prendersi del tempo. Probabilmente quello fu il primo di una serie di atti di coraggio che svelò la forza di un temperamento da pasionaria che l’avrebbe portata a combattere per i diritti del suo popolo. L’inclinazione per l’attività imprenditoriale scorreva nelle sue vene e in questo settore fu capace di reinventarsi ogni volta con i mestieri i più diversi. Dalla ristorazione alle lavanderie, tra confische governative e spazi di libertà, la combattente uigura trasse un enorme vantaggio soprattutto all’indomani del crollo dell’URSS quando, riaperte le frontiere, seppe coglierne le opportunità commerciali. Fu questo il momento cruciale che fece emergere le sue brillanti doti economiche e che lanciò la sua straordinaria carriera imprenditoriale. Per fare profitto in Cina, dove le monete delle repubbliche centrasiatiche non potevano ancora essere convertite in yuan, adottò la strategia del baratto per le merci cinesi che vendeva nei bazaar kazaki e khirghisi, facendosele pagare in grano, cotone e acciaio, che poi rivendeva sul mercato cinese, in continua ricerca di materie prime. La sua vicenda fu talmente stupefacente che presto le si spalancarono le porte della politica. Fu scelta come membro della Conferenza Politica Consultiva del Popolo, come rappresentante ONU della Conferenza mondiale sulle donne2, fondò l’associazione umanitaria Mille Madri attiva sul tema dell’alcolismo e altre piaghe sociali che creano ancora oggi dolore alla fragile società turkestana. La svolta decisiva a favore dei diritti uiguri avvenne nel 1997, dopo l’ennesima repressione da parte del governo cinese contro le rivendicazioni per uno Xinjiang indipendente. La passione politica la legò all’intellettuale Sadiq Ruzi, imprigionato dalle autorità cinesi per dissenso, e nel 1996 esiliato negli Stati Uniti, dove ha continuato l’attività antigovernativa dalla “Voce uigura in America” e da “Radio Asia Libera”, portando i riflettori della critica dissacrante sullo XUAR.

1 Così l’hanno chiamata Human Rights Watch e Amnesty International.

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Rebiya rifiutò di ripudiare il marito e anzi il sostegno alle famiglie delle vittime della repressione di Yining del 1997 le costò la sospensione del diritto di uscire dal territorio cinese e l’espulsione dal governo. Le prime accuse dirette di essere la regista dei moti uiguri degli anni Novanta le vennero mosse nel 1999, allorché venne accusata di aver rivelato informazioni riservate a una delegazione statunitense andata nello Xinjiang per fare luce sulla violazione dei diritti umani. In realtà la donna non incontrò mai i delegati poiché fu prelevata prima di entrare nell’hotel dove avrebbe dovuto svolgersi l’incontro. Nel 2005, a poche ore dalla visita ufficiale di Condoleezza Rice, Rebiya fu scarcerata, tre anni prima rispetto alla pena inizialmente comminata. Da allora vive con il marito negli Stati Uniti3, dove è stata esiliata e da dove continua la sua battaglia per il riconoscimento agli uiguri della dignità di popolo. Era il sistema cinese, oggi è l’antisistema per eccellenza, nemico pericoloso per Pechino che non smette di interferire in situazioni che la riguardano. Dalle proteste per la candidatura al Nobel per la Pace, al film documentario prodotto in Australia sulla sua biografia. Straniera in casa propria, Rebiya è diventata la campionessa di libertà del “popolo nascosto”, come spesso viene definito il lontano popolo uiguro4.

Tohti Tunyaz, la sfida alla storia ufficiale

Tunyaz è un ricercatore orientalista della Scuola delle Umanità dell’Università di Tokyo, dove dedica le sue ricerche alla storia e alla politica cinese del XIX e XX secolo verso le minoranze. Il Giappone è la sua seconda casa a partire dal 1994, anno nel quale, insieme alla famiglia, decise di trasferirsi dalla prefettura di Aksu, nello Xinjiang. E’ stato il suo lavoro ad averlo riportato nella terra natale nel 1998 per fare ricerche alla tesi cui stava lavorando, incentrata sulla storia della provincia cinese prima del maoismo. Da questo punto in poi la sua vita è caduta nelle mani delle autorità cinesi che ne decidono il destino. Poche settimane dopo il suo arrivo nello XUAR, infatti, Tunyaz è stato arrestato dal Dipartimento per la sicurezza di stato di Urumqi e su di lui pesano le accuse di aver rubato segreti di stato e di voler incitare alla disunione. L’opera imputata è il saggio, “The Inside Story of the Silk Road”. Gli è stata comminata una pena complessiva di undici anni di

3 La posizione degli USA è molto chiara, «the United States hopes to shine international attention on such abuses and

convince the Chinese government that it is its obligation and in its interest to guarantee fundamental political rights to all its citizens».

4 La vita dell’eroina uigura è stata ricostruita attraverso la consultazione delle seguenti fonti:

http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/esteri/cina-scontri/leader-uiguri/leader-uiguri.html?rss; http://www.milanoperibambini.it/rubriche/libri/809-intervista-a-rebiya-kadeer.html; https://www.theguardian.com/film/2009/jul/15/rebiya-kadeer-melbourne-film-festival; https://www.theguardian.com/world/2009/jul/07/china-clashes-uighurs-rebiya-kadeer; http://www.nytimes.com/2009/07/07/world/asia/07kadeer.html http://www.spiegel.de/politik/ausland/exil-uigurin-rebiya-kadeer-chinas-staatsfeindin-nummer-eins-a-634583.html J. A. Millward, Eurasian Crossroads…, cit.

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carcere, più due di interdizione dall’esercizio dei diritti politici. L’Alta Corte di Urumqi nel 2000 ha rigettato il suo ricorso in appello e perciò resta detenuto nella prigione No. 3 della capitale dello Xingiang, nella terra che l’ha visto nascere e che ora pare non riconoscerlo più5.

Adil Hoshur, il “re del Cielo”6

Hoshur è nato nel 1971 da una famiglia di ginnasti (dawaz) della città di Yengisar, nel distretto di Kashgar. Un talento innegabile contraddistingue l’atleta, il quale ha ottenuto il suo primo riconoscimento all’età di quattordici anni, durante le celebrazioni per il tredicesimo anniversario della nascita della provincia autonoma dello Xinjiang. Oltre all’atletica, è salito agli onori delle cronache mondiali per aver superato vari record, dalla scalata degli altissimi monti del Tianshan al Passo del cancello di giada. Ma Adil è molto più che un semplice recordman e, come hanno scritto di lui, “se è un eroe cinese, è un supereroe uiguro7”. Le sue performance radunano centinaia di persone e questo ha più volte allarmato le autorità cinesi, le quali hanno risposto cancellando gli eventi che avrebbero dovuto ospitare delle esibizioni uigure. La sua popolarità lo ha portato in giro per il mondo e una delle apparizioni rimaste più famose è quella del 2004 in Canada, alla testa di un team di tredici atleti invitati dall’Associazione cinese del Paese. Da un fatto meramente sportivo l’evento si è trasformato in un avvenimento di grande valore politico. Infatti sette acrobati si sono sfilati dal gruppo e hanno chiesto asilo politico, portando l’attenzione del mondo su un angolo fino ad allora piuttosto sconosciuto della Terra. Sono talenti come Adil a fare grande il nome cinese, dimostrando a tutti che una Cina multietnica può davvero essere invincibile8.

Shenzhen, Guangzhou e Hong Kong sono già autonomi; lo Xinjiang vedrà mai riconosciuta la sua libertà? Per ora no. La fede non si sposa con la libertà; è il governo centrale a decidere se una moschea può o meno essere edificata; è sempre il governo che nomina gli imām, ai quali è fatto obbligo di tenere un elenco che riporti il numero di frequentatori delle moschee che dirigono. Non sono liberi di scegliere dipendenti pubblici e funzionari del PCC (Partito Comunista Cinese); essi

5 Per la vita dello storico si sono scelte le seguenti fonti: docs.uyghuramerican.org/Pen-%20Tohti%20Tunyaz.pdf. N.

Becquelin, Criminalizing Ethnicity: Political Repression in Xinjiang, in “China Rights Forum”, N. 1, 2004. https://www.gfbv.de/.../report_nr.61_endversion.pdf.

6 Così lo ha definito la stampa cinese dopo il record mondiale dei 400 metri percorsi in 14 minuti sulle famose tre

cascate del fiume Yangzi. Una vittoria che l’atleta ha messo in tasca dopo il brutto incidente avuto durante una esibizione a Shanghai, quando aveva diciannove anni.

7 J. A. Millward, Eurasian Crossroads. A History of Xinjiang, New York, Columbia University Press, 2007. 8

Per questa biografia si vedano J. A Millward, Eurasian Crossroads…,cit.; http://www.huffingtonpost.com/2012/09/17/adil-hoshur-tighrope-world-record_n_1888687.htm;

http://www.bbc.com/news/world-asia-19612048; http://tv.liberoquotidiano.it/video/libero-tv-copertina/1553491/il-funambolo-cammina-a-300-metri-d-altezza.html.

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non possono professare la propria fede e pertanto è fatto loro divieto di frequentare i luoghi di preghiera. Non sono riconosciute le confraternite sufi (che hanno da sempre svolto un importante ruolo sociale di assistenza ai bisognosi attraverso le donazioni lasciate dai fedeli in visita ai pir). Per qualcuno i problemi delle “periferie” della PRC non si risolvono a causa dell’incompatibilità di fondo tra l’Islām e la cultura confuciana cinese9. Qui si vuole credere che la convivenza pacifica non sia una chimera, bensì un progetto politico concreto e realizzabile. Per ora il dato di fatto è che la libertà deve ancora lottare per guadagnarsi il suo spazio, sia quello di uno Xinjiang non cinese o sia qualsiasi posto nella terra abitato da minoranze etniche. La Repubblica Popolare resta un perfetto modello di Zhonghua minzuduoyuan yiti geju (unità multietnica)10, dove come il Tibet, la Mongolia, il Ningxia e il Gansu, anche lo Xinjiang aspetta che la storia gli dia il posto sul quale, probabilmente, merita di sedere. Rebiya Kader come il Dalai Lama; i loro nomi vengono spesso citati insieme. E’ vero, tra Tibet e Xinjiang non si può fare a meno di notare la similitudine. «Viaggio in tutto il mondo per dire la verità su quello che fa il governo cinese», ha detto Rebiya; «conosco bene il governo cinese, so bene quando loro dicono la verità e quando mentono. Ecco perché adesso mi temono». Non appare dispiaciuta dal paragone con il Dalai Lama; tuttavia, ha affermato in uno dei viaggi in giro per il mondo dove va a dire a tutti che esiste anche un popolo che si chiama “uiguri”, «io sono diversa dal Dalai Lama: io non voglio aspettare per 50 anni».

9 R. Israeli, Muslims in China: the Incompatibility between Islam and the Chinese Order, in “T’oung Pao”, Vol. 63,

1977, pp. 296-323. URL: http://www.jstor.org/stable/4528112.

10 Dal titolo di una conferenza che il professore Fei Xiaotong ha tenuto all’università cinese di Hong Kong nel 1988

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