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SATIRA V
al Sansedonio
La condizione dell’“uccello in gabbia”, di cui il poeta si lamenta nella satira
precedente, diventa più specificamente quella del religioso desideroso di uscire
dall’ordine (da alcune allusioni, sparse nella raccolta – benché non confermate
altrove – , sembra che lo stesso autore appartenesse o fosse appartenuto a qualche
ordine religioso minore).
Sansedonio1, io ho un corvo a cui rincresce
star tanto in gabbia, e non può più durarla, ma è pericol che muora se non esce. Tien basse l’ali, lasciasi cascar la
coda, li cola il becco, e, ben che soglia 5
croccitar qualche volta, ora non parla. Se Monsignor sapesse la sua doglia n’avrebbe compassion, direbbe certo: - Lascialo andar, cavagliene la voglia.
Questo, da poi che molti anni ha sofferto, 10
m’ha pregato ch’io preghi Monsignore che faccia che li sia l’usciolo aperto. Non potendo io venire, e avendo a cuore pur questa cosa, non vi sia fatica
prestarmi un’uncia del vostro favore: 15 parlarne a Monsignor, pregar ch’ei dica
la sua santa parola, e uscirà fuori
egli d’impaccio e il cornacchion d’ortica. Ma vedete pur voi che strani umori,
poter viver col capo nella tasca 20
e venirli voglia or di fichi fiori2.
1 Il destinatario della satira potrebbe essere forse stato scelto in virtù della sua
vicinanza al Monsignore di cui si parla più avanti.
148 Non so se fuor di gabbia avrà ch’il pasca
d’uova e di torte, e chi gl’empia ’l troghetto3
senza dir chi ’l guadagni o dove nasca,
e questo mille volte gliel’ho detto: 25 risponde che una fava in libertade
li piace più che in carcere un confetto. Oh, de gl’uomin pazzia! fra lance e spade la libertà si compra con la vita,
e noi la sopponiam di volontade! 30 Io li do in questo una ragion fiorita,
e in tale openion credo che voi verrete, e la farem crecca compita. Ma se valesse il pentirsi da poi,
pochi si troverian che la seconda 35 volta non fesser meglio i fatti suoi.
Un corvo in gabbia d’ogni cosa abonda, si sta in riposo, pure il suo cervello se ne va a vela, a remi et a seconda.
E però questo mio vuol farsi ucello 40 di bosco, per non far come quel gallo
che si fe’ capon mozzo per martello, come il ferrarese pappagallo
che fe’ un cimbel pel collo nella gabbia
sentendosi ’l cervel male a cavallo. 45 - Non dovea entrarvi! - or, dato che ve l’abbia
rinchiuso il sol leon, dobbiam per questo lasciarvel sempre consumar di rabbia? Quando il sole è in quel segno, esce del sesto
ogni cervel, ma con diversi effetti: 50 qualche alquanto più tardi, e qual più presto,
secondo che quel sol trova i soggetti
149 disposti, e siamo in tale influsso involti
come i pignocchi4 in zucchero confetti,
di cui molti coperti sono e molti 55 appariscono alquanto fuori a stento,
tutti dolci, però noi tutti stolti5.
Ma, per dir del mio corvo mal contento
di sue pazzie, se vede aperto ’l vado6,
fuggirà via volando come un vento. 60 Se Monsignor fesse un dì parentado
co’l gabban di san Piero7, e ch’io chiedesse
il ponto et egli a posta traesse il dado, io farei ch’ei faria ch’a chi volesse
stare in gabbia da ognun li fosse dato 65 un mondo di crocion perch’ei vi stesse,
ma chi volesse uscir (sendovi entrato come Dio ’l sa) senza spender più soldi fosse liberamente licenziato.
Vedreste i caponacci manigoldi, 70
da odor di broda e dal pacchio8 tirati
corrersi a empier come salsiccie o boldi9,
e come poi fossero ben gonfiati, pesaria lor la panza, e starian forti
al martello10, e sarian bene ingabbiati. 75
Ma i galletti, immagriti e mezi morti
in gabbia, a cui non gialleria ’l groppone11
4 Pignocco (arcaico per pinocchio) è forma toscana per “pinolo”.
5 Il solleone è propriamente il “periodo compreso tra la seconda metà di luglio e
la prima decade di agosto” (quando il Sole si trova nel segno zodiacale del Leone).
6 Per guado nel senso di “passaggio”.
7 Il “mantello di san Pietro”, vale a dire il papa.
8 Pacchio significa “pasto abbondante”.
9 Boldone è forma settentrionale per “sanguinaccio”, un insaccato di sangue e
grasso di maiale.
10 Il martello è un “fastidio continuo e insistente”.
150 quanta broda va intorno il dì de’ morti,
salterian fuor, dariano alle persone
qualche piacer, farebber qualche frutto, 80
e ogni galletto verria gallastrone12.
Ma gl’è venuto al mondo un viver brutto, per forza o per amor convien che stia chi v’è entrato una volta, o mezo o tutto.
Dice il volgo: - Vel messe la pazia, 85 tengalo or la vergogna! - o giudei cani,
perché non rinnegate oggi ’l Messia? Gridano i frati, sbattono le mani
su’ pergoli13, che noi lasciamo ’l male
se vogliamo esser veri e buon cristiani, 90 e che ’l pentirsi appo Dio tanto vale
che, morendo un de gl’error suoi pentito, sen vola al Ciel senza sostegno o scale. Perché donque così mostrarsi a dito,
come se fosse mastro Pavol boia, 95 un pover corvo fuor di gabbia uscito?
che doverebbe ognun far festa e gioia, andare a far seco i doveri, come se fosse uscito della fresca gioia?
Egli è pentito, ha deposto le some 100 del sol che l’avea tratto di se stesso:
dovrebbe ognun salutarlo per nome.
Ma l’usanza tignosa14, ov’ella ha messo
prima ’l capo, entra tutta e si distende,
e vuol ciò ch’ella vuole, e gl’è permesso. 105 Ella dà lode al mondo, ella ’l riprende,
ella ’l governa: usanza sola è quella
12 Il gallastrone è un “gallo ormai adulto”.
13 Il pergolo è il “pulpito”.
151 che infenite pazzie copre e difende.
Essendo spesso stomacosa15 anch’ella
(per esser donna) a l’opre sue grintose 110 dà il belletto e si mostra al volgo bella.
Quante pazzie solenni e gloriose fa parer sagge? e quante il non usarsi di cose buone fa parer dannose?
Che cosa è più lodevole che amarsi 115 l’un l’altro? E pur l’usanza invidiosa
fa l’un l’altro oggi per amore odiarsi. Questo non vuol ch’io ami una sua sposa, l’altro la figlia percuote e minaccia,
che se potesse mi saria piatosa. 120 Ove ha trovato mai quest’usanzaccia
ch’amor sia vizio? ancor che un amatore qualche cosetta di nascoso faccia? Ho udito dir che in quell’isole fuore
del mondo, io non so dove, onde vien l’oro 125
che sì splendido fa l’imperadore16,
è un’usanza che vale ogni tesoro
che s’aman tutti, ogni cosa è comuna, né “questo è mio, quel tuo” s’ode tra loro.
Niuna donna si vede in veste bruna 130 per aver perso ’l marito, nessuno
uomo perde la moglie o sen’imbruna: a ogni donna è marito un comuno, né degl’uomini mentre ch’averanno
femine vi sarà vedovo alcuno. 135 Son tutti imparentati, tutti stanno
sul creder “quest’è mio fratel, quel figlio”,
15 Stomacosa ha qui il valore attivo di “stomachevole”.
16 Probabile riferimento alle terre abitate dagli indigeni, cadute nelle mani dei
152 né l’un fa all’altro oltraggio mai né danno.
Quivi un amante può, senza periglio
di ferite, goder la cosa amata, 140 ché gelosia non vi s’accosta a un miglio.
Deh, fosse questa usanza un dì portata
di qua dal carro di Lizza Fucina17!
oh, che star santo! oh, che vita beata!
Non andarebbe tanto a testa china 145 quel mio vicin costì per che la nuora
e due sue figlie fan danno in cucina. Ma io ho speranza di veder ancora sì gentil santa dolce fratellanza
in queste parti, e forse v’è fin ora. 150 Or, per non mi partir da questa usanza
che ’l nero vuol far bianco e ’l bianco nero, e secondo che vuol guida la danza,
Gianni matto è stimato pazzo vero
per che il suo ballo al mondo oggi non s’usa, 155 e li fa magre spese il suo mestiero.
E pur veggiam per tutto a bocca chiusa, mossi dal sol leon, far simil fole uomini e donne, e l’usanza li scusa.
Quell’intrecciar, quel far le capriole, 160 quel scuoter braccia, quel voltegiar tondo,
non è altro ch’effetto di quel sole. E pur, per che oggi s’usa in tutto ’l mondo, quantunque in questo la pazzia trabocchi,
è riputato un costume giocondo. 165 Se voi vedete i villanzoni sciocchi
17 Lizza (o Lixa) Fucina (o Fusina) era un luogo a sud di Venezia, dove
anticamente un argine separava il fiume Brenta dalla laguna: le imbarcazioni potevano scavalcare il terrapieno solo per mezzo di una costruzione chiamata il “carro”, che trasportava le barche dalla laguna al fiume e viceversa.
153 saltar, sudar, quando posar dovrieno,
non mi direte il sol leon gl’ha tocchi? E pur l’usanza ancor né più né meno
scusa la lor pazzia come scusa anco 170 quel notaro a cui pon la moglie ’l freno,
che tutto ’l giorno sta confitto a un banco a scriver per sei bezzi, e poi la sera
staria meglio s’avesse ’l mal del fianco18:
gl’è ricevuto in casa alla maniera 175 che i cani in chiesa, e s’all’offizio il giorno
sente l’abisso, quivi ha l’avversiera. Or, se i santi son santi per che forno martirizzati, in breve anco a costui
s’accenderanno i candelotti intorno. 180 Ma, per tornar, se domandate lui
per ch’egli la sopporta, eccovi tosto: - L’è usanza, e peggio son forse l’altrui - . Se dite: - Ella vi fura di nascosto
i soldi per pagar le bellettiere19 - , 185
- Così fan l’altre ancor - vi fia risposto. - L’è golosa, la giostra col bicchiere,
la spende tutto ’l vostro in farsi grassa - ,
- E l’altre - vi dirà - non mondan pere20 - .
Così quel disgraziato, a testa bassa, 190 muore ogn’ora, e nell’altrui bruttume
lava la moglie lorda, e se la passa. E volete veder quanto presume quest’usanza tiranna? Ella v’attacca
18 Il mal di fianco (o del fianco) vale lo stesso di “colica” (che si può dire anche
semplicemente “fianco”).
19 La bellettiera è la “manipolatrice di belletto” (così la definisce il
Tommaseo-Bellini che cita, appunto, questo stesso verso).
20 L’espressione proverbiale ha, in questo contesto, un significato simile a “le
154 un tanto peso addosso senza lume. 195 Se voi comprate un cavallo, una vacca,
un asino, una mula, voi volete veder s’ell’ha difetto o s’ell’è stracca, e pur di simil cose ne potete
riuscir a vostra posta, e le vetture 200
o le soccite fan che non perdete21.
E la moglie che vien con mille usure, che nuoce tanto e così poco giova, che porta mercanzie sì mal sicure,
che non si dovria torre altro che a prova 205
d’un anno almen, vuol usanza appoiosa22
darla a gatt’orba23, e non è usanza nuova:
e com’è in casa poi, s’ell’è ritrosa,
restia, zoppa, orba o bastona ’l marito
non la può contrattar come sua cosa. 210 Tutto perché l’usanza ha favorito
(sendo femina anch’ella) le sue pari
e ’l mondo, vuoi non vuoi, l’ha consentito. Deh, fosse in uso il venderle a danari
contanti, o il barattarle, o il darle in dono, 215
come si fanno i cavalli e i somari24!
quanti infelici mariti oggi sono che le darian senza pensarvi suso, e il perderle saria guadagno buono;
e benché alza le ciglia e stringe ’l muso 220
l’usanza, pur l’Albanese schinazzo25,
21 La sòccida è propriamente il “contratto con cui due parti si associano per
l’allevamento del bestiame”.
22 Voce senese per “fastidioso”.
23 Gatt’orba vale “gatta (o mosca) cieca”; potrebbe, quindi, alludere al “fare una
cosa senza poter vedere”.
24 Cfr. Ariosto, Satire V.
155 per non voler la sua, l’ha data ad uso.
Ma io sono entrato in un pelago a guazzo che non ha fondo, sarà buon ritrarsi
ove l’usanza copre ’l volgo pazzo. 225 Che vi par, or, di quello immascararsi
cinque mesi dell’anno, e per un spasso far a’ buoi con le corde strascinarsi? non è pazzia da far crepare un sasso
di risa? e pur l’usanza ve ne mostra 230
per Venezia di questi ad ogni passo26.
Qual è maggior pazzia che quella vostra da Siena a mezz’agosto? ove si fanno
tante prove di tori e tanta mostra27?
pur non è maraviglia: i sanesi hanno 235 quel segno in ascendente, e però quivi
sta il sol leon l’agosto e tutto l’anno. A Venezia non son così corrivi che vadino assaltar bestie cornute,
a rischio di restar del fiato privi, 240 e non so ancor come vi sian venute
quell’usanze de’ tori a cui le corna son però da mill’argani tenute, ch’io so che il sol leon non vi s’aggiorna
fuor che ’l primo agosto, che l’usanza 245 un suo effettuzzo pur quel dì v’inforna.
Chiunche è il giorno a Venezia e chi vi stanza si sente da madonna Usanza astretto a empir di verze e malvagia la panza,
e pur la copre sì questo difetto 250 che fa parerlo una vertute espressa
26 Riferimento al carnevale veneziano.
156 e niun vi par dal sol leone infetto;
ma chi mangiasse verso ’l Ponte a Tressa28
cavoli il giorno andaria al cielo il grido
“Siena fa una pazzia solida e spessa!” 255 Tutto per non avervi fatto ’l nido
l’Usanza. Ora, a proposito parlando,
né qui sul trivisan29 molto mi fido,
per che, se ben Venezia ha dato bando
dall’acque salse al sol leon, pur suole 260 per terra ferma andarla costeggiando:
e come peste o mazzucco o varole, v’entra co’ qualche forestiero insieme e quindi escono alcune pazziuole.
Forse avete ancor voi portato ’l seme 265 d’un’usanza che nanzi a voi non v’era,
che empierà zucche se ne trova sceme: del trar l’uova di lanfa alla maniera che usate a Siena e ch’è pazzia si fina
e l’usanza la fa così leggiera30. 270
Si tranno l’uova alle donne in berlina: voi date un tristo annonzio alle meschine, quel trarli l’uova un non so che indovina. Se ben l’hanno acque odorifere e fine,
se l’avessen dentro oro, non farete 275 che fuor non paian uova di galline:
gettate ’l vostro e quando voi credete far loro favor, lor fate ingiuria grave, che per berzaglio all’uova le ponete;
sarebbe assai men mal gettarli fave, 280
28 Ponte a Tressa è una località vicino a Siena.
29 Zona trevigiana.
30 La lanfa (o nanfa) è propriamente l’“acqua profumata” (distillata dai fiori
157 o ravanelli, o simil cose grosse,
che vaglian poco e niuna a schifo l’have. Ma, per tornar onde prima si mosse
questo capriccio, perché non diè uscire
s’un corvo non può star forte alle mosse31? 285
Questo mio, già condotto al dies irae32,
per disperato si morrà di duolo et è un peccato lasciarlo morire. Direte donque a Monsignor, che solo
sua signoria lo può campare, e come 290 senza spender quattrin li darà ’l volo,
per questi boschi gracchierà ’l suo nome.
31 Stare alle mosse ha il valore figurato di “aver pazienza”.
32 Il dies irae è la sequenza cantata durante l’ufficio funebre, per estensione vale