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Academic year: 2021

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La grande bellezza di Paolo Sorrentino

Paolo Sorrentino a soli quarantasette anni è uno dei registi più giovani, e di maggior successo nell’ambito del panorama internazionale contemporaneo. Scoprì il suo amore per il cinema all’età di 19 anni, con i film di Sergio Leone e Bernardo Bertolucci, ma a folgorarlo furono le pellicole di Federico Fellini, autore che da sempre ha considerato uno dei maggiori maestri per la sua carriera di regista. Il suo approccio con la settima arte avvenne contro il parere di chiunque1, ma fin da subito si è fatto notare per le sue doti nello scrivere sceneggiature2.

Iniziò la sua carriera come aiuto regista e sceneggiatore, per poi proseguire dapprima come regista di cortometraggi e poi le pellicole che tutti noi conosciamo. Nella sua carriera ha già realizzato sette film, più l’ultimo che uscirà quest’anno al cinema. Inoltre, ha realizzato otto cortometraggi e ha collaborato come sceneggiatore per diverse opere cinematografiche, oltre a dedicarsi alla televisione con spot pubblicitari e serie televisive. Il primo approccio effettivo con l’industria cinematografica fu con il cortometraggio Un paradiso, un lavoro a quattro mani con Stefano Russo, poi presentato in concorso a Palermo Film Festival. Poco tempo prima si presentò sul set de Il verificatore di Stefano Incerti, offrendosi come volontario come assistente, così da poter fere un po’ di pratica. Il regista napoletano è considerato come un talento visionario e originale, un vero e proprio artigiano delle immagini, capace di trovare la bellezza nello squallore3. Tra le opere da lui dirette Le conseguenze dell’amore, Il divo, This must be the

1 P. Sorrentino, La grande bellezza. Diario del film, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 9.

2 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 7.

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place, Youth e La grande bellezza, uno dei film che ha ottenuto maggiori

riconoscimenti. In un cinema atrofizzato come il nostro, Sorrentino è uno dei pochi registi di questa generazione che racconta il brutto come se fosse bello4. Il suo stile narrativo si compone di frammenti e simboli che si rivelano le funzionali allo svolgimento del film5. Nei suoi film mette in scena una società deformata da ciò che la circonda. Il regista, più che enfatizzare un passaggio particolare della storia, tende a epicizzare un frangente apparentemente banale e quotidiano, imponendo all’evento trattato, un’inaspettata etichetta di visione. In questo modo cerca di evidenziare la dimensione simbolica di un certo evento e nasce la necessità di guardare la scena oltre la superficie della sua temporalità fenomenica, riuscendo a scolpire gli spazi, iconizzare le figure, caricando tutte le immagini di una tensione fuori dal comune6. Appare difficile incasellare Sorrentino nel contesto del cinema italiano7. Di sicuro il suo è un cinema, per molti, di cui non se ne può fare a meno8.

2.1 Paolo Sorrentino e il cinema

È dalla scrittura, dalla passione e dalla vera e propria «ossessione» per essa che il cinema di Paolo Sorrentino ha origine, traendovi stimoli e nutrimento. Una passione intensa e

4Ivi, p. 125. 5 Ivi, p. 126. 6 Ivi, p. 35-36.

7 F. De Bernardinis, La poetica della solitudine e dei rapporti di forza, in P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch (a cura di), Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 15.

8 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 12.

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45 infrenabile, di cui quella successiva per le immagini è una

diretta conseguenza e derivazione9.

Questo è il lavoro, che da sempre Sorrentino, ha svolto. Nato a Napoli, nel quartiere Vomero, una figura poliedrica che nasce come sceneggiatore, per poi divenire un affermato regista che non ha tralasciato la sua passione per la scrittura. La sua notorietà lo precede, non solo in Italia, ma anche all’estero. Questo giovane artista si è costruito in breve tempo una fama invidiabile nella cerchia del cinema10. Sorrentino, cresciuto in un ambiente piccolo borghese, rimase orfano di entrambi i genitori all’età di 17 anni. Un evento che lo influenzerà molto. Ultimo di tre figli, frequentò il liceo classico dai salesiani, dove conobbe Toni Servillo. È in questi luoghi che crebbe in lui la curiosità per tutto quello che era inaccessibile. Dopo essersi diplomato decise di mettere da parte il desiderio di letteratura e scelse di iscriversi all’università, alla facoltà di Economia e Commercio. Durante gli studi universitari coltivò sempre più la passione per il cinema e la scrittura. Sorrentino a pochi esami dalla laurea decise di abbandonare l’università per dedicarsi totalmente alla sua carriera di sceneggiatore prima, e di regista poi. Fu attratto sempre più dall’industria cinematografica, un mondo che conosceva ben poco, soprattutto, quando capì che questa camminava di pari passo con la letteratura, e comprò i manuali di sceneggiatura di Massimo Moscati.

L’approccio con il cinema avvenne in maniera graduale. Infatti, si avvicinò dapprima come spettatore verso i 18-19 anni, fino a scoprire che l’aspetto della scrittura e l’interesse per l’apporto sceneggiatoriale appaiono preminenti rispetto a

9 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 17.

10 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 7.

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46 quello per le immagini. Questo improvviso amore e interesse verso la nuova forma espressiva coincide con il fermento creativo da cui il cinema italiano è interessato in quel periodo11. Ed è proprio in questo momento che Sorrentino comincia a scrivere i suoi primi soggetti cinematografici e a girare i primi cortometraggi. In questi anni conosce un giovane cineasta, sceneggiatore e direttore do produzione, Maurizio Fiume. È lui che lo inserisce nel mondo dell’arte cinematografica e fa un’esperienza a Roma, per poi tornare nella sua amata Napoli a scrivere e studiare. Uno dei suoi primi lavori fu, nel 1994, Un

paradiso, scritto da lui e diretto con Stefano Russo, selezionato e presentato al

festival dei corti, Palermo Film Festival. Lo stesso anno collaborò come volontario, sul set de Il verificatore di Stefano Incerti, con il desiderio di imparare. Prima di divenire il regista dei film più conosciuti che l’hanno portato alla ribalta, lavorò molto come sceneggiatore, aiuto regista, e scrivendo diversi soggetti per cortometraggi, definendo sempre più il suo stile. Il primo lungometraggio fu realizzato, nel 2001, L’uomo in più. Una sceneggiatura con continui riferimenti a personaggi reali, che scrisse velocemente. Da qui nacque il sodalizio con Toni Servillo. Il film è l’intreccio su livido sfondo fra due campioni, un calciatore e un cantante, nati entrambi il 15 agosto di anni differenti che portano lo stesso nome Antonio Pisapia. Questa pellicola lanciò il giovane regista come uno dei nuovi autori del cinema italiano12. Qualche anno dopo uscì Le conseguenze dell’amore, in seguito ad un viaggio in Brasile, da un ambiente, dagli incontri con personaggi diversi e ignoti. Una situazione che, nel regista napoletano, ha lasciato adito alla fantasticheria, data dalla capacità di elaborazione creativa delle impressioni,

11 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 18.

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47 dall’inclinazione alla visionarietà e da un atteggiamento di curiosità verso le cose del mondo e le persone13. La pellicola racconta la solitudine del protagonista Titta

Di Girolamo, interpretato sempre da Toni Servillo, avvolto nei suoi misteri, che si trasmette dal vuoto sotterraneo dell’aeroporto e dal gelo svizzero dell’albergo sul lago. In L’amico di famiglia, proiettato sul grande schermo nel 2006, Sorrentino rappresenta l’ordinaria malinconia dell’usuraio di Sabaudia. Un film nato da un tessuto autobiografico, che si concentra sull’estetica del brutto, sul fascino ambiguo della bruttezza e sulla bellezza che in esso si cela14. Il suo successo viene consacrato ancora una volta nel 2008, con Il Divo, un film basato sulla spettacolare vita di Giulio Andreotti. Qui il regista offre l’indagine dei rapporti e dei meccanismi del potere e nella complessità e chiaroscurità dei personaggi, in uno sfaccettato e caleidoscopico ritratto. Il progetto di un film sul politico più misterioso, ambiguo, pieno di segreti dell’Italia repubblicana - ha ricordato Sorrentino – risale indietro nel tempo, agli anni della giovinezza15. La figura dell’inossidabile democristiano gli servì per raccontare tutti i meccanismi della politica: solitudine, arroganza, tendenza a vivere una vita basata sui rapporti di forza, nella convinzione che il potere logora davvero. Il film fu presentato in concorso al festival di Cannes 2008, e si aggiudicò il premio della giuria. Fu proprio in questa occasione che conobbe di persona il protagonista del suo successivo film Sean Penn, arrivando alla realizzazione di This Must Be the Place. Il film racconta il viaggio di una rockstar cinquantenne, che si veste e si trucca come un ragazzo, alla ricerca di se stesso e delle sue radici. Un elaborato che ha ricevuto diverse candidature al David di Donatello, ma il film che gli fa

13 Ivi, pp. 63-64. 14 Ivi, p. 97. 15 Ivi, p. 128.

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48 guadagnare il Golden Goble come miglior film straniero, nel 2013, è La Grande

Bellezza, pellicola tanto discussa, che ha avuto pareri contrastanti. L’ultimo

lungometraggio proiettato nel grande schermo è Youth. La giovinezza, del 2015. Un’opera costruita sugli opposti, sui paradossi, in cui si cristallizza l’onirico in sogni, o in allucinazioni spaventose e sublimi, e guarda alla bellezza e all’amore puntando lo sguardo sul loro disfacimento. La giovinezza può essere lo specchio dell’erosione del contemporaneo, di quel mondo che rivela gli effetti del tempo che non fa sconti a nessuno. E ora c’è grande attesa per il suo prossimo film Loro, incentrato sulla vita di Silvio Berlusconi. Qui Sorrentino vuole raccontare gli italiani attraverso la figura dell’ex presidente del consiglio.

Il suo percorso inizia con i cortometraggi, passione che non tralascia, nonostante la notorietà che arriva quasi subito con i lungometraggi. Decide anche di dedicarsi alle serie televisive e alla pubblicità, ma questo lato del suo lavoro non lo appaga e decide di abbandonarlo. Durante questo periodo non dimentica mai il suo primo amore: la scrittura. Infatti, scrive e pubblica tre romanzi. Il primo Hanno tutti

ragione, uscito nel 2010 e il secondo Tony Pagoda e i suoi amici, del 2012. In

entrambi il protagonista è Tony Pagoda e raccontano la vita del protagonista, che si ispira ad uno dei suoi film. Il suo ultimo libro dal titolo Gli aspetti irrilevanti, un romanzo intrigante ambientato nella sua amata Napoli. La struttura della sua opera tende a divenire ondivago, sfaldata, episodica, smembrata, in una dissoluzione e frammentazione del testo, sia filmico che letterario, il quale si scinde e si disintegra, si annebbia e si disgrega per ricomporsi in un caleidoscopio d’immagini come tessere di puzzle che rifulgono nella loro densità sia figurativa

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49 che significante16. In tutti i suoi lavori, Sorrentino mette in scena uno sfrenato gioco farsesco e calato in una dimensione dell’assurdo, sia nei personaggi che nello spazio, interno o esterno. Un ruolo importante è quello del tempo, in quanto è una precisa e peculiare categoria espressiva attraverso la quale Sorrentino esprime il molteplice, il contradditorio e l’indefinibile del reale. I protagonisti delle sue opere affidano alla memoria e ai ricordi della propria mente il racconto di sé17. Un gioco di ribaltamenti su cui il grottesco si fonda, nella deflagrazione delle masse, nelle espressioni e nei gesti caricati, nella strutturazione spaziale e scenografica, negli stessi abbigliamenti bizzarri ed eccentrici dei personaggi18. Nei

suoi film, già dallo incipit, Sorrentino, cala lo spettatore nel groviglio narrativo che sta per svolgersi sullo schermo19. I suoi lavori alle volte sono stati paragonati a grandi registi come Quentin Tarantino, Martin Scorsese e Federico Fellini. Autori di cui Sorrentino prova stima e li considera come esempio per il suo lavoro. Esploratore dei territori incerti dell’Io, Paolo Sorrentino, nel corso della sua carriera di regista, è andato sempre più precisando un percorso artistico di spiccata originalità ispirativa e comunicativa, delineando una precisa architettura di segni, d’idee, di motivi, di stili, di immagini che specificano e ribadiscono l’unità poetica e l’identità autoriale del suo cinema20. Lui gioca sulle diverse

dimensioni del reale e dell’onirico e sul loro intreccio, sulle modalità dell’ambiguità, dell’apparenza, dello sdoppiamento, in un continuo andare e venire tra l’incubo e la realtà realizzato mediante un linguaggio frenetico e brusco,

16 Ivi, p. 185. 17 Ivi, p. 207. 18 Ivi, p. 26-27. 19 Ivi, p.7. 20Ivi, p.13.

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50 fatto di violenti primi piani e dettagli, stacchi improvvisi e segni rilevatori21. Nei suoi lavori mette in scena un campionario di oggetti, talvolta multicolori e multiuso, di qualsiasi natura e di qualunque tipo, che non sono mai meramente “scenografici”, ma quasi sempre semioticamente pregnanti, investiti di significati forti, e perciò spinti verso una zona teatrale e primaria, l’altro simbolo–allegorico, fondamento di interpretazioni che possono andare oltre il denotato22.

I suoi protagonisti sono quasi tutti eroi, con passato glorioso o pesante, alle spalle23. Personaggi che conducono dalle vette del successo, o della ricchezza o del potere, ai margini di esistenze opache, meschine, sapendo tuttavia recuperare e manifestare alla fine quel nucleo di umanità che fa risaltare di essi la loro grandezza24. Molti dei suoi protagonisti si possono classificare come l’icona pop della solitudine25. I suoi personaggi sono un po’ asociali, sono messi fuori dalla società; sono figure “mascherate” di esclusi o auto reclusi, serrati in una solitudine che li astrae non solo dall’universo esterno ma anche da se stessi26. Nei suoi film,

Sorrentino, non condanna e non assolve. Le figure da lui messe in scena, allegorizzano una realtà onirica e ironica, e alla presenza fisica dei corpi la cui deformazione o trasfigurazione riduce gli stessi personaggi a maschere. I suoi racconti si strutturano per “blocchi” narrativi, connotati in modo programmaticamente “ambiguo”27. Preferisce disegnare la devastata “geografia

sentimentale” che soffoca i suoi i suoi personaggi, in cui il mondo può sembrare

21Ivi, p.13. 22Ivi, p. 27. 23Ivi, p.8. 24Ivi, p. 13.

25 F. De Bernardinis, La poetica della solitudine e dei rapporti di forza, in P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch (a cura di), Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 19.

26 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 13.

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51 una botola segreta, una rete priva di smagliature e varchi28. Sorrentino, nei suoi film, rappresenta lo stato d’animo dei suoi personaggi a un livello puramente visivo. Questi, sono inseriti in luoghi disabitati, o comunque in ambienti che rilevano la loro totale alterità rispetto ai contesti in cui si trovano29. In genere gli

spazi esterni corrispondono a luoghi deserti, vuoti, privi di presenze umane e di vitalità. A essi fa da controcampo lo spazio chiuso del rifugio-bunker, un luogo informe in cui il vuoto si riempie di oggetti più disparati e assurdi30. Il regista napoletano, s’interroga fino all’ultimo su ogni suo film, accoglie le critiche che provengono da persone competenti, a volte sistemando e migliorando la sceneggiatura31. Nelle sue pellicole ritrae la solitudine in tutte le sue forme e in tutti i suoi campi. Anche l’ambientazione dei suoi set non è altro, che il riflesso della solitudine congenita degli esseri umani32. Le scene da lui ideate ritraggono la desertificazione dello spazio, perfettamente funzionali alla sua visione33. Sorrentino libera il campo da tutto ciò che ritiene superfluo e casuale34. Le sue inquadrature sono rigidamente scandite in configurazioni ortogonali e simmetriche, con ripetuti lunghi campi sequenza con cui il regista tende a firmare le sue opere cinematografiche35. In tutte le scene, specie in quelle esterne, cerca di

togliere tutto ciò che giudica inutile. Mentre, nelle scene interne, spesso sceglie di abbondare di diversi oggetti quasi a voler nascondere la solitudine tipica dei suoi

28 Ivi, p.8.

29 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 24.

30 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 27.

31 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 124.

32 Ivi, p. 25. 33 Ivi, p. 26. 34 Ivi, p. 27. 35 Ivi.

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52 personaggi, di cui sono costantemente afflitti36. Il lavoro di sottrazione, che il regista compie, tende a un addensamento di significati complesso in grado di toccare una verità immediatamente percepibile37. Nulla è casuale e tutto assume un significato preciso e importante, anche la musica. Infatti, Sorrentino, arriva a manipolare certi rumori, certi suoni, esaltandone a dismisura la fonte sonora, che alle volte viene trascinata in primo piano38. Il suo lavoro è molto meticoloso, introspettivo che tiene conto anche dei più piccoli particolari.

«Faccio film – ha avuto occasione di affermare Sorrentino – perché mi interessano le persone e non c’è nulla che mi diverta nella vita come studiare i comportamenti individuali. […] Mi piace vistare nelle zone eccessive dell’inconscio, scoprire legami particolari»39.

2.2 Un nuovo modo di fare cinema

Il cinema di Paolo Sorrentino, nella sua continuità, testimonia una costante fecondità creativa e un’innovata e originale pratica registica, che procede per accenni, squarci evocativi, frammenti metaforici, accensioni politiche, aforismi visivi, allusioni e atmosfere che mirano a trasfigurare il reale, distorcendolo, allegorizzandolo, restituendone così un’immagine traslata ancora più densa e

36 Ivi.

37 Ivi, p. 32. 38 Ivi, p. 36.

3939 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 13.

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53 pregnante40. Sorrentino si accosta alla settima arte in un momento di vero fermento artistico. Infatti, è un periodo in cui qualcosa sta cambiando per il cinema nazionale. Il giovane regista napoletano, con Antonio Capuano, Pappi Corsicato, Mario Martone, decide di proiettare questa forma d’arte, in una nuova dimensione. Tutti sono accumunati dalla stessa volontà di voler dar vita a un “giovane”, o comunque “altro e diverso” cinema. Un cinema che cerca di liberarsi dalle secche espressive – produttive di gran parte degli anni Ottanta, lasciandosi alle spalle quel vuoto sconfortante e gli abissi della mediocrità in cui la produzione filmica nazionale era piombata nei lustri precedenti, pur seguendo rotte non definite né tracciate o programmate41. In questo modo cercano di riconsolidare un cinema che vuole, riprende a muoversi nel segno di una recuperata attenzione alla strutturazione delle storie, dei personaggi e dei dialoghi, ridisegnando un più edificante profilo di sé. In questo ambito di tale rinnovato vigore, di rigenerata “nouvelle vague”, pur non traducendosi in un vero e proprio “movimento” dagli intenti unitari e non configurandosi in nessuna scuola precisa, viene più volte definita come la scuola napoletana. Un gruppo di giovani autori che vuole cambiare il modo di fare cinema. In un involucro fatto di reiterazione di modelli consolidati, di uso e abuso del comico, di manieristica poeticità, di “piacevolezza” e di fievole garbo, in un cinema italiano divenuto negli anni lagunare e paludoso, loro tentano con modi e pratiche differenti e seguendo ciascuno il proprio personale tragitto di aprire dei varchi, o almeno degli spiragli, delle aperture, attraverso sguardi non stereotipati verso insondati o non sufficientemente scrutati orizzonti tematici cercando di imporre una nuova

40 Ivi, p. 13-14. 41 Ivi, p. 18.

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54 autorialità42. È questo fermento artistico, di cui lo stesso Sorrentino fa parte, che gli da una spinta propulsiva, a prospettargli un cinema estraneo ai canoni di una rappresentazione naturalistica e una diversa, grottesca simbolica dimensione narrativa43. Il suo stile eccede nelle misure classiche della rappresentazione. È una

dimensione dell’assurdo quella in cui Sorrentino colloca e fa muovere i suoi personaggi, rappresentanti di un mondo apparentemente privo di una referenzialità immediata, surreale e onirico, non specchio della realtà ma espressione, piuttosto, di una sua trasfigurazione e deformazione44. Parte della realtà la distorce attraverso il filtro del comico e del tragico, della caricatura e del mostruoso, del riso e dell’orrido, così da liberarsi dalle apparenze e scoprire il senso ultimo della trasformazione in atto45. Già dagli inizi della sua carriera, il giovane regista, si focalizza sulla descrizione di personaggi eccentrici e dai destini esemplari, il suo occhio punta al superamento di ogni naturalismo e sceglie di mettere in visione un pezzo di realtà che vuole raccontare46. Traccia la visione di un nuovo mondo inattingibile, sapendo provocare positivamente lo spettatore catturandolo nella complessità dei suoi tracciati narrativi, inducendolo alla partecipazione alla vita polisemica del testo, spingendolo alla ricerca della verità e di interpretazione del mondo47. Uno spettacolo che mette in scena oscilla tra la caricatura e il mostruoso, la storia si fa rivelatrice di un’intensa immagine grottesca, di un allestimento scenico e di una visione del mondo che si rifanno ai moduli del bizzarro e del deforme. Il suo è un cinema percorso da una ricerca dello spazio

42 Ivi, p. 19. 43 Ivi.

44 Ivi, p. 24- 25. 45 Ivi, p. 25.

46 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 29.

47 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 14.

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55 dell’immagine, da un’attenzione forte al linguaggio cinematografico, da una scrittura che si muove sul crinale del grottesco e del surreale, della rappresentazione della realtà e della sua trasfigurazione metafisica e visionaria48. Evidenziandone la sgradevolezza, accentuandone quei tratti che ne fanno diventare una sorta di grottesca maschera.

Con il suo cinema, Sorrentino, è riuscito a veicolare qualcosa della nostra identità, anche all’estero. Con le sue opere dimostra di essere profondamente consapevole della posta in gioco del linguaggio, nella certezza che solo attraverso un lavoro spietato sulla forma è possibile raggiungere una qualche intensità cinematografica49. Il suo cinema è proiettato verso la conquista di un’energia formale, dove la dimensione estetica è subordinata alla funzione fatica50. Le sue rappresentazioni si focalizzano sulla tecnica stilistica stream of consciousness dei protagonisti, il cui stato interiore conferisce alla percezione temporale, e, specularmente, a quella spaziale, un valore relativo, di indeterminatezza. In questo modo, tempo e spazio sono vissuti come un’entità indissolubile, e intesi in modo soggettivo, costituendo le coordinate di una tensione interiore, le ascisse dinamiche di una traiettoria all’interno dell’anima51. In ricercate tessiture

narrative, nelle quali si evidenzia pregnante la scrittura, mai lasciata al caso, dei dialoghi e l’elaborato, e calibrato, dipanarsi degli avvenimenti, il regista incastona squarci di vite colte nel momento della perdizione, di esistenze a limite spinte o

48 Ivi.

49 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 32.

50 Ivi.

51 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 187.

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56 proiettate verso l’oscura zona di annullamento di se stesse, ma delle quali emerge sempre ciò che di più umano sanno ancora preservare52.

I suoi lavori girano intorno alla solitudine dei rapporti forza, nell’ambito di un’estetica cinematografica, delicata e poco frequentata, il grottesco53. Questo è,

per lui, la chiave di lettura della realtà contemporanea. Un genere ostico da trattare e spinoso da considerare, con la quale si intende mettere in scena la realtà nel segno della deformazione psichica. Psiche, che come sottolinea De Bernardinis, appartiene a una cultura, a una società, intercettandone il desiderio che è dettato dai rapporti sociali54.

Il grottesco, pertanto, ha di suo una vocazione espressionistica. Una cultura e una società date “spremono” all’esterno, allo sguardo dell’artista, e poi a quello dello spettatore, il loro “incrocio”, ossia la sfera labirintica del desiderio. Questa “spremuta” della psiche preleva nelle profondità di un nucleo sociale produce la deformazione, dei personaggi, dell’ambiente, dell’immagine stessa55.

Fin dai suoi primi film, appare la raffigurazione della libido, elemento edificante della cultura italiana, del desiderio dettato dalla gestione dei rapporti di forza56. Attraverso la rappresentazione dei rapporti di forza, Sorrentino raffigura una società e una cultura, dominata dai rapporti forza57, a cui si può resistere,

52 Ivi, p. 13.

53 F. De Bernardinis, La poetica della solitudine e dei rapporti di forza, in P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch (a cura di), Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 21.

54 Ivi, p. 15. 55Ivi, p. 16. 56 Ivi. 57 Ivi, p. 21.

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57 implicando così un senso di solitudine. Questa, risulta essere la scelta dell’eroe, che la assume come risorsa per opporsi all’impero spietato dei rapporti di forza58.

Sorrentino, nelle sue pellicole, realizza quello che già accadeva nel cinema americano. Infatti, fu proprio Martin Sorsese nel suo Viaggio nel cinema

americano, che introduce il modello di rappresentazione della realtà a cura dei

generi, mettendo in scena la psiche della società americana59. Quello che nel cinema americano avviene in modo naturale, nel cinema nostrano si realizza con qualche forzatura60. Il cinema moderno prende le mosse dal neorealismo ereditandone la funzione di rispecchiamento della realtà sociale61. Una funzione,

questa, che nel tempo è andata cambiando ed evolvendo fino ad arrivare ai giorni nostri dove il cinema ha il compito di raffigurare la psiche della società. Una mansione che già Federico Fellini aveva compreso, così come il cinema di Paolo Sorrentino veleggia verso questa direzione. Sorrentino, nei suoi film, usa un sofisticato sistema di scambi tra vedute oggettive e inquadrature soggettive, l’occhio dello spettatore viene dunque catapultato nel cuore della scena, mentre la sua visione coincide per qualche strato con quella del personaggio62. Nei suoi piani-sequenza punta al coinvolgimento fisiologico e sensoriale dello spettatore63.

In questo modo il regista riesce a farci sentire lo spazio, misurandone le distanze e calcolandone le prospettive, stabilendo un corpo a corpo incessante tra l’immagine e la macchina da presa, dove il cadrage diventa un’operazione estetica

58 Ivi.

59 Ivi, p. 15. 60 Ivi, p. 16. 61 Ivi.

62 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 33.

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58 di rara efficacia pragmatica64. Sorrentino, con la sua visione spesso simmetrica e centralizzata, vuole rilevare continuamente la costruzione implicita del suo cinema, con il suo vissuto in prima persona, scritto, guardato e guidato da un autore come una sua esclusiva percezione del mondo65. Il suo è un cinema in cui

ogni opera si configura come un tassello di un discorso poetico coerente e personalissimo che ha sviluppato come un itinerario nella coscienza dell’individuo, e che fa emergere una raffinata sensibilità nel sondare la psicologia umana, lasciandone trapelare profondità e misteri, ambiguità e contraddizioni66.

2.3 La grande bellezza

I suoi film non sono inverosimili o artificiali, ma si possono quasi considerare iperreali. In quanto, la sua visione delle cose è una presa di coscienza, che avviene in seguito ad uno studio meticoloso del contesto che ha scelto di rappresentare, così da poter approdare a una libera ricreazione dei fatti. Sorrentino nei suoi racconti cerca di rappresentare una verità che è plausibile e autentica67.

Sorrentino è un regista che offre continuamente diversi stimoli percettivi, facendoci sentire la tridimensionalità della scena. Nei suoi film parla allo spettatore, lo incanta con la sua ricerca di una dimensione pienamente sin estetica,

64 Ivi.

65 Ivi.

66F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 13.

67 P. De Sanctis, D. Monetti e L. Pallanch, Divi & Antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma, Laboratorio Gutenberg, 2010, p. 29.

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59 dove sensualità e potenza siano la condizione di una possibile estasi spettatoriale68.

La grande bellezza è un film che non vuole far conoscere Roma, ma si limita a

farla intuire, a trapassarla tutti i giorni come un turista senza biglietto di ritorno69.

Qui Sorrentino scompone e ricompone in fascinosi intrecci di luoghi e ambientazioni. È come un itinerario, rispecchiando la dimensione fugace e incerta del ricordo, dell’onirismo e degli inoltramenti nell’interiorità del protagonista70.

Un viaggio al termine della notte, nell’oscurità di una Roma in cui si mescolano il sacro e il turpe, il divino e il decrepito, il sublime e il triviale, la grandezza e la meschinità, la meraviglia e la vacuità, la somma bellezza e l’infinita bruttezza71.

Roma appare come sfondo imprescindibile e grandioso, scenario monumentale e prismatico il cui punto di fuga si fa indefinito e indefinibile72. L’autore in questa pellicola si è concentrato sulla dolcezza di certi tramonti che sfiancano gli occhi, su un clima e uno stato d’animo che solo Roma consente73. La sceneggiatura del

film è giostrata su una costruzione polifonica che compatta, con grande fluidità, il mondo interiore del protagonista e quello esteriore della città eterna, contribuendo a fornire all’opera la dimensione di grande momento di riflessione e di pensiero e d’intensa ricerca poetica74. Il film trova sviluppo all’insegna dell’ambivalenza e

68 Ivi, p. 37.

69 P. Sorrentino, La grande bellezza. Diario del film, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 9-10. 70 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 187.

71 Ivi. 72 Ivi, p. 191.

73 P. Sorrentino, La grande bellezza. Diario del film, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 10.

74 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 187.

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60 del contrasto, tutto è iscritto in un sistema dicotomico che investe sia i luoghi, che i personaggi sottraendoli a una focalizzazione unica75.

Sorrentino riesce a imporsi definitivamente all’attenzione della critica e del pubblico internazionale, si muove alla ricerca di una nuova forma di espressione filmica basata su una struttura fluida e apparentemente frammentaria, complessa e stratificata, in cui i nessi narrativi appaiono sottratti alle consuetudinarie logiche e dinamiche spazio˗temporali76. Il regista in questa opera cinematografica non ha

puntato il dito contro ciò che non va, bensì ha cercato la bellezza, il sentimento dappertutto, anche nell’ambito dell’immoralità e degli aspetti più bui77. Il regista

napoletano ha voluto mostrare non solo la bellezza oggettiva della città eterna, ma anche quella nascosta, che sta nelle persone78. Una bellezza difficile da trovare, che alle volte per scovarla deve fare affidamento alla fantasia, all’immaginazione. Questo non vuol dire tradire la verità, ma solo proiettarla sotto una luce diversa79. In questo modo, il cinema quel “meraviglioso” che nella vita si presenta smembrato in tanti piccoli frammenti che appaiono brutti e inutili80. Nel film, Sorrentino, non tradisce la verità della bellezza, ma ne restituisce una forza che nella vita non si riesce a rintracciare81. Per Sorrentino fare un film che comprende

Roma, prevede un personaggio che si aggancia alla difficoltà di trattenere ciò che spesso in una grande città termina velocemente, a volte combattendo ed altre incoraggiando, in base alle circostanze e agli sforzi che si è disposti a fare82. Il protagonista del film è Jep Gambardella un giornalista e scrittore, che trascorre il

75 Ivi, p. 191. 76 Ivi, p. 186-187.

77 P. Sorrentino, La grande bellezza. Diario del film, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 10. 78 Ivi, p. 10-11.

79 Ivi, p. 11. 80 Ivi. 81Ivi. 82Ivi, p. 12.

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61 suo tempo tra i monumenti più belli e le serate mondane di Roma. In questi luoghi cerca di ritrovare il filo conduttore delle cose, e dentro la rappresentazione dello spreco e del nulla che rintraccia l’inaudita fatica di vivere83.

2.3.1 Prima scena

Il film parte con una scritta su fondo nero che riepiloga il senso di tutto il film precisando che è un viaggio immaginario, evitando in questo modo di citare che i fatti e i personaggi descritti dall’autore non sono reali. Sul fondo nero si legge sullo schermo:

«Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non si sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita»84.

Una frase introduttiva che chiarisce fin da subito il motivo conduttore, dal dettaglio scuro della canna del cannone del Gianicolo, la macchina da presa si ritrae repentinamente subito prima dello sparo dello stesso cannone che il percorso narrativo ha inizio85. Lo sparo interrompe la quiete e la macchina da

83 Ivi.

84 P. Sorrentino, U. Contarello, La grande bellezza, Ginevra – Milano, Skira, 2013, p. 9. 85 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p. 191.

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62 presa fa una panoramica del luogo, arrivando alla statua di Garibaldi, dove un reduce fissa la base in cui è scolpita la scritta “Roma o morte”. Una incisione che riporta a quello che è: una straordinaria città morta, un grande miracolo estetico e mistico di Roma86. Con movimenti flessuosi e circoavvolgenti la macchina da

presa ritrae l’enorme bacino semicircolare della fontana del Gianicolo, scivolando sulla superficie dell’acqua su cui riflette il sole che splende sulla città quasi accarezzando quell’elemento fluido in cui, psicoanaliticamente, abitano la vita e l’eternità. La vasca sovrastata da un’imponente mole marmorea dalle cui maestosa arcata centrale un coro di adulti, in sobri abiti neri, esegue della musica sacra87.

Musica che perfettamente s’intona con le immagini che si susseguono. Poco distante una guida turistica illustra i monumenti ad un gruppo di giapponesi, raccontandone la storia. Un giapponese si distacca dal gruppo per ammirare il paesaggio della terrazza del Gianicolo, improvvisamente si accascia a terra colto da un malore. La musica sacra arriva al suo apice. La guida, i turisti e l’autista del bus si avvicinano e d’improvviso la musica svanisce. La scena termina con una panoramica su Roma.

2.3.2 Festa di compleanno

Uno stacco e un urlo catapulta lo spettatore in un ambiente completamente diverso. Si passa dal sacro al profano in un baleno88. La musica a tutto volume che

propone le hit, la macchina da presa si incunea nel groviglio di corpi esagitati

86Ivi, p. 192. 87 Ivi, p. 191- 192.

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63 rivelando un mondo festante e festaiolo. Una carrellata di immagini che mostrano l’ambiente in cui si sta svolgendo una festa. In un angolo, su un micropalco, una ballerina fa il suo spettacolo di burlesque. Una sequela impressionante e ossessiva di primi piani, di dettagli di corpi sudati, di personaggi osservati dall’alto, brulicanti come formiche in uno spazio contratto. Giovani e persone di mezza’età in un vortice di decolletés rifatti, labbra rigonfie, sessantenni travestiti da giovanotti, in preda a una fallace gaiezza e felicità, tutti sudati che ballano Far

l’amore, la versione rivisitata di Bob Sinclar e di Raffaella Carrà, intenti a mettere

in scena lo spettacolo della mondanità. In questo turbinio di corpi, musica e alcool, il regista presenta i vari personaggi che poi si ritroveranno nel film. Un girotondo vorticoso e assurdo, un carnevale grottesco di tipi e di mostri, di maschere deformi in completo disfacimento psico-fisico. Tutti si muovono freneticamente e celebrano il “divo”, Jep Gambardella, con una sigaretta in bocca, circondato dai suoi amici mentre balla. La musica cambia e parte un ballo di gruppo La colita. La macchina da presa si avvicina al protagonista, lo isola, rallentando fino a 150 fotogrammi al secondo89, in un procedimento tipico del cinema sorrentiniano, introducendo diegeticamente l’inoltramento nella coscienza. Tutto rallenta e Jep con la sua voce fuori campo si presenta, in una sorta di sdoppiamento del personaggio, guardando a filo l’obiettivo. Ha inizio il personale itinerario alla ricerca del tempo perduto del protagonista. La scena termina con un campo lunghissimo sull’ampia terrazza, dove si sta svolgendo la festa, con vista della capitale sotto la gigantesca insegna luminosa del Martini, monumento di una contemporaneità degradata e degradante.

89 Ivi, p. 22.

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64 2.3.3 Romano

Uno stacco e la scena si sposta all’interno di una macchina, alla guida uno dei tanti personaggi già intravisti durante la festa: Romano con una ragazza, un po’ svogliata. Tra i due, la ragazza pone le distanze, ma nello stesso tempo si fa gentile nel chiedergli dei favori.

2.3.4 Dadina

Un altro personaggio importante è Dadina, la direttrice del giornale per cui lavora Jep. Una figura famigliare per il protagonista. È presentata alla fine della grande festa in onore del protagonista, mentre cammina nella terrazza vuota in cerca di qualcuno. Il regista, con le sue inquadrature, evidenzia subito il suo nanismo. La scena si finisce con una panoramica, dall’alto verso il basso, di lei che cammina su un bancone in mezzo ai bicchieri vuoti di cocktail.

2.3.5 Jep Gambardella

Solo alla fine di un percorso che presenta i personaggi che circondano maggiormente il protagonista, il regista decide di puntare lo sguardo su Jep Gambardella, presentandolo in una delle sue passeggiate mattutine al termine di una festa. La scena ha inizio con le risate di alcune bambine, vestite da monache e

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65 lui piegato con le gambe a squadra, a una fontanella, mentre si sciacqua il viso. Tutte ridono tranne una che lo osserva. Si accende una sigaretta e passeggia lungo la strada semideserta catturando i segreti della città.

2.3.6 Ascensore casa Jep

Uno stacco e la scena si svolge all’interno dell’ascensore dove il protagonista prova ad impostare un dialogo con un uomo misterioso. Un uomo che pur di non rispondere guarda l’orologio da tasca. L’uomo sembra immune da qualsivoglia espressione. L’ascensore arriva al piano, ed escono. L’uomo misterioso inizia a comporre un codice lunghissimo, fino a quando la porta non si apre tipo caveau. Il protagonista allunga lo sguardo, per lanciare un’occhiata all’interno dell’abitazione, ma non riesce a vedere nulla. Una scena breve ma intensa di primi piani e dettagli.

2.3.7 Interno casa

La scena inizia con il protagonista in accappatoio e sul viso una maschera di bellezza, che scambia qualche parola con la sua colf filippina che le porge un regalo, seduto in cucina. La sequenza ritrae Jep pronto per andare a dormire e la macchina da presa mostra lui disteso sul letto, e dopo il soffitto che in cui sono proiettati i suoi pensieri, in un mare calmo, dal colore intenso. In sottofondo si

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66 sentono di una città che vive a pieno ritmo, che via via si confondono con il rumore delle onde del mare. Con una dissolvenza cambia l’ambientazione. Il re dei mondani è sdraiato in un’amaca sul terrazzo di casa con il suo cocktail. La luce del sole al tramonto, il suono delle campane e il Colosseo gli fanno compagnia. Si sporge su una balaustra e vede un giardino magnifico, che pare un sogno dove giocano dei bambini. Inizia a prendere corpo la musica sacra e lo sguardo del protagonista diviene sempre più malinconico.

2.3.8 L’incontro con l’artista

Con la musica sacra ancora in sottofondo lo spettatore è trasportato nel parco dell’antico acquedotto romano. Un’artista si prepara alla sua perfomance, seduta su un piccolo palco, tutta nuda, con il simbolo dell’Urss sul pube, e si fa coprire il volto con un foulard da due bambine vestite da angioletti. Il sole è sul calare e sul prato antistante, il pubblico che attende l’esibizione e applaude, la donna con il volto coperto corre e si scaraventa sul muro dietro di lei. Un gesto che impressiona tutti tranne il protagonista che rimane impassibile. Dopo la sua esibizione Jep incontra l’artista per farle un’intervista. Un gioco di campo e controcampo dove i due protagonisti della scena vengono ripresi dapprima con una inquadratura a mezza figura, per poi passare a un primo piano e poi di nuovo ad un piano medio. Tutta la sequenza è ricca di primi piani, che si alternano a campi lunghi, per poi passare ad un piano americano.

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67 2.3.9 Ufficio direttrice

Il suono della risata anticipa la scena e con uno stacco lo spettatore si trova catapultato all’interno dello studio della direttrice. Con una lenta carrellata e un campo totale, il regista ci mostra luogo cupo pieno di oggetti e libri. E sopra la scrivania, i due amici mangiano un piatto di riso al sugo. In questa sequenza scopriamo che Dadina per Jep non è semplicemente la sua direttrice, ma un’amica in cui a volte trova conforto.

2.3.10 Cenacolo Jep

Con uno stacco, cambia quadro. La scena si svolge all’esterno della terrazza di Jep con tutti i suoi amici più intimi. La musica jazz in sottofondo. Una sequenza ricca di primi piani mentre uno degli ospiti elenca e descrive, a una nuova invitata, i commensali presenti al cenacolo di Jep. Sorrentino in questa sequenza ci mostra un altro lato del protagonista, l’amico di tutti, a cui tutti confidano i loro problemi. A un tratto una musica sudamericana ad alto volume coglie l’attenzione di Jep e da un balcone si affaccia l’uomo misterioso. La scena si conclude con tutti i commensali che osservano il vicino di casa, con la testa all’insù, seguito da una donna vestita in modo elegante e da un altro uomo.

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68 2.3.11 Excursus amici di Jep

La musica fa da continuo, ma la scena si sposta lungo una strada, dove passa con l’auto Lello uno degli amici di Jep con la moglie a fianco appisolata. Una carrellata segue il movimento della macchina che passa in mezzo a delle prostitute, che lo salutano e riconoscono. Con uno stacco la scena si sposta a casa di Viola. Un primo piano del figlio nudo con il volto tinto di rosso che attende la madre. Già subito si capisce che il ragazzo non sta bene, ed ha dei seri problemi psicologici. Un’inquadratura in primo piano alle spalle di Viola, mostra un corridoio lunghissimo dove dal lato opposto vi è il figlio.

2.3.12 Passeggiata notturna

Un taglio e la scena si sposta in piazza Navona, mentre Orietta corteggia Jep recitando una parte del suo libro scritto diversi anni prima. La donna riesce a mettere in imbarazzo il protagonista quando commenta «Si vede che quando l’hai scritto dovevi essere un uomo molto innamorato». Il piano sequenza continua con una ripresa con la gru dall’alto verso il basso, dove al centro della scena è presente la coppia mentre cammina lungo la piazza dirigendosi verso il portone di casa di Orietta. Il regista conduce lo spettatore dal corridoio fino in camera e infine con un movimento di macchina in avanti si vede Jep al balcone mentre fuma una sigaretta e la sua voce fuori campo che prende consapevolezza del tempo che passa e non può «più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». La musica

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69 sacra di nuovo prende corpo. Un taglio e con un movimento di camera dall’alto verso il basso il regista mostra Jep, che fuma una sigaretta e cammina solo lungo Piazza Navona e sul Lungotevere, mentre la voce over continua a parlare e a raccontare di se.

2.3.13 Annuncio della morte di Elisa

La scena destabilizza lo spettatore, un episodio che nessuno si aspetta. La sequenza apre con la prospettiva in profondità delle scale fissate in immagini di pura vertigine. Un taglio e l’inquadratura si sposta su l’arrivo dell’ascensore sul pianerottolo di casa del protagonista, dove ad attenderlo c’è il marito di Elisa, il suo grande amore. In penombra si vedono i due uomini presentarsi la macchina da presa si avvicina sempre di più fino ad arrivare ad un primo piano, e subito dopo l’annuncio della morte della donna da Jep tanto amata. In questa sequenza nel protagonista riaffiorano alla mente, il passato, ciò che era stato sepolto nel tempo perduto, e interrompe l’intera routine della sua vita. L’inquadratura si allarga in un piano lungo e i due uomini piangono con la dignità degli adolescenti delusi.

2.3.14 Il funerale

Una risata e la pioggia scrosciante aprono la sequenza. I due uomini Jep e il marito di Elisa, Alfredo, scendono frettolosamente le scale del cimitero. Alfredo

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70 afferra il braccio del protagonista e gli chiede di non lasciarlo solo. Con una dissolvenza la scena si sposta a casa di Alfredo sopra una mensola con le foto di Elisa, l’amore perduto di Jep, che nonostante tutto trova delle parole di conforto per il marito.

2.3.15 I ricordi di Jep

Una luce soffusa e Jep in penombra sdraiato sul letto mentre fuma una sigaretta. Una scena che si svolge nel silenzio più totale. Il protagonista si gira tra le lenzuola stropicciate con gli occhi lucidi e immobili, fissa il soffitto. Di nuovo appare il calmo mare blu. Inizia una musica soave, come il Riva Aquarama che passa da destra a sinistra90. La macchina da presa a fior d’acqua avanza verso la nuca di Jep, come il motoscafo. Si volta verso la camera e spaventato s’immerge sott’acqua. Delle ragazze in bikini sedute su uno scoglio, avvertono il pericolo e sono in apprensione, fino a quando il protagonista spunta illeso dall’acqua. Ma Jep non ha più 65 anni, ne ha 20. Tutte le ragazze applaudono e ululano, tranne una al centro del gruppo che gli rivolge solo un malizioso sorriso, è Elisa. Qua il protagonista prende consapevolezza di non poter correggere il passato e viene invaso da una velata malinconia e nostalgia, dai turbamenti dell’adolescenza, da un sentimento che non aveva saputo vivere. Questi ricordi riattivano in lui una processualità affettiva spenta e smarrita.

90Ivi, p. 67.

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71 2.3.16 Tempietto del Bramante

La scena ha inizio con una falsa soggettiva. Sembra essere una soggettiva del protagonista, una donna cerca disperatamente sua figlia e guarda dritta in camera. La donna continua a cercare la bambina mentre la camera lentamente avanza verso l’interno del Chiostro del Bramante. All’interno del chiostro qualcosa cambia, Jep entra in campo e trova la bambina che non si vede, ma dialoga con lui. Una sequenza breve ma significativa, in cui il protagonista s’interroga su se stesso, in particolar modo dopo la domanda della bambina «Chi sei tu?» e la risposta, sempre da parte della piccola, dopo poco «Tu sei nessuno».

2.3.17 Dialogo con la domestica filippina

Uno stacco sulla cucina di Jep e poi un primo piano su di lui, mentre dialoga con la colf. Questa risulta essere una delle scene più brevi del film, ma comunque significative. Infatti, la domestica ha un ruolo, seppur marginale ma, di grande importanza, poiché è una dei pochi personaggi del film, con la quale il protagonista può mostrare la fragilità della propria vita perduta. La donna sembra essere una delle poche figure fuori dalla confusione collettiva e dall’inscenamento della finzione.

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72 2.3.18 A casa di Romano

Una lenta carrellata in avanti mostra Romano mentre prova la sua nuova opera seduto davanti una piccola scrivania. Anche lui, come Jep, da ragazzo andò a vivere nella grande città abbandonando il paesino natale, adattandosi a vivere in una piccola stanza buia in un appartamento per studenti. Con un movimento laterale di macchina, il regista mostra Jep sdraiato sul letto che da consigli all’amico, con un cappello sopra il viso. I movimenti di camera sono molto lenti. I primi piani di Jep evidenziano la sua malinconia. La macchina da presa con lo stesso movimento in avanti fatto all’inizio della sequenza, riprende Romano che osserva due giovani ragazzi innamorati che si baciano, dalla porta socchiusa, e chiama Jep. Un taglio fa vedere i due giovani amanti.

2.3.19 A casa di Jep

Una dissolvenza e un campo totale, riprende la sequenza nella terrazza di Jep. La macchina da presa ritrae tutti gli ospiti in una discussione accesa riguardante il lavoro e l’impegno civile, in cui la protagonista è Stefania che “attacca” il padrone di casa. Una discussione che si termina con la triste realtà evidenziata da Jep quando risponde «[…] hai una vita devastata come tutti noi. […] siamo tutti sull’orlo della disperazione e abbiamo un unico rimedio: farci compagnia e

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73 prenderci un po’ in giro»91. Dopo una serie di primi pini l’inquadratura della scena

appare in campo totale in cui Stefania si alza e se ne va.

2.3.20 Via Veneto

Una dissolvenza apre la sequenza nella penombra all’interno di una macchina, dove riconosciamo il volto dell’uomo misterioso seduto di fianco a una donna. La musica sacra accompagna l’intera scena. Il lento movimento della macchina da presa mostra altre due persone nella limousine. Un taglio e la camera inquadra fissa una donna islamica con il burqa, che guarda fisso l’obiettivo, con un movimento di macchina laterale il regista mostra a suo fianco un uomo, lasciando in primo piano e messa a fuoco la donna. Un altro taglio mostra un’altra coppia, un uomo all’interno di una vetrina e una donna che fa una smorfia. La vera protagonista dell’intera sequenza è la decadente maestosità di Via Veneto. I rumori della realtà, sono deliberatamente attutiti, fin quasi a scomparire. I grandi alberghi illuminati come cattedrali e una donna esile che porta a spasso un bellissimo levriero. Tutto filtrato attraverso gli occhi di Jep Gambardella che passeggia lungo la via con le mani incrociate dietro la schiena. Passeggia senza meta e senza serenità. Come sfaldato da una sottile avversione che lo attraversa. La stessa avversione che il regista mostra in Stefania, facendo un parallelismo tra i due, e aprendo una parentesi all’interno della sequenza. Una dissolvenza e Sorrentino mostra nella penombra Stefania a casa sua. La donna ha lo sguardo

91Ivi, p. 80.

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74 perso nel vuoto, prima di tuffarsi in piscina. Con un bel tuffo percorre in apnea tutta la lunghezza della vasca. Esce s’infila l’accappatoio ed entra in casa la macchina da presa la segue e raggiunge suo marito con il quale non scambia neanche una parola, mentre lui nuota in un’altra vasca. Una digressione che termina con il primo piano di Stefania.

La scena continua con Jep che passeggiata lungo la Via Veneto, attraversa la strada sulle strisce e una limousine bianca si ferma di botto, il protagonista allunga lo sguardo verso l’interno della macchina. La passeggiata termina davanti al portoncino di un locale di strip-tease, dove incontra un vecchio amico. La musica svanisce.

2.3.21 Locale notturno

La poca luce e la musica techno-pop sono i segni caratteristici di un locale di strip-tease, e un concentrato di tristezza e amarezza. Delle giovani ragazze sedute su una fila di sedie e in poltroncine, ed altre che intrattengono gli spettatori con movimenti sinuosi. Jep e l’amico di vecchia data, Egidio, seduti su un divanetto chiacchierano e bevono. Una spogliarellista si avvicina e viene protamente cacciata da Egidio, ex proprietario del locale, di cui ora è solo il direttore artistico. Il protagonista mantiene un certo distacco ed evita di parlare di se e della sua fama. L’amico sposato, divorziato, e con una figlia, parla di se e di Ramona, l’unica cosa di cui gli importa. Ramona, la figlia di Egidio è una donna di quarantadue anni, che lavora, come spogliarellista, nel locale del padre. Ramona

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75 interpretata da Sabrina Ferilli, racchiude in sé, dietro quella parvenza solare, una dolcezza recondita. Ramona appare da una luce bianchissima che mostra solo la sua sagoma mentre si esibisce per quei pochi spettatori. Finito lo spettacolo, si avvicina nei divanetti, dove è seduto il padre insieme a Jep. Egidio si dilegua, e i due hanno uno scambio di battute. Lo scrittore e la ballerina sono seduti l’uno di fronte all’altro. Jep inizia ad osservarla senza malizia e percepisce la profonda malinconia che la pervade, nonostante Ramona mostra un carattere forte arrivando ad imbarazzare il protagonista. In questa sequenza grazie alla figlia dell’amico si rimette in moto in Jep una processualità affettiva.

2.3.22 Incontro con Madame Ardant

La musica techno svanisce e torna la calma, il silenzio. Jep passeggia con le mani incrociate dietro la schiena. Sale le scale e sorpreso incontra una donna elegante, distinta, la chiama Madame Ardant. La donna dei suoi sogni. Il violino suona mentre lei si volta, gli sorride e lo saluta. Uno stacco e il regista mostra il suo personaggio principale a casa sua in terrazza mentre beve un drink e saluta con un inchino, il suo vicino, l’uomo misterioso.

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76 2.3.23 Botox party

La sequenza si apre in un maestoso antico salone pieno di decori e fregi dorati. Sparsi nella grande sala ci sono poltrone, sedute e divani antichi. Nessuno parla, tutti sembrano imbalsamati, nell’attesa del proprio turno. In fondo seduto in mezzo a delle infermiere, in camici bianchi, un uomo autorevole, sulla cinquantina, che indossa un camice da medico. Un’altra infermiera chiama il primo numero, una donna che siede di fronte a lui. Con fare cerimonioso una delle infermiere gli porge una siringa con del liquido, è il botox. Dopo l’iniezione, la donna si alza e va a pagare. Un via vai di gente di tutte le età, con lo stesso rituale: si siedono, si sottopongono al trattamento e pagano. Un’iniezione 700 euro. Jep seduto in disparte osserva tutto, attraversato da un moto di tristezza. Poi nei suoi occhi un vero e proprio sgomento misto a stupore quando vede sedersi di fronte al professore una suora. Il professore guarda dritto in camera, mentre in sottofondo inizia la canzone Forever di Antonello Venditi.

2.3.24 Casa Ramona

La sequenza apre con una vista dall’alto di una piccola piscina. Con gli occhi chiusi riversi verso il sole, immersa in un salvagente di gomma c’è Ramona che fa il bagno. Una villetta a schiera in periferia, con un piccolo giardino e un posto auto. La canzone si interrompe bruscamente. Tra le inferriate del cancello la sagoma di un uomo, è Jep Gambardella. Ramona apre il cancello e si avvicina al

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77 bordo della piscina. Jep le confessa la sua voglia di conoscerla, mosso da una sana e banale curiosità umana, poiché rimane sedotto mentalmente ancor prima che fisicamente, lei rimane un po’ sorpresa perché non le è mai capitato. In Ramona si profila come una possibile salvazione92. Lei è un’anima errante, dalla fragile

sensualità, provocante e innocente allo stesso tempo.

2.3.25 Antonello Venditti

Un taglio e la canzone riparte. La scena apre su un ristorante elegante e la macchina da presa inquadra e si avvicina ad Antonello Venditti seduto ad un tavolo mentre legge il menù. Il cantautore romano alza la testa e la camera ruota dietro l’artista con un’ampia visione del locale e Jep e Ramona seduti poco distanti da lui. Jep e Antonello si salutano, e Ramona resta stupita e sorpresa dalla notorietà del suo accompagnatore. Al tavolo dei due si avvicina Andrea, il figlio di Viola, che con lo sguardo di un folle li saluta e recita Proust e Turgenev, parlando della morte. Ramona sembra turbata, con gli occhi spalancati e Jep cerca di sdrammatizzare lo show di Andrea, dicendo che nulla si deve prendere sul serio. Al tavolo sopraggiunge Viola, con un abito sobrio e chic, e con una scusa fa allontanare il figlio. Subito chiede all’amico come gli è sembrato Andrea, Jep colto da un imbarazzo tentenna una risposta, ma è prontamente interrotto da Viola «Meglio no?», e cambia argomento invitandolo a casa sua e va via.

92 F. Vigni, La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino, Firenze, Aska, 2014, p.210.

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78 2.3.26 Jep e Ramona

Il quadro inizia con l’immagine di un ricordo di Ramona mentre racconta la sua prima volta a Jep, comodamente seduti in terrazza. Una scena che scava nell’intimo dei due personaggi quando lui le chiede come spende i suoi risparmi e lei svia la risposta domandando come mai non ha scritto nessun altro libro. Parte la musica sacra mentre il protagonista inizia a raccontare la sua prima volta, ma non riesce a finire il racconto per la forte emozione. Un ricordo troppo intimo che imbarazza Ramona, che si congeda, prima di andare, Jep le chiede se vuole accompagnarlo ad una festa.

2.3.27 Piccola artista

La musica sacra continua, al centro della scena Trumeau, poggiata ad un pannello di legno, tesa e immobile, pietrificata da una paura che ha incanalato dentro. Posto di fronte a lei un uomo con dei coltelli in mano, le cui punte sono imbevute di pittura blu. La musica si interrompe al lancio del primo coltello. Alla fine della performance tutti applaudono e Trumeau fa un sorriso di liberazione di tutta l’ansia accumulata. Inizia la festa, e gli ospiti, tutti vestiti in maniera elegante, con diverse punte di stravaganza, cominciano a ballare. Intanto arrivano Jep e Ramona, fanno un giro dentro casa alla scoperta di opere d’arte contemporanee e fuori in giardino ad accoglierli c’è subito il padrone di casa Lillo De Gregorio, definito come «il più grandi collezionisti d’arte contemporanea di questo paese di

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79 debosciati»93. Uno stacco e la sequenza si sposta in cucina, dove tre bambini, due maschi ed una femmina, seduti a terra mangiano dei bocconcini. La bambina tra i tre è l’artista. Lillo rimprovera i suoi figli e la madre della bambina la chiama perché si deve esibire, ma questa non vuole andare, come ogni bambino vuole continuare a giocare. La ragazzina continua ostinata a non voler andare a fare il suo “lavoro”, ma il padre l’afferra per un braccio e la strattona fuori. Uno stacco e la scena si sposta di nuovo fuori nel giardino. Romano recita un pezzo del suo spettacolo alla ragazza che si porta sempre dietro e gli chiede un consiglio, ma lei impassibile sembra non lo ascolti nemmeno, e continua a ballare. Tutti gli invitati si scatenano in un frenetico ballo.

La musica si interrompe improvvisamente e nel fondo buio, in primo piano, il volto triste della bambina, pronta a esibirsi. Lei è in mezzo ad una tela enorme bianca e a dei barattoli di colore, e con tutta la rabbia di quel momento lancia contro quella che diverrà un’opera d’arte. Tutti gli ospiti osservano in silenzio, meravigliati dell’opera che inizia a prendere forma, ma nessuno si accorge che la bambina sta piangendo, tranne Ramona che vuole andarsene. Mentre si allontanano, Jep incontra e saluta un uomo distinto, non interessato allo spettacolo della bambina, che nel frattempo ha terminato il suo capolavoro. Il suo nome è Stefano e può aprire dei vecchi palazzi di Roma.

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80 2.3.28 Alla scoperta di Roma

Una musica soave e dallo spioncino Ramona resta meravigliata di come si incastona perfettamente la cupola di San Pietro. Ed ecco che Stefano apre la porta in un magnifico giardino con vista su l’ineguagliabile bellezza illuminata di San Pietro. Il tour continua con l’apertura di un’altra porta che fa scoprire la magnificenza della Statua del Marforio. L’uomo che li accompagna in questo tour si avvicina a loro con un candelabro e avanzano all’interno del Palazzo Barberini. La luce soffusa illumina parzialmente statue, dipinti, cappelle decorate e maestosi lampadari grondanti di cristalli, che raccontano la storia dell’arte, fino ad arrivare a La Fornarina di Raffaello. Un quadro che pian piano s’illumina del tutto e offre pudore e un impressionante candore. Tutti e tre contemplano l’opera del grande maestro del ‘500. La sequenza si sposta a Palazzo Spada, Ramona cammina lungo la galleria di Borromini, un grande capolavoro di prospettiva. Quello che colpisce oltre la bellezza della città eterna vista di notte è l’abbigliamento di Ramona, infatti, indossa un mantello dalla foggia singolare, fiabesco, con un ampio rivolto che le fascia il collo e avvolge parte della testa.

Di nuovo il regista inserisce una digressione all’interno del quadro. Uno stacco ritrae il figlio di Viola, Andrea, che corre in macchina con gli occhi chiusi.

Sta albeggiando e Jep, Ramona e Stefano si perdono languidamente tra le geometrie dei giardini di Villa Medici e affacciati dalla balconata, ammirano la città svegliarsi.

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81 2.3.29 Negozio di abiti

La sequenza si apre con la voce di Jep, in un ambiente minimalista, le commesse elegantissime e tutte con i capelli tirati indietro. Seduto in una panca il protagonista, mentre Ramona prova degli abiti scuri, spiega cos’è per lui il funerale. Non è un evento causale, ma l’appuntamento mondano per eccellenza, dove bisogna seguire diverse regole. Ramona in camerino, immobile e inespressiva, fissa il suo volto riflesso sullo specchio mentre ascolta le parole di Jep, che fanno apparire l’ultimo saluto come un rituale. Sul volto della spogliarellista cala un velo di tristezza assortita come una specie di consolazione inesorabile.

2.3.30 Funerale Andrea

La voce fuori campo di Jep Gambardella, che spiega come comportarsi a un funerale, continua. Una chiesa piena e composta tutti amici di Viola, che a turno le porgono le condoglianze. Cala il silenzio, l’andirivieni termina, tutti si siedono, e dal centro della chiesa si alza Jep sfila davanti a tutti con sguardo basso, arriva davanti a Viola, le prende le mani e all’orecchio le sussurra «sappi che nei prossimi giorni, quando ci sarà il vuoto, potrai contare sempre su di me». Tutti gli sguardi sono su di lui mentre torna a proprio posto, ma a un tratto si ferma come attraversato da un’inaudita profondità. Si porta una mano alla bocca, ha un sussulto come per chi sta scoppiando a piangere e invece ricaccia il pianto in

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82 fondo all’anima94. Ramona lo guarda e per la prima volta sembra delusa. Il

copione però subisce una modifica quando il sacerdote chiama gli amici del giovane defunto per portare la bara fuori, tutti si guardano e nessuno si alza. È molto semplice, Andrea non aveva amici. A quel punto Jep, Romano, Lello e un altro personaggio si alzano, si avvicinano alla bara e sollevano il feretro sulle spalle. Avanzano lungo la navata e il “re dei mondani” scoppia in un pianto a dirotto, abdicando alla recita, e lasciandosi sopraffare da un moto di sincerità.

2.3.31 Casa di Jep

La sequenza si apre con un breve incipit di Ramona e Jep mentre passeggiano in silenzio lungo i fori imperiali. Uno stacco e l’immagine si sposta a casa di Jep. Ramona sdraiata seminuda sul letto e Jep seduto fuma una sigaretta. Un momento di intimità in cui Ramona confessa il suo grande segreto, il pesante fardello di una malattia incurabile. Jep si paralizza. Uno stacco e il padrone di casa porta la colazione a letto alla sua ospite. Si sdrai anche lui e le chiede se vede il mare sul soffitto, le annuisce e si sente il suono dei gabbiani.

94Ivi., p. 133.

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83 2.3.32 Everything trying

Una scena in cui si percepisce la drammaticità della scena. La musica inizia in sottofondo, mentre viene inquadrato Jep Gambardella mentre paga alla cassa di un bar tabacchi, aperto di notte. Qualcosa si percepisce che è cambiato, il volto rattristito. Ramona non c’è più. Tutta la scena si svolge con dei frame lenti sulle note di Everything trying di Damien Jurado. Qui il protagonista, si sofferma ad osservare tutti i personaggi che incontra. Dal giovane ragazzo con aria da bullo, al poliziotto che beve il caffè, alla distinta signora che vende quadretti all’uncinetto, passando per un tizio sceso da casa con un pigiama estivo per giocare al “gratta e vinci” seduto insieme ad un vecchio alcolista che guarda un televisore che trasmette una gara di motori, fino ad arrivare ad una signora seduta in un angolo ben vestita che parla tra se e se e gli prende la mano, si volta per tornare indietro e vede un magnaccia con la sua protetta, e solo quando sta per uscire una voce nitida che gli domanda «e ora chi si prende cura di te», lo scrittore con lo sguardo sorpreso si volta e la guarda la signora seduta in un angolo.

Un taglio e la scena si sposta a casa di Viola, dove seduta a capotavola accarezza il suo cane, davanti ad una tavolata imbandita ma senza ospiti e a lato della padrona un cameriere filippino in divisa, in piedi immobile con un vassoio in mano. Uno stacco e lo spettatore è trasportato in Via Veneto, dove il padre di Ramona fuma una sigaretta seduto in un locale di Via Veneto, mentre un suo conoscente gli porge le condoglianze. E poi la sequenza termina con un piano lungo che riprende Jep mentre guarda uni stabilimento vicino al mare in un

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