• Non ci sono risultati.

Israele e Turchia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Israele e Turchia"

Copied!
27
0
0

Testo completo

(1)

Israele e Turchia

1948 – anni '80: ascesa e caduta dei rapporti

I rapporti tra Turchia e Israele sono sempre stati caratterizzati da una certa ambivalenza e ambiguità. Fin dall'età moderna l'Impero Ottomano si dimostrò ospitale nei confronti degli ebrei costretti a fuggire dai Paesi dell'Europa centrale e occidentale; a loro volta le comunità ebraiche sparse nel territorio ottomano, soprattutto in contesti urbani, contribuirono a fare la fortuna di uno dei più importanti imperi della storia dell'uomo. Come a controbilanciare l'apertura e la tolleranza, i sultani ottomani rigettarono sempre e categoricamente le tesi e rivendicazioni del popolo ebraico sull'istituzione di uno Stato ebraico in Palestina portate avanti da Theodore Herzl; allo stesso tempo lo stanziamento degli ebrei in Terra Santa non fu mai ostacolato1. A Istanbul studiarono, prima della Grande Guerra, personalità del calibro di David Ben-Gurion e Yitzhak Ben-Zvi, a ulteriore dimostrazione dell'integrazione e del clima di relativa apertura nei confronti della comunità ebraica nel territorio dell'Impero Ottomano2. Con il crollo dell'impero gli ebrei trovarono un inatteso “protettore” nella figura del padre della repubblica turca, Kemal Atatürk, il quale, negli anni '30, accolse più di duecento intellettuali, scienziati e professori universitari di origine ebreaica in fuga dalla persecuzioni razziali in atto nella Germania nazista. Sempre sotto la sua guida, nel 1935, fu eletto il primo membro del parlamento turco di religione ebraica3.

Finita la seconda guerra mondiale, nel 1947 la Turchia si oppose al piano elaborato dalle Nazioni Unite che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati4, e che comprendeva quindi per la prima volta anche uno Stato ebraico. Tuttavia, solo due anni dopo, nel 1949, Ankara fu il primo Stato musulmano a riconoscere il neonato Israele5, sulla scia della seria di armistizi stipulati dai vari Paesi arabi che avevano partecipato alla prima guerra arabo-israeliana del 1948.

In questo caso l'ambiguità è rintracciabile nel fatto che la Turchia, fin dalla citata risoluzione ONU del novembre 1947 sull’istituzione di due Stati in Palestina, ha sempre sostenuto la creazione di uno Stato palestinese indipendente, contro la posizione di Israele e degli Stati Uniti, e allineandosi, invece, a fianco dei Paesi arabi.

1 Cfr. S.J.Shaw, The Jews of the Ottoman Empire and the Turkish Republic, New York, New York University Press, 1991, pp. 207-217.

2 Cfr. A.Liel, Turkey in the Middle East: oil, Islam and politics, London, Lynne Rienner Publishers, 2001, p. 203. 3 Cfr. A. Levi, History of the Jews in the Republic of Turkey, Jerusalem, Hamaccabi, 1992, pp. 59-76.

4 Cfr. Risoluzione delle Nazioni Unite 181 (II) sul futuro governo della Palestina, approvata dall'assemblea generale il 29 novembre 1947.

5 Cfr. A. Serdar Erdurmaz, Analyses Turkish-Israeli Cooperation in the Context of Turkey’s “Zero Problem” Foreign

(2)

A loro volta i rapporti tra la repubblica turca e gli Stati arabi, fin dall'inizio, non sono mai stati completamente privi di insidie. La prima è stata rappresentata dalle negative reminiscenze, da parte araba, del dominio turco-ottomano sul Medio Oriente; parimenti i legami di Ankara con i Paesi europei e gli Stati Unti, ivi comprese le politiche laiche e di stampo occidentale adottate dopo l’avvento di Kemal Atatürk non hanno certo aiutato e favorito il riavvicinamento. I turchi, per parte loro, non hanno mai del tutto abbandonato la malcelata diffidenza nei confronti degli arabi, memori del loro sostegno agli inglesi contro l’Impero ottomano nel corso della Prima guerra mondiale. Non a caso, in occasione della prima guerra arabo-israeliana del 1948, la Turchia scelse una posizione di neutralità, prevenendo i volontari turchi dall'unirsi alle armate arabe e limitando il proprio sostegno all'invio di un piccolo contingente di addestramento e qualche magro rifornimento6.

Parallelamente allo schieramento insieme agli Stati arabi sulla questione palestinese, la tendenza filo-occidentale della Turchia (dettata soprattutto dal timore dell’influenza sovietica in Medio Oriente) è stata sempre uno dei pilastri della sua politica estera. È in questo senso (e soprattutto per via dell'intenzione della leadership turca di ingraziarsi la potente lobby filo-israeliana negli Stati Uniti, alleato storico e fondamentale di Ankara) che va ascritto anche il riconoscimento dello Stato di Israele, arrivato il 28 marzo 1949 e che ha fatto della Turchia il primo stato musulmano a riconoscere Israele7. Tale atto formale fu anche il necessario preludio allo stabilimento di normali relazioni diplomatiche, basate sulla istituzione reciproca di due missioni consolari a Tel Aviv e Ankara e sul susseguente sviluppo di rapporti economico-commerciali piuttosto vivaci. Nel gennaio del 1950, infatti, la Turchia inviò a Tel Aviv Seyfullah Esin in qualità di incaricato d'affari, mentre nel 1952 entrambe le parti nominarono dei ministri residenti a capo delle proprie missioni diplomatiche nelle rispettive capitali8. Lo stabilimento delle piene relazioni diplomatiche fu indubbiamente un notevole risultato conseguito da Israele, soprattutto tenendo in considerazione gli ostacoli e le riserve poste da parte turca: Ben-Gurion, infatti, dovette lottare contro i timori di Ankara sull'effettivo schieramento filo-occidentale del neonato Stato di Israele, timori dovuti alla forza dei partiti israeliani di sinistra (socialista e comunista) e alle diffuse e perduranti simpatie filo-sovietiche dei membri del primo partito politico, il Mapai9, posizioni inconciliabili con il posizionamento turco nettamente filo-occidentale10.

Fin dal riconoscimento dello Stato di Israele il motore dei rapporti tra i due Paesi fu sempre il bisogno avvertito dall’esercito (uno dei pilastri della repubblica turca) di modernizzarsi e in particolare di sviluppare un’aeronautica all’altezza delle ambizioni geopolitiche di Ankara, nonché

6 M. B. Bishku, Turkey and its Middle Eastern Neighbors since 1945, in Journal of South Asian and Middle Eastern Studies, Vol. XV no. 3, 1992, p. 59.

7 Cfr. M. Bali Aykan, The palestinian question in turkish foreigh policy from the 1950s to the 1990s, in International Journal of Middle East Studies, 1993, vol. 25, n. 1, pp. 91-110.

8 Cfr. J. Abadi, op. cit.

9 P. Merhav, The Israeli Left: History. Problems. Documents, San Diego-New York, A. S. Barnes, 1980, p. 145. 10 La Turchia fa parte della NATO dal 1952: www.nato.int

(3)

la necessità di venire in possesso di informazioni di intelligence soprattutto in tema di prevenzione del terrorismo. L’appoggio di Tel Aviv era visto come una pedina indispensabile (attraverso il lavoro delle potenti lobbies pro-israeliane) per influenzare il Congresso degli Stati Uniti e controbilanciare, nello specifico, il peso acquisito dalle lobbies pro-armene e pro-greche.

Il sostegno, più o meno implicito, da parte della Turchia avrebbe però richiesto l’astensione da parte di Israele a interventi e incursioni militari contro gli insediamenti dei palestinesi nei territori occupati e sottintendeva l’auspicio di un miglioramento tendenziale dei rapporti Israele-OLP11. Molto presto però i rapporti cominciarono a incrinarsi, innanzitutto dopo l'adesione da parte turca al Patto di Baghdad12, un'alleanza in chiave antisovietica di quattro Paesi mediorientali (Turchia, Iraq, Iran e Pakistan) sotto il “patrocinio” di Gran Bretagna e, soprattutto, Stati Uniti.

Con tale patto cominciò anche l'orientamento sempre più spiccato della Turchia verso l'Iraq e la conseguente e inevitabile presa di distanze da Israele, acerrimo nemico di Baghdad.

Nel 1956 la Turchia, nella persona del primo ministro Menderes, fu colta di sorpresa dalla mossa di Nasser di nazionalizzare il canale e reagì con contrarietà a tale atto unilaterale, più per paura di una successiva mossa sovietica (ovvero di un'ipotetica presa di controllo del canale) che per le eventuali ripercussioni sugli interessi turchi a sé stanti13; tuttavia, in seguito alla crisi di Suez e all'intervento israeliano, nel corso di un incontro all’interno della cornice del Patto di Baghdad la Turchia denunciò l’intervento israeliano in Sinai, additando lo Stato ebraico come la più grande minaccia per la pace e l’equilibrio in Medio Oriente e richiamando in patria il proprio ambasciatore, mossa peraltro ricambiata da Israele nell'arco di poco tempo14.

Il motivo di una tale scelta è da individuare nella volontà turca di salvaguardare il delicato equilibrio all’interno del patto di Baghdad stesso, i cui membri erano scossi dall’interventismo di Tel Aviv e in animati da un forte spirito anti-sionista: una reazione accesa contro Israele avrebbe dimostrato la buona volontà turca nel venire incontro alle posizioni degli arabi. Allo stesso tempo, le relazioni con Israele rimasero cordiali e attive, seppur mantenute nella segretezza, a un livello di incaricato d’affari15.

Dal momento della rottura dei rapporti diplomatici gli sforzi di Israele furono indirizzati a recuperare il terreno perduto e un prezioso alleato in Medio Oriente, utile a rompere l'isolamento in

11 Cfr. U. Uzer, Turkish-Israeli Relations: Their Rise and Fall, in Middle East Policy, 2013, vol. XX, n. 1.

12 «Nel febbraio 1955 viene siglato tra Turchia e Iraq il Patto di Baghdad, un trattato di cooperazione in chiave anticomunista cui aderiscono in seguito Pakistan, Iran e Gran Bretagna, mentre gli Stati Uniti conservano un ruolo da osservatori […] Dopo il rovesciamento della monarchia in Iraq nel 1958, il Patto di Baghdad si trasforma nel CENTO (Central Treaty Organization), in cui entra a pieno titolo anche il governo americano. L. Nocera, La Turchia contemporanea: dalla repubblica kemalista al governo dell'AKP, Roma, Carocci, 2011, p. 47. L'accordo (CENTO) fu sciolto nel 1979:h ttp://www.treccani.it/enciclopedia/baghdad_(Dizionario_di_Storia)/

13 S.C.Smith (a cura di), Reassessing Suez 1956: new perspectives on the crisis and its aftermath, Hampshire, Ashgate, 2008, p. 124

14 Relations between Turkey and Israel, Republic of Turkey, Ministry of Foreign Affairs website:

http://www.mfa.gov.tr/relations-between-turkey-and-israel%20.en.mfa

(4)

cui lo Stato ebraico versava dalla nascita, e recuperare legittimità e riconoscimento a livello internazionale. La controparte turca si dimostrò inizialmente piuttosto sorda a qualsiasi proposta di riavvicinamento che avrebbe compromesso i rapporti tra Ankara e Baghdad (basati anche sulla personale amicizia tra i primi ministri dei due Paesi, Nuri al-Said e Adnan Menderes16). Una serie di avvenimenti concorsero, poi, a modificare la posizione turca e favorire l'allontanamento da Baghdad e un contemporaneo riavvicinamento a Tel Aviv.

Dapprima, a fine ottobre del 1957, la firma di un accordo economico e tecnico di larga scala tra la Siria e l'Unione sovietiva17; poi, nel dicembre 1957, arrivò il voto dell'Iraq a fianco della Grecia e contro la Turchia nel comitato delle Nazioni Unite che stava esaminando la questione cipriota18, nonostante il patto di Baghdad e a dimostrazione della preferenza dell'Iraq, se obbligato a scegliere, per l'unità araba; in seguito, nel febbraio del 1958, Egitto e Siria formarono la RAU (Repubblica Araba Unita), destando la viva preoccupazione di Ankara, soprattutto per via dell'antica rivalità con l'Egitto, Paese filosovietico che, adesso, minacciava il confine meridionale della Turchia. Infine, il 14 luglio 1958, arrivò l'evento decisivo per il riavvicinamento con Israele, ovvero il colpo di Stato a Baghdad e la caduta della monarchia irachena e la conseguente paura da parte turca di un cambiamento drastico dei rapporti con il nuovo Iraq (di cui la prima avvisaglia poteva essere il rifiuto di riconoscere il patto di Baghdad)19. Questi tre avvenimenti portarono al meeting segreto tra David Ben-Gurion e Adnan Menderes ad Ankara avvenuto il 29 agosto 1958, incontro preceduto da trattative altrettanto segrete intercorse tra le gerarchie politico-militari di Israele e Turchia per più di un anno20.

L'alleanza che ne venne fuori fu innanzitutto caratterizzata dalla segretezza, tanto che, tutt'oggi, non si possiedono molte informazioni in merito. La Turchia, infatti, non ha mai voluto svelare né ammettere un'alleanza con lo Stato ebraico, per paura della reazione dell'opinione pubblica in patria come di quella dei governi e dei popoli dei Paesi arabi, di cui comunque si continuava a ricercare il consenso. Impostazione quasi opposta quella di Israele, per cui non vi erano problemi e interrogativi

16 O. Bengio, op. cit., p. 39.

17 E. Karsh, The Soviet Union and Syria: the Asad years, London, Routledge, 2013, p. 4.

18 «Territorio ottomano fino al 1878, l'isola di Cipro viene affidata dal sultano alla Gran Bretagna per un periodo di novantanove anni ma, con il crollo dell'impero e lo scoppio della Prima guerra mondiale, è annessa dai britannici per essere infine dichiarata nel 1925 colonia britannica. Cipro è abitata da una maggioranza greco-ortodossa e una minoranza, pari a circa il 20%, di musulmani di lingua turca. A partire dal 1954, dietro la spinta del movimento nazionalista greco Eoka, che pretende l'unione (enosis) di Cipro con la Grecia, si verificano alcuni scontri e attentati contro i britannici. Tali azioni, che sono da riconsiderare nel complesso del più vasto processo di decolonizzazione, trascinano inevitabilmente i due paesi in un lungo conflitto che trova in questi anni solo una temporanea soluzione. Dopo il fallimento di alcune trattative nel 1955, in cui si discute anche di un'eventuale divisione dell'isola, in nuovi negoziati tra il 1958 e il 1959 i tre paesi coinvolti giungono a un accordo che prevede la costituzione della repubblica indipendente bicomunitaria di Cipro e il loro impegno, anche unilaterale, a garantire le condizioni per l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'isola. Nell'agosto 1960 Cipro diventa una repubblica indipendente sotto la presidenza dell'arcivescovo Makarios, un nazionalista greco»: L. Nocera, op. cit., p. 48.

19 O. Bengio, op. cit., pp. 37-39.

20 I negoziatori israeliani furono il ministro degli Esteri Golda Meir, il consulente politico del ministro degli Esteri Reuven Shiloah e l'ambasciatore israeliano a Roma Eliahu Sasson (in precedenza ambasciatore israeliano ad Ankara): cfr. H. Eshed, op. cit.

(5)

geopolitici, ma solo positive opportunità dal rendere pubblico un accordo con uno Stato musulmano importante come la Turchia. L'opinione pubblica israeliana, ugualmente, non costituiva un intralcio, in quanto rapporti positivi con il vicino turco erano in generale ben visti e ben accetti. Nonostante i molti dinieghi da parte di Ankara, vi è chi ammette l'effettiva esistenza di un'alleanza quantomeno a livello militare e soprattutto di intelligence. Questa versione è, per esempio, legittimata dall'allora capo dei servizi segreti militari turchi, Sezai Orkunt. Più nello specifico Orkunt sostiene che in Turchia solo dieci persone fossero al corrente di tali accordi con Israele21. Da parte ebraica vengono invece sostenute versioni diverse. Sulla base del racconto fatto dal biografo di Reuven Shiloah (il quale aveva partecipato in prima persona alle negoziazioni e alla stesura degli accordi segreti), l'intesa turco-israeliana avrebbe incluso molte più sfere di quelle ammesse da parte di Ankara: si sarebbe trattato di cooperazione in campo diplomatico, militare, economico e di intelligence.

Il settore in cui più di tutti la cooperazione fu incisiva e diede i suoi frutti fu quello dello scambio delle informazioni a livello di intelligence, una cooperazione che non si limitò affatto a Turchia e Israele, ma incluse pure l'Iran (patto denominato Trident di cui si è già parlato nell'introduzione). Il motivo che spinse Israele e Turchia a stabilire un'alleanza segreta era la presenza di interessi strategici comuni, come la volontà di limitare l'espansionismo sovietico, il panarabismo e il panislamismo e la lotta al terrorismo22. Le soddisfazioni da parte israeliana, tuttavia, furono poche. In particolare, l'ambito che forse più interessava Tel Aviv, ovvero quello politico-diplomatico, riservò le più forti delusioni. Galvanizzati dalle reiterate promesse del primo ministro Menderes, gli israeliani speravano che l'alleanza (pur segreta) con la Turchia potesse avere risvolti pubblici per quanto riguarda il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche tra i due Paesi, dopo la brusca rottura dettata da Ankara in seguito alla crisi di Suez. Menderes si impegnò in più occasioni, nel corso del 1959, in questo senso ma tale svolta non arrivò mai, in parte per non suscitare l'inimicizia dell'Iraq, in parte per la contrarietà dell'allora ministro degli Esteri, Fatin Zorlu. Con l'Iraq, infatti, la Turchia voleva mantenere un rapporto stretto, nonostante il fresco colpo di stato e il ripudio del patto di Baghad e questo per ragioni geopolitiche, ovvero il timore di una caduta dell'Iraq stesso sotto l'orbita comunista, oppure di un rischio anarchia, senza dimenticare l'interesse turco a controbilanciare e contrastare la Repubblica Araba Unita (cioè l'espansionismo egiziano) con l'asse Ankara-Baghdad23.

Il colpo di stato dei militari in Turchia, avvenuto il 27 maggio 196024, portò all'esecuzione sia di Menderes che di Zorlu, e il nuovo quinquennio di predominio del generale Gürsel non implicò dei mutamenti nei rapporti con Israele, che si mantennero quindi nei termini (per Israele) frustranti di

21 O. Bengio, op. Cit., p. 43. 22 ivi, p. 46.

23 ivi, pp. 47-48.

(6)

una alleanza da non pubblicizzare e i cui andamenti erano sempre legati e ai rapporti tra Turchia e Paesi arabi (in special modo il vicino Iraq). In particolare, una delle ragioni alla base dell'istituzione dell'alleanza segreta tra Turchia e Israele (e quindi una delle possibili leve che Tel Aviv avrebbe potuto usare per convincere Ankara ad approfondire i rapporti) venne meno in quegli anni, quando, nell'ottobre 1961, la RAU si dissolse e Egitto e Siria tornarono ad essere due Paesi indipendenti25. Anche sotto i governi a guida civile che seguirono, a cominciare da quello di Ismet Inönü del periodo 1961-1965, i rapporti bilaterali non culminarono nel tanto auspicato (da Israele) ristabilimento di relazioni diplomatiche a livello di ambasciata.

Diversamente dal piano diplomatico, su quello degli scambi economici ci furono maggiori soddisfazioni per entrambe le parti. Le ragioni erano abbastanza ovvie: mentre le relazioni diplomatiche, per propria natura, hanno un carattere di apertura e ufficialità massima, i rapporti economici possono perdurare a un certo livello senza destare troppe attenzioni.

Il settore economico che più di tutti favorì il prosperare degli scambi fu quello dell'agricoltura: la Turchia, infatti, Paese prevalentemente agricolo, aveva un grande bisogno di investimenti e di metodi di coltura e lavorazione moderni, che Israele, abituato dalla nascita a lottare per strappare terre agricole al deserto, poteva fornire. Altri settori di cooperazione includevano progetti di ricerca e industriali comuni e il turismo26.

L'accordo militare e di intelligence tra Turchia e Israele, come si è detto, fu il vero fulcro attorno al quale si svilupparono anche le altre aree di cooperazione e rappresentò fu una sorta di unicum nella storia della politica estera dello Stato ebraico, nel senso che mai nessuna cooperazione dello stesso tipo fu più instaurata con un altro Paese. Essa includeva lo scambio di informazioni di intelligence, coordinamento e cooperazione in ambito militare, scambio di know-how nel campo dell'industria militare, senza contare i campi che ancora sono coperti da segreto militare27. La Turchia si sentiva l'anello debole e trascurato della NATO, soprattutto in seguito a decisioni unilaterali e difficilmente accettabili prese dagli Stati Uniti nei primi anni '60, come il ritiro dei missili Jupiter dal suolo turco nel 1963 in seguito alla crisi di Cuba del 1962 e la dura lettera del presidente americano Lyndon Johnson del 1964, inquadrabile nel contesto della crisi di Cipro, in cui si diceva chiaramente che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti per aiutare la Turchia nel caso in cui un attacco turco a Cipro (finalizzato a difendere gli interessi della minoranza turco-cipriota) avesse scatenato la reazione dell'Unione sovietica28. Il risentimento turco riguardava anche il livello di aiuto e forniture militari provenienti da NATO e Stati Uniti e giudicati insufficienti. Un'alleanza militare con Israele non avrebbe certo garantito lo stesso supporto che gli statunitensi erano teoricamente in grado di fornire,

25 Cfr. C. Herzog, op. cit., p. 146. 26 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 50-51.

27 Nel 1959 si arrivò addirittura a pianificare un intervento congiunto contro la Siria in chiave anti-egiziana che avrebbe previsto l'impiego di tutte e tre le forze (di terra, mare, aria): ivi, pp. 52-53.

(7)

ma avrebbe almeno permesso un tipo di relazione molto più paritario e concretamente fruttuoso nella realtà delle cose.

Tuttavia ben presto i rapporti si incrinarono irrimediabilmente e la causa è da rintracciare nella crisi di Cipro, che funse da spartiacque nella conduzione della politica estera turca. Di fronte non solo al mancato sostegno di Gran Bretagna e Stati Uniti, ma soprattutto alla convinzione di una discriminazione da parte degli stessi due alleati e della comunità internazionale in genere nei confronti degli interessi della Turchia rispetto agli interessi della Grecia, Ankara cominciò a ridefinire la sua politica estera, mirando a conquistare alla sua causa e quella dei turco-ciprioti quanti più Stati possibile, cominciando quindi dai Paesi arabi e dal movimento dei non-allineati, in modo da guadagnare riconoscimento internazionale e, in special modo, voti utili nelle sedi, come l'Onu, in cui poteva essere deciso l'esito della controversia tra turco e greco-ciprioti. La diffusa delusione in Turchia, sia a livello di élites al potere che di opinione pubblica, nei confronti degli Stati Uniti comportò una certa “desacralizzazione” dell'ambiente politico internazionale con la sua netta divisione in poli e il conseguente relativizzarsi della minaccia sovietica, che aveva costituito uno degli elementi di vicinanza con Israele. Il problema di Israele era che il fatto che la Turchia cominciasse a ricercare con più insistenza la benevolenza e i voti dei Paesi arabi comportava l'ovvio ricatto portato avanti da questi ultimi, i quali condizionavano il proprio sostegno alla rottura dei rapporti a ogni livello tra Turchia e Israele29.

Il 1964 vide assieme il picco e il crollo dei rapporti bilaterali tra i due Paesi, sempre per via della questione di Cipro. Mentre la posizione segreta di Israele sulla questione era di sostegno alla Turchia, quella ufficiale era piuttosto di neutralità tra i due schieramenti (i greco-ciprioti guidati dall'arcivescovo Makarios e sostenuti dalla Grecia e i turco-ciprioti protetti dalla Turchia): questa ambiguità si dimostrò ben presto inconciliabile con il permanere dell'alleanza segreta. La goccia che fece traboccare il vaso fu la reazione israeliana al bombardamento da parte turca delle posizioni dei greco-ciprioti nell'agosto 1964. All'appello dell'arcivescovo Makarios indirizzata a numerosi capi di Stato e di governo, il presidente israeliano Shazar inviò una risposta che esprimeva semplicemente afflizione per le perdite umane e proponeva un aiuto umanitario ma che fu interpretata da Ankara come un velato sostegno delle posizioni di Makarios. Immediatamente la Turchia revocò i diversi incontri al vertice che erano già in programma con le più alte gerarchie politiche e militari israeliane per quell'anno. In generale, in seguito a tale raffreddamento, ci fu un progressivo declino delle relazioni in tutti i campi tra i due Paesi e una sempre più chiara volontà turca di limitare al minimo i rapporti con lo Stato ebraico30.

Anche se la tanto promessa lealtà araba alla causa turca (e nonostante i notevoli sforzi propagandistici di Ankara) non si tradusse in un concreto sostegno quando di esso ve ne fu bisogno

29 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 55-57. 30 ivi, pp. 57-60.

(8)

(per esempio, al momento del voto in Assemblea generale delle Nazioni Unite), la decisione di trascurare i rapporti con Israele e privilegiare il dialogo con gli arabi aveva un fondamento logico: l'appoggio di Tel Aviv era inservibile, in quanto il peso internazionale di Israele, all'epoca, era pari a quello di uno Stato pariah e non in grado di influenzare e modificare schieramenti e interessi degli attori della politica internazionale; inoltre tale rapporto sarebbe potuto sopravvivere solo in completa segretezza, in quanto i Paesi vicini musulmani ma anche la stessa opinione pubblica turca non avrebbero accettato di buon grado lo stabilimento di relazioni diplomatiche alla luce del sole tra Turchia e Israele.

L'ultimo tassello dell'alleanza a crollare in ordine di tempo fu quello militare, il che non rappresenta niente di strano, essendone stato il motore e nucleo primario. In questo caso la nuova goccia di troppo (in realtà un mero pretesto, la vera motivazione essendo la nuova politica filo-araba di Ankara) fu un articolo anti-turco pubblicato sul “New York Times” il 10 aprile 1966 e firmato anche da un rabbino americano, insieme a ecclesiastici greco-ortodossi. Agli occhi dei turchi, Israele era colpevole di non aver dissuaso tale rabbino dal sottoscrivere tale manifesto. Conseguentemente fu dato ordine da parte del capo dell'intelligence militare turca dell'epoca, Sezai Orkunt, che tutti i rapporti tra i servizi segreti inseriti nella cornice chiamata Trident fossero completamente azzerati31.

L'input primario che portò al congelamento dei rapporti bilaterali e all'annullamento dell'alleanza provenne dal ministero degli Esteri, ma tale visione – per cui i benefici del consenso dei Paesi arabi superavano di gran lunga i vantaggi ottenibili dall'alleanza con Israele – fu peraltro condivisa non solo dai diversi primi ministri che si avvicendarono al potere, ma anche dai vertici militari, seppure questi ultimi fossero i più interessati a intrattenere i contatti con lo Stato ebraico e avessero spesso nascosto, in passato, l'entità di tali contatti al ministero degli Esteri (tradizionalmente filo-arabo). La realtà delle cose fu solo leggermente meno amara, non tutti i ponti furono abbattuti e alcuni contatti tra i servizi segreti dei due Paesi continuarono ininterrottamente anche dopo il 196632: tuttavia sicuramente insufficiente per dichiarare ancora in vita l'alleanza forgiata nel 1958 tra Ben Gurion e Menderes. Negli anni seguenti si è quindi assistito a un progressivo deterioramento dei rapporti tra i due Paesi. Nel 1967 la Turchia rifiutò di fornire la sua collaborazione al fine di portare alla riapertura per le navi israeliane del Golfo di Aqaba, bloccato dagli egiziani all'altezza dello stretto di Tiran. Venne poi negato il permesso agli Stati Uniti di utilizzare la base aerea di Incirlik, situata in territorio turco, per portare aiuto agli israeliani durante la guerra dei sei giorni; infine, quando le ostilità furono terminate, Ankara si comportò un po' come nel 1956 durante la crisi di Suez, in quanto deplorò fin da subito l'occupazione israeliana del Sinai, schierandosi poi a favore della Risoluzione dell'ONU 242 del 22 novembre 1967, in cui si chiedeva il ritiro israeliano dai

31 ivi, pp. 64-65. 32 ivi, p. 67.

(9)

territori occupati.

Nel 1973, in occasione della guerra del Kippur, la Turchia non solo negò ancora una volta alle forze aeree degli Stati Uniti d'America l'utilizzo della base di Incirlik in supporto degli israeliani ma, dietro le pressioni dei membri arabi dell'OPEC e a causa della dipendenza della propria economia verso il petrolio mediorientale, si spinse fino al punto di permettere agli aerei cargo sovietici pieni di rifornimenti militari per l'Egitto di penetrare e attraversare indisturbati lo spazio aereo turco. Di male in peggio per Israele, nel 1974 arrivò il riconoscimento turco dell'OLP come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese e nel novembre del 1975 il voto a favore della risoluzione ONU che equiparava il sionismo al razzismo, un vero smacco per Tel Aviv; nel 1976, anno in cui la Turchia divenne membro a tutti gli effetti dell'Organizzazione della Conferenza Islamica, l'OLP fu riconosciuta come il legittimo rappresentante politico del popolo palestinese, nonostante l'organizzazione presieduta da Yasser Arafat fosse sospettata di sostenere e addestrare i ribelli curdi e armeni in Libano33 e intrattenesse ottimi rapporti con la Grecia, tanto da appoggiarne la posizione nella vicenda di Cipro34; nell'ottobre del 1979 si permise all'OLP di aprire un proprio ufficio di rappresentanza ad Ankara35.

Probabilmente il punto più basso nelle relazioni bilaterali fu raggiunto il 26 novembre 1980, quando Ankara decise di ulteriormente declassare le relazioni diplomatiche a livello di secondo segretario di legazione in seguito all'approvazione, in Israele, della legge che faceva di Gerusalemme la capitale dello Stato ebraico e votata il 30 luglio 198036: tale declassamento entrò in vigore a partire dal febbraio 198137. In realtà la decisione in questione probabilmente fu dovuta alla grave situazione economica in cui si dibatteva la Turchia e al fatto che era stato chiesto e ottenuto poco prima del declassamento un importante aiuto da parte dell'Arabia Saudita, un assegno di 250 milioni di dollari che, con tutta evidenza, era stato concesso in maniera non disinteressata38.

Fino alla metà degli anni '80 i rapporti restarono praticamente congelati: solo nel 1984-1985 qualcosa cominciò a muoversi di nuovo. Gli ambienti dell'aeronautica turca erano infatti rimasti piacevolmente sorpresi dalla schiacciante superiorità dimostrata dalla caccia israeliana contro quella siriana nel 1982 durante l'intervento in Libano da parte di Tel Aviv. Nel 1984 il ministero della difesa israeliano, nelle persone di Yitzhak Rabin (ministro) e David Ivri (direttore generale del ministero) aveva cominciato a sondare il terreno presso i turchi: fu però la decisione israeliana di ritirarsi dal Libano a dare il via a una serie di incontri segreti tra i vertici dei servizi segreti dei due Paesi. Ancora un anno dopo, nel 1986, furono iniziate delle trattative per l'aggiornamento da parte

33 B. Aras, Palestinian-Israeli Peace Process and Turkey, New York, Nova Science Publishers Inc., 1998, p. 125. 34 G.A. Burris, Turkey-Israel: speed bumps, in “The Middle East Quarterly”, vol. 10, n. 4, autunno 2003, pp. 67-80. 35 Cfr. J. Abadi, op. cit.

36 M. Bali Aykan, op. cit., p. 101. 37 Cfr. O. Bengio, op.cit., p. 74. 38 Cfr. A.Liel, op. cit..

(10)

israeliana dei vecchi aerei da caccia F-4 Phantom di fabbricazione americana; nel 1987, quando le due parti erano addirittura sul punto di siglare un accordo, fu lo scoppio della prima Intifada palestinese a rendere politicamente impossibile (in quanto improponibile all'opinione pubblica turca e musulmana in generale) una tale intesa, rimandandola di quasi dieci anni39.

Il riavvicinamento degli anni '90

Alla base del riavvicinamento tra Turchia e Israele della metà degli anni '90 stanno i cambiamenti epocali intercorsi sulla scena politica internazionale e mediorientale tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90. Possiamo individuarne ed elencarne i principali.

Il primo in ordine di tempo è l'invasione irachena del Kuwait dell'agosto 1990. Questo fatto inedito per gravità ed entità, ovvero l'attacco di uno Stato arabo contro un altro Stato arabo, ha costituito la più rilevante opera di distruzione del mito dell'unità e fratellanza pan-araba. Sebbene tale genere di interventi militari tra Paesi arabi non costituisse del tutto una novità40, l'entità dell'azione portata avanti da Saddam Hussein non aveva pari. Tale attacco portò a sua volta alla formazione di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, ma al cui interno primeggiavano tanti altri Stati arabi (di cui i principali erano Siria, Egitto e Arabia Saudita), in uno scontro finale praticamente fratricida. A tutto ciò si aggiunse la rottura di un altro tabù, un avvenimento altrettanto inedito e mal digerito dalla comunità musulmana mediorientale e mondiale, ovvero la massiccia presenza statunitense nell'area del Golfo persico e, in particolare, la concessione agli stessi americani, da parte dei reali di casa Saud, del permesso di ammassare le truppe sul territorio saudita, quindi vicino ai luoghi sacri dell'Islam, in vista dell'attacco a Saddam41. L'invasione irachena del Kuwait costituì una grande disillusione sul fino ad allora tanto sbandierato panarabismo del dittatore iracheno e la dimostrazione lampante di come un Paese arabo potesse dimostrarsi, per gli altri Paesi arabi fratelli, molto più pericoloso del tanto vituperato Stato di Israele.

Il secondo cambiamento epocale fu il progressivo sgretolamento prima e la caduta poi dell'Unione sovietica, che di colpo eliminò un nemico storico della repubblica turca, rischiando però di minarne il ruolo strategico di propaggine orientale della NATO e comportare una crescente marginalità e

39 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 96-97.

40 Si vedano, per esempio, l'intervento dell'Egitto nella guerra civile yemenita nel 1962: Cfr. A.A.R. Rahmy, The

egyptian policy in the Arab World: intervention in Yemen, 1962-1967, Washington, D.C., University Press of

America, 1983, e quello della Siria in Libano nel 1976: Cfr. E. Pan, Middle East: Syria and Lebanon, in “Council on Foreign Relations”, 18 febbraio 2005: http://www.cfr.org/middle-east-and-north-africa/middle-east-syria-lebanon/p7851

(11)

isolamento42. In particolare, con l'URSS fuori gioco, venivano bruscamente a mancare i riferimenti della politica internazionale dei tempi della Guerra fredda, ovvero il bipolarismo e, conseguentemente, i concetti di centri e periferie. La Turchia, unico membro mediorientale della NATO e pedina strategicamente importante proprio in virtù della sua posizione geografica, perdeva un valido argomento nella annosa dialettica con il centro (in questo caso Stati Uniti e, solo marginalmente, l'Europa). Nello specifico Ankara vedeva ulteriormente ridursi il suo potere contrattuale nell'ottenimento di aiuti militari giustificati da ragioni strategiche. Con gli Stati Uniti sempre meno disponibili che in precedenza, per mancanza di volontà e di mezzi, a finanziare ogni Stato-partner in regioni lontane e non più così rilevanti dal punto di vista geopolitico, la Turchia vedeva nascere la necessità di trovare con i propri mezzi e/o le proprie iniziative la via della sicurezza regionale43.

La fine del bipolarismo al contempo apriva nuovi incerti benché potenzialmente promettenti scenari in Asia, con la nascita delle repubbliche centro-asiatiche, storicamente caratterizzate da popolazioni e lingue di ceppo turco.

Il terzo e fondamentale cambiamento degli anni '90 fu l'inizio del processo di pace tra Israele e OLP, i cui albori sono rintracciabili nella conferenza di Madrid dell'ottobre 199144 e che si concretizzò nello storico accordo del 13 settembre 1993, detto Oslo I, tra Rabin e Arafat. In aggiunta a tale percorso di pace ve ne furono di paralleli portati avanti da Israele, come quello con la Giordania che portò alla pace nell'ottobre 199445 e soprattutto quello con la Siria che, pur non approdando mai a un trattato di pace, costituì una svolta fondamentale per il solo fatto che delle negoziazioni serie fra i due storici rivali si fossero aperte e per i timori nutriti dai turchi circa un'intesa tra Damasco e Gerusalemme. Specialmente tra il dicembre del 1995 e il marzo del 1996, sull'onda emotiva della tragica morte di Yitzhak Rabin, gli Stati Uniti avevano infatti intensificato i propri sforzi, patrocinando nuovi incontri tra le due parti che avrebbero dovuto avere una portata onnicomprensiva e abbracciare quindi tutte le questioni irrisolte, per arrivare finalmente a un'intessa duratura tra Gerusalemme e Damasco. In Turchia si aveva il serio sospetto che l'eventuale pace sarebbe stata raggiunta a detrimento degli interessi turchi e avrebbe portato la Siria ad assumere, nel futuro, un atteggiamento più assertivo verso Ankara46.

42 Cfr. M. Müftüler Bac, Turkey and Israel: An Evolving Partnership, in Ariel Center for Policy Research, Policy paper n. 47, 1998.

43 Cfr. A.T. Hawas, The new alliance: Turkey and Israel: is it a course towards new division of the Middle East?, in The fourth Nordic conference on Middle Eastern Studies: the Middle East in globalizing world, Oslo, 13-16 agosto 1998: http://www.smi.uib.no/pao/hawas.html

44 Cfr. C. Henderlin, Paix ou guerre..., cit., pp. 610-616. 45 Cfr. C. Henderlin, ivi, p. 713.

46 Sul piano dei rapporti Siria-Turchia pesavano alcune questioni spinose, a cominciare dalla protezione garantita da Damasco ai guerriglieri del PKK a partire dagli anni '80, le rivendicazioni territoriali siriane sulla provincia turca dell'Hatay e il problema dell'utilizzo dell'acqua dell'Eufrate e della costruzione turca di un complesso sistema di dighe: Cfr. A. Sever, Turkey and the syrian-israeli peace talks in the 1990s, in “Middle East Review of International Affairs”, Vol. 5, No. 3, settembre 2001.

(12)

Lo stabilimento di regolari relazioni diplomatiche tra Israele e l'Unione Sovietica (nel marzo del 1991) e la Grecia (nel maggio di quello stesso anno) costituì il definitivo sdoganamento dello Stato di Israele agli occhi del mondo (non solo) musulmano e fornì alla Turchia il pretesto per tentare il riavvicinamento che covava da diversi anni, senza più la necessità di dover mantenere il più stretto riserbo come in passato47. Come era accaduto per l'alleanza segreta del 1958 e per il riavvicinamento sotterraneo di metà anni '80, la forza motrice di questo nuovo accordo di metà anni '90 venne dagli ambienti militari e del ministero della Difesa turco. L'establishment militare di Ankara, infatti, percepiva e registrava nuove e inedite minacce con il passaggio agli anni '90, sia interne che esterne. L'implosione dell'Unione Sovietica, ma anche della Jugoslavia aveva provocato un vuoto politico-militare e la nascita di numerosi nuovi Stati, alcuni dei quali confinanti con la Turchia, avrebbe comportato la necessità dell'esercito turco di prepararsi all'evenienza di scontri regionali con i nuovi vicini balcanici e caucasici. Anche il confine meridionale con l'Iraq, alleato storico, non dava più le garanzie di un tempo, in quanto l'invasione del Kuwait aveva dimostrato l'inaffidabilità e l'imprevedibilità di Saddam, la cui sconfitta, se ne aveva ridimensionato le velleità e la capacità di portare una seria minaccia agli Stati vicini, aveva anche creato spazio di manovra per il partito indipendentista curdo PKK48 nel nord Iraq; ancora a sud, il confine con la Siria presentava analoghi problemi, sempre per la presenza degli affiliati del PKK a cui Damasco dava rifugio e protezione fin dagli anni '8049.

I rapporti con l'Europa erano complicati dal rifiuto di ammettere la Turchia all'interno della Comunità Europea50 e nemmeno con gli Stati Uniti mancavano i motivi di attrito – nello specifico, il fatto che Washington non aveva mai riconosciuto la parte turca di Cipro e l'insoddisfazione per lo scarso livello di forniture militari americane51.

47 Cfr. William Hale, Turkish foreign policy 1774 – 2000 , London, Routledge, 2002, p. 297.

48 «Nel 1978 Abdullah Öcalan, studente all'Università di Ankara, fonda il partito marxista curdo dei lavoratori, noto come PKK (acronimo per il nome curdo Partîya Karkerên Kurdistan, letteralmente Partito dei lavoratori del Kurdistan), la cui direzione si sposta nel 1979 in Siria»: L. Nocera, op. cit., pp. 68-69.

49 A tale proposito, l'alleanza militare di Ankara con Gerusalemme portò molto presto notevolissimi risultati, il più importante dei quali fu, nell'ottobre del 1998, la decisione di Hafez al-Asad di espellere il leader del PKK Abdullah Ocalan dal territorio siriano che lo ospitava e forniva protezione ormai da due decenni: A. Makovsky,

Turkish-Israeli ties in the context of Turkish-Israeli-Arab tension, in “The Washington Institute policy analysis”, Policywatch 502,

10 Novembre 2000. http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/turkish-israeli-ties-in-the-context-of-israeli-arab-tension ; il 20 ottobre 1998, ratificando gli Accordi di Adana, la Siria riconobbe il PKK come un'organizzazione terroristica e si impegnò ad arrestare qualsiasi ulteriore forma di aiuto nei confronti della stessa: Ö. Zeynep Oktav (a cura di), Turkey in the 21st century: quest for a new foreign policy, Farnham, Ashgate publishing, 2011, p. 15 ; Ocalan sarebbe poi stato arrestato da agenti turchi nella capitale del Kenya Nairobi, dove il leader curdo stava cercando asilo dopo l'espulsione dalla Siria: A. Zaman, Turkey celebrates capture of Ocalan, in

“The Washington Post”, 18 febbraio 1999

http://www.washingtonpost.com/wp-srv/inatl/daily/feb99/ocalanturkey18.htm ; pare che i turchi abbiano ricevuto sostegno e aiuto decisivi dai colleghi israeliani del Mosssad: T. Karon, Behind Ocalan's capture: deceit, abduction – and the Mossad?, in “Time”, 17 febbraio 1999 http://content.time.com/time/arts/article/0,8599,20031,00.html

50 La Turchia ha fatto domanda di adesione all'Unione il 1° aprile 1987; solo nel dicembre 1997 essa è stata dichiarata Paese idoneo all'ingresso e nell'ottobre del 2005, finalmente, sono iniziati i negoziati di adesione, ancora adesso in corso di svolgimento: http://ec.europa.eu/enlargement/countries/detailed-country-information/turkey/index_en.htm

(13)

Tirando le fila, l'alleanza con Israele avrebbe risposto a una serie di esigenze particolarmente sentite da parte turca. Israele era innanzitutto il partner ideale con cui aggirare l'embargo di armi più o meno palese attuato da Stati Uniti ed Unione Europea, in quanto le sue forze armate disponevano di equipaggiamento sviluppato in larga parte dagli americani, quindi compatibili con quelle turche. Inoltre gli israeliani possedevano un know-how particolarmente elevato in termini di ricerca militare. Questi aspetti avrebbero garantito l'aggiornamento degli equipaggiamenti militari di origine americana in dotazione alle forze armate turche e promettevano interessanti sviluppi e joint-ventures nel campo dell'industria degli armamenti.

Oltre a quanto scritto, c'è da sottolineare un aspetto fondamentale che portava la Turchia ad accettare di buon grado l'aiuto israeliano al posto di quello americano ed europeo, ovvero il fatto che Israele, a differenza degli altri Paesi occidentali, non legava alcuna clausola particolare alla vendita di armi: infatti, gli Stati Uniti vincolavano i trasferimenti di materiale militare ad Ankara alla condizione che fossero mantenuti agli stessi livelli le forniture di armamenti di Grecia e Turchia, oppure al divieto di un loro utilizzo in violazione dei diritti umani. Inoltre ad Ankara si ritiene che tale accesso limitato alle armi americane sia dovuto in parte anche alle lobby filo-greche, filo-armene e filo-curde52.

La Turchia, insomma, con l'aiuto dello Stato ebraico poteva considerare garantito un approvvigionamento di armi e un effetto di spillover tecnologico senza però alcun fastidio aggiunto o condizione da rispettare l'embargo nella vendita di armi imposto da Stati Uniti e Paesi europei, preoccupati della possibile violazione turca dei diritti umani in relazione a come Ankara stava gestendo il problema dell'indipendentismo curdo53.

Israele costituiva uno stabile alleato (che più di una volta si era dimostrato positivamente interessato a legarsi alla Turchia), nell'ambito di un Medio Oriente in cui si affacciavano nuove e inedite minacce per Ankara (la Siria che dava rifugio e assistenza ai miliziani del PKK, l'Iraq che, pur sconfitto, disponeva di missili a medio raggio e armi non convenzionali e l'Iran che rappresentava una minaccia ideologica da non sottovalutare).

Infine, come collanti tra Turchia e Israele potevano essere citate notevoli affinità ideologiche: entrambi i Paesi guardavano a occidente e si pensavano i custodi e gli unici veri interpreti ed esempi della democrazia e del secolarismo in Medio Oriente54.

Dal punto di vista di Israele le cose erano assai cambiate negli anni '90 rispetto agli anni '50 e, tutto sommato, non certo in negativo. Basti pensare al processo di pace avviato non solo con l'OLP, ma

52 C. Migdalovitz, Israeli-Turkish Relations, in “Congressional Research Service, Foreign Affairs and National Defence Division”, 17 luglio 1998: http://congressionalresearch.com/98-633/document.php?study=ISRAELI-TURKISH+RELATIONS.

53 Cfr. O. Bengio, op. cit., p. 113. Le politiche arbitrarie e assimilazioniste portate avanti da Ankara nei confronti dei curdi arrivano perfino, nel 1983, all'introduzione del divieto di parlare curdo in pubblico: L. Nocera, op. cit., p. 90. 54 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 86-88.

(14)

anche con Stati confinanti e importanti attori regionali quali Giordania e Siria; inoltre, il pericolo sovietico e l'ostracismo proveniente dal blocco comunista erano venuti meno. Per contro, il rapporto quasi embrionale di Israele con gli Stati Uniti aveva subito diversi contraccolpi in seguito all'operazione Desert Storm: in quell'occasione Washington era stata capace di esercitare la sua piena autorità e raccogliere frutti molto positivi (come il sostegno di Stati come Egitto, Siria, Arabia Saudita) proprio grazie al fatto di aver messo in un angolo Israele, vincolato al non intervento (e costretto a stare a guardare anche dopo il ricevimento di decine di missili Scud sul proprio territorio da parte di Saddam) per non sfasciare la precaria alleanza anti-Iraq. L'operazione Desert Storm aveva quindi dimostrato che Israele, più che un asset, poteva rivelarsi un peso e un alleato a volte troppo ingombrante per gli Stati Uniti. Per Tel Aviv quindi l'alleanza con la Turchia degli anni '90 era mirata a recuperare quel peso politico e strategico che la fine del bipolarismo (e, ancora prima, il passaggio dell'Egitto a posizioni filo-occidentali) avevano messo in discussione, portando a una marginalizzazione che era in netto contrasto rispetto al recente passato in cui Israele aveva svolto la funzione di bastione della democrazia e dell'occidente in un Medio Oriente. Altro obiettivo era sicuramente quello di controbilanciare il radicalismo di tre Paesi vicini come Siria (con la quale le trattative di pace non sono mai andate a buon fine), Iraq e Iran; legarsi ad Ankara avrebbe poi garantito a Israele quella profondità strategica che il processo di pace (con le annesse previsioni di perdite territoriali) sembrava presagire. Da non sottovalutare, infine, l'apporto che la Turchia avrebbe potuto garantire a Israele, in termini di promozione dell'immagine, nei confronti degli Stati musulmani moderati e degli Stati centroasiatici di nuova formazione55.

Dopo il ripristino delle piene relazioni diplomatiche (avvenuto alla fine del 1991), una seconda simbolica avvisaglia della futura alleanza fu, nel luglio 1992, la visita (seppur non si trattasse di visita di Stato) del presidente israeliano Ezer Weizmann in Turchia, in occasione della commemorazione del cinquecentenario dell'arrivo dei primi ebrei nell'Impero Ottomano dopo la loro espulsione dal reame di Spagna avvenuta, appunto, nel 1492. Tale visita viene ricordata da parte israeliana come molto cordiale, positiva e produttiva, un momento in cui vennero coltivati rapporti che avrebbero portato in poco tempo i loro frutti. Addirittura, secondo il ministro degli interni turco dell'epoca, la cooperazione tra Turchia e Israele sul piano dell'intelligence fu attivata già dal 1992, in chiave di aiuto al contrasto del traffico di droga, terrorismo (con un occhio speciale al PKK)56 e al crimine organizzato. Grazie a tale cooperazione l'esercito turco si sarebbe potuto

55 ivi, pp. 95-96.

56 Nei confronti del PKK, lo Stato ebraico aveva una tradizione di sostegno, ideologicamente basata sulle stesse solide fondamenta delle alleanze periferiche, ovvero la volontà di allearsi con minoranze non arabe in Medio Oriente. Se tale sostegno ben si sposava con la decennale ostilità tra Israele e l'Iraq (che ospitava un'ampia fetta di territorio rivendicato dai curdi), esso invece diventava un intralcio nel momento in cui si cercava di intavolare un'alleanza con la Turchia che il PKK lo combatteva armi in pugno. Nel corso degli anni '90 da parte israeliana si dovette quindi accettare l'inevitabilità dello scaricamento della lotta curda, anche a costo di aprire un nuovo fronte di terrorismo e attentati in territorio israeliano. Fu soprattutto Netanyahu che ruppe il tradizionale sostegno israeliano ai curdi, con la finalità di rimuovere un ostacolo all'ulteriore sviluppo dei rapporti con la Turchia, giudicati più

(15)

giovare di equipaggiamenti più efficaci nella sua lotta contro l'indipendentismo curdo fino ad arrivare alla cattura del leader del PKK, Abdullah Ochalan, nel 1999 e avrebbe adottato un sistema di controllo e difesa delle proprie frontiere con l'Iraq simile a quello messo a punto dagli israeliani lungo i propri confini57.

Il 1992 fu un anno di svolta anche dal punto di vista della cooperazione militare. Come era accaduto anche verso la metà degli anni '80, nel 1992, su iniziativa sempre di Itzhak Rabin (adesso primo ministro) e di David Ivri (direttore generale del ministero della difesa), venne siglato un accordo di collaborazione tra le industrie degli armamenti di Israele e Turchia, seguito l'anno dopo da una serie di incontri tra alti ufficiali degli eserciti di entrambi i Paesi i cui dettagli risultano ancora secretati. Nell'aprile del 1994, per la prima volta dal 1980, venne nominato un attaché militare israeliano ad Ankara, scelto nella persona di Beni Sheffer, comandante di uno squadrone dell'aeronautica militare; sempre nel 1994 (con un accordo preliminare che stabiliva le regole sulla sicurezza e confidenzialità) e all'inizio del 1995 (con la conclusione di un memorandum di intesa sull'addestramento dei piloti di entrambi i Paesi) si gettarono le basi definitive per l'alleanza del 199658. Nell'aprile del 1996 una squadriglia di otto caccia F-16 israeliani effettuò il proprio addestramento nello spazio aereo turco, atto di amicizia ricambiato dal permesso concesso a dodici aerei della aeronautica militare turca di entrare nello spazio aereo israeliano59. Infine, il 23 febbraio 1996, si arrivò alla firma del primo accordo militare,

«concluso per una durata di cinque anni e in seguito rinnovabile annualmente: esso apriva la strada a visite reciproche di personale militare, esercitazioni congiunte, invio di osservatori per supervisionare le esercitazioni dell'alleato, scambi di personale e acquisizione di know-how militare; esso anticipava e prevedeva, inoltre, visite reciproche ed esercitazioni congiunte delle due aeronautiche e marine militari. Contestualmente, l'accordo sottolineava che, nel caso in cui i soldati di uno dei due Paesi firmatari si fossero trovati sul territorio dell'altro Stato, essi non sarebbero stati coinvolti nelle ostilità che interessassero tale altro Stato con una terza parte.

Le esercitazioni delle due forze aeree, della durata di una settimana ciascuna, si sarebbero tenute otto volte all'alto, quattro volte in Turchia e quattro in Israele»60

Una tale intesa con la Turchia era geostrategicamente importante perché rappresentava l'introduzione di un forte elemento e preoccupazione per i decisori politico-militari di Teheran e Damasco: sul piano più strettamente pratico e operativo, Israele ne guadagnava in profondità strategica e imprevedibilità, in quanto avrebbe potuto sfruttare un corridoio e basi di emergenza sicure nel caso di un attacco aereo contro l'Iran e il nord della Siria. Proprio in chiave antisiriana

importanti: Cfr. A. Nachmani, The remarkable turkish-israeli tie, in Middle East Quarterly, giugno 1998, p. 1. 57 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 105-106.

58 Cfr. A. Serdar Erdurmaz, op. cit. 59 C. Migdalovitz, op. cit.

(16)

l'accordo appena raggiunto con la Turchia donava a quest'ultima lo stesso ruolo avuto in occasione dell'operazione Desert Storm contro l'Iraq nel 1991, permettendo di distrarre le truppe siriane e creare un accerchiamento tale da scoraggiare qualsiasi decisione di attacco che potesse maturare a Damasco nei confronti di Israele; in chiave antiiraniana, assumeva importanza il carattere montagnoso della Turchia (dove si sarebbero tenute regolarmente quattro esercitazioni militari l'anno). Chiaramente le esercitazioni aeree congiunte avrebbero permesso ai piloti israeliani di familiarizzare con scenari di combattimento e attacco in contesti morfologicamente molto simili a quelli che essi si sarebbero potuti aspettare nel caso di un attacco all'Iran61. Addirittura, a disposizione dei piloti israeliani venne messa una base non più utilizzata dall'aeronautica militare turca; i piloti di Ankara, invece, si sarebbero addestrati nel deserto del Negev62. A tale accordo di febbraio ne seguì a stretto giro di posta un altro, nell'agosto 1996, siglato tra le industrie degli armamenti di entrambi i Paesi. Il pezzo forte dell'operazione era il contratto di aggiornamento (dell'ammontare di 900 milioni di dollari) di 54 caccia F-4 Phantom e di 48 F-5S ormai obsoleti63; la cooperazione si estendeva all'offerta di fornitura di carri armati Merkava (prima volta nella storia di Israele)64, all'aggiornamento dei carri armati turchi di fabbricazione americana “Patton” con un nuovo cannone, nuovi motori e sistemi di controllo rivisti, per spingersi fino a progetti congiunti nel campo missilistico65 e di difesa antimissile66 e in quello nascente del velivoli senza pilota67; l'unico settore relativamente al quale cui gli interlocutori israeliani si dimostrarono impenetrabili e in cui nessuna conoscenza venne condivisa fu quello del nucleare, da sempre un tabù in Israele68. Per quanto riguarda l'aggiornamento di 170 carri M-60A1 Patton ormai obsoleti in dotazione alla Turchia si dovettero invece attendere altri anni di trattative che si conclusero solo il 29 marzo 2002 con un accordo segreto; l'attesa si rivelò necessaria a definire i termini dell'intesa e soprattutto

61 Cfr. M. Eisenstadt, Turkish-Israeli Military Cooperation: An Assessment, in “The Washington Institute's Policywatch 262”, 24 luglio 1997.

62 Il memorandum di intesa che previde l'introduzione delle suddette esercitazioni aeree congiunte venne firmato il 18 settembre 1995: Cfr. O. Bengio, op. cit., p. 112.

63 L'ammodernamento degli F-4 fu il più grande contratto per le forze armate israeliane con un'aviazione straniera; quello degli F-5 fu affidato a un consorzio Israele-Singapore: Cfr. E.Inbar, The strategic glue in the israeli-turkish

alignment, in B. Rubin, K. Kirisci (a cura di), Turkey and its world: the emergence of a regional power, Boulder

CO, Lynne Rienner, 2000 ; nel marzo del 1999 fu riconsegnato alla Turchia dopo l'aggiornamento il primo gruppo di caccia F-4 : Cfr. M. J. Gething, First Modernized F4E re-delivered to Turkey, in “Jane's Defense Upgrade 3” (12 marzo 1999).

64 C. Migdalowitz, op. cit.: http://congressionalresearch.com/98-633/document.php?study=ISRAELI-TURKISH+RELATIONS.

65 Si tratta dei progetti congiunti per la produzione dei missili aria-terra Popeye 1 e Popeye 2 siglati nell'agosto 1996 e 1997 del valore di 150 e 200 milioni rispettivamente: E. Athanassopoulou, Israeli-Turkish security ties: regional

reactions, Jerusalem, The Hebrew University, 2001, p. 3.

66 Gli israeliani erano infatti gli unici, insieme a statunitensi e russi, a sviluppare un sistema antimissile proprio, chiamato Arrow: Cfr. O. Bengio, op. cit., p. 114. Parallelamente, la Turchia era interessata a acquisire mezzi conoscenza nel settore della difesa antimissilistica a causa del timore che gli Stati vicini mediorientali, ovvero Siria, Iraq e Iran, potessero lanciare attacchi contro il territorio turco attraverso i propri arsenali di missili terra-terra, che si sosteneva capaci di trasportare testate non convenzionali: K. Kirisci, Post Cold-War Turkish Security and the

Middle East, in “Middle East Review of International Affairs (MERIA) Journal”, vol. 1, n. 2, pag. 3.

67 Cfr. A. Nachmani, op.cit., p. 6. 68 Cfr. O. Bengio, op. cit., p. 115.

(17)

abbassare il prezzo iniziale di un miliardo di dollari posto dagli israeliani fino a scendere alla cifra finale di 668 milioni di dollari69. Tale contratto costituisce un caso emblematico e dimostra la stretta connessione tra cooperazione militare e più in generale economica instauratasi tra i due Paesi a partire dagli anni '90. Esso infatti fu legato per volontà della Turchia come compensazione alla fornitura a Israele di 50 milioni di metri cubi di acqua potabile all'anno per venti anni, inviata attraverso cisterne verso i porti israeliani, scambio al quale Gerusalemme aderì nonostante il prezzo pagato ad Ankara fosse doppio rispetto alla desalinizzazione interna dell'acqua di mare70.

Nel biennio 1996-1997 si assistette a una serie di visite reciproche ai massimi livelli civili e militari, iniziate da quella semi-ufficiale del vice capo di Stato maggiore israeliano, il generale Matan Vilna'i, del 3 giugno 1996, visita restituita dal capo di stato maggiore turco Ismail Hakki Karadayi nel febbraio del 1997 e dal ministro turco della Difesa Turhan Tayan nel maggio 1997, per proseguire con i quattro giorni di visita ufficiale ad Ankara del capo di Stato maggiore israeliano Amnon Lipkin-Shahak nell'ottobre del 1997 e, nel dicembre dello stesso anno, del ministro della Difesa Yitzhak Mordechai. Tali visite vennero implementate dallo stabilimento di regolari dialoghi strategici tra i vertici militari di entrambi i Paesi, finalizzati ad analizzare le minacce comuni ed elaborare risposte congiunte ed efficaci71. Le due Marine militari videro l'approfondimento dei rapporti reciprochi, evidenziato dalle esercitazioni navali congiunte che, a partire dal 1998, assunsero candenza annuale. Ultimo ramo dei due eserciti ad allacciare rapporti di un certo rilievo furono le due forze terrestri, ritardo addebitabile a una maggiore chiusura nei confronti dell'alleanza militare che caratterizzava l'esercito turco72.

Ai pur predominanti accordi militari si aggiunsero ben presto anche intese commerciali non di poco conto, prima fra tutte l'istituzione di una zona di libero scambio libera da dazi doganali di importazione ed esportazione tra i due Paesi, siglata nel marzo del 1996 ed entrata in vigore il 1°

69 L'attesa fu giustificata anche da una clausola inclusa dai turchi nel e ritenuta vincolante ai fini della concessione a Israele del contratto di ammodernamento, ovvero l'acquisto di acqua potabile dalla Turchia da parte di Israele. Nel marzo del 2002, dopo anni di siccità e, fatto ancora più importante, per via della volontà israeliana di concludere l'accordo sui carri armati, il primo ministro israeliano Sharon diede finalmente il suo consenso a velocizzare e finalizzare l'acquisto di acqua dalla Turchia, nei termini di 50-100 milioni di metri cubi l'anno, corrispondenti al 2,5% del fabbisogno israeliano: ivi, pp. 115-117.

70 J. Vidal, Israeli 'water for arms' deal with Turkey, in “The Guardian”, 6 gennaio 2014:

http://www.theguardian.com/world/2004/jan/06/turkey.israel L'accordo, raggiunto nel 2004, nel 2005 è stato annullato per via del prezzo troppo elevato del trasporto via navi- cisterna, sostituito dallo studio di una soluzione basata su condotti via terra: Turkey-Israel water transfer still in the pipeline, in “Global Water Intelligence”, vol. 8, n. 11, novembre 2007: http://www.globalwaterintel.com/archive/8/11/general/turkey-israel-water-transfer-still-in-the-pipeline.html ; nel 2010, in seguito all'incidente della Freedom Flotilla, la fornitura di acqua è stata sospesa unilateralmente dalla Turchia, senza che il trasferimento sia apparentemente mai cominciato, né via mare tramite cisterne né via terra tramite condotti: G. Grimland, Turkey halts all state energy and water projects with Israel, in “Haaretz”, 4 giugno 2010: http://www.haaretz.com/print-edition/business/turkey-halts-all-state-energy-and-water-projects-with-israel-1.294131 ; sono ricominciati, nell'autunno del 2013, degli studi di fattibilità su una serie di condotti chiamati Mediterranean Pipeline Project che dovrebbero collegare Turchia ed Israele e trasportare acqua, gas, petrolio, elettricità e fibra ottica: Turkey-Israel agree to start works on pipeline project, in “Hurriyet Daily News”, 21 marzo 2014: http://www.hurriyet.com.tr/english/finance/9460948.asp

71 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 111-112 72 ivi, p. 113.

(18)

maggio 199773. A questo accordo ne seguirono molti altri nei settori più svariati, tra cui quello delle telecomunicazioni, servizi postali, sanitari e farmaceutici, trasporti, energia, turismo, agricoltura, educazione74.

Ancora una volta, come era avvenuto negli anni '50, in Turchia fu l'esercito (e soprattutto l'aviazione) il catalizzatore dell'intesa, nello specifico nelle figure del capo di Stato maggiore, del suo vice e dei comandanti di marina e aeronautica militare; c'è tuttavia da dire che, diversamente dal passato, sia il Primo ministro turco dell'epoca (Tansu Çiller, la prima e, per ora, unica donna ad

avere ricoperto tale carica in Turchia) che il suo ministro degli esteri (Hikmet Çetin) appoggiarono

l'operazione75, che arrivò quindi al suo esito positivo proprio prima dell'avvento al governo del Paese, il 28 giugno 1996 del Partito del benessere (Refah) di ispirazione islamica, guidato da Necmettin Erbakan. Il nuovo Primo ministro, in netto contrasto con il clima di cordialità e scambio che si era instaurato dal punto di vista militare tra i due Paesi, iniziò subito il suo mandato con un piede diverso nei confronti di Israele, ignorando la lettera di congratulazioni inviatagli dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu76: del resto non ci si sarebbe potuti aspettare un inizio diverso da parte di un uomo politico che aveva promesso in campagna elettorale di abolire i recenti accordi militari conclusi con Gerusalemme. Erbakan, che in passato era stato bandito ben due volte dalla vita politica durante il regime dei militari, si faceva portatore della creazione di una versione islamica della Nato, delle Nazioni Unite, di un mercato comune islamico e di un gruppo dei primi otto Paesi musulmani in termini di sviluppo industriale per contrastare il G-777. In realtà, durante il suo mandato, Erbakan nulla poté per cambiare di una virgola la neonata alleanza con Israele, tanto da dover ingoiare (quando già era al governo) l'accordo dell'agosto 1996 che prevedeva l'aggiornamento degli F-4 e F-5S turchi per opera degli israeliani e soccombendo alla volontà dell'esercito, che, nel gioco di potere interno turco, deteneva le leve più importanti78.

L'alleanza militare con la Turchia era un chiaro segnale di Israele versi i propri vicini e avversari arabi e ne aumentò fin da subito la deterrenza, contro la Siria innanzitutto, che veniva ad essere accerchiata da ben due Stati rivali nei suoi confronti e alleati tra loro, ma anche contro i possibili attacchi – convenzionali o meno – da parte di Iraq e Iran, vista la concessione di sorvolo dello spazio aereo turco nonché la possibilità per i sottomarini nucleari israeliani di trovare riparo nei porti militari di Ankara a implementazione della cosiddetta “second strike capability”. Anche l'Egitto, nonostante il trattato di pace in vigore con Israele, guardava con diffidenza alla nuova partnership turco-israeliana, anche per via della propria impotenza a causa della predominanza

73 http://www.economy.gov.tr/index.cfm?sayfa=tradeagreements&bolum=fta&country=IL&region=0

74 Cfr. E. Guvendiren, A Concise Report on Turkish-Israeli Relationship, Istanbul, Foreign Economic Board of Turkey, 1999.

75 Cfr. O. Bengio, op. cit., pp. 106-108. 76 Cfr. K. Kirişci, op. cit.

77 G.A. Burris, Turkey-Israel: speed bumps, in The Middle East Quarterly, vol. 10, n. 4, autunno 2003, pp. 67-80. 78 Cfr. A. Makovsky, How to deal with Erbakan, in The Middle East Quarterly, vol. 4, n.1, marzo 1997.

(19)

regionale ormai persa e visti i problemi economici interni che ne minavano le ambizioni regionali. Pure per l'Iraq le possibili conseguenze erano poco incoraggianti, in quanto a Baghdad si temevano l'espansionismo e la volontà storica di Ankara di annettere al proprio territorio la regione ricca di campi petroliferi di Mosul79. Aperte reazioni di biasimo provenienti dal mondo arabo non si fecero mancare, a cominciare da un comunicato uscito dal summit della Lega araba del Cairo del giugno 1996, in cui si esprimeva preoccupazione e si invitava la Turchia a riconsiderare seriamente l'alleanza con Israele al fine di prevenire ogni futura infrazione dei diritti degli arabi80. All'interno della vasta platea di Paesi arabi, pur con delle sfaccettature a seconda dei Paesi, i toni furono generalmente allarmati, per cui quella appena conclusosi veniva definita come un'alleanza molto pericolosa per la nazione islamica e la stabilità della regione e un grave atto provocatorio. Ovviamente l'abbinamento tra l'alleanza con il nemico sionista e un ruolo più assertivo di Ankara in Medio Oriente non poteva che spaventare i governi arabi della regione: d'altronde la Turchia aveva alle spalle un passato coloniale e imperiale secolare storicamente assai mal digerito dagli arabi e l'attivismo di quei primi anni '90 evocava foschi presagi, venendo etichettato direttamente come “neo-ottomanesimo”81. Come conseguenza della alleanza militare tra Ankara e Gerusalemme si assistette nei mesi e negli anni successivi a un significativo disgelo delle ostilità reciproche tra molti Stati arabi: la Siria si riavvicinò (separatamente) con Iraq e Iran, l'Egitto con la Siria e, significativamente, l'Iran82. Tale timido processo di riconciliazione inter-araba non portò tuttavia a una contro-alleanza in chiave anti-turca e anti-israeliana in quanto non si riuscirono comunque a superare gli attriti che da almeno un decennio caratterizzavano i rapporti tra Iran e Iraq, essendo troppo recente la guerra quasi decennale che li aveva interessati; l'Egitto, inoltre, non aveva interesse a spingersi troppo in avanti e andare allo scontro con Israele e Turchia, timoroso di perdere gli aiuti militari ed economici americani dai quali la sua economia e il suo esercito dipendevano; diverso il discorso per la Giordania, che accettò di buon grado l'intesa turco-israeliana, in virtù dei buoni rapporti che intratteneva già da decenni con Israele (poi finalizzatisi nel trattato di pace siglato nel 1994) e con la Turchia stessa, cercando allo stesso tempo di ammorbidire la posizione araba verso i due Paesi in questione: a sostegno di questo negli anni '90 si vide inoltre un progressivo intensificarsi dei rapporti a livello militare e di intelligence tra gli eserciti e i servizi segreti di questi tre Paesi, a ulteriore dimostrazione dell'estraneità della monarchia ashemita dal clima di ostilità contro lo Stato ebraico predominante nella regione83.

79 Cfr. E. Inbar, Regional implications of the israeli-turkish strategic partnership, in Middle East Review of International Affairs, Vol. 5, No. 2, Herzliya, 2001, p. 54.

80 http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/B3E70BB64C50472C8525636900474283 81 Cfr. E. Inbar, op. cit., p. 53.

82 Egitto ed Iran non avevano più relazioni diplomatiche da quando Khomeyni aveva richiamato in patria l'ambasciatore al Cairo in seguito alla firma da parte di Sadat della pace con Israele: Iran appoints ambassador to

Egypt, first in 30 years , in “Reuters”, 19 aprile 2011: http://www.reuters.com/article/2011/04/19/ozatp-iran-egypt-ambassador-idAFJOE73I00420110419

(20)

Gli anni '2000 e il nuovo declino dei rapporti

Nonostante l'entusiasmo che aveva contraddistinto i rapporti reciproci durante gli anni '90, con il primo decennio degli anni '2000 si assisté invece ad un progressivo deterioramento dei rapporti tra Turchia e Israele. Il fallimento del summit di Camp David del 2000, seguito dalla provocatoria visita di Sharon (considerato dai palestinesi, e non solo, il “macellaio di Shabra e Shatila”)84 alla Spianata della Moschea, nella città vecchia di Gerusalemme che fece da detonatore alla Seconda Intifada e, infine, dall'elezione di Sharon stesso a primo ministro di Israele nel febbraio 200185, furono i primi passi di questo cammino discendente. Forti del processo di pace tra israeliani e palestinesi, durante gli anni '90 i leader (militari) turchi avevano avuto buon gioco giustificare di fronte alla propria opinione pubblica e ai governi e le masse mediorientali lo stretto legame con Gerusalemme. All'inizio degli anni '2000, invece, il processo di pace segnò il passo e, anzi, si interruppe bruscamente sfociando in una dura rivolta palestinese segnata da gravi e ripetuti attentati terroristici spesso in luoghi pubblici altamente frequentati da civili inermi e in sanguinose risposte militari da parte israeliana con un numero ancora più alto di vittime, sia miliziani che civili. Da parte turca, quindi, cominciarono a cambiare i toni e gli atteggiamenti nei confronti di Israele. Nel novembre del 2002, in seguito alla ampia vittoria alle elezioni politiche86, arrivò al potere il partito di ispirazione musulmana AKP di Recep Tayyp Erdoğan dai cui ranghi si levarono ben presto aperte e forti condanne nei confronti di Israele: sulla scia dell'operazione militare in Cisgiordania denominata “Scudo difensivo” e delle voci circa il massacro che sarebbe avvenuto nel campo profughi di Jenin, alti ranghi dell'AKP non si fecero scrupoli a paragonare la condotta del primo ministro di Sharon nei confronti dei palestinesi a quella di un Hitler moderno; l'uccisione mirata del fondatore e leader spirituale di Hamas, Ahmed Yassin, portò Ergoğan a parlare di Israele come di uno Stato terrorista87. Anche dopo l'uscita di scena di Sharon, bloccato da un ictus nel 2006, i rapporti continuarono a logorarsi, punteggiati da numerosi episodi di tensione quali il rifiuto di Erdoğan di incontrare il primo ministro israeliano Olmert preferendogli il corrispettivo siriano e la visita di una delegazione di Hamas in Turchia appena dopo la vittoria nelle elezioni amministrative nei territori palestinesi del febbraio 200688. La Turchia di Erdoğan, soprattutto dopo la seconda vittoria elettorale nel 2007, si fece fautrice di un sensibile cambio di impostazione in politica estera, segnato dai nuovi concetti guida quali la “profondità strategica” e “zero problemi con i vicini” (che

84 C. Henderlin, Storia del fallimento..., cit., p. 220.

85 Sharon vinse con la percentuale più alta mai registrata prima , ovvero il 62,39% contro il 37,61% di Barak: C. Henderlin, Storia del fallimento..., cit., p.274.

86 http://www.osce.org/odihr/elections/turkey/16346

87 S. Alpay, The Complexities of Turkey's Relationship with Israel, in Today's Zaman, 5 gennaio 2009.

88 Questa visita fece della Turchia il primo governo straniero ad accogliere una delegazione di Hamas dopo l'importante vittoria elettorale: Cfr. Ö. Tür, Turkey and Israel in the 2000s: from cooperation to conflict, in Israel Studies, vol. 17, n. 3, autunno 2012, pp. 45-66.

Riferimenti

Documenti correlati

41 Questa complessità aveva diviso il quadrante mediorientale in tre grosse aree (non necessariamente omogenee tra loro): 1) Israele e i paesi arabi moderati, cioè quelli

Nel corso del 1951 e fino alla fine dell’anno successivo, soltanto alcune sette protestanti assieme alla Wilfpf si fecero promotori delle proteste contro le armi atomiche

1.6 Dalla teoria dell’assimilazione alla realtà della stratificazione razziale Nella ricerca sulle relazioni etniche nel contesto americano le indagini che mettevano in luce i

non hanno dimostrato sufficiente serietà commerciale causando lamentele o proteste giustificate da parte degli operatori locali; non hanno osservato norme e regolamenti imposti dai

Le malattie tutelate dalla legislazione della Industrial Injuries Scheme sono tutte tabellate, e solo quelle sono riconosciute.. Non esiste in UK il concetto di lista aperta, come

variazione del contributo. Non  è ammissibile l'effettuazione di attività all'estero 

Grazie alla sua influenza su una parte degli stati arabi – ora però di fatto quasi solo sulla Siria di Assad - la Russia, è parte, insieme all’Onu, all’Ue e agli Stati Uniti,

“Mi dispiace per le persone che pensano che il detersivo per i piatti o i vetri o le bottiglie della coca cola siano brutti, perché sono circondate da cose come queste tutto il