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1.1 ax 2 + bx + c = 0 . . . . 3

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Indice

1 Breve storia delle notazioni 3

1.1 ax 2 + bx + c = 0 . . . . 3

2 Meno per meno fa pi` u 15 2.1 I numeri negativi . . . . 17

2.2 Compensazioni . . . . 27

2.3 Una singolarit` a: Gottfried Wilhelm Leibniz . . . . 39

2.4 Il ruolo dello zero . . . . 41

2.5 Una proporzione “terribile” . . . . 48

2.6 Il carattere convenzionale della regola . . . . 53

2.7 Abbasso il segno -! . . . . 56

2.8 Il principio di permanenza delle propriet` a formali . . . . 61

2.9 Regola dei segni senza numeri negativi . . . . 69

2.10 Analogie con la regola dei segni . . . . 71

3 Problemi di secondo grado 79 3.1 Euclide e l’algebra che non c’`e . . . . 79

3.2 Il Libro X degli Elementi . . . . 84

3.3 Le equazioni di secondo grado attraverso la storia . . . . 86

4 Equazioni di terzo e quarto grado 103 4.1 Problemi di terzo grado nella matematica greca . . . 103

4.2 Problemi di terzo grado in Diofanto . . . 105

4.3 Problemi di terzo grado in Omar Khayyam ed in matematici arabi106 4.4 Problemi di terzo grado nel Medioevo . . . 110

4.5 La formula risolutiva delle equazioni di terzo grado . . . 113

4.6 Bombelli e la nascita dei numeri complessi . . . 119

4.7 Equazioni di quarto grado . . . 124

4.8 Appendice I . . . 127

4.9 Appendice II . . . 130

4.10 Appendice III . . . 131

1

(2)

5 Vi` ete e Descartes 135

5.1 Introduzione . . . 135

5.2 Il metodo di Vi`ete . . . 136

5.3 Soluzioni trigonometriche di equazioni algebriche . . . 142

5.4 Risoluzione numerica delle equazioni algebriche in Vi`ete . . . 144

5.5 Le Formule di Vi`ete-Girard . . . 145

5.6 L’algebra in Cartesio . . . 149

5.7 Storia della regola dei segni di Cartesio . . . 153

6 Il teorema fondamentale dell’algebra 165 6.1 Le prime formulazioni . . . 165

6.2 Un problema di analisi . . . 168

6.3 Eulero e il TFA . . . 171

6.4 D’Alembert ed il TFA . . . 176

6.5 La prima dimostrazione di Gauss . . . 179

6.6 La terza dimostrazione di Gauss . . . 185

7 Metodi generali di risoluzione: Lagrange e Vandermonde 191 7.1 Lagrange e la risoluzione algebrica delle equazioni . . . 191

7.2 Il metodo di Tschirnhaus . . . 197

7.3 La risolvente di Lagrange . . . 199

7.4 Vandermonde e le equazioni ciclotomiche . . . 201

7.5 Appendice I . . . 206

7.6 Appendice II . . . 207

8 Il teorema di Ruffini-Abel 211 8.1 Paolo Ruffini e la risolubilit` a delle equazioni algebriche . . . 211

8.2 Cronaca delle dimostrazioni di Ruffini . . . 213

8.3 Schema della dimostrazione del 1813 . . . 215

9 L’opera di ´ Evariste Galois 223 9.1 Galois tra realt` a e mito . . . 223

9.2 Opere minori di Galois . . . 227

9.3 Struttura della M´emoire di Galois . . . 232

10 La trasformazione di Bring e Jerrard 253

(3)

Capitolo 1

Breve storia delle notazioni

1.1 ax 2 + bx + c = 0

Il titolo un po’ criptico di questa sezione serve a mettere in luce un aspetto forse sottovalutato: l’importanza di un’adeguata notazione nello sviluppo di un settore della matematica. La storia delle equazioni algebriche `e una palestra ricca di spunti perch´e permette di studiare l’evoluzione di notazioni che oggi sono divenute a tutti familiari. ` E forse questo il momento per richiamare una celebre distinzione in tre fasi dello sviluppo dell’algebra, dovuta al matematico ed orientalista tedesco Georg Heinrich Ferdinand Nesselman (1811-1881) che divideva l’algebra in retorica, sincopata e simbolica a seconda che le equazioni fossero descritte verbalmente (algebra retorica), attraverso il ricorso ad opportu- ne abbreviazioni (algebra sincopata) o, infine, con l’impiego di simboli (algebra simbolica). Queste tre tappe non descrivono un processo storico lineare: Nes- selmann colloca nell’alveo dell’algebra retorica gli arabi e gli algebristi italiani operanti dal XII al XVI secolo mentre colloca Diofanto a livello dell’algebra sincopata, bench´e vissuto molti secoli prima degli algebristi retorici menzionati sopra; inoltre gli indiani sono collocati come esponenti dell’algebra simbolica, affermazione contestata da L´eon Rodet nel 1881 con l’opera Sur les Notations Num´eriques et Alg´ebriques ant´erieurement au XVI e Si`ecle. Per Rodet, alla com- pletezza delle notazioni indiane mancano, per poter essere mes sa in parallelo con la nostra, due cose fondamentali: dei simboli speciali per le operazioni di- rette di somma e moltiplicazione, ed un modo di rappresentare i parametri che figurano con le variabili propriamente dette nelle nostre espressioni algebriche, alternativo alluso di numeri particolari 1 ([1], p.112). Egli a sua volta propose una classificazione dicotomica tra l’algebra delle abbreviazioni e dei numeri as- segnati e l’algebra simbolica, propriamente detta: Diofanto cadrebbe nel primo caso e la nascita dell’algebra moderna sarebbe avvenuta quando germin`o l’idea

1 manque, pour ˆ etre mise en parall` ele avec la nˆ otre, deux choses essentielles: des signes sp´ eciaux pour les deux op´ erations directes de l’addition e de la multiplication, et le moyenne de repr´ esenter autrement que par des nombres particuliers le param` etres qui entre, simultan´ ement aux variables proprement dites, dans nos expressions alg´ ebriques.

3

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di rappresentare i dati del problema in forma generale grazie ad un simbolo, di esprimere parimenti in forma simbolica ogni operazione con un segno speciale e di giungere in questo modo non solo a risolvere con maggior o minore sempli- cit` a un problema particolare ma di trovare formule che forniscono la risoluzione di tutti i problemi di un certo tipo e, permettendo di caratterizzare ogni tipo di problema, consentono di esprimere propriet` a generali di certe categorie di nu- meri, di certe famiglie di figure o a formulare le leggi di certe classi di fenomeni naturali. 2 (cfr. [1], p.113)

Si tratta di una posizione un po’ drastica che ho riportato qui per mostrare l’opportunit` a di discutere l’evoluzione delle notazioni algebriche. Un’equazione come ax 2 + bx + c = 0 pone diversi spunti di indagine storica per studiare

• l’origine e l’evoluzione dello 0;

• il segno di uguaglianza;

• i segni per le operazioni aritmetiche + e −;

• l’uso degli esponenti;

• il modo di indicare l’incognita dell’equazione;

• il modo in cui un’equazione viene scritta;

• la distinzione tra coefficienti letterali ed incognite e la possibilit`a di ab- bracciare in un solo caso infinite equazioni.

Senza pretesa di completezza, nel seguito daremo alcune informazioni per lo studio di questi temi, rimandando chi volesse ulteriori approfondimenti alla letteratura riportata in bibliografia. In particolare, molte delle osservazioni riportate in questo capitolo sono tratte dal I volume dell’importante A History of Mathematical Notations dello storico della matematica Florian Cajori [2] che, a pi` u di ottant’anni dalla pubblicazione, resta il riferimento indispensabile per chi `e interessato allo studio delle notazioni matematiche.

Anzitutto lo zero. Carl Boyer [3] osserv`o che quando si parla delle origini dello zero occorre precisare in quale senso tali origini siano ricercate. Si pu` o chiedere quando sia stato usato per primo un simbolo od un segno specifico per indicare una posizione vuota all’interno di un sistema di numerazione posiziona- le. In alternativa, si pu` o indagare l’origine del concetto di zero come classe nulla o assenza di una grandezza, ovvero studiare la distinzione tra l’idea filosofica di nulla e lo zero matematico. Infine si pu` o esaminare lo status dello zero come numero, soggetto alle regole delle operazioni artimetiche ordinarie.

2 de repr´ esenter les donn´ ees du probl` eme sous forme g´ en´ eral par un symbole, de symboliser

´

egalement les op´ erations chacune par une signe sp´ ecial, et d’arriver ainsi non plus ` a resoudre

avec plus ou moins de facilit´ e un probl` eme particulier, mais ` a trouver des formules donnant

la solution de tous les probl` emes d’une mˆ eme esp` ece, et, parce qu’elle servait ` a caract´ eriser

chaque espece de probl` eme, servant ` a exprimer les propri´ et´ es g´ en´ erales de certaines cat´ egories

des nombres, de certaines familles de figures, o` u a formuler les lois de certaines classes de

ph´ enom` enes naturels.

(5)

1.1. AX 2 + BX + C = 0 5

Affinch´e un simbolo per lo zero si renda necessario occorre che sia in uso un sistema di numerazione posizionale in una qualche base e tra le civilt`a antiche la civilt`a babilonese, che succedette a quella sumera, utilizzava un sistema di numerazione sessagesimale gi` a nel 2000 a.C [4]. Tuttavia, forse perch´e in un si- stema di questo tipo l’occorrenza di posti vuoti `e molto meno frequente rispetto al sistema decimale, non si trova traccia per lungo tempo di un simbolo speci- fico per lo zero che comparir` a nel periodo persiano. I babilonesi influenzarono l’astronomia greca e ne `e anche prova il fatto che questi adottarono uno sche- ma sessagesimale per la rappresentazione delle parti frazionarie di un numero.

L’occorrenza di una posizione vuota veniva segnalata dalla lettera omicron o, presumibilmente dall’iniziale della parola oιδεν, vuoto. Un simbolo lentiforme ad indicare posizioni vuote compare in iscrizioni Maya risalenti all’inizio dell’e- ra cristiana. I Maya adoperavano un sistema di numerazione in base venti. Il simbolo zero in un sistema decimale fu introdotto dagli indiani il cui ruolo nello sviluppo del sistema di numerazione che, per il tramite degli arabi, giunger`a in Europa, `e forse stato sopravvalutato [3]. In tutti questi esempi per`o il simbolo

`e volto ad indicare una posizione vuota ma non vi `e alcuna prova che testimo- ni l’uso dello zero come numero a s´e stante, disgiunto da altri numeri, su cui eseguire delle operazioni. Quanto al concetto di zero come vuoto o nulla, anche se vi sono stati tentativi di attribuirlo a Platone, il primo testo a recare traccia inequivoca del concetto di zero in questo senso `e la Fisica di Aristotele nella quale viene esposta la teoria secondo cui la velocit` a di un corpo `e inversamente proporzionale alla resistenza offerta dal mezzo in cui esso si muove. L’argomen- to per negare la plausibilit` a del vuoto `e che se questo esistesse un corpo vi si muoverebbe ad una velocit` a che supererebbe ogni rapporto e per corroborare l’assurdit`a dell’esistenza del vuoto Aristotele paragona questo moto ipotetico all’impossibilit`a di stabilire un rapporto tra zero ed un numero qualunque, allo stesso modo in cui non si pu` o dire che un segmento superi un punto, se non lo si vuole ammettere come formato da punti. Questo passo di Aristotele `e impor- tante perch´e mostra come Aristotele avesse chiara l’impossibilit`a di rapporti del tipo a/0. Tuttavia, il concetto di numero utilizzato dai Greci come pluralit`a di unit`a ne soffocava il respiro impedendo allo zero di raggiungere la dignit`a di nu- mero. Questo passo fu compiuto, non senza incertezze, dagli indiani i quali per`o avevano un concetto di numero non molto preciso, pur operando su quantit`a po- sitive, negative e sullo zero. In particolare, Varahamihira (505-587) afferm`o che il valore di una quantit` a non cambia se le si aggiunge o sottrae lo zero; nel 628 Brahmagupta (598-668) esprime correttamente le regole 0 × (±a) = 0, 0 × 0 = 0 e √

0 = 0 ma, mille anni dopo Aristotele, non `e sicuro sul valore da attribuire a

a/0 ed erroneamente ritiene che 0/0 = 0. Cinque secoli pi` u tardi, nel XII secolo,

Bhaskara (1114-1185) dir` a che la divisione di un numero per zero porta ad infi-

nito come risultato, anche se non `e preciso su questa nozione. La libert`a degli

indiani di operare su numeri positivi, negativi (la parola indiana per indicare un

numero positivo `e la stessa usata per indicare un bene od una propriet`a, mentre

quella per indicare un numero negativo si pu` o rendere con perdita o debito)

[5] o sullo zero non signific` o l’accettazione di radici negative di un’equazione e

tale atteggiamento pass` o in eredit` a agli arabi e di riflesso agli europei che per

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molto tempo non ritennero accettabili come radici di equazioni n´e lo zero n´e numeri negativi. Soluzioni negative compaiono in problemi risolti da Leonardo Pisano (Fibonacci, 1170-1250) e presenti nel Liber Abaci (1202), nel Flos (1225) e nella Epistola ad Theodorum (1225 ca.): qui troviamo problemi di natura com- merciale di cui si afferma l’insolubilit` a a meno di non ammettere la possibilit` a di debiti: pertanto il problema sarebbe insolubile, a meno di ammettere che il primo abbia un debito 3 [6]; (si veda [5], p.129 per una affermazione simile conte- nuta nel Flos). Un autore che accetter` a soluzioni negative senza esitazioni sar` a Albert Girard (1590-1633) [8] nella Inv´ention Nouvelle en L’alg`ebre pubblicata nel 1629 ma la distinzione tra radici vere e false di un’equazione rester`a ancora per un po’ di tempo, come vedremo pi` u avanti.

Verso la fine del XV secolo, nella Triparty di Nicolas Chuquet (1445-1488) del 1484 ma rimasta inedita per quasi quattro secoli, si parla dello zero dicendo che non vale o significa nulla.... e per questo motivo viene detto cifra, nulla o numero di nessun valore. 4 ([3], p. 329)

Chuquet fu anche il primo ad usare lo zero come esponente, inaugurando un uso che sar` a continuato nei testi di algebra del XVI secolo, come l’Arithmetica Integra di Michael Stifel (1486(7)-1567) pubblicata nel 1544 dove lo zero viene utilizzato come coefficiente di un monomio che non figura in un polinomio, come in questo esempio: x 3 + 1 = x 3 + 0x 2 + 0x + 1. Per chiudere, diciamo qualcosa sulla parola zero. Le origini qui sono meno controverse in quanto il termine sunya (vuoto) impiegato dagli indiani fu mutato nell’arabo sifr che giunse in Europa tramite i maestri d’abaco italiani, primo fra tutti Fibonacci, che lo rese con zefira da cui cifra e zero discesero e si diffusero in Europa.

Quanto al segno di uguaglianza, si pu` o dire che fin dal papiro egizio di Ahmes (1550 a.C. circa) contenente un’equazione di primo grado si trovi un simbolo per indicare la locuzione uguale a. Tra i greci Diofanto utilizz`o il simbolo i σ , deformato in una h rovesciata da copisti successivi. In ambiente indiano, nel manoscritto Bakhshali 5 l’abbreviazione pha della parola phala assolve il ruolo di simbolo di uguaglianza mentre tra gli arabi, Al-Qalasˆadˆı si serv`ı di un sim- bolo simile a quello di Diofanto. Venendo nell’Europa del XV secolo troviamo Johann M¨ uller (Regiomontano, 1436-1476) e Luca Pacioli (1445-1517) utilizza- re una lineetta − come simbolo di uguaglianza. Quest’ultimo nella Summa de arithmetica geometria proportioni et proportionalita del 1494 utilizz`o lo stesso simbolo con diversi altri significati ma l’uso della linea come simbolo di ugua- glianza `e presente in altri testi di poco posteriori, come la Pratica d’Arithmetica di Francesco Ghaligai, che ebbe varie edizioni tra il 1521 ed il 1552. Lo storico della matematica italiano Ettore Bortolotti ritrov`o un manoscritto contenuto nella biblioteca dell’Universit` a di Bologna in cui il segno di uguaglianza aveva la forma attuale: =. ` E plausibile che il cambiamento sia stato dettato dal de- siderio di rimuovere possibili fonti di ambiguit`a nell’uso di un simbolo, come

−, che aveva gi`a molti significati (p. 111 di [2]). Restando in Italia, Gerolamo Cardano utilizz` o a volte uno spazio vuoto al posto del segno di uguaglianza.

3 tunc quaestio esse insolubilis, nisi concederetur, primus habere debitum;

4 ne vault ou signifie rien... et pour ce est appell´ ee chiffre ou nulle ou figure ne nulle valeur.

5 Manoscritto rinvenuto nel 1881 presso l’omonimo villaggio indiano.

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1.1. AX 2 + BX + C = 0 7

La prima occorrenza del segno = per indicare l’uguaglianza in un testo a stampa si ha nel 1557 con la pubblicazione avvenuta a Londra del Whetstone of Witte, primo testo di algebra in lingua inglese, del matematico gallese Robert Recorde (1510ca.-1558). In altri casi si ricorreva ad espressioni retoriche co- me, a seconda della lingua, aequales, aequantur, esgale, gleich, faciunt, gheljick, mentre talvolta compariva l’abbreviazione aeq. Questa abitudine permase ben oltre l’edizione del testo di Recorde e si dovette attendere il 1618 per ritrovare il segno di = in un testo a stampa, con il significato di uguaglianza. Precisa- mente, l’occorrenza si ha nell’Appendice della traduzione inglese della Mirifici Logarithmorum Canonis Descriptio di John Napier (Nepero, 1550-1617), curata verosimilmente da William Oughtred (1574-1660). In Inghilterra, l’accettazione del simbolo = di Recorde avvenne verso il 1630 quando fu adottata in tre testi che ebbero buona diffusione: la Artis analyticae Praxis ad Aequationes Algebrai- cas Resolvendas di Thomas Harriot (1560-1621), pubblicata postuma nel 1631, la Clavis mathematicae di William Oughtred, e la Trigonometria di Richard Norwood (1590?-1675), anch’esse pubblicate nel 1631.

La situazione `e molto pi` u complicata sul continente dove il segno = era adoperato con significati diversi ed altri simboli erano utilizzati per indicare l’uguaglianza. Ad esempio, nella In Artem Analyticem Isagoge [54] del 1591, Fran¸cois Vi`ete (1540-1603) indicava con = la differenza di due parametri A e B di cui non fosse noto il maggiore, sicch´e A = B significa |A − B| mentre Ren´e Descartes (Cartesio, 1596-1650) utilizzava = nella G´eom´etrie (1637) come ±;

infine, nella Mathesis biceps del 1670 Juan Caramuel y Lobkowitz (1606-1682) impiegava = come separatore tra la parte intera e quella decimale di un numero.

Tra i simboli alternativi ad = per indicare l’uguaglianza segnaliamo [, ado-

perato nel 1559 nella Logistica del monaco francese J. Buteo e k, pubblicato

nel 1571 nell’edizione dell’Arithmetica di Diofanto curata da Wilhelm Holtzman

(Xylander, 1536-1572) ed adoperato saltuariamente da altri matematici come

Michelangelo Ricci (1619-1682), Ren´e Fran¸cois Walter De Sluze (1622-1685) e

Philippe De la Hire (1640-1718). Questi ed altri simboli (cfr. §263 di [2]) non

costituirono seri antagonisti del simbolo di Recorde che invece fu minacciato da

quello usato da Cartesio nella G´eom´etrie la cui forma (simile a ∝) si pensava

derivasse da æ, come iniziali della parola aequalis, bench´e l’analisi dei mano-

scritti abbia permesso di concludere che si tratta piuttosto dell’avvicinamento

di o ed e, œ; secondo Cajori ([2], §264) il simbolo ∝ va ricondotto al simbo-

lo della costellazione del Toro che, occorrendo regolarmente nelle pubblicazioni

astronomiche, era a disposizione dei compositori dei testi a stampa. Lungo tut-

to il resto del XVII secolo, il simbolo di Cartesio prevalse su quello di Recorde

nell’Europa continentale mentre la situazione opposta si incontrava nella peni-

sola britannica. Tra i primi testi a stampa pubblicati sul continente a riportare

il segno = nell’accezione di uguale, ricordiamo la Teutsche Algebra (1659) dello

svizzero Johann Heinrich Rahn. Un grande impulso alla diffusione di = nell’Eu-

ropa continentale fu dovuto all’uso che ne fecero matematici come John Wallis

(1616-1703), Isaac Barrow (1630-1677) ed Isaac Newton (1643-1727) anche se la

spinta decisiva verso l’adozione di = a discapito di ∝ fu il fatto che esso venne

impiegato sistematicamente da Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) la

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cui influenza nell’Europa di fine ’600 sembra risolutiva per decidere da quale piatto far pendere la bilancia.

Anche i segni di addizione e sottrazione hanno una lunga storia, svolta in dettaglio in [2], §§200-216. Ideogrammi corrispondenti al segno di sottrazione sono stati individuati in tavolette babilonesi, cos`ı come nel papiro di Ahmes `e stato individuato un simbolo di addizione. Simboli per la sottrazione sono noti in Diofanto mentre nell’Aritmetica di Bakhshali il segno + indica la sottrazione.

Un segno per la sottrazione compare anche nell’opera dell’arabo al-Qalasˆadi del XV secolo il quale invece indica l’addizione con la sola giustapposizione degli addendi. In Europa, Chuquet prima, Pacioli dopo, utilizzarono p o ˜ p per il segno di addizione, dall’iniziale di plus e m o ˜ m per la sottrazione, dall’iniziale di minus. Quest’uso rimase ben radicato tra i matematici italiani del XVI secolo. I segni + e − come segni di addizione e sottrazione entrarono in scena in Germania nell’ultimo ventennio del XV secolo. Il simbolo −, detto minnes, figura in un testo di algebra manoscritto conservato a Dresda risalente al 1481. In un altro manoscrittto della stessa collezione compare il segno + per l’addizione, altrove espressa dalla parola vnd. Il primo testo a stampa che rechi entrambi i segni

`e Beh¯ ede und hubsche Rechenung auff allen Kauffmanschafft (1489) di Johann Widman (1462-1498), professore a Lipsia. L’origine del segno + pare vada ricercata tra le molte abbreviazioni della congiunzione latina et che si poteva anche indicare con un + in cui l’asta verticale non era ortogonale a quella orizzontale. Meno certa appare invece l’origine del segno −. La competizione dei segni + e − con p e m dur`o fino all’inizio del XVII secolo quando questi ultimi cedettero il passo ai simboli che impieghiamo ancora oggi.

Se, come osserva Tignol ([9], p. 26) l’uso di p ed m al posto di + e − non era un ostacolo serio, ben diverso `e l’effetto avuto dalla notazione per i polinomi sulla speditezza dei calcoli e la trasparenza dei ragionamenti. Esaminiamo due aspetti: l’evoluzione della notazione per l’incognita e per le sue potenze succes- sive. Nell’algebra araba non era sempre chiaro se x od x 2 fossero da considerare l’incognita principale per cui, al esempio, in Al-Kwaritzmi ed in altri algebristi arabi antichi l’incognita principale da determinare `e x 2 , detta m¯ al, cio`e somma di denaro, era l’incognita principale mentre x, detta jidr in arabo (cio`e radice, parte pi` u bassa o base) era un’incognita intermedia da ottenere tramite risolu- zione dell’equazione proposta e da elevare al quadrato per ottenere x 2 . Sempre Al-Kwaritzmi indicava con la parola shai, cosa, un’incognita in genere, interpre- tabile come x o come x 2 . Nel passaggio in occidente traduttori come Gherardo di Cremona (1117-1184) resero jidr con radix e shai con res a sua volta passato nell’italiano cosa, nel tedesco coss e, in forma aggettivata, nell’inglese cossic che, per tutto il XVI e XVII furono dei veri e propri sinonimi della parola algebra:

Coss e Cossic art, rispettivamente. L’abbreviazione co. entr`o diffusamente in uso al posto di cosa per indicare l’incognita. Pi` u complicato era scrivere un polinomio. Non vi era alcuna notazione esponenziale e le potenze dell’incognita erano indicate da un’abbreviazione. Se un’abbreviazione di x era ℓ per latus, il quadrato x 2 era indicato con q (quadratus) oppure con ce, da census, x 3 con c (cubus) ce.ce., bq o qq per x 4 . Con x 5 sorgeva un’altra fonte di confusione.

Questa `e la prima potenza a non essere n´e un quadrato n´e un cubo e per que-

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1.1. AX 2 + BX + C = 0 9

sto Pacioli, riprendendo una nomenclatura egizia lo abbreviava con p.r., primo relato; cos`ı dunque x 7 diventa 2 .r , secundo relato, ed x 11 `e 3 .r , tertio rela- to, ecc. Con x 5 ed x 6 nasceva un’ulteriore confusione perch´e, se Pacioli indica x 6 con ce.cu., cio`e censo de cubo, vale a dire (x 3 ) 2 , seguendo cos`ı il principio moltiplicativo degli esponenti, altri autori, aderendo ad un principio additivo, indicavano x 5 = x 2 · x 3 con ce.cu., facendo prevalere la regola del prodotto di potenze con ugual base. Un polinomio come 3x − x 3 veniva scritto da Bartolo- meo Pitisco (1561-1613) nella Trigonometriae editio tertia del 1612 come 3ℓ −1c ed il suo quadrato come 9q − 6bq + 1qc dove bq sta per biquadrato, cio`e x 4 e qc indica il quadrato-cubo, cio`e x 6 , secondo il principio moltiplicativo. Nella Ars Magna del 1545 Girolamo Cardano (1501-1576) non impiega co. per l’incognita ma pos.: rem incognitam, quam vocamus positionem e quad. per il suo quadrato per cui un’equazione come x 2 + 2x = 48 diventa 1.quad.¯ p2.pos.aeq.48 ([2] p.117, [9], p.26). Seguendo le linee del manoscritto di Chuquet del 1484 che indicava un monomio come 12x 2 come 12 2 , omettendo la base, nel XVI secolo i germi di una notazione esponenziale compaiono nell’Algebra (1572) di Rafael Bombelli (1526-1572) dove un’equazione come 2 = x 2 + x veniva scritta come

2. Eguale ` a 2

⌣ 1

p 1

⌣ 1

dove manca ancora ogni indicazione della base e dunque `e adatta a situazioni in cui una sola incognita entra in gioco. Nonostante notazioni infelici, le idee circa l’algebra dei polinomi erano chiara come mostra questo passo estratto dal Libro de Algebra (1567) del matematico portoghese Pedro Nu˜ nez, riportato in [2], p. 163

...se desideriamo moltiplicare .4. co. per 5.ce. diremo che .4. per .5. d` a .20. e che siccome .1., l’esponente di co., sommato con .2. esponente del censo d` a .3. che `e l’esponente del cubo, pertanto .4. co. per .5.ce. d` a .20.cu. 6

Un miglioramento si ebbe con il belga Simon Stevin (1548-1620) che nel 1585 pubblic`o La Disme (in fiammingo: Die Thiende) in cui estese la notazione deci- male ai polinomi cosicch´e un polinomio come x 2 −12 era indicato come 1(2)−12 dove, nell’originale, l’esponente era messo all’interno di un cerchietto, anzich´e tra una coppia di parentesi. Stevin, quando doveva operare con pi` u incognite introduceva i simboli 1(1) ed 1.sec.(1) cosicch´e l’espresione 12y 4 + 23xy 2 + 10x 2 diventa 12 sec.(4) + 23(1)M sec.(2) + 10(2) dove M indica la moltiplicazione tra le diverse incognite. Un grosso passo in avanti fu quello introdotto da Fran¸cois Vi`ete che per primo adoper` o in modo sistematico le lettere per indicare i coeffi- cienti che comparivano nelle equazioni. Un uso saltuario di lettere per indicare parametri si trova gi` a in Fibonacci e in Giordano Nemorario (1225-1260). Anche Bombelli aveva introdotto dei parametri per dare regole generali di soluzione di problemi di secondo grado. La distinzione tra coefficienti ed incognite segui- va la regola che le vocali (A,E,I,O,V,Y) erano usate per le incognite mentre

6 si queremos multiplicar .4. co. por .5. ce. diremos asi .4. por .5. hazen .20. y porque .1.

denominaci˜ o de co. s˜ umado con .2. denominacion de censo hazen .3. que es denominaci˜ o de

cubo. Diremos por tanto q. .4. co. por .5. ce. hazen .20. cu.

(10)

le consonanti indicavano i coefficienti. ` E stato sottolineato ([2], p.183) come questa scelta possa indicare un rinato interesse per le lingue semitiche in cui le consonanti sono indicate mentre le vocali debbono essere ricostruite a par- tire dalle consonanti. Va per` o osservato che, quando deve trattare equazioni a coefficienti numerici, Vi`ete non indica pi` u l’incognita con una vocale ma la indica con N (numerus) mentre il suo quadrato ed il cubo sono indicati con Q e C, rispettivamente. Osserviamo come l’avanzamento notazionale di Vi`ete fu in parte oscurato dal desiderio di porre sempre in luce l’omogeneit`a dimensionale di tutti i termini che comparivano in una equazione. Ad esempio, l’equazione di terzo grado x 3 + 3bx = 2z nell’incognita x era resa da Vi`ete come

A cubus + b plano 3 in A aequari z solido 2

dove, a parte indicare l’incognita con la vocale A, si insiste sul fatto che b deve avere dimensione due (plano) mentre z deve avere dimensione 3 (solido). Un’al- tra limitazione di Vi`ete, comune ad altri studiosi dell’epoca, fu di restringere le incognite ad assumere valori positivi. A parte questi difetti, Vi`ete ebbe co- munque il merito di affiancare al calcolo numerico (logistica numerosa) quello simbolico (logistica speciosa). Nell’avvicinamento alla moderna notazione espo- nenziale possiamo ricordare Adriaan van Roomen (Romanus, 1561-1615) che scrive

A(4) + B(4) + 4A(3) in B + 6A(2) in B(2) + 4A in B(3) laddove scriveremmo

A 4 + B 4 + 4A 3 B + 6A 2 B 2 + AB 3

ed il francese Pierre H´erigone (1580-1643) che scriveva a3, 2b4, 2ba2 dove oggi scriveremmo a 3 , 2b 4 e 2ba 2 , rispettivamente e dunque pone sempre l’esponente dopo la lettera cui si riferisce, mentre il coefficiente viene posto prima della lettera cui si riferisce.

Nel 1636 James Hume, uno scozzese residente a Parigi, pubblic`o L’Alg`ebre de Vi`ete, d’une methode nouvelle claire et facile in cui emendava la notazione di Vi`ete scrivendo A iii per A 3 e dunque, se si eccettua l’uso del numerale romano per l’esponente, questa notazione coincide con quella moderna che fu introdotta un anno pi` u tardi, nel 1637, da Cartesio nella G´eom´etrie, con l’eccezione di x 2 per il quale sopravvisse la notazione xx, almeno fino a Gauss.

Quanto al modo di presentare le equazioni, la forma utilizzata nel titolo, che

`e quella a cui siamo abituati si impose a partire da Cartesio che la adott`o nel

III Libro della G´eom´etrie, dedicato allo studio delle equazioni algebriche ma che

si trova in altri autori precedenti, ad esempio in Peter Roth (1583-1663) e nei

Miracula Arithmetica di Johann Faulhaber (1580-1635), precedenti a Cartesio

e in un paio di esempi contenuti nell’Algebra di Rafael Bombelli. In Cardano le

equazioni figurano con coefficienti positivi, come x 4 + 106x = 4x 3 + 19x 2 + 120,

ovviamente con una diversa notazione; Cartesio attorno al 1620 e, prima di

lui Stifel e e Christopher Clavius, pongono le equazioni nella forma: termine di

(11)

1.1. AX 2 + BX + C = 0 11

grado massimo uguale a tutti gli altri termini come x 4 = 4x 3 +19x 2 −106x+120;

ancora, Harriot e Faulhaber le scrivono nella forma: termini variabili uguagliati

al termine costante x 4 − 4x 3 − 19x 2 + 106x = 120 [10]. Tutti questi modi di

scrivere, con i termini che vengono correttamente spostati a sinistra od a destra

dell’uguale testimoniano la concezione additiva dei polinomi, intesi come somme

od aggregati di termini. La concezione moltiplicativa di polinomio inteso come

il risultato del prodotto di altri polinomi pi` u semplici compare talvolta nell’Ars

Magna di Cardano e sar` a utilizzata ed apprezzata appieno a partire dal XVII

secolo, gi` a in Harriot e Roth ma soprattutto con Cartesio.

(12)
(13)

Bibliografia

[1] S. Unguru: On the need to rewrite the history of Greek mathematics.

Archive for History of Exact Sciences, 15, (1975), 67-114.

[2] F. Cajori: History of Mathematical Notations I. Notations in Elementary Mathematics. Open Court, La Salle, Illinois (U.S.A.), (1974); ristampa dell’originale pubblicato nel 1928 dalla stessa casa editrice.

[3] C.B. Boyer: Zero: the symbol, the concept, the number. Nat. Math. Mag.

18, 323–330, (1944).

[4] F. Cajori: Sexagesimal fractions among the Babilonians. American Mathematical Monthly, 29, 8–10, (1922).

[5] J. Sesiano: The appearance of negative solutions in Mediaeval Mathematics. Archive for History of Exact Sciences, 32, 105–149, (1984).

[6] A.F. Horadam: Fibonacci’s mathematical letter to Master Theodorus. The Fibonacci Quarterly, 29, 103–107, (1991).

[7] F. Vi`ete: In Artem Analyticem Isagoge, Mettayer, Turonis, (1591).

[8] A. Girard: Invention Nouvelle en l’Alg`ebre, Blaeuw, Amsterdam, (1629).

Ristampata a cura di D. Bierens de Haan, Leida, (1884).

[9] J.-P. Tignol: Galois’ Theory of Algebraic Equations. World Scientific, Singapore, (2001).

[10] K. Manders: Algebra in Roth, Faulhaber, and Descartes. Historia Mathematica 33, (2006), 184-209.

13

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(15)

Capitolo 2

Meno per meno fa pi` u

In qualcuno la regola dei segni:

pi` u per pi` u fa pi` u pi` u per meno fa meno meno per pi` u fa meno meno per meno fa pi` u

pu`o forse scatenare la stessa reazione che generava in S. Agostino la semplice regola di calcolo 2 × 2 = 4:

Due e due quattro era per me un’odiosa cantilena... 1 (Confessiones, Liber I) Per altri, invece, questa regola `e qualcosa da accettare e la giustificazione mi- gliore `e data dalla coerenza a posteriori dell’edificio dell’algebra. Affinch´e tale giustificazione sia credibile occorre per` o avere presente quale sia il motivo alla base della regola: la volont` a di estendere ai numeri interi, positivi e negativi, la propriet`a distributiva del prodotto rispetto alla somma. A ben vedere vi sono due strade che si possono percorrere e che sono state in effetti percorse da vari autori per introdurre questa regola. O si accetta la regola dei segni e se ne deduce la propri`eta distributiva anche quando sono coinvolti numeri negativi, oppure si estende a priori la propriet` a distributiva e si dimostra, come conse- guenza, la regola dei segni. Quale delle due strade si voglia seguire, il passaggio dall’aritmetica—dove i numeri negativi non hanno cittadinanza—all’algebra non

`e scontato. La parola chiave che consente questo passaggio `e estensione: l’esten- sione delle propriet` a per le operazioni, dedotte in campo aritmetico. Quando si passa all’algebra, la loro validit` a `e da stabilire convenzionalmente. La natura convenzionale di questo processo non deve spaventare: l’algebra non `e un’opi- nione. La scelta della regola dei segni non `e ineluttabile: un’altra scelta fornito un’algebra diversa che, tuttavia, non avrebbe portato lontano in quanto la rinun- cia alla propriet` a distributiva `e un prezzo troppo alto da pagare e la struttura indotta operando questa scelta non `e soddisfacente.

1 Duo et duo quattuor odiosa cantio mihi erat...

15

(16)

Questo capitolo vuole ripercorrere le tappe principali nella storia della regola dei segni per mostrare come, quando si tenti di dar conto di tale regola, si vada incontro a difficolt` a non dissimili da quelle che, ironicamente, ancora S. Agostino trovava nel dover spiegare ai lettori il tempo:

Che cosa `e il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so. Se voglio spiegarlo a qualcuno, non lo so 2 (Confessiones, Liber XI)

La storia che seguiremo mostra diversi tentativi, alcuni dei quali molto inge- gnosi, di giustificare, di dimostrare la regola dei segni, appoggiandosi a risultati di aritmetica oppure ricorrendo ad argomenti geometrici. Questi tentativi dava- no per scontata la propriet` a distributiva non ritenendo necessario precisare che, uscendo dai confini dell’aritmetica, occorre ridiscuterne la validit`a. Seguiremo un buon numero di questi tentativi che possono essere raggruppati in diverse categorie, a seconda della prospettiva da cui la regola viene visualizzata:

attraverso le regole dell’aritmetica tradizionale estese tacitamente al campo numerico dei numeri relativi;

attraverso il ruolo dello zero come elemento neutro dell’addizione;

la regola dei segni non `e una regola per il prodotto tra numeri quanto una regola di combinazione tra i segni.

A monte delle giustificazioni della regola dei segni vi sono i modelli utilizzati per introdurre i numeri negativi; storicamente se ne sono utilizzati quattro:

modello cinematico: i numeri positivi corrispondono a spostamenti su una retta in un verso, a partire da un’origine fissata una volta per tutte, mentre i numeri negativi corrispondono a spostamenti in verso opposto;

modello contabile: i numeri positivi corrispondono a crediti mentri i numeri negativi corrispondono a debiti;

modello cronologico: i numeri positivi rappresentano eventi accaduti dopo un istante convenzionalmente fissato mentre i numeri negativi corrispondono agli eventi accaduti prima di questo istante;

modello termologico: i numeri positivi rappresentano temperature superiori ad una temperatura di riferimento (lo 0 della scala termometrica) mentre i numeri negativi corrispondono a temperature inferiori allo zero.

Se questi modelli hanno un’indubbia efficacia per giustificare la necessit` a di impiegare i numeri negativi, essi sono del tutto inadeguati a render conto della regola dei segni ed, anzi, possono dar luogo a conseguenze paradossali come quella descritta efficacemente da Marie-Henri Beyle (Stendhal, 1783-1842) nell’autobiografica Vie de Henry Brulard

Come `e possibile che moltiplicando 1000 franchi di debito per 500 franchi di debito, uno arrivi a possedere una fortuna di 5000000, cinque milioni?

I modelli che meglio si adattano ad una giustificazione della regola dei segni sono quelli geometrici, nei quali si instaura una corrispondenza tra operazioni aritmetiche e particolari trasformazioni geometriche: le rotazioni attorno ad un asse fisso. In questo modo si manifesta una analogia tra i numeri negativi

2 Quid est tempus? Si nemo ex me quaerat, scio. Si quaerenti explicare velim, nescio.

(17)

2.1. I NUMERI NEGATIVI 17

ed i numeri complessi e non `e un caso se questi modelli geometrici sono stati presentati in opere finalizzate a discutere la natura e le propriet`a delle quantit`a immaginarie.

Infine seguiremo lo sviluppo della presentazione assiomatica dei numeri ne- gativi entro la quale la regola dei segni trova la sua definitiva sistemazione. Non deve sorprendere che una questione di principio trovi la sua veste soddisfacente solo nel XIX secolo, dopo almeno 150 in cui i numeri negativi erano stati usati tranquillamente da tutti i matematici. Come osservava ´ Emile Borel, parlando della formulazione assiomatica della geometria:

On sait comment l’on proc`ede pour exposer une science, telle que la g´eom´etrie, sous une forme axiomatique; de mˆeme que dans le bons romans policiers, on commence par la fin, c’est-` a-dire que l’on pose comme d´efinitions les propri´et´es essentielles que l’experience a conduit ` a attribuer aux ˆetres g´eom´etriques points, droites, plans. ([10], p. 80)

La sistemazione assiomatica dei numeri negativi e, di riflesso, la regola dei segni, si collocano al termine di un lungo percorso, nel quadro della revisione dei fondamenti dell’analisi matematica, grazie all’opera di George Peacock ed Hermann Hankel. Vi `e per` o ancora spazio per ulteriori riflessioni che mostrano come introdurre i numeri negativi non sia affatto necessario ma che questi, con le loro operazioni, possono essere surrogati da coppie ordinate di numeri positivi, a patto di definire opportunamente le operazioni con cui agire su tali coppie. Questo approccio, le cui origini si possono rintracciare in alcuni cicli di lezioni renuti da Weierstrass a Berlino, fu sviluppato e divulgato, tra gli altri, Jules Tannery ed Louis Couturat. Bench´e esso sia di grande eleganza formale e soddisfi il gusto estetico, d’altro canto mortifica l’intuizione, le lotte secolari per comprendere e far comprendere i numeri negativi.

2.1 I numeri negativi

Una delle distinzioni che balzano all’occhio tra aritmetica e algebra `e l’impiego libero di quantit` a negative che si ha in algebra, a differenza delle restrizioni pre- senti in aritmetica. Ad esempio, la sottrazione di un numero da uno minore non viene contemplata nell’aritmetica delle scuole elementari mentre `e un’operazio- ne lecita in algebra. Cos`ı si esprimeva, alla fine dell’Ottocento un matematico francese, Maurice Fouch´e [23]:

La maggior parte dei matematici di oggi concorda nel riconoscere che la differenza essenziale tra l’algebra e l’aritmetica consista nell’introduzione dei numeri negativi. 3 L’impiego delle quantit` a negative non deve per` o essere inteso come un fatto scontato: al contrario, la loro introduzione ha rappresentato un ostacolo con- cettuale rilevante, come testimoniato dai dibattiti di cui ancora si trova traccia

3 La plupart des math´ ematiciens sont aujourd’hui d’accord pour reconnaitre que la

diff´ erence essentielle entre l’Alg` ebre et l’Arithm´ etique consiste dans l’introduction des nombres

n´ egatifs.

(18)

su alcune riviste scientifiche del XIX secolo. La lentezza ad introdurre ed as- similare i numeri negativi `e in parte dovuta al significato rivestito dalle radici negative di equazioni algebriche: se l’incognita da determinare `e la lunghezza di un segmento, l’estensione di una superficie od il volume occupato da un solido, soluzioni negative non hanno alcun senso. Diverso `e il caso in cui il significato sia una quantit` a di denaro perch´e appare chiaro che ad una quantit` a—l’ammontare di una somma di denaro—possono affiancarsi due qualit` a distinte: la somma considerata pu` o essere un credito oppure un debito. ` E proprio questo significa- to economico a far capolino in alcuni problemi discussi da Cardano nell’Artis Magnae sive de Regulis algebraicis Liber unus o, pi` u semplicemente, nell’Ars Magna, pubblicata nel 1545. Per attribuire un significato geometrico a quantit` a negative come soluzioni di equazioni occorre attendere Albert Girard che, nella sua Nouvelle invention en l’alg`ebre, pubblicata nel 1629, otto anni prima della G´eom´etrie di Cartesio, consider` o il seguente Probl`eme d’Inclinaison:

O C

H A

B K

F N D

G L

Figura 2.1: Il problema di inclinazione che conduce ad un’equazione di quar- to grado con radici negative che Girard interpreta geometricamente ricorrendo all’idea di segmento orientato.

Dato un punto A posto sulla bisettrice del primo e terzo quadrante in modo che AF = AB = 4, Girard chiede di tracciare la retta passante per A e tale che la sua intercetta (cio`e il segmento CN compreso tra gli assi ortogonali DH e CL) abbia lunghezza √

153. Posto F N = x, Girard nota laconicamente che si

(19)

2.1. I NUMERI NEGATIVI 19

avr`a

x 4 = 8x 3 + 121x 2 + 128x − 256. (2.1) Infatti, dal triangolo rettangolo AF N abbiamo AN 2 = 16 + x 2 ed inoltre, dalla similitudine tra i triangoli AN F ed ON C abbiamo

√ AN

153 = |x|

|4 − x| ,

per cui elevando al quadrato e semplificando, si risale all’equazione (5.12) di cui Girard elenca le quattro soluzioni affiancando il significato geometrico: x = 1 corrisponde ad F N , x = 16 corrisponde ad F D, x = − 9 2 + q

17

4 che indica il punto G dal punto F ed x = − 2 9 − q

17

4 che indica il punto H dal punto F . Ecco la chiara esposizione di Girard:

Queste soluzioni mostano i punti G ed H, come se le distanze FG , FH fossero meno di nulla, presi F N ed F D che crescono mentre FG, FH retrocedono finch´e le intercette CN, DP, GL, HK, tendono ad inclinarsi a partire da A, facendo ciascuna √ 153, secondo le regole qui stabilite. E per interpretarle ancora meglio, le due soluzioni che sono minori di 0 si debbono scambiare, a seconda dei segni.

si otterr` a

 4 1 2 − √ 4 1 4 per F G 4 1 2 + √

4 1 4 per F H

che vanno contate in verso opposto a quello di FN, FD, come mostra la figura pre- cedente: & dunque si dovranno intendere cos`ıtutte le soluzioni negative, che `e un osservazione con conseguenze in geometria, sconosciute sinora. 4 ([8])

E l’idea di verso di percorrenza di un segmento che conferisce ai numeri ` negativi quella cittadinanza nella geometria, a lungo negata:

Finora non abbiamo ancora spiegato a cosa servano le soluzioni negative, quando ve ne siano. La soluzione negativa si spiega in Geometria procedendo all’indietro, ed il segno meno indietreggia, laddove il segno + avanza. 5 ([8])

4 Assavoir monstrant lesdits points G & H, comme si les distances FG, FH estoyent moins que rien, en retrogradant, prenant que FN, FD avancent, & FG, FH reculent en arriere, tellement donc que les interceptes CN, DP, GL, HK, tendent & s’enclinent au point A faisant chacune √

153, selon le requis.

Et pour l’interpreter encor mieux, les deux solutions qui sont moins que 0, se doivent changer, assavoir les signes.

viendra

 4 1 2 − √

4 1 4 pour F G 4 1 2 + √

4 1 4 pour F H

Lesquels il faut poser au contraire de FN, FD, comme il est exprim´ e en la figure precedente:

& ainsi le faudra-il entendre de toutes solutions par moins, qui est une chose de consequence en Geometrie, incogneu¨ e auparavant.

5 Iusques icy nous n’avons encor expliqu´ e ` a quoy servent les solutions par moins, quand il

y en a. La solution par moins s’explique en Geometrie en retrogradant, & le moins recule, l` a

o` u le + avance.

(20)

Il probl`eme d’inclinaision `e un’interessante variante di un problema che era stato risolto per via sintetica da Pappo nelle Synagoge (Proposizione LX- XII, Libro VII). Nella versione latina (Mathematicae Collectiones) di Federico Commandino il problema `e reso, nel 1558 6 , in questi termini:

Dato un quadrato AD, prolungare AC fino ad E e tracciare da esso un segmento con EG di lunghezza assegnata che raggiunga il punto B. 7 ([37], p. 287)

Vediamo l’evoluzione subita da questo problema nel passaggio da Pappo a Descartes ed alla sintesi tra il problema di Pappo e la variante di Girard, ad opera di due commentatori di Descartes: Claude Rabuel e Frans van Schooten.

La dimostrazione della proposizione in esame presenta, nella versione di Pap- po un ostacolo tecnico nella dimostrazione del seguente lemma (Proposizione LXXI, Libro VII)

Sia dato un quadrato AD, si conduca BGE e perpendicolarmente ad esso si tracci EF . Dico che i quadrati costruiti su CD e GE sono equivalenti al quadrato su DF . 8

Si tratta di dimostrare (Fig. 2.2) che

C

D A

B

G E

F

Figura 2.2: Illustrazione del Lemma costituente la Proposizione LXXI del Libro VII delle Mathematicae Collectiones di Pappo alessandrino, nella versione di Federico Commandino.

CD 2 + GE 2 = DF 2 . (2.2)

Si conduca da E la parallela al lato CD del quadrato A[BC]D, che taglia BF in H. Poich´e gli angoli CEH e ˆ F EG ed hanno l’angolo GEH in comune, deve ˆ essere

CEG = ˆ F EH ˆ (2.3)

da cui segue che i triangoli rettangoli F EH e BDG sono congruenti per cui, in particolare

EF = BG. (2.4)

Inoltre, visto che anche il triangolo F EB `e rettangolo in E, si ha

BF 2 = EF 2 + BE 2 . (2.5)

6 L’opera apparve postuma, essendo Commandino morto nel 1575.

7 Quadrato existente AD, producere AC in E et facere EG datam quae ad punctum B pertingat. Ho modificato EF in EG per rendere la notazione conforme a quella della Proposizione LXXI.

8 Sit quadratum AD, & ducatur BGE, atque ipsi ad rectos angulos EF . Dico quadrata ex

CD, GE quadrato ex DF aequalia esse.

(21)

2.1. I NUMERI NEGATIVI 21

La similitudine dei triangoli BGD e BEF fa s`ı che BG

BF = BD BE da cui segue

BF × BD = BE × BG (2.6)

che Pappo esprime in questo modo: Il rettangolo di BF e BD `e uguale, cio`e equivalente, al rettangolo di BE e BG. Pappo osserva anche che i punti G, E, F , D debbono stare su una stessa circonferenza in quanto il quadrilatero GEF D `e ciclico, avendo angoli opposti supplementari. Se dal quadrato di lato BF si asporta il rettangolo di lati BF e BD resta il rettangolo di lati BF ed F D. D’altronde per la (2.5) e la (2.6) si ha anche

BF 2 − BF × BD = EF 2 + BE 2 − BE × BG

e siccome, asportando il rettangolo di lati BE e BG dal quadrato di lato BE si ha il rettangolo di lati BE ed EG, si pu` o concludere, grazie a (2.4), che

BF × F D = BG 2 + BE × EG = GE 2 + BE × BG

dove l’ultimo passaggio si ottiene riflettendo sulla scomposizione della figura ....

Usando (2.6) si ha poi

BF × F D = BG 2 + BE × EG = GE 2 + BF × BD :

Se si rimuove il rettangolo di lati BD e F D, a sinistra resta il quadrato di lato F D mentre a destra resta il quadrato di lato EG e quello di lato BD, che `e appunto la tesi.

Forte di questo lemma, Pappo passa a dimostrare il teorema che ci interessa, con il metodo zetetico: lo si consideri risolto (Factum iam illud sit). Si supponga

C

D A

B

G E

F

Figura 2.3: Illustrazione della Proposizione LXXII del Libro VII delle Mathematicae Collectiones.

cio`e di aver trovato un punto E sul prolungamento di AC tale che, condotta da

E la congiungente con B, essa intersechi il lato CD del quadrato in un punto

G tale che EG abbia lunghezza prefissata. Condotto da E il segmento EF

ortogonale a BE (Fig. 2.3), per il lemma appena dimostrato vale la (2.2) per

cui DF si pu`o considerare noto, visto che lo sono CD ed GE. Di conseguenza, il

segmento BF `e esso stesso noto e per questo si pu` o considerare nota la posizione

(22)

della semicirconferenza di diametro BF che deve passare per E visto che, per costruzione, l’angolo BEF `e retto. Il punto E, soluzione del problema si trova ˆ intersecando questa circonferenza con il prolungamento di AC.

Descartes considera il problema di Pappo nel III Libro della G´eom´etrie come applicazione della regola di soluzione delle equazioni algebriche di quarto grado e della loro possibile riduzione ad equazioni di grado inferiore con la ricerca dei divisori del termine noto. La figura non differisce sostanzialmente da quel- la di Pappo e Cartesio riformula il problema in questi termini, trattaggiando sommariamente anche la descrizione originale:

Dati il quadrato BD ed il segmento BN , occorre prolungare il lato AC sino ad E, in modo che EF , tracciato da E verso B, sia uguale ad N B. Si sa da Pappo che, se si

`e prolungato dapprima BD fino a G, di modo che DG sia uguale a DN , ed avendo descritto un cerchio di diametro BG, se si prolunga la retta AC, essa interseca la circonferenza del cerchio nel punto E richiesto. 9 ([15], p. 189)

C

D A

N

B

F

E

G

Figura 2.4: Il problema di Pappo nella versione della G´eom´etrie di Descartes.

Osserviamo due punti. Cartesio tiene a specificare che EF `e tracciato da E verso B, una implicita constatazione che, partendo da E vi sono in effetti due punti sulla retta BE che hanno distanza da E assegnata. Inoltre vediamo come l’aver rappresentato il segmento BN di lunghezza assegnata come in Figura, permette a Cartesio di tradurre immediatamente in forma geometrica il vincolo (??).

Posto BD = a e BN = EF = c, Descartes utilizza la similitudine dei trian- goli BF D e CF E per scrivere l’equazione risolutiva in termini dell’incognita x = DF nella forma generale

x 4 − 2ax 3 + (2a 2 − c 2 )x 2 + 2a 3 x + a 4 = 0

da cui ottiene il valore di DF che risolve il problema di Pappo come la radice

x = a 2 +

r a 2 4 + c 2

4 − r c 2

4 − a 2 2

a 2

p a 2 + c 2

9 Si le quarr´ e BD & la ligne BN etant donn´ es, il faut prologer la cost´ e AC jusque a

E, en sorte qu’EF , tir´ ee d’E vers B, soit esgale a N B. On apprent de Pappus, qu’ayant

premierement prolong´ e BD jusques ` a G, en sorte que DG soit esgale a DN , & ayant descrit

un cercle dont le diametre soit BG, si on prolonge la ligne droite AC, elle rencontrera la

circonference de ce cercle au point E, qu’on demandoit.

(23)

2.1. I NUMERI NEGATIVI 23

dell’equazione proposta. Nulla dice Cartesio a riguardo delle radici restanti, co- me invece aveva fatto Girard: la soluzione incontrata, che non `e la sola positiva,

`e quella che risolve effettivamente il problema di Pappo, se si conviene che il prolungamento del lato AC possa essere effettuato solo da A verso C; piuttosto egli richiama l’attenzione sul fatto che la scelta di un’incognita alternativa possa condurre ad equazioni risolutive pi` u o meno semplici:

Se si fosse preso BF , o CE, o BE come incognita, si verrebbe ricondotti ad una equazione la quale sar` a di quarto grado, ma esse sono pi` u facili da risolvere e si otterranno le incognite molto facilmente; se invece si fosse preso DG come incognita, si otterrebbe molto pi` u difficilmente un’equazione che per` o sar` a anch’essa molto semplice.

Affermo ci` o per avvertire chem quando il problema non `e affatto di terzo grado, se si perviene ad un’equazione molto difficile, se ne pu` o di solito ottenere una pi` u semplice, cercando un’altra [incognita]. 10 ([15], 190)

Cartesio non approfondisce le varianti che si presentano quando venga scel- ta un’incognita diversa da DF . Tale compito si trova nel commentario alla G´eom´etrie, scritto nel 1730 dal gesuita Claude Rabuel. Il testo di Rabuel `e mol- to meticoloso nella discussione dei vari casi che si possono presentare al variare dell’incognita. In particolare, egli osserva come anche una soluzione positiva possa non risolvere perfettamente il problema proposto perch´e non corrisponde al prolungamento di AC, effettuato dalla parte di C. Riferendoci alla Fig. 2.4 riportiamo questo passaggio di Rabuel:

In ogni casi visti, solo il punto F ed il segmento F E risolvono perfettamente il pro- blema; gli altri segmenti, bench´e uguali a quello assegnato BN o bN ne forniscono la soluzione solo introducendo qualche cambiamento; infatti il problema richiede un segmento che sia uguale a BN e che tagli il lato AC prolungato dalla parte di E ed il lato CD tra i punti C e D. 11 ([42], p. 485)

La modifica necessaria al testo `e riportata da Rabuel subito dopo:

Affich´e tutti i segmenti tracciati, uguali a quello assegnato BN risolvano il Problema, lo si dovrebbe proporre cos`ı. Assegnato il quadrato ABCD e prolungandone i lati AC, CD, trovare tutti i segmenti che: 1 siano tracciati a partire dal punto B, 2 tagliano i lati AC, CD e 3 la cui parte compresa tra questi lati sia uguale ad un segmento assegnato BN . 12 ([42], p. 485)

10 Que si on posoit BF , ou CE, ou BE pour la quantit´ e inconnu¨ e, on viendroit dereches

`

a une Equation, en laquelle il y auroit 4 dimensions, mais qui seront plus ays´ ee a d´ emesler,

& on y viendront ass´ es aysement; au lieu que si c’estoit DG au’on supposast, on viendront beaucoup plus difficilement a l’Equation, mais aussy elle seroit tres simple. Ce que ie mets icy pour vous avertir, que lorsque le Problesme propos´ e n’est point solide, si en le cherchant par un chemin ou vient a une Equation fort composee, on peut ordinairement venir a une plus simple, en le cherchant par un autre.

11 Dans tous les cas, qu’on vient d’examiner le seul point F & la seule ligne F E resolvent parfaitement le Probl` eme; les autres lignes, quoique ´ egales ` a la donn´ ee BN ou bN n’en donnent la solution qu’en y mettant quelque changement; puisque le Probl` eme demande une ligne qui soit ´ egale ’‘a BN & qui coupe la cˆ ot´ e AC prolong´ e du cˆ ot´ e de E, & le cˆ ot´ e CD entre les points C & D.

12 Afin que toutes les lignes qu’on a tir´ ees ´ egales ` a la donn´ ee BN satisfissent au Probl` eme, il

faudroit le proposer ainsi. Etant donn´ e le quarr´ e ABCD, & les cˆ otez AC, CD ´ etant prolongez,

trouver toutes les lignes, qui 1 soient tir´ ees par le point B, qui 2 coupent les cˆ otez AC, CD,

(24)

Si `e osservato pi` u volte come la presenza di radici negative in un risultato portasse a ritenere come il problema non fosse stato formulato correttamente in origine e quindi a provvedere ad una adeguata riformulazione. In questo caso l’atteggiamento `e simile e coinvolge non solo le radici negative ma anche quelle positive. Due metodi a confronto, dunque: quello sintetico, tradizionale che porta a trovare nulla pi` u di quanto cercato; il metodo della geometria analitica che, grazie all’abbinamento della geometria con l’algebra permette di ottenere pi` u soluzioni di quelle attese ed obbliga ad una interpretazione del risultato.

Anche Frans van Schooten, nei Commentarii allegati alla versione latina della G´eom´etrie pubblicata nel 1695, tratta diffusamente del problema di Pappo ma, determinate le quattro soluzioni, osserva

`e possibile mostrare qui elegantemente l’impiego delle radici, tanto le false quanto quelle vere, di alcune equazioni hanno in geometria e a quali condizioni possiamo essere da loro condotte alla piena intelligenza di alcuni problemi; affich´e non vi siano casi che non scopriamo e di cui non giungiamo alla determinazione. Occorre sapere infatti che, bench´e (come detto in precedenza) in aritmetica le radici vere indicano una quantit` a maggiore di nulla e quelle false la mancanza di una certa quantit` a, ovvero di quanto sono minori di nulla, similmente le radici vere in geometria indicano segmenti [percorsi] nel verso come si propone di trovare mentre le radici false sono da assumere in verso contrario, a partire dallo stesso punto 13 ([9], p. 310)

Van Schooten aveva probabilmente presente il testo di Girard, anche perch´e le figure illustrative a pp. 311-312 di [9] coincidono con quella riportata da Girard; tuttavia si coglie una accettazione delle quantit`a negative meno ampia che in Girard: le soluzioni negative di qualche equazione hanno effettiva utilit` a a presentare il problema nella sua generalit`a. Anche per van Schooten, le soluzioni trovate, positive o negative, oltre a DF sorgono post aequationis resolutionem.

([9], p. 313)

Non vi `e prova migliore della difficolt`a che il modello economico dei numeri negativi pone prendendolo come base per dimostrare la regola dei segni, del tentativo effettuato in tal senso da Eulero che, nel 1770, scrisse un manuale di introduzione all’algebra che ebbe una certa fortuna, visto anche il prestigio dell’autore. Eulero, che aderisce ad una visione newtoniana di numero spiega la genesi dei numeri naturali e degli interi relativi in questo modo:

I numeri positivi si ottengono aggiungendo 1 a 0, cio`e a niente e continuando ad aumentare in questo modo, sempre di una unit` a. Ecco l’origine dei numeri che vengono et dont 3 la partie comprise entre ces deux cˆ otez soit ´ egale ` a une donn´ ee BN .

13 Potest autem hic eleganter ostendi usus, quem radices tam falsae quam verae alicujus aequationis in Geometria habent, ac quo pacto earum ope ad plenam alicujus Problematis cognitionem perducamur; sic ut nullus casus existat, quem non detegamus, atque ejusdem determinationem non inveniamus. Sciendum enim est, quod, quemadmodum verae radices in Arithmetica (ut supra indicavimus) quantitatem aliquam designant majorem quanm nihilo,

& falsae defectum alicujus quantitatis, seu quanto nihilo sunt minores, sic in Geometria verae

radices eas communiter lines designent, sensu illo, quales inveniendae proponuntur, at vero

falsae, sensu contrario. Adeo ut si vera accipiantur in data recta indefinita, a dato puncto

versus aliquod in ea punctum designatum, falsae in ipsa ab eodem puncto sume debeant versus

contrarium punctum.

(25)

2.1. I NUMERI NEGATIVI 25

detti numeri naturali; di seguito, ecco i primi termini

0, +1, +2, +3, +4, +5, +6, +7, +8, +9, +10, e via di seguito, all’infinito.

Se per` o, invece di continuare questa successione con addizioni ripetute, la si conti- nuasse in senso opposto, sottraendo sempre una unit` a, si otterrebbe la serie seguente, dei numeri negativi

0, −1, −2, −3, −4, −5, −6, −7, −8, −9, −10, e cos`ı via all’infinito. ([5], pp. 12-13)

Definite poi le operazioni di somma, sottrazione e prodotto, si sofferma sulla regola dei segni in questo modo:

§31 Sinora abbiamo considerato solo numeri positivi e non vi `e alcun dubbio che i prodotti che abbiamo formato non possano essere che positivi: cio`e +a per +b de- ve necessariamente dare +ab. Occorrer` a per` o esaminare a parte il risultato della moltiplicazione di +a per −b, e di −a per −b.

§32 Iniziamo a moltiplicare −a per 3 o +3; siccome −a pu`o considerarsi come debito, `e chiaro che se si prende tre volte questo debito, esso dovr` a diventare tre volte pi` u grande e, di conseguenza, il prodotto cercato `e −3a. Similmente se si tratta di moltiplicare −a per b, si otterr` a −ba o, ci`o che `e lo stesso, −ab. Concludiamo da ci`o, che, moltiplicando una quantit` a positiva per una quantit` a negativa, il prodotto sar` a negativo; prendiamo perci` o come regola che + per + fa + o pi` u e che, al contrario, + per −, o − per + faccia − o meno.

§33 Resta ancora da risolvere il caso in cui − sia moltiplicato per − o, per esempio,

−a per −b. ` E anzitutto evidente che, quanto alla parte letterale, il prodotto sar` a ab;

`e per` o ancora incerto se davanti a questo prodotto occorra mettere il segno + o il segno −; sappiamo solo che ci vorr`a uno o l’altro di questi segni. Ora, io dico che non pu` o essere il segno −: perch´e −a per +b d`a −ab, e −a per −b non pu`o produrre lo stesso risultato di −a per b; deve per`o risultarne l’opposto, cio`e +ab; come conseguenza abbiamo questa regola: − moltiplicato per − fa pi`u, come + moltiplicato per +. ([5].

pp. 20-22)

Dal punto di vista pedagogico l’esposizione `e lacunosa: senza invocare la

propriet`a distributiva del prodotto rispetto alla somma ed il ruolo dello zero,

non si capisce perch´e −a × −b debba essere opposto a −ab. Ossserviamo poi

che, se il modello economico `e perfetto per sdoganare le quantit`a negative, esso

lascia a desiderare quando lo si voglia usare per dedurre le operazioni: nel

caso −a × 3 esso funziona, mentre nel caso 3 × −a non funziona affatto, a

meno di dar per scontata la propriet` a commutativa del prodotto, come Eulero

sembra lasciar intendere al §31 dove, in effetti, egli afferma che occorre esaminare

solo due casi: +a × −b e −a × −b. Vi sono altri due modelli che portano ad

una introduzione naturale dei numeri negativi: il modello cronologico e quello

termologico. ` E abbastanza sorprendente, a parere mio, che il primo di questi

modelli non abbia avuto una sufficiente fortuna, almeno nei manuali elementari,

perch´e il riferimento al tempo `e tanto radicato quanto quello dello spazio e,

quindi del movimento. ` E ben vero che il tempo fluisce in un solo verso; `e per`o

(26)

altrettanto vero che il tempo viene contato a partire da un’origine, un punto zero, che fa da spartiacque tra il prima ed il dopo. Cos`ı, la nascita di Cristo viene assunta come anno 0, gli anni successivi vengono fatti corrispondere a numeri positivi, quelli precedenti a numeri negativi. Questo modello cronologico venne adoperato da diversi scrittori nel XIX secolo. Tra questi ricordiamo Adrien- Quentin Bu´ee (1748-1826) sacerdote cattolico emigrato in Inghilterra nel 1792 in quanto rifiut` o di giurare fedelt` a alla Costituzione (pr`etre r´efractaire). Nel 1806 egli pubblic` o il suo unico lavoro in matematica [11] che per`o lo colloca tra i primi ad aver proposto una teoria geometrica per chiarire il significato delle quantit` a immaginarie. Nella prima sezione di [11] Bu´ee aveva esposto alcune considerazioni sui segni + e − che eserciteranno un certo influsso su Augustin Cauchy e George Peacock. Bu´ee, che considerava l’algebra come un linguaggio matematico (langue math´ematique), criticando la visione newtoniana di algebra come aritmetica universale, considerava i segni + e − in due accezioni: come segni delle operazioni aritmetiche di addizione e sottrazione e come segni di operazioni geometriche, nel qual caso essi indicano direzioni opposte:

Se uno [di questi segni] significa che un segmento deve essere tracciato da sinistra verso destra, l’altro significa che esso deve essere tracciato da destra a sinistra ([11], p. 23) L’analisi del significato dei segni + e − diviene interessante procedendo nella lettura del lavoro di Bu´ee:

per conoscere che cosa significhi il segno − davanti ad una lettera, occorre conoscere che cosa significherebbe il segno + davanti alla medesima lettera e prendere per − il significato opposto.

Se, per esempio, +t significa un tempo passato, −t significa un tempo uguale ma futuro. Se +p indica una propriet` a, −p indica un debito dello stesso valore, ecc. ([11], p.24)

Infine, il modello termologico venne utilizzato da Joseph Diaz Gergonne per chiarire un equivoco sulla natura dello zero che, a pi` u riprese, aveva reso difficile l’accettazione delle quantit` a negative: se lo zero indica il nulla, le quantit` a negative sono minori di nulla e dunque non possono esistere:

Mi si chieder` a ora se considero le quantit` a negative isolate come maggiori o minori di zero. (...) Distinguer` o dapprima due tipi di zero, cio`e lo zero assoluto, simbolo di un puro nulla, al di sotto del quale non pu` o conseguentemente trovarsi alcunch´e, ed uno zero limite o punto di partenza, puramente convenzionale ed a cui si riferiscono sempre le quantit` a considerate come positive e negative. Tale `e, ad esempio lo zero del termometro; il livello di riferimento da cui si parte per valutare rilievi ed avvallamenti;

l’epoca da cui partono le cronologie per fissare la data degli eventi, sia anteriori che posteriori; ed `e ancora l’origine delle coordinate in geometria analitica. 14 ([25], pp.

10-11)

14 On me demandera maintenant si je consid` ere les quantit´ es n´ egatives isol´ ees comme plus grandes ou comme moindres que z´ ero? Avant de r´ epondre ` a cette question, je distinguerai d’abord deux sortes de z´ eros le z´ ero absolu, symbole d’un pur n´ eant, et au-dessous dequel cons´ equemment rien ne saurait se trouver, et un z´ ero limite ou point de d´ epart, qui est de pure convention, et auquel se rapportent costamment les quantit´ es consid´ er´ ees comme pouvant ˆ

etre positives et n´ egatives. C’est, par example, le z´ ero du thermom` etre; c’est le plan de niveau

(27)

2.2. COMPENSAZIONI 27

Si tratta di una risposta importante anche perch´e fa emergere con chiarezza il carattere convenzionale del concetto di zero come punto di separazione tra due classi numeriche.

2.2 Compensazioni

Iniziamo la storia della regola dei segni dall’Aritmetica di Diofanto giuntaci incompleta. Diofanto parte da una definizione euclidea di numero:

Numero `e una pluralit` a composta di unit` a. 15 ([19], p. 3)

e dunque taglia fuori dal concetto di numero anche l’unit`a. Nonostante questa restrizione, proprio nell’Aritmetica si trova la prima formulazione corretta della regola dei segni:

Meno moltiplicato per meno fa meno e meno per pi` u fa meno . 16 ([19], p. 13) dove per` o i termini minus e plus (λειψσ e υπα̺ξισ) non indicano numeri relativi ma esprimono i concetti di ci` o che manca o non esiste e di ci`o che esiste.

Oltre ad enunciare la regola, Diofanto ne fa delle applicazioni come, ad esempio, nel Problema 36 del libro quarto

Trovare tre numeri tali che il prodotto di due qualsiasi abbia un rapporto assegnato con la loro somma. 17 ([19], p. 287)

Detti x 1 , x 2 , x 3 i tre numeri, Diofanto considera il caso numerico in cui x 1 x 2 = 3(x 1 + x 2 ) x 2 x 3 = 4(x 2 + x 3 ) x 3 x 1 = 5(x 1 + x 3 ) : posto x 2 = x ed espressi gli altri due numeri in funzione di x, il problema richiede di esprimere il prodotto (x − 3)(x − 4) che viene correttamente calcolato come x 2 − 7x + 12, risultato che si ottiene solo applicando la regola dei segni che Diofanto non giustifica. In epoca moderna, i matematici si sforzeranno spesso di giustificare la regola.

Nel 1494 Pacioli pubblic` o la Summa de aritmetica geometria proportioni et proportionalita in cui la regola dei segni viene enunciata in questi termini (cfr.

[22], p. 321)

Pi` u via pi` u sempre fa pi` u Meno via meno sempre fa pi` u Pi` u via meno sempre fa meno Meno via pi` u sempre fa meno.

duquel on part pour estimer les ´ el´ evations et les abaissemens; c’est l’´ epoque de laquelle partent les chronologistes pour fixer les ´ ev´ enements, soit anterieurs soit posterieurs; et c’est encore l’origine des coordonn´ ees dans la g´ eom´ etrie analitique.

15 Omnes numeros compositos esse ex aliqua unitatum quantitate.

16 Minus multiplicatum in minus facit plus et minus in plus facit minus.

17 Invenire numeros tres tales ut binorum quorumvis productum ad summam rationem

habeat datam.

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