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Academic year: 2021

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Introduzione

Grazie a un libro, attraverso le sue parole, una vita può avere un’eco, vera o falsa: i libri sono stati sovente oggetto di traduzioni, trascrizioni, riscritture, mistificazioni. Quando leggiamo un romanzo ci apprestiamo a conoscere la vita di uno o più individui affrontando luoghi del mondo e della mente. Leggere significa cercare qualcosa di nuovo. Un lettore si nutre di novelle, favole e racconti, il suo animo ne ha bisogno, ama essere trascinato lontano da dove si trova e la lettura è un viaggio al cui termine ci rendiamo conto di aver guadagnato una qualche briciola di conoscenza del mondo.

La biografia è un genere che ha diverse finalità. Un biografo espone i suoi lettori alla conoscenza di una vita, l’atto di aver messo per iscritto la vita di un’altra persona porta con sé una natura problematica difficilmente risolvibile. Oggi le biografie proliferano e godono di un notevole successo editoriale, è inevitabile vista la vocazione umana a raccontare che assieme ad esse affiorino anche le biografie romanzate. A tre vite immaginarie e immaginate dai lettori è dedicata questa tesi. Prima che Jorge Louis Borges avesse scritto Storia universale dell’infamia il maestro Marcel Schwob aveva già partorito le Vite immaginarie riuscendo a far sprigionare il passato e resuscitando nel testo personalità dallo spirito pulsante.

Il mondo della narrativa è investito da varie pubblicazioni che si attestano come biografie romanzate e recentemente la biofiction sembra essere il nuovo termine adatto a circoscrivere un nuovo genere. Scopo di questa ricerca è offrire alcune riflessioni applicando alle biofiction un impianto di studio narratologico, nel dare un titolo alla ricerca si è preferito mantenere il nesso tra il neologismo contemporaneo con il titolo emblematico del testo di Schwob. La trasformazione dell’aggettivo immaginarie a immaginate riferito a vite è dovuto all’aspirazione di applicare la teoria della risposta estetica al suddetto argomento.

Se un romanzo appare ai nostri occhi come una forma letteraria libera che può vagare tra epoche e mondi disparati permettendo ai narratori acrobazie meravigliose, la biografia finzionale dalla sua parte possiede potenzialità e caratteristiche specifiche che le permettono di essere un degno oggetto di ricerca.

Difficile da indagare poiché a noi contemporaneo è il genere delle biografie finzionali nella letteratura italiana contemporanea, vista la vastità dell’argomento, si è scelto di circoscrivere l’ambito di studio; ciò consentirà di poterci addentrare nei meandri di una particolare letteratura consentendoci di focalizzare l’attenzione sui dettagli, di esplorare pregi e difetti di un testo. D’altro canto, la visione panoramica e analitica di alcune opere narrative

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potrebbe informarci su alcune novità fornendo istantanee vivide della biofiction italiana contemporanea. Nel dettaglio proveremo a dare uno sguardo a tre romanzi italiani di tre autori diversi elencati così:

Un amore dell’altro mondo di Tommaso Pincio pseudonimo di Marco Colapietro Io venìa pien d’angoscia a rimirarti di Michele Mari

Bela Lugosi di Edgardo Franzosini.

Un amore dell’altro mondo vede la sua prima edizione nel 2002 con Einaudi. Nel romanzo viene raccontata la vita di un certo Homer B. Alienson che si scopre essere l’amico immaginario di Kurt Cobain, cantante dei Nirvana e icona giovanile del rock morto suicida nel 1994. L’autore, nato nel 1963 e vissuto a Roma, adotta da tempo uno pseudonimo ricavato dalla traduzione del nome e cognome dello scrittore Thomas Pynchon. Curiosamente, Pincio è anche il nome di un colle romano. Pittore di formazione Marco Colapietro ha vissuto per alcuni anni a New York per poi esordire come scrittore. Lo scrittore ha uno stile che lo contraddistingue per un tono scanzonato, utilizza un linguaggio molto accessibile ai giovani e alcuni critici non esiterebbero a definire il romanzo un prodotto midcult. Sappiamo che l’autore collabora per la rivista Rolling Stone, scrive pagine culturali per il manifesto e per l’inserto de Il venerdìde La Repubblica. Ha avuto la possibilità di tradurre Francis Scott Fitzgerald, Jack Kerouac, Philip K. Dick, John Cheever e Claire-Louise Bennett. I suoi libri pulsano come vedremo di intertestualità e di transmedialità. Il romanzo qui esaminato è stato scelto per la difficile collocazione tra le diverse tipologie di biofiction; il protagonista è un notevole esempio di personaggio ibrido. Il libro è risultato interessante già a partire dagli elementi paratestuali come la foto del bambino Kurt Cobain in copertina e dalle informazioni editoriali in cui si legge:

Nomi, fatti e luoghi di questo romanzo

Sono soltanto simulacri di persone ed eventi del mondo reale.

La verità biografica non esiste, diceva un indagatore del pensiero, e quand’anche esistesse non sapremmo che farcene.

Michele Mari pubblica Io venìa pien d’angoscia a rimirarti per la prima volta con Longanesi nel 1990. L’autore (classe 1955) è un accademico italiano dalle notevoli doti linguistiche e stilistiche, insegna attualmente letteratura italiana come professore ordinario per l’Università Statale di Milano. Esperto di letteratura fantastica settecentesca e di neoclassicismo coltiva tra tanti l’interesse per la scrittura manierista del Cinquecento. È

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collaboratore culturale per La Repubblica, ha scritto per il Corriere della Sera e per il manifesto. Tra le traduzioni si citano quella di Stevenson (L’isola del tesoro), London (Il richiamo della foresta), Wells (La macchina del tempo), Orwell (La fattoria degli animali). È stato curatore insieme a Claudia Berra del volume Studi dedicati a Gennaro Barbarisi, in cui ha presentato la sua versione in endecasillabi sciolti del libro XXIV dell’Iliade, la cui prima produzione risale all’anno 1984.1 La biofiction di Mari è stata scelta per la sua natura diaristica, apocrifa e fantastica. Insieme a Un amore dell’altro mondo, Io venìa pien d’angoscia a rimirarti rappresenta un fortunato esempio di letteratura cult. La sua è una scrittura ricercata e fortemente strutturata, dalle tinte molteplici in cui è spesso presente la commistione dell’invenzione nella verità storica.

Edgardo Franzosini lascia che Bela Lugosi: biografia di una metamorfosi venga pubblicato nel 1984 con lo pseudonimo di Edgard Lander con l’editore Tranchida, il libro sarà poi rivisto in una nuova edizione dal titolo sintetico Bela Lugosi per Adelphi nel 1998. Ha tradotto I discepoli di Sais di Novalis, La vedova Couderc di Georges Simenon e Il rumore del fiume di Joseph Périgot. Lo scrittore è in ordine di apparizione il più anziano, nato nel 1952 e di lui si conosce l’interesse biografico per le vite dimenticate. Sappiamo che ha lavorato per più di 25 anni come impiegato in banca prima di riuscire a convertirsi professionalmente in biofictioner. Il suo libro, in linea con gli altri scelti in questa ricerca, è considerato un piccolo oggetto di culto dagli appassionati di cinema.2 La sua è una scrittura scarna e ordinata in cui vedremo è trasparente più un io editore che un io narrante.

I romanzi scelti hanno in comune il soggetto biografico ma quanto realmente possono essere raggruppati nella macrocategoria di biofiction? La risposta a questa domanda deve essere articolata e proveremo a farlo presentandone le rispettive diversità e le affinità col genere in questione.

La lettura porta a interrogarci sui personaggi della storia come se fossero persone reali, in carne ed ossa. Una lettura porta i suoi esperienti a creare dei profili psicologici, se vengono fornite descrizioni fisiche e se vengono raccontati dettagli anatomici procederemo ad immaginare il personaggio secondo caratteristiche oggettive (ovvero proprie dell’entità fittizia poiché appartenenti alla sfera del racconto) e soggettive (poiché è a partire dalla nostra idea che questa entità prende forma).

1 Cfr. Versione del canto XXIV dell’“Iliade” di Omero, pp. 769-809 di Michele Mari in Studi dedicati a Gennaro Barbarisi, CUEM, 2007.

2 Intervista a Edgardo Franzosini di Dario Pappalardo, La Repubblica, 30 novembre 2015.

https://www.repubblica.it/cultura/2015/11/30/news/edgardo_franzosini_racconto_vite_di_seconda_e_terza_ma no_-128486986/.

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In questo studio verranno abbozzati e definiti diversi termini che a nostro modo di vedere possono essere utili nell’analisi del testo letterario specifico che ci siamo prefissati di affrontare, si parlerà del punto di vista, di frame cognitivi attivati durante la lettura, del tema letterario del doppio e di intertesti. Molte nozioni saranno necessariamente scartate per portare l’attenzione su aspetti che a nostro avviso sono più importanti di altri.

La letteratura è un’espressione complessa che richiede disciplina e conoscenza di più tecniche comunicative narrative, analogamente la poesia non è l’esternazione immediata dei sentimenti dell’autore ma una ragionata disposizione intenzionalmente posta per indurre ad una reazione estetica. La cellula di un testo letterario è il linguaggio dispiegato in maniera funzionale e volontaria dall’autore, il protagonista è il lettore che situato in un tempo diverso della produzione narrativa deve districare la matassa comunicativa attraverso i propri strumenti interpretativi.

Il lettore deve compiere un certo sforzo perché il linguaggio è di per sé fittizio e potenzialmente ambiguo. Doppie sono anche le implicazioni nell’ambito dell’espressione di un contenuto letterario, il quale si configura nella polarità del significato semantico o in quello dianoetico, intendiamo per il primo il contenuto che sta denotando esplicitamente una parola e per il secondo “il nesso discorsivo tra le idee ispiratrici di un’opera” che elabora per mezzo di molteplici operazioni mentali deducendone il significato. Il primo significato è il più prossimo al testo, il secondo è quello situato più lontano pur continuando a intrattenere con il testo un legame.3 Poiché è nella successione ordinata che le parole perdono la loro aura di significati potenziali espressi nel dizionario per ricavare una singola voce di significato, una frase ha un particolare significato in virtù della specifica serialità delle parole che la compongono.4 Il testo nella sua interezza deve poter ammettere la necessità di precisazioni per risolvere l’ambiguità che di fondo lo caratterizza, non può essere prevenuto in seconda istanza il potenziale aumento di significato implicato nella natura interna delle relazioni delle proposizioni e nel rapporto extratestuale e intertestuale che i passi intrattengono.

3 Cesare Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 1999, p. 91.

4 Ibidem.

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I Strumenti

1.1.

Confini di un genere

La realtà di cui facciamo parte ricorre spesso a varie tecniche di storytelling, la nostra vita è ormai divenuta una grande narrazione attraverso blog, profili su disparati social media per veicolare particolari immagini. Il quotidiano affronta così una crisi della forma ridotta ormai a icona massimizzante e semplicista allo stesso tempo. Una resistenza alla banalizzazione dei contenuti e alla trasmissione di nuovi significati è ancora possibile? L’uomo racconta sé stesso e gli altri da quando è al mondo, anzi l’individuo è spesso obbligato a fornire la propria narrazione al mondo per non venire inghiottito dalla verità di altri. Fortunatamente ci sono e si spera che mai mancheranno storie ancora degne di essere menzionate sia perché sono narrazioni di vite speciali e sia perché sono uniche nella forma in cui sono scritte. Un termine nuovo oggi individua una pratica antica di storytelling: la biofiction. Con questa definizione seguendo i punti indicati da Riccardo Castellana possiamo includere in generale le finzioni biografiche. Si tratta di un’etichetta che non parla solo di un genere letterario ma anche di un soggetto tematico: la vita di un altro raccontata da uno scrittore. La magia della scrittura connette così l’esistenza alla fantasia umana, la realtà al sogno.

Riccardo Castellana predilige il termine biofiction ad altri considerando il consenso di cui la parola già gode riuscendo a includere significati a volte anche distanti tra loro. Il termine coniato nel 1990 da Alain Buisine è la fusione di fiction biographique5 e vedrebbe la figura del narratore già piegata verso l’attività della scrittura biografa e non direttamente alla scrittura romanzesca. Innanzitutto, parliamo di narrazioni, largamente dimensionate nel genere del romanzo in cui viene seguita la vita di un personaggio. Alexandre Gefen precisa però che è più la modalità comunicativa che il soggetto a dover essere sottolineato in una definizione che dovrebbe prendere “la finzione letteraria di forma biografica”.6 Possiamo assistere infatti alla biografia di un personaggio inventato e renderci conto del gioco letterario solo dopo svariate verifiche e ricerche. Così come possiamo leggere ingenuamente la biografia di Napoleone Bonaparte senza accorgerci dei contenuti falsi che lo riguardano.

5 Riccardo Castellana, Finzioni biografiche Teoria e storia di un genere ibrido, Carocci, Roma 2019, p. 20.

6 Ibidem.

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Alcuni romanzi sono scritti così bene che dopo esserci immersi nel mondo della storia non si riesce più a differenziare la verità storica dalla finzione, al termine di 2666 di Roberto Bolaño il personaggio di Benno von Arcimboldi sembra essere realmente esistito a causa del persistente richiamo a questa persona da parte del narratore. Stesso discorso per il paese di Santa Teresa che non è mai effettivamente esistito ma viene descritto con una lucida e precisa rappresentazione. Dobbiamo ammettere (in maniera preliminare) che il romanzo è sempre stato imparentato con la biografia e che quest’ultima salvo essere presa nella sua accezione più neutrale e storica è sempre stata passibile di finzionalità. Nell’accezione di Castellana di biofiction il romanzo con le sembianze di una biografia viene però escluso, ciò significa che se il romanzo tratta di un personaggio non realmente esistito, la modalità biografica secondo la quale il romanzo viene a essere raccontato avrebbe un riferimento improprio alla biofiction poiché si tratta di un essere fittizio. Castellana chiarisce dunque che vi sono due condizioni estreme diametralmente opposte di biografie romanzate da una parte e di romanzo biografico dall’altra. Occorre quindi interrogarsi sulla dominante di una componente o dell’altra, visualizzando tra gli estremi possibili sfumature.

È interessante notare come per Castellana la biofiction sia primariamente un genere narrativo ibrido e implicitamente un tema letterario. Per genere intendiamo la maniera in cui si manifesta l’articolazione del discorso, secondo un riferimento a categorie storiche e letterarie delle forme testuali ormai stereotipizzate nella mente dei lettori. Per tema invece in questa ricerca si intende il tipo di modello discorsivo implicato nella comunicazione, funzionalmente macrostrutturato in un’astrazione semantica (un concetto) che permette di condurre ad uno schema gerarchico le parti minime che lo compongono. Semplificando il genere può essere individuato come la fiction biografica accettando che questa nuova categoria sia entrata a far parte delle categorie epistemologiche di un pubblico, mentre il tema può essere ricondotto ad esempio a quello della “tossicodipendenza”, della “licantropia”, del

“vampirismo”, del “mondo distopico”, dell’“incesto”, del “viaggio”, della “metamorfosi”, del

“soggetto biografico”. Queste macrostrutture prevedono di essere scomposte in episodi tematici minimi ordinati secondo un principio di causa ed effetto che può essere deliberatamente scritto in ordine non cronologico. Ad esempio, nel “soggetto biografico” è possibile prevedere una scomposizione in “nascita”, “infanzia”, “adolescenza”, “maturità”,

“morte”.7 La commistione di due caratteristiche così diverse tra loro per la costituzione di un

7 Cfr. Stefano Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, Carocci, Roma 2013, Riquadro 2.4, Monika Fludernik e la revisione del concetto di “tema”. Cit.: p. 49. “Per i narratologi del Novecento, i temi e i motivi

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discorso teorico ha delle implicazioni non immediatamente risolvibili. Numerose proprietà di un testo sono considerate come influenti e definenti di un racconto, ma andiamo per ordine.

Vista la materia eterogenea del genere Castellana traccia undici separazioni possibili nel campo delle finzioni biografiche che qui vengono riassunte come i tipi di genere che non possono essere definite biofiction:8

1) L’eterobiografia o la biografia “seria” cioè una narrazione in cui vige il dovere di referenzialità, sarebbe questo il caso di una biografia accurata nella quale nessuna pratica di discorso finzionale o fittizio è permessa. Il principio della veridicità e di conseguenza della verificabilità storica deve essere rispettato.

2) La biografia letteraria ovvero la scrittura biografica che ha come protagonista uno scrittore. In questa narrazione si dovrebbe riscontrare una “letterarietà condizionale”

ovvero “soggetta a condizioni valide solamente in determinati contesti e soprattutto di ordine stilistico”. A questa finzione biografica è concessa una licenza “moderata” di onniscienza e le incursioni psicologiche da parte del narratore sono ammesse.

3) La biografia testimoniale consiste nel riportare in guisa di testimonianza fatti e avvenimenti non documentabili sui quali però garantirebbe una persona che conosce direttamente il soggetto della narrazione. Tale tipo di racconto avrebbe letterarietà condizionale ma non costitutiva, tradotto: il narratore può utilizzare una prospettiva esterna dalla quale narrare gli eventi come un narratore onnisciente senza avere tutte le possibilità di questi e senza poter di conseguenza leggere la mente del biografato.

4) L’autobiografia in cui narratore e autore coincidono, allo stesso modo gli eventi narrati corrispondono alla verità. Castellana cita Lejeune a proposito di questo genere definendolo

“racconto retrospettivo in prospettiva che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della sua personalità”.

5) L’autofiction ovvero il racconto misto (“ibrido”) di eventi reali e no. Tale genere possiede un carattere dubbio poiché il lettore non riuscirebbe a capire dove la fattualità si interrompe per lasciar spazio alla finzione.

6) Il nonfiction novel, narrazione ibrida di fatti di cronaca o comunque reali raccontati lungo una traccia auto/biografica. La storia così classificata ha al suo centro o la vita di una

erano unità minimali del contenuto, mentre per la neuroretorica sono dei dispositivi semantici per selezionare, specificare e organizzare i significati di un testo”.

8 Alcuni termini non sono immediati ad un pubblico italiano perché mutuati da Genette, nel riassumere l’elenco di tipologie biografiche proviamo a comprendere la separazione concettuale posta del ricercatore, ci riserviamo in seguito di discuterla.

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persona o vari episodi di fatti documentati secondo un procedimento che cede spesso il passo ad un dipanamento finzionale.

7) La nonfiction biografica definita in opposizione al nonfiction novel perché lo “statuto fattuale” ha la meglio sul grado di finzionalità del testo incentrato il più possibile su un proposito di attenersi ad una riscontrabile “veridicità”.

8) La biografia storica di un personaggio di finzione (o eterobiografia storica) ovvero una narrazione che imita in tutto una biografia documentata storicamente che quindi confonde il lettore poiché parla di personaggi fittizi come se fossero persone storiche realmente esistite, producendo anche una documentazione storica a supporto della narrazione (nel paratesto).

9) Il romanzo storico, nell’accezione comune, ovvero un romanzo costituito da una storia inventata popolata da personaggi fittizi e possibilmente anche personaggi reali che interagiscono tra loro. Scopo di tale genere è rappresentare un momento storico, raffigurare uno spaccato accurato di una società e della sua mentalità.

10) La fiction basata su una persona reale al quale però nel romanzo viene dato un nome fittizio. Questo genere di racconto rende a volte chiaro il riferimento alla persona reale con elementi paratestuali o lo tiene il più possibile celato grazie ad un camouflage per mantenere il gioco del romanzo “a chiave”. Ulteriore possibilità di questa narrazione è l’icocervo filosofico definito come “genere semiserio” in cui vengono fuse “in una sola identità due diverse personalità storiche sfruttando una somiglianza onomastica”.

11) L’ultima separazione comprende in realtà tutti i generi della prosa narrativa in generale compreso il romanzo e il racconto breve, lo studioso probabilmente considera anche questa distinzione per poter allargare il campo delle possibilità ed escludere con una tassonomia precisa e circoscritta le narrazioni non accettabili come biofiction.

1.2.

La fictio e il fictum

Che cos’è la finzione? Per rispondere alla domanda riprendiamo Cesare Segre in un suo storico manuale di analisi letteraria.9 Dal punto di vista etimologico finzione deriva da fingere, azione che rimanda ulteriormente a due gruppi di significato: ‘plasmare’ e ‘foggiare’ da una parte, immaginare, raffigurarsi e supporre dall’altra. Il termine fictus possiede anche una certa

9 Cfr. Segre, op. cit., pp. 214-216.

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connotazione negativa di ‘falso’ e ‘finto’, prossimo a questa parola abbiamo la fictio dalla quale abbiamo ricavato in italiano finzione, questa ultima ha acquisito dal fingere la n innestata nella forma fictio.10 Segre rintraccia un legame semantico molto stretto tra il termine fictio e inventio che agirebbe sulla materia delle idee secondo la modalità del recupero o del

‘ritrovamento’.11 Segre ricorda che la letteratura fin dai tempi dell’antica Grecia aveva avuto un rapporto problematico con la verità, come può l’arte infatti essere imitatrice della realtà e allo stesso tempo dispaccio di menzogne? La questione di ordine gnoseologico ha portato fin dagli albori della scrittura a conflitti e diatribe nel campo del reale a causa del rapporto problematico che la fantasia instaurava con la realtà.

Senza andare a cercare oltralpe o oltreoceano ulteriori spunti per questa riflessione teorica basterebbe menzionare un caso importante di riflessione sul racconto e sul rapporto dell’invenzione con la realtà. Redatto in latino il Genealogie deorum gentilium è uno scritto dall’ultimo Giovanni Boccaccio in cui discute a fondo alcune implicazioni della narrativa, tra gli infiniti commenti a questo trattato ci riferiremo brevemente al pensiero di Elisabetta Menetti.12 Boccaccio si interroga giustamente sul problema della verità nella letteratura e sulla legittimità del poeta di inventare delle storie, la risposta che il novelliere trova è che il poeta possiede la licentia vagandi. La possibilità di vagare nel campo della possibilità, di costituire nuove invenzioni è la salvezza dal nulla (“nichilum”), il poeta può manipolare e alterare la realtà tramite la dispositio e l’artificio poetico poiché il suo interesse è “studiare i caratteri della fictio”, per amore della “parola narrata” che contiene già da sé i caratteri visionari propri del racconto egli avrà la licenza di mescolare il vero al finto per indurre il proprio lettore nel campo infinito e magnifico dell’immaginazione. Insita nella natura del poeta vi è infatti l’intentio fabulantis cioè la volontà di fabulare, di raccontare per amore della fantasia. Il pensiero di Boccaccio analizzato lucidamente da Menetti è ancora oggi di un’attualità e di una utilità disarmante. Proprio in virtù della liminarità di genere della novella possiamo mettere in dialogo la prima con la biofiction, entrambe sono situate in una terra di tutti e di nessuno, in un’area fingendi all’interno della quale convivono la verità storica e la fantasia, la finzione e la realtà.13

Castellana precisa che una narrazione finzionale non rimanda a “referenti esterni”

specificando come un romanzo basato su un soggetto storico non sia “mai veramente

10 Ivi.

11 Parleremo ancora di questi termini di retorica classica infra.

12 Elisabetta Menetti, La realtà come invenzione, forme e storia della novella italiana, FrancoAngeli, Milano 2015, cfr. pp. 49-54.

13 Cfr. Ivi, p. 50n.

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indispensabile” alla realtà; ma come è possibile ammettere ciò? La maniera in cui il ricercatore pone quest’affermazione è degna di sospetti per il tono oggettuale e scientifico con il quale viene pronunciata:

La narratologia, dal canto suo, non nega, che in Guerra e pace poniamo, parole come

“Napoleone” o “Austerlitz” rimandino a una realtà storica o a un insieme di conoscenze enciclopediche esterne al testo, ma ritiene che il riferimento al mondo reale non sia mai veramente indispensabile in un romanzo, il cui scopo primario non è quello di pronunciare giudizi di verità sul mondo esterno ma raggiungere una coerenza formale e semantica interna.

La risposta dello studioso che troneggia come una paradossale affermazione non tiene conto del fatto che proprio in virtù della sua referenza esterna che un’opera raggiunge la propria solida identità semantica. Per Castellana le strutture narrative interne al testo da un punto di vista degli interessi della narratologia non devono necessariamente occuparsi del reale ma della coesione meccanica e interna del testo. Inoltre, aggiungiamo noi, un testo non ha necessariamente un’unica coerenza ma più “una somma coerente di diverse coerenze” come dice Segre, senza tener conto ancora di altri aspetti, ad esempio la prosa sperimentale che può richiedere al lettore di connettere coerentemente frammenti tra loro separati14 ma anche di collegare la propria enciclopedia esperienziale all’universo testuale per darne un personale significato. In un primo momento troviamo un riferimento alla teoria di campo di referenza di Benjamin Harshaw il quale distingue tra referenza interna o esterna. Nel modello di Castellana preso in considerazione assume importanza una sorta principio di produzione di un enunciato che sia “vero” e “verificabile” che renderebbe ogni testo non finzionale come appartenente ad una categoria fattuale, mentre la parte restante di fiction, poiché qualitativamente differente, avrebbe delle caratteristiche di autoreferenzialità. In un secondo momento lo studioso ammette che in un testo i referenti del mondo reale si appoggiano alla singola enciclopedia dei lettori, servendosi di Cohn Castellana scrive che:

14 In Segre, op. cit., leggiamo che “Doležel, per esempio, indica quattro livelli di coerenza, due semantici (cioè pertinenti al significato globale) e due relativi alla testura, cioè alla superficie del discorso: a) coerenza semantica a lunga portata;

b) coerenza semantica a breve portata; c) coerenza discorsiva a breve portata; d) coerenza discorsiva a lunga portata.

Dove le espressioni lunga portata (long-range) e breve portata (short-range) si riferiscono a connessioni a distanza, perciò strutturanti, o invece a connessioni immediate, tra singole parti del testo. La conclusione mi pare debba essere questa: le coerenze segnalate dalla linguistica testuale non hanno, nel testo letterario, una semplice funzione connettiva e distintiva ma si stratificano in gerarchie che costituiscono, del testo, le strutture. Il problema della struttura si sostituisce così a quello dell’unità e della coerenza, e prepara i materiali per la scoperta dell’altra e più complessa coerenza che è quella artistica.”

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mentre il discorso referenziale (storico) deve sempre basarsi su fatti verificabili […] quello finzionale può esserlo ma non è obbligato a farlo […] ed è questa obbligatorietà, in questa sospensione temporanea della referenza, che sta il suo segreto. Se vogliamo diventare il lettore modello dei Promessi sposi, ad esempio, dobbiamo sapere chi era il cardinale Borromeo, perché il ricorso alla nostra enciclopedia ci permetterà di completare (ed eventualmente confermare) l’immagine parziale che ce ne dà Manzoni nel libro. E tuttavia, anche se non sapessimo nulla di lui, continueremmo incontestabilmente a percepire I promessi sposi come un romanzo: il rinvio al referente esterno “Federigo Borromeo”, insomma, migliorerà senz’altro la mia comprensione del significato complessivo del romanzo (mi farà diventare il lettore modello di Manzoni) ma non altererà in nessun modo la mia percezione della natura finzionale del libro.15

Se lo scopo di un’opera narrativa è quello unicamente di confermare le proprie caratteristiche referenziali, le quali giustifichino l’esistenza della storia soltanto rispettando le prerogative strutturali che la definiscono come semanticamente coesa, a che cosa serve dunque parlare di imitazione della realtà o rappresentazione di un mondo possibile? La proiezione delle idee di un romanzo avviene al di fuori del suo contesto, anzi l’interpretazione di un testo si vede compiutamente realizzata quando entra dinamicamente in contatto con l’esterno, non vive in maniera autonoma all’interno del testo. Ma torniamo alle finzioni biografiche per poi ridiscutere alcuni di questi aspetti.

Già a partire dal titolo del paragrafo annotiamo un primo aggettivo perché alla base del gioco letterario, quello di “finzionale”. Una prima domanda alla quale dovremmo rispondere è “di fronte a cosa ci troviamo, un fatto o una finzione?”. Quando i bambini giocano ricorrono al facciamo “finta che...”, ad esempio “facciamo finta che io ero un cavaliere e tu eri una regina”. Per fingere e per leggere finzionalmente una storia o una rappresentazione drammatica, per guardare da dentro un’azione come quella ludica di due bambini occorre sicuramente abbassare le prime difese che ci permettono di distinguere tra vero e falso, tra realtà quotidiana e gioco come pratica linguistica-sociale, attuando una sospensione dell’incredulità. Ci troveremmo così in un mondo situato a metà tra il vero o falso, quello del possibile e del “come se” all’interno del quale i parametri di realtà e fantasia si combinano per far funzionare narrativamente un’azione “diversa”. Per finzionale intendiamo dunque una condizione propria di una storia per poter funzionare (fungere) staccata dalla realtà ma alla

15 Cfr. Castellana, op. cit., cit. p. 24.

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quale continua comunque in un certo grado ad essere riferita. In altre parole, riferendoci alla domanda “fatto o finzione?” nel campo della finzione biografica saremmo davanti ad un “fatto finzionale”, l’avvenimento osservabile non è sicuramente reale, per essere compreso necessita di essere colto nell’universo di cui fa parte ma deriva ugualmente dalla realtà di cui possiede anche in maniera minima alcuni caratteri. Castellana nel definire l’aggettivo finzionale chiarisce che si tratta di una proprietà relativa alla sola fiction, escludendo il resto della letteratura; facendo l’esempio di un romanzo lo studioso circoscrive il valore referenziale della finzione affermando che essa “non ha alcun obbligo di referenzialità rispetto al mondo esterno”, dichiarando prima ancora che un lettore per capire i personaggi di un testo narrativo deve metterli in riferimento soprattutto allo sfondo narrativo di cui fanno parte.16 Questo pensiero come vedremo più avanti è vero solo in parte e poco sembra essere in linea con il pensiero di altri studiosi che invece valutano il mondo reale come necessario fondamentalmente costituente di un racconto finzionale.

Il secondo termine a interessare lo studioso della biofiction è “fittizio”. Il vocabolo fittizio (che come abbiamo già detto è etimologicamente derivato da “fingere”) è definito come “tutto ciò che è non solo privo di una referenza esterna in quanto finzionale ma anche palesemente inventato”17. Di conseguenza il finzionale “appare” come reale ma non lo è, il fittizio (ci sembra di evincere) avrebbe una natura completamente artefatta. La distinzione così mostrata porta a vedere gli esistenti letterari secondo criteri di rilevanza che hanno a che fare più con una realtà storica-esistenziale opposta ad un non riscontrabile universo di invenzione. Il modello di Castellana funziona nell’ambito della sua ricerca per il fatto di preoccuparsi principalmente dell’effettiva congruenza sul piano reale degli esistenti letterari.

Come vedremo infra se Tommaso Pincio nel suo romanzo menziona Kurt Cobain egli è vivo nella storia come personaggio finzionale mentre la sua controparte fittizia risiederebbe in Homer B. Alienson. Sarebbe da annotare in maniera complementare a questa teoria che i termini finzionale e fittizio più che riguardare in maniera ontologica i personaggi letterari sarebbero da applicare alla modalità di articolare la forma narrativa descrivendo o costruendo dei contenuti più o meno inventati.

Sarebbe forse opportuno parlare anche di “narratività” distinguendo come fa Giovannetti tre punti costitutivi delle più disparate narrazioni: fictum, fictio, suppositio. Il fictum è il contenuto ideato dallo scrittore, la fictio è come il materiale creato dall’autore viene ordinato, la suppositio è l’azione “virtuale” di riferire “contenuti e valori” non direttamente

16 Cfr. Castellana, op. cit., p. 24.

17 Ibidem.

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“conoscibili”.18 Questa distinzione è possibile considerando il termine fiction nel suo significato in inglese il quale ha mantenuto essenzialmente le stesse sfumature che aveva nel latino fictio. Segre ci ricorda che nelle lingue romanze il suo significato “oscilla tra

‘simulazione’ e ‘invenzione letteraria’”.19 La visione di Giovannetti oltre a riuscire a collegare le parti nei loro punti di separazione è in linea con la concezione classica di inventio, dispositio e compositio. L’inventio è l’insieme dei pensieri i quali senza la dispositio si troverebbero disordinati nella mente dell’artista, quest’ultima sarebbe la strutturazione intenzionalmente ordinata in concomitanza all’articolazione artistica del materiale: la compositio.

Entriamo così nel campo della retorica, ovvero nell’insieme delle strategie che un oratore usava nell’antichità per riuscire a essere convincente, persuadere il proprio pubblico per indurlo anche alla commozione. Per Aristotele queste figure sono così ordinate: inventio, elocutio, dispositio, actio, memoria. L’inventio è la migliore strategia da adottare per essere persuasivi, l’elocutio è la scelta delle migliori parole volte ad indurre la reazione voluta dal parlante, la dispositio è “l’ordine distributivo più efficace delle parole e degli argomenti”

mentre la memoria è la divisione strutturata del discorso in funzione della sua messa in azione.20

1.3

Mimesi vs diegesi

In che modo il discorso può essere rappresentato? Sulla scia di questa trafila di termini è opportuno parlare di mimesis e diegesis. Riportiamo a seguire un passo del manuale di Stefano Calabrese che sintetizza perfettamente la concezione Aristotelica dei due modi possibili di comunicazione narrativa:

Come concetto letterario, il modo si riferisce ai differenti tipi di discorso o rappresentazione all’interno di un testo narrativo (la narrazione, il resoconto, la descrizione, il commento), mentre in un’accezione più specifica il termine indica la regolazione dell’informazione narrativa, ossia il tipo e la quantità di informazioni comunicate in un testo […]. La più influente interpretazione del modo viene dalla Poetica aristotelica: dopo aver definito la poesia come imitazione, Aristotele afferma che le imitazioni possono essere differenziate secondo tre criteri: mezzo, oggetto e modo. Il suo concetto di modo sviluppa la riflessione

18 Paolo Giovannetti, Il Racconto - Letteratura, cinema, televisione, Carocci, Roma 2012, cfr. p. 28.

19 Segre, op. cit., p. 216.

20 Cfr. Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, p. 14.

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platonica contenuta nel III libro della Repubblica, dove viene istituita una forte opposizione tra mimesis (letteralmente “imitazione”) e diegesis (letteralmente “narrazione”). Platone distingue tra i) una narrazione semplice (haple diegesis), in cui il poeta parla a proprio nome, senza fingere di essere qualcun altro, come avviene per esempio nel ditirambo, esplicitando quindi la presenza di una mediazione narratoriale; ii) una narrazione per mimesis, nella quale il poeta parla attraverso i personaggi, dunque come se fosse qualcun altro, al modo stesso in cui ciò si verifica per esempio nella tragedia e nella commedia, che infatti non comportano una mediazione narratoriale (o la comportano in minimo grado);

iii) una forma mista, che combina le due forme precedenti come avviene nella poesia epica, dove il modo diegetico della storia semplice si alterna al dialogo rappresentato mimeticamente.

Platone preferisce la narrazione pura e discredita la rappresentazione per imitazione, al punto da escludere nel libro X della Repubblica gli artisti mimetici dal suo stato ideale.

Egli sostiene infatti che l’arte mimetica, essendo solo copia di una copia, è priva di consistenza ontologica; la mimesi, inoltre, sarebbe pericolosa a causa del suo carattere illusorio e perché influenza l’audience non tramite la persuasione razionale, bensì attraverso la contaminazione emotiva. Questa distinzione viene in qualche modo neutralizzata da Aristotele, che considera mimesis e diegesis come due modi alternativi di imitazione, la quale si occupa della rappresentazione sia del discorso sia dell’azione.21

Calabrese prosegue parlando della corrispondenza moderna dell’opposizione showing e telling. Parleremo infra di queste due modalità, per adesso anticipiamo che lo showing è mostrazione mentre il telling coincide con il termine narrazione, la prima tecnica discorsiva permette di ridurre al grado più basso la parola mediata del narratore che viene pertanto percepita come prodotta da sé, la seconda corrisponde ad una storia all’interno della quale un narratore è dotato di forte presenza.

1.4.

Raccontare la vita, tracce storiche di un genere

Da quando l’homo narrans parla della vita degli altri? Per riflettere sulle origini del romanzo biografico, possiamo nominare alcuni momenti significativi tentando di delineare un’evoluzione che non si prospetta come la reale e storica costituzione o evoluzione di un

21 Stefano Calabrese, La comunicazione narrativa – Dalla letteratura alla quotidianità, in collaborazione con Federica Fioroni, Bruno Mondadori, Milano 2010, pp. 56-57.

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genere. Sebbene in maniera frammentaria questo breve percorso cerca di far luce su alcune caratteristiche nobili della scrittura biografica che ancora oggi godono di buona salute.

Le prime attestazioni di scrittura biografia possono essere tracciate nell’antica Grecia con le Vite parallele di Plutarco scritte tra il I e il II secolo dopo Cristo, si tratta di una serie di biografie di uomini politici, militari, filosofi collocate secondo un’interessante struttura doppia (personalità greca contrapposta ad una personalità romana) al fine di effettuare un bilancio di pregi e difetti. La modalità di confronto secondo la quale queste vite vengono illustrate aveva probabilmente il fine di mostrare a entrambe le parti una certa prossimità culturale per indurli ad un atteggiamento più moderato nei confronti dell’altro. Sul versante latino sempre nel II secolo citiamo Apuleio con Le metamorfosi (anche conosciute come l’Asino d’oro), l’opera, caratterizzata da una narrativa mista quindi contaminata da altre scritture è un protoromanzo in cui l’autore si rappresenta protagonista di vicende fantastiche e magiche. Seppur in questo caso non si possa parlare si scrittura autobiografica, i rimandi evidenti alla vita dell’autore come ad esempio il riferimento alla sua passione per le pratiche magiche ci portano verso il genere della confessione e della memoria biografica in cui è d’obbligo citare Agostino con le Confessioni. Nel racconto introspettivo e nello sguardo agli errori del passato la scrittura di Agostino passa alla storia per essere una delle massime opere autobiografiche della letteratura filosofica. Non possiamo soffermarci a lungo sull’opera agostiniana, quello che possiamo dire è che Agostino è stato il primo a riflettere sulla concezione interiore del tempo, la quale sarà poi ripresa da Henri Bergson che lo definirà come progressione continua di stati di coscienza interiori.22 Agostino ha quindi riflettuto per primo sulla complessità che il tempo riveste nel nostro pensiero del quale ci illudiamo di conoscerne il funzionamento ma di cui in realtà non conosciamo adesso che poca cosa. Il fatto che in una scrittura biografica si trovino delle riflessioni di ordine filosofico così importanti ha portato la critica a valutare sempre le Confessioni come qualcosa di ben maggiore di un semplice bilancio retrospettivo. Citiamo un brano del testo perché ci sembra necessario mostrare come già molto tempo fa Agostino si interrogava sulla memoria del passato:

Trascenderò dunque anche questa forza della mia natura per salire gradatamente al mio Creatore. Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono

22 Cfr. Stefano Calabrese, La comunicazione narrativa, cit., pp. 112-113: «[…] il tempo non è riducibile a una successione di istanti identici in un ordine progressivo e lineare, perché esso è soprattutto durata (durée) e simultaneità che annulla le differenze tra passato, presente e futuro.»

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pure depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito e sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate e, mentre ne cerco e desidero altre, balzano in mezzo con l’aria di dire: "Non siamo noi per caso?", e io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo; altre sopravvengono docili, in gruppi ordinati, via via che le cerco, le prime che si ritirano davanti alle seconde e ritirandosi vanno a riporsi ove staranno, pronte a uscire di nuovo quando vorrò. Tutto ciò avviene, quando faccio un racconto a memoria.23

Continuando a scorrere tra esempi di scritture biografiche si può procedere con un ampio salto temporale per rintracciare altri generali riferimenti alla scrittura biografica nelle leggende agiografiche e nella scrittura breve. All’interno delle prime si troverebbe la storia della vita di un santo con gli avvenimenti memorabili soggetti ad esempio di venerazione, ad esempio la sua passio o i miracoli compiuti. A questo impianto di natura chiaramente clericale si potrebbe aggiungere il genere dell’exemplum, quest’ultimo racconta in maniera frammentaria gli episodi degni di nota della vita di un santo e poteva essere la base per una buona omelia che parlasse al popolo seguendo un principio imitativo. Proseguiamo l’elenco ricordando il genere della vida, termine provenzale che si riferisce alla parola vita, si tratta di un testo in prosa, generalmente la breve biografia di un poeta o di un cavaliere, queste narrazioni presenti nei canzonieri dei trovatori riceveranno una riscrittura e una conseguente ritrasmissione grazie all’organica raccolta del Novellino, una raccolta di brevi storie che comprende sia eventi ordinari che storie di fantasia, le quali hanno comunque spesso protagonisti reali o verosimili.

Le novelle italiane hanno il valore di aver tramandato motivi letterari e di aver canonizzato in maniera prototipica il genere della narrazione breve, un esempio può essere quello della vida di Guillem de Cabestany, cavaliere e trovatore vissuto tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo che con Boccaccio diviene Guglielmo Guardastagno.24 La riscrittura di questa vida e la sua trasmutazione in novella ci porta all’importanza della rappresentazione in

23 Agostino, Le Confessioni, a cura di Maria Bettetini, traduzione di Carlo Carena, Giulio Einaudi editore, Torino 2000 (1984), cit., p. 343.

24 La novella in questione è quella del “cuore mangiato”, la nona novella della IV giornata del Decameron. Cfr.

Giovanni Boccaccio, Decameron, Rizzoli, Milano 2013.

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cornice dell’opera di Boccaccio il quale è a tutti gli effetti il detentore della massima realizzazione di struttura di macrotesto e microtesto, non solo, la novella è il solido genere da cui il romanzo può essere generato per estensione e dilatazione del racconto che può essere desunto da essa. Ogni novella è un romanzo allo stato embrionale e ogni romanzo può essere ricondotto al genere del racconto breve.

Nel campo della storia dell’arte italiana è memorabile l’esempio di Giorgio Vasari con Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, il testo di Vasari oltre che possedere notevoli qualità descrittive ha la curiosa caratteristica di soffermarsi lungamente su vere e proprie invenzioni letterarie come aspetti curiosi della vita degli artisti, screzi, pettegolezzi e aneddoti che rendono l’opera altamente accattivante per il destinatario.

Gli esempi che si potrebbero nominare sono ancora moltissimi, per la genesi della biofiction rimandiamo all’ottima e precisa rassegna di Castellana. Dopo un’approfondita spiegazione della situazione storica e del paradigma teorico in cui la riflessione del ricercatore si colloca il manuale recita così:

[c]hiamo biofiction una finzione narrativa in prosa incentrata sulla vita di una persona reale, distinta dall’autore, seguita nel suo intero sviluppo oppure ridotta a pochi momenti o topoi significativi (spesso quello degli ultimi giorni prima della morte, quando è possibile un bilancio retrospettivo mediante analessi). Ciò che la distingue dalla biografia propriamente detta è l’ibridazione del discorso fattuale (il biografico “puro”) e la fiction, tanto sul piano testuale quanto su quello pragmatico. A livello testuale, l’oggetto dell’ibridazione potranno essere sia i contenuti (i temi) che le forme: nel primo caso avremo deroghe più o meno generose alla fedeltà documentaria, racconti o descrizioni di fatti e personaggi parzialmente inventati o totalmente fittizi, di situazioni più o meno verosimili ecc.; nel secondo, l’adozione di dispositivi tipicamente finzionali, come l’indiretto libero, il flusso di coscienza e altre forme di onniscienza psichica. A livello pragmatico, invece, l’ibridazione può coinvolgere il patto di lettura, che viene riconosciuto come finzionale quando ciò che viene promesso dal paratesto non corrisponde a quanto dichiarato dal testo, e anzi lo contraddice […].25

Una così dettagliata classificazione permette di riconoscere ad un chiaro modello di riferimento una svariata produzione di prosa narrativa, il valore di questa ripartizione è anche la base empirica sulla quale lo studioso si appoggia (della quale per motivi di spazio non abbiamo trattato). La definizione della biofiction come genere ibrido, aperto alla contaminazione, non è esule da alcune contraddizioni. Uno scrittore nemico delle classificazioni come Carrère può sempre riuscire a varcare i confini delineati in questo

25 Castellana, op. cit., pp. 36-41, cit. pp. 36-37.

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modello, come si dovrebbe comportare in questa possibilità la tassonomia in questione?

Allargare ulteriormente un modello di undici elementi non sembra opportuno, inoltre il modello qui riassunto contiene già numerose postille e clausole per forzare il contenimento di pratiche narrative che difficilmente rimangono imbrigliate ad una o più definizioni categoriche. Come si può comportare il modello quando uno scrittore riuscirà a inventare un romanzo biografico non propriamente fattuale né finzionale, incastonando biofiction su biofiction in una miniatura testuale? Probabilmente Carrère è già riuscito per assurdo a rompere programmaticamente vari punti dell’elenco, eppure è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi scrittori di biofiction europei contemporanei, ad esempio egli con Limonov ha fatto di una pseudo eterobiografia letteraria la sua personale autofiction.26 L’indicatore della bussola balla di continuo nello sfiorare alcune biofiction mentre con altre rimane saldo a indicare un punto cardinale, il modello permette comunque di avere una base da cui partire anche se nella lunga durata non è possibile prevedere quanto questa tassonomia possa essere in grado di reggere.

1.5.

Il problema del punto di vista e la metabiofiction

La biofiction si distingue dalla biografia convenzionalmente intesa per la mancanza di oggettività a guadagno di una soggettività espressa spesso per mezzo del narratore, un’esposizione siffatta è lontana però dallo spiegare in maniera empirica il fenomeno della narrazione finzionale di fatti pertanto Castellana preferisce ricorrere in prosecuzione degli studi genettiani ai termini di voce e focalizzazione.27 Genette lo ricordiamo distingueva vari tipi di narratore: il narratore omodiegetico quando egli stesso è un personaggio e fa parte (in una certa misura) delle vicende e allodiegetico28 il narratore che da una posizione periferica narra gli eventi con garanzie autoriali proprie del narratore onnisciente;29 narratore autodiegetico quando egli è l’eroe della storia e in ultima istanza eterodiegetico quando è

26 Cfr. ad esempio Sara Sullam, In prima persona: i récits di Emmanuel Carrère, «il verri», n. 55, “eccessi dell’io”, Giugno 2014, pp. 39-48; Marco Puleri, Limonov by Emmanuel Carrère. The ‘Portrait’ of an Autobiographical Hero, «Studi Slavistici», n. 10, Marzo 2013, pp. 219-236. Filippo, Pennacchio, «... And now I have to enter Father Mike’s head, I’m afraid» Parallessi, onniscienza omodiegetica e “io” autoriali nella narrativa contemporanea (I), in «Enthymema», n. 10, pp. 94-124, Giugno 2014.

27 Ivi, p. 43.

28 Riferimento al paragrafo di Gérard Genette in Figure 3, Da «Jean Santeuil» alla «Recherche», ossia il trionfo dello pseudo-diegetico, traduzione di Lina Zecchi, Einaudi, Torino 1976.

29 Filippo Pennacchio, «… And now I have to enter Father Mike’s head, I’m afraid» Parallessi, onniscienza omodiegetica e “io” autoriali nella narrativa contemporanea (I), «Enthymema», n. 10, 2014, p. 110.

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completamente estraneo alla diegesi. Castellana trasforma le varie categorie in funzione della biofiction parlando di biofiction eterodiegetica, omodiegetica, autobiofiction, allobiofiction, metabiofiction. La metabiofiction è una categoria sui generis che spiegheremo tra poco.

Abbiamo già parlato di come gli strumenti per differenziare i generi narrativi siano per Castellana quelli della voce e della focalizzazione, Genette aveva teorizzato tre tipi di focalizzazione: assenza di focalizzazione (o focalizzazione zero per dirla con Giovannetti), focalizzazione interna, focalizzazione esterna. Questa suddivisione già Todorov era riuscito a semplificare applicando graficamente i simboli matematici di maggiore, minore e uguale dove per il primo caso vige “la formula Narratore > Personaggio (in cui cioè il narratore ne sa di più del personaggio, o meglio ne dice più di quanto ne sappia uno qualunque dei personaggi);

nel secondo abbiamo Narratore = Personaggio (il narratore dice solo quello che sa il personaggio in questione […]); nel terzo Narratore < Personaggio (il narratore ne dice meno di quanto ne sappia il personaggio)”.30 La critica a questo modello presente in diversi manuali e riassunta brevemente da Bernini e Caracciolo ha indicato come Genette abbia messo sullo stesso piano l’aspetto percettivo con il problema della trasmissione più o meno ristretta di informazioni. Genette a detta di Tatjana Jesch e Malte Stein mette sullo stesso piano la focalizzazione, che egli non definisce mai in termini percettivi, con la “regolazione dell’informazione narrativa da parte dell’autore”.31 Definiamo quindi con focalizzazione il campo più o meno ristretto delle informazioni selezionate dal narratore senza porre enfasi all’aspetto visivo del vocabolo (come aveva fatto Genette); a nostro avviso interessanti riflessioni nascono sulla base della comunicazione e interpretazione narrativa in virtù dei suoi effetti estetici. Il problema è così articolato che non si può neanche fare a meno di nominare un’altra questione collegata alla posizione del narratore, quella del punto di vista. Per capire anche il pensiero di un altro studioso citiamo l’accezione di Giovannetti:

La focalizzazione del narratore si distingue dal punto di vista del personaggio poiché ha la capacità di orientare l’insieme, la totalità del racconto, dell’opera narrativa, mentre il punto di vista è l’emersione di un’istanza particolare che interferisce con la prima ma non la modifica.32

30 Todorov in Genette, Figure III, p. 236.

31 Marco Bernini e Marco Caracciolo, Letteratura e scienze cognitive. Carocci, Roma 2013, cfr. pp. 66-69.

32 Giovannetti, op. cit., cit., p. 137.

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Se la focalizzazione guida il lettore all’interno di uno specifico codice narrativo conseguentemente una situazione narrativa può essere più o meno focalizzata. E poiché il racconto è necessariamente la selezione ordinata di eventi la focalizzazione è da dividere in

“fenomeno percettivo” e “modulazione dell’informazione narrativa”, quest’ultima non viene messa da Genette immediatamente in relazione ai concetti di suspence, curiosità e sorpresa.33 In virtù dell’occultamento o al contrario di un’agile e volontaria mostra di informazioni l’interesse per il contenuto di un’opera può essere tenuto vivo; se non si dispone di mattoncini narrativi la lettura con le sue attese può divenire frustrante. È grazie a questi effetti testuali che i centri di focalizzazione riescono a funzionare, essi però non derivano necessariamente da azioni percettive dispiegate all’interno di una storia, tuttavia occorre ammettere che in assenza di riferimenti espliciti il lettore attiva cognitivamente dei parametri riferibili all’osservazione.

Per parlare testo alla mano della focalizzazione e del punto di vista, chiediamo di leggere un passo tratto dalla biofiction di Michele Mari, per adesso ci basti sapere che si tratta del ritrovamento del cadavere di un giovane nei pressi della dimora leopardiana:

Ohimè che la disgrazia s’è abbattuta sul nostro paese, sprofondandol nel lutto più nero!

Tano, che sol poche ore fa parea la figura della salute, non è più. Ancor prima che ‘l Fattore corresse a riferire del fatto tremendo ne fummo avertiti dall’altissime grida di disperazione provenienti dall’ovile, dove alcune donne s’eran recate di buon’ora per la mungitura. Lo spettacolo che s’offrì a’ loro occhi, come poi il fattore raccontò fra le lagrime, era tal da raccapricciare peranco un soldato: il misero Tano giacea con la gola squarciata sovra la sua coperta tutta intrisa di sangue rappreso, con gli occhi spalancati al soffitto; a poca distanza da esso, in una pozza di sangue, c’era il corpo inanimato dell’enorme spinone, anch’esso con un largo squarcio nella gola e con molt’altre ferite d’unghie e di denti, come se il generoso animale fosse stato sopraffatto sol dopo un’aspra e lunga lotta. Negli stabbj si trovaron poco dopo due pecore uccise, mentre l’altre stringeansii ancora fra loro come conscie del pericolo corso.

Si noterà che in questo passo secondo lo schema di Todorov il Narratore = Personaggio quindi si è in presenza di una focalizzazione interna e un narratore omodiegetico, l’intera opera invece consisterebbe in una omobiofiction letteraria (ovvero il caso numero due dell’elenco di Castellana qui riassunto nel primo paragrafo). La frase di esordio produce immediatamente

33 Meir Sternberg, Raccontare nel Tempo (II): Cronologia, Teleologia, Narratività, «Enthymema», II 2010, trad.

di Franco Passalacqua.

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una tensione fin dalla prima parola facendo sviluppare nel lettore una serie di congetture, innanzitutto il tono è drammatico ma il progressivo svelamento delle informazioni conduce a una contenuta sorpresa. Se ad esempio al posto di sul nostro paese ci sarebbe stato sulla nostra famiglia forse l’effetto di suspence sarebbe stato maggiore. Inoltre, la voce è il punto di vista sono sì di Orazio (Carlo) fratello di Tardegardo (ovvero Giacomo Leopardi) ma la focalizzazione è ben diversa. Le informazioni seppur finzionalmente filtrate conducono necessariamente ad una interpretazione percettiva dell’evento del ritrovamento attraverso i canali sensoriali: altissime grida, spettacolo che s’offrì a’ loro occhi, lagrime, occhi spalancati al soffitto conducono alla rappresentazione mentale di una scena vivida che vede rispettivamente la coperta zuppa di sangue rappreso, le ferite sui corpi esanimi nonché la gola squarciata. Il punto di vista in realtà vaga leggermente nel corso della lettura secondo dei riferimenti temporali e spaziali così come la focalizzazione modula l’informazione secondo strategie che mirano a particolari effetti estetici sulla coscienza del lettore.

La definizione in tipi e sottotipi è utile ma nell’atto concreto di analizzare un testo da sola non può ovviamente bastare, bisognerà anche distinguere casi particolari da casi generali a discapito di un modello più aperto. Castellana nel parlare dell’eterobiofiction a focalizzazione zero sarà costretto a mettere dei paletti attorno alla narrazione a focalizzazione interna variabile, dove la voce autoriale passa da un personaggio all’altro della storia mettendone in luce le diverse sfere personali; solo la prima tipologia di racconto può essere definita come dotata di una autentica onniscienza dove il narratore conosce sì quello che ogni personaggio pensa ma “non assume mai un punto di vista particolare e ristretto, non limita a priori il proprio campo visivo, ma spazia liberamente tra le menti di protagonisti e comprimari, e soprattutto offre una prospettiva assoluta, che trascende le singole coscienze individuali e persino il contesto spazio-temporale in cui i personaggi agiscono”. In questo modello di eterobiofiction spetta la focalizzazione interna fissa o alternata, dove per fissa si intende un narratore che rimane ubicato sempre nella coscienza di un personaggio e per alternata quando l’istanza narrativa entra ed esce dalle soggettività. A tali individuazioni categoriche subentrano poi le biofiction “multipiano” ovvero le biofiction che assumono strutture della narrazione post-moderna con l’intrecciamento dei piani diegetici con configurazioni binarie o multiple34 o con il ricorso all’“effetto di finzione”35 o ancora con riferimenti intertestuali o extratestuali diretti, indiretti o trasversali.

34 Castellana, op. cit., p. 54.

35 Ivi, p. 59.

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L’omodiegesi ha due possibilità, se il racconto è generato dal protagonista della storia siamo nel campo dell’omobiofiction, se egli è un personaggio secondario siamo nell’allobiofiction. È intuibile che un’applicazione ferrea dei parametri conoscitivi propri di un personaggio porta all’esclusione delle possibilità di onniscienza di questi, tuttavia come abbiamo già scritto Limonov è un chiaro esempio di trasgressione dei canoni teorici così definiti. Lo studioso tenta proprio di risolvere e gestire l’impianto teoretico in funzione della narrazione di Carrère che viene definita come un caso “molto particolare di omobiofiction”

dove il biografo ricorre a focalizzazioni differenti, si lascia trasportare dall’atto di documentare i fatti finendo per inventare fatti e descriverli dettagliatamente come se avesse il dono improprio dell’onniscienza,36 ricorre allo stile indiretto libero, alla psico-narrazione. In Limonov il narratore cambia la propria modalità espositiva e risulta difficile capire se non con la dovuta attenzione chi sta realmente raccontando. Castellana ricorre agli elementi paratestuali per spiegare che tipo di patto si debba instaurare tra lettore e narratore. Grazie ai contenuti del paragrafo Allobiofiction I: una voce, una prospettiva l’esempio di Limonov dimostra come il bioromanzo riesca ad essere imbrigliato con non poca difficoltà all’interno di una voce e una prospettiva; nel paragrafo successivo vengono fatte rientrare invece le narrazioni polifoniche dalle quali desumiamo necessariamente una pluralità di prospettive.

Per autobiofiction viene intesa la narrazione biografica che ha come protagonista lo stesso io narrante. Di questo genere non vengono riportate descrizioni di ordine generali ma viene riportato un variegato mosaico di opere pubblicate secondo una voce autodiegetica facendo opportune precisazioni sulle opere non classificabili nella cerchia qui accennata e articolando il discorso lungo le opere che ci proiettano nell’universo del genere.

Importante anche differenziare l’autofiction dall’autobiofiction. Possiamo nominare casi eclatanti di autofiction come la scrittura di Philip Roth e di Walter Siti. Se in Pastorale Americana ad esempio la voce narrante è distinta dall’autore ma ha comunque con lo stesso molti tratti in comune, ecco che allora in Operation Shylock è lo stesso scrittore che confessa di aver partecipato ad un’operazione di controspionaggio per lo stato israeliano, da notare però che in una nota finale l’autore specifica che la confessione di cui si è fatto portavoce è falsa.

Per quanto riguarda Siti leggiamo in Troppi paradisi di un autore protagonista di

36 La parallessi è definita da Genette come il procedimento letterario di fornire al lettore informazioni che il narratore non dovrebbe conoscere (secondo le prerogative implicite circa il suo atto di narrazione). Il contrario della parallessi è la parallissi, ovvero la situazione in cui il narratore dissimula conoscenze che dovrebbe in realtà avere, quando tace riguardo a notizie e ad altri dati della storia omettendoli per ottenere ad esempio una rappresentazione di tipo figurale. Questa tecnica produce nel lettore una reazione forte nei confronti dell’opera:

se questa risulterà negativa il lettore sarà frustrato trovando sgradevole l’effetto narrativo ricercato dall’autore;

se positiva, egli sarà divertito e godrà anzi dell’attesa di poter conoscere ciò che non sa più avanti.

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un’“autobiografia di fatti non accaduti” in modo alquanto ambiguo, come ci si deve rapportare con opere di questo calibro è ancora da definire, lo spaesamento è sempre dietro l’angolo insieme all’effetto di reale su un universo che deve essere di finzione al quale purtroppo non possiamo fare a meno che credere. È nel gioco del postmoderno che quindi Castellana dichiara che l’autobiofiction a differenza dell’autofiction non possiede qualità ambigue, essa è finzione secondo la propria modalità di raccontare i fatti e non a causa di raccontare menzogne:

[n]ell’autobiofiction, al contrario, l’ambiguità è minima. La non identità tra l’autore e il narratore-personaggio, dichiarata sin dalle soglie del testo, non consente equivoci e non permette di appellarsi a quella chimera chiamata “autenticità”, sulla quale invece giocano equivocamente tutti gli autofinzionisti. Né è la presenza di contenuti fittizi a “fare finzione”

nella biofiction. Se l’autofiction è “autobiografia di fatti non accaduti”, la biofiction, per parte sua, non è affatto “biografia di fatti non accaduti”. La biofiction è finzione non perché dica menzogne, ma perché usa i mezzi della fiction, che come sappiamo non consistono solo nell’inventare fatti mai accaduti: l’autofinzionista è un giocatore di poker che bluffa sempre e che nessuno potrà mai cogliere sul fatto; il biofinzionista, se bluffa, o se bara, lo fa sempre giocando a carte scoperte.37

Raggiungiamo in ultima rassegna l’ultimo tipo di finzione biografica: la metabiofiction.

Leggiamo rispettivamente a pagina 76 e in pagina 77 del manuale di Castellana:38

Chiamerò finzioni “metabiografiche” o “metabiofiction” tutte quelle narrazioni incentrate non sulla persona (storica) del biografato ma sulla ricerca che il biografo (fittizio) compie nel tentativo di ricostruirne la figura e di spiegarne le contraddizioni. Questa ricerca, tuttavia, si rivelerà di solito, e per motivi diversi, un fallimento, o quantomeno ci restituirà un’immagine problematica e contraddittoria del biografato, eludendo l’obiettivo primario di una biografia: restituire la cifra di un’identità, l’essenza di una traiettoria biografica. Il carattere finzionale delle metabiofiction le distingue da quelle che sono state chiamate metabiographies, cioè dalle analisi storiche comparate di diverse biografie su un medesimo soggetto, mentre lo statuto di realtà del biografato le differenzia, altrettanto nettamente, da quei romanzi metabiografici che raccontano una quête incentrata su di un personaggio fittizio.

37 Castellana, op. cit., p. 70.

38 Ivi, cit. p. 76 e p. 77.

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