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1.2 IL CRATONE DELLA CINA DEL NORD

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Lo studio delle lherzoliti a spinello riveste una grande importanza nella conoscenza della composizione e dei processi che coinvolgono il mantello litosferico, in quanto si tratta delle più comuni rocce che lo costituiscono e che si possono ritrovare sottoforma di xenoliti in rocce vulcaniche oppure come peridotiti massive di tipo alpino. In particolare, gli xenoliti (indicati anche come noduli o inclusi) sono interpretati in letteratura come frammenti di mantello litosferico trasportati più o meno rapidamente in superficie o in sua prossimità (condizioni sub-superficiali) da magmi di tipo alcalino. Questi magmi, probabilmente originatisi a profondità tra 40 e 100 km (e.g. Nixon, 1987), attraversando le rocce del mantello litosferico talora ne strappano frammenti di varie dimensioni. Gli xenoliti sono interpretati come restiti (e.g. Arai, 1994) ovvero rocce originatesi in regioni di crosta o mantello superiore che hanno subito fenomeni di estrazione basaltica (più o meno intensa a seconda del contesto tettonico) prima della cattura da parte del magma alcalino.

La presente tesi di dottorato riguarda una suite di xenoliti peridotitici provenienti dal plateau basaltico Cenozoico di Hannuoba (Cina Nord-Orientale), oggetto di numerosi studi sia petrografici che geochimici (e.g. Song & Frey, 1989; Chen et al., 2001) a partire dagli anni

’90. Mai fino ad oggi ne è però stata investigata la cristallochimica delle fasi minerali costituenti. Obiettivo principale del presente lavoro è proprio la caratterizzazione chimico- strutturale delle fasi costituenti i noduli, nonché l’individuazione del campo di stabilità (Pressione-Temperatura) dei minerali che li costituiscono. Per una migliore conoscenza dell’ambiente di formazione di tali xenoliti è stato anche affrontato lo studio geochimico degli elementi in traccia nonché il confronto con analoghi xenoliti peridotitici descritti in letteratura.

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Capitolo 1

INQUADRAMENTO GEOLOGICO

1.1 LOCALIZZAZIONE

La Cina orientale appartiene al “Dominio tettonico Marginale Pacifico” come definito da Huang (1980). Gli altri due maggiori domini tettonici della Cina sono il “Pal-Asiatico”, che si sviluppa con andamento E-W sovrapponendosi alla parte settentrionale del “Dominio Marginale Pacifico”, ed il “Tetide-Himalayano” localizzato a S del “Pal-Asiatico” (Figg. 1.1, 1.2).

Fig. 1.1 I maggiori domini tettonici della Cina (Huang, 1980).

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All’interno del “Dominio Marginale Pacifico” si possono distinguere due cratoni separati da faglie e cinture orogeniche più giovani: il Cratone della Cina del Nord ed il Cratone della Cina del Sud (Fig. 1.3). Gli orogeni Qilianshan (QLS) e Qinling-Dabie-Su-Lu (QDSL) che li dividono, come pure gli altri orogeni della Cina (Kunlun (KL), Himalaya fold belt (HY), Tianshan-Inner Mongolia-Daxinganling (TIMD)), sono cinture Paleozoiche in cui rocce e strutture Mesozoiche e Terziarie si sono sovrapposte alle più vecchie in un modello controllato dall’interazione delle Placche Pacifica ed Eurasiatica.

Fig.1.3 Rappresentazione schematica della Cina con evidenziati i blocchi cratonici di cui è costituita. Sono anche indicati gli orogeni Paleozoici.

1.2 IL CRATONE DELLA CINA DEL NORD

Il Cratone della Cina del Nord (North China Craton, NCC), localizzato nella parte Nord- orientale del paese (longitudine 105°E-122°E, latitudine 30°N-42°N), oltre ad essere il blocco cratonico più vecchio ed esteso (oltre 1 500 000 km2) di tutta la Cina, è anche uno dei cratoni Archeani più antichi al mondo e conserva residui crostali di 3.8 Ga (Jahn et al., 1987; Liu et al., 1992). Per lungo tempo l’NCC è stato considerato costituito da un basamento Archeano- Paleoproterozoico relativamente uniforme. A partire dagli anni ’90 questa idea è stata gradualmente abbandonata sulla base di nuovi dati litologici, strutturali, petrografici e

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geocronologici che hanno portato alla suddivisione del cratone in tre regioni distinte. Tra queste, la regione centrale si differenzia per l’abbondanza di metamorfiti datate ~1.85 Ga, evidenza di una sutura continentale (Zhai et al., 1992), mentre le regioni adiacenti sono essenzialmente rappresentate da rocce plutoniche e da sequenze magmatico-sedimentarie variamente metamorfosate prevalentemente di 2.5 Ga (Zhao et al., 1998).

Sulla base di queste differenze Zhao et al. (2000, 2001) hanno proposto una suddivisione dell’NCC in tre unità: i blocchi Occidentale ed Orientale di età da Archeana a Paleoproterozoica ed una cintura orogenica mediana Paleoproterozoica (100-300 km di ampiezza) ad andamento N-S, la zona Centrale (Fig. 1.4).

Fig. 1.4 Rappresentazione schematica del Cratone della Cina del Nord. La suddivisione in blocchi fa riferimento a Zhao et al. (2000, 2001).

1.2.1 Suddivisione Blocco Orientale

Il basamento dell’Archeano superiore (2.6-2.5 Ga) include gneiss a composizione tonalitica- trondiemitica-granodioritica (TTG), rocce intrusive e dicchi a composizione da mafica a ultramafica (principalmente peridotiti e komatiiti), graniti e charnockiti sintettonici (~2.5 Ga) e quantità minori di rocce vulcaniche e sedimentarie variamente metamorfosate a 2.48-2.50 Ga (Bai & Dai, 1998; Kröner et al., 1998). Sono inoltre presenti localmente piccoli nuclei dell’Archeano medio-inferiore quali gneiss granitici di 3.3-3.8 Ga e quarziti a fuchsite di 3.85

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1996). Strutturalmente il basamento è dominato da duomi circolari, ellittici o ovali in piano, dal diametro variabile di 10-50 km costituiti da gneiss TTG e all’interno da graniti sintettonici separati da cinture di rocce sopracrostali (sedimentarie e vulcaniche).

Blocco Occidentale

Il Blocco Occidentale presenta una paragenesi litologica ed una storia metamorfica simile a quello orientale (gneiss TTG associati a rocce sopracrostali metamorfosate di ~2.5 Ga), ma differisce da quest’ultimo per l’assenza di nuclei dell’Archeano medio-inferiore e per la presenza di rocce Paleoproterozoiche consistenti in gneiss a grafite-sillimanite-granato, quarziti a granato, rocce silico-calciche e marmi, le cui origini sono da ricercarsi nei sedimenti accumulatisi sul margine passivo occidentale del Blocco Orientale (vedi paragrafo 1.2.2).

Zona Centrale

La Zona Centrale è costituita da un basamento costituito da piccoli nuclei Archeani rimaneggiati (età non superiore a 2.6 Ga), ipotizzati come derivanti dai Blocchi Occidentale ed Orientale, e da rocce più giovani ignee e sedimentarie metamorfosate di età tardo Archeana-Proterozoica (Zhao et al., 1998). Alcune porzioni del basamento sono state interpretate come frammenti di antica crosta oceanica e mélange (Bai & Dai, 1998; Wu &

Zhong, 1998). Sono anche presenti granuliti di alta-P, anfiboliti di alta-P ed eclogiti retrograde (Zhai et al., 1995). La struttura della Zona Centrale è caratterizzata da un certo numero di faglie NNE-SSW la cui storia evolutiva sarebbe da relazionarsi ad una collisione Fanerozoica (e.g. Ren et al., 2002).

1.2.2 Assemblamento

L’assemblamento definitivo dell’NCC viene fatto risalire a ~1.8 Ga (Paleoproterozoico) in seguito alla collisione tra i Blocchi Occidentale ed Orientale, che nel periodo tra l’Archeano e il Paleoproterozoico esistevano come unità distinte.

Zhao et al. (2000, 2001) hanno proposto il seguente scenario per l’assemblamento dell’NCC:

Nel tardo Archeano-Paleoproterozoico il Blocco Orientale aveva un margine continentale di tipo attivo sul suo lato occidentale su cui si svilupparono archi magmatici continentali e bacini intra-arco. Il Blocco Occidentale invece aveva un margine continentale di tipo passivo

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caratterizzato dalla presenza di sedimenti di margine continentale. Tra i due blocchi vi era un oceano, come testimoniato dalla presenza di peridotiti, tholeiiti e cherts (varietà di quarzo- selce) in alcune regioni della Zona Centrale. Tale oceano venne subdotto sotto il margine occidentale del Blocco Orientale a circa 1.85 Ga (Fig. 1.5a,b). Tra 1.85 e 1.80 Ga l’antico oceano scomparve completamente e si verificò la collisione tra i due Blocchi. Durante la collisione, le rocce sedimentarie Paleoproterozoiche del margine passivo del Blocco Occidentale vennero obdotte sul margine attivo del Blocco Orientale a causa della loro densità relativamente bassa. La collisione determinò un piegamento a grande scala, ispessimento crostale e gli eventi metamorfici di alta pressione (Fig. 1.5c). La crosta ispessita subì successivamente un sollevamento, dovuto alla compensazione isostatica, a cui vengono associate pieghe asimmetriche, tessiture simplectitiche nelle rocce e metamorfismo retrogrado (Fig. 1.5d,e).

Tutti questi processi portarono al definitivo assemblamento dell’NCC a ~1.80 Ga. Il Cratone sperimentò quindi un periodo di quiescenza magmatica e tettonica e venne riattivato nel tardo Mesozoico-Cenozoico.

Nella pagina successiva:

Fig. 1.5 Sezioni schematiche illustranti l’evoluzione tettonica e l’assemblamento Paleoproterozoico del Cratone

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1.3 EVOLUZIONE MESOZOICA E CENOZOICA DEL CRATONE DELLA CINA DEL NORD

Il Cratone della Cina del Nord è attraversato da due importanti lineamenti geologici e geofisici: ad est, dalla Tan-Lu Fault Zone (TLFZ), tra le faglie più importanti di tutta l’Asia con sviluppo superiore ai 3000 km attraverso il continente e andamento NNE-SSW, e ad ovest, dal Daxin’anling-Taihang Gravity Lineament (DTGL), un lineamento gravimetrico con sviluppo di 3500 km parallelo alla TLFZ. E’ stato determinato che il lineamento DTGL non solo separa regioni con anomalie gravimetriche differenti, ma risulta anche essere un confine tra due regioni topograficamente e tettonicamente differenti (Ye et al., 1987; Ma, 1989; Griffin et al., 1998; Menzies & Xu, 1998; Niu, 2005) (Figg. 1.6, 1.7).

La regione ad est del lineamento gravimetrico DTGL (che corrisponde alla parte orientale del NCC) ha sperimentato un’intensa estensione litosferica che ha dato origine al North China Rift System e ad un diffuso vulcanismo. La crosta sotto questa regione risulta sottile (< 35 km, con un valore minimo di circa 28 km sotto il Mar del Bohai) e così anche la litosfera (<

80-100 km; Ma, 1989; Chen et al., 1991). L’anomalia di Bouguer va da debolmente negativa a positiva (-25 ~ +25 mGal; Tang, 1996) ed il flusso di calore è alto (>2 UHF; Wang et al.

1996). La regione ad ovest del lineamento gravimetrico DTGL è invece caratterizzata dall’avere una crosta ed una litosfera più spesse (>40 km e >100 km, rispettivamente; Ma, 1989; Chen et al., 1991), anomalia di Bouguer negativa (<-50 mGal; Tang, 1996) e più basso flusso di calore (<2 UHF; Wang et al., 1996). Nonostante questa regione del cratone non sia stata interessata da un’intensa estensione litosferica, come si è verificato in quella orientale, essa comprende 2 rift tardo Terziari, il Yinchuan-Hetao rift e il Shaanxi-Shanxi rift.

Le differenze nella topografia e nello spessore litosferico delle due regioni dell’NCC, quella orientale più sottile di quella occidentale, riflettono la loro diversa evoluzione. Ren et al.

(2002) hanno evidenziato come l’esteso rift continentale dell’NCC orientale si sia sviluppato principalmente nel Cretacico sup.-Paleogene, mentre nell’NCC occidentale la maggiore estensione si sia verificata nel Neogene e Quaternario (Ye et al., 1987; Ren et al., 2002). Si deve perciò invocare un’estensione ritardata nell’NCC occidentale rispetto all’NCC orientale.

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Fig. 1.6 Mappa geologica semplificata rappresentante la distribuzione dei sistemi di rifting Cenozoici e la suddivisione in blocchi del Cratone della Cina del Nord (NCC) secondo Zhao et al. (2000, 2001). E’ anche rappresentato il lineamento gravimetrico DTGL che separa l’NCC occidentale dall’NCC orientale (Xu et al., 2007).

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Fig. 1.7 Topografia della Cina con l’indicazione della variazione di altitudine tra regione occidentale ed orientale (a); tomografia sismica alle profondità di 100 e 150 km che evidenzia come la differenza di altitudine tra regione

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1.3.1 Assottigliamento litosferico differenziato

L’assottigliamento litosferico è stato dominante nell’evoluzione dell’NCC orientale durante il tardo Mesozoico, mentre il maggior assottigliamento litosferico nell’NCC occidentale non si è verificato fino al Cenozoico (Zhang et al., 2003a,b; Xu et al., 2004b), come testimoniato dalla generale assenza di bacini estensionali nell’NCC occidentale (Ren et al., 2002).

L’estensione litosferica che ha interessato in tempi diversi le due regioni dell’NCC è dovuta a più fattori. Per quanto riguarda la parte orientale essa è legata alla collisione Triassica tra Cina del Nord e Yangtze Block e alla subduzione Mesozoica sup. della placca Pacifica sotto il continente Asiatico (e.g. Ye et al., 1987; Griffin et al., 1998), mentre per la parte occidentale è legata alla collisione Eocenica tra India e Eurasia (e.g. Molnar & Tapponier, 1977; Northrup et al., 1995; Liu et al., 2004).

Considerato che la maggior parte delle strutture Mesozoiche nella Cina orientale sono orientate a N-NE, se ne ricava che esse non possono essere la diretta conseguenza della penetrazione diretta verso Nord dello Yangtze Block. Anche lo iato temporale (Triassico vs.

Mesozoico sup.) costituisce un altro elemento a sfavore del legame tra questi due eventi. Xu et al. (2001) ritengono che la collisione Triassica abbia minato l’integrità della litosfera sotto il NCC, con formazione/riattivazione di faglie trascorrenti orientate a N-NE e bacini estensionali con sviluppo E-W nell’NCC meridionale durante il Cretacico-Paleogene, ma che sia stata la subduzione della Placca Pacifica ad aver governato l’estensione ad andamento N-S nell’NCC orientale (che ha portato alla formazione del North China Rift System).

La collisione Eocenica tra India e Eurasia (e.g. Molnar & Tapponier, 1977; Northrup et al., 1995; Liu et al., 2004) avrebbe invece portato alla formazione di due sistemi di rift nel NCC occidentale: il rift Yinchuan-Hetao (costituito da due graben distinti, il graben Yinchuan a sviluppo NNE-SSW e il graben Hetao a sviluppo E-W) e il rift Shaanxi-Shanxi (costituito da una serie di graben en-echelon, che si sviluppano dal margine meridionale del cratone con direzione N-NE delineando una forma ad “S”). Il movimento di rifting ebbe inizio nel rift Yinchuan-Hetao e nella parte meridionale del rift Shaanxi-Shanxi nell’Eocene sup. o Oligocene inf., ma il picco di estensione venne raggiunto nel Neogene e Quaternario (Ye et al., 1987; Ren et al., 2002).

Considerato quanto sopra esposto se ne ricava che sia la subduzione Pacifica che la collisione Indo-Eurasiatica hanno avuto una notevole influenza sull’evoluzione Meso-Cenozoica

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dell’NCC e che proprio dall’interazione di questi due regimi tettonici è risultata l’estensione litosferica differenziata delle due regioni dell’NCC.

1.3.2 Subduzione della Placca Pacifica sotto il continente Asiatico

La subduzione della Placca Pacifica sotto il continente Asiatico ebbe inizio nel Giurassico (Engebretson et al., 1985) e si sviluppò nel Cretacico con la formazione di un bacino di retro arco e moti convettivi nel mantello superiore (Fig. 1.8).

Lo scontro tra le due placche determinò la formazione di una serie di faglie parallele al margine continentale con orientazione prevalente a N-NE, tra cui l’importante TLFZ. Tali faglie agirono come vie preferenziali per la messa in posto di magmi alcalini e tholeiitici e determinarono il cambiamento nel regime tettonico da transpressivo a trastensivo (per la TLFZ ciò avvenne nel Giurassico sup.–Cretacico inf.; Ren et al., 2002), estensione litosferica e assottigliamento. L’assottigliamento continuò durante tutto il Cretacico (Xu, 2001; Xu et al., 2004b) e portò ad alla formazione del North China Rift System o North China Basins) e subsidenza. Studi di tomografia globale hanno mostrato che gli slabs Pacifici subdotti immergono con un angolo relativamente alto e si estendono suborizzontalmente verso ovest attraverso l’Asia orientale e, arrivati alla zona di transizione del mantello, diventano stagnanti-inattivi (Fukao et al., 1992; Zhao et al., 2004). Niu (2005) e Xu et al. (2007) ritengono che la presenza di questi slabs orizzontali possa aver provocato vigorosi moti convettivi nel mantello superiore sopra lo slab coinvolgendo anche l’astenosfera Fig. 1.8). Il Mesozoico supeiore fu quindi dominato da fenomeni estensionali, caratterizzato da una forte attività vulcanica (principalmente serie calc-alcaline) concentrata lungo l’attuale bordo orientale del continente Asiatico e fagliamento diretto. L’episodio di rifting fu seguito da un fase compressiva nel tardo Cretacico (regime della TLFZ: transpressione sx; Ren et al., 2002) che determinò un sollevamento regionale. I bacini di rift Giurassici e Cretacici vennero conseguentemente esposti all’erosione (Ma et al., 1982).

Nel Terziario si ebbe un nuovo movimento di rifting che riattivò il North China Rift System nel Paleocene-Eocene (movimento della TLFZ: trastensione dx) ed innescò un’intesa subsidenza nel Miocene (Ye et al., 1987; Gilder et al., 1991) dovuta all’assottigliamento crostale causato dall’estensione litosferica. In questo periodo i bacini di rift si riempirono con depositi alluvionali e lacustri caratterizzati da potenze chilometriche (Ren et al., 2002).

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Fig. 1.8 Rappresentazione schematica della subduzione della Placca Pacifica sotto il continente Asiatico e dell’assottigliamento litosferico differenziato nelle regioni occidentale e orientale dell’NCC. (a) Giurassico; (b) Cretacico inferiore; (c) tardo Cretacico; (d) Terziario. In (d) è anche riportato il flusso mantellico derivante dalla collisione Indo-Eurasiatica (vedi paragrafo 1.3.3) (Xu et al., 2007).

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Il rifting fu accompagnato inizialmente da un magmatismo tholeiitico e successivamente alcalino (Chen et al., 1982; Chen et al., 1985; Ye et al., 1997). Il tardo Oligocene-medio Miocene vide anche l’apertura dei mari marginali Pacifico Occidentali, quali il Mar del Giappone e il Mare della Cina del Sud. Sulla base delle anomalie magnetiche l’estensione del Mare della Cina del Sud sarebbe avvenuta tra 32 e 16 Ma (Taylor & Hayes, 1983; Briais et al., 1993) mentre quella del Mar del Giappone tra 28 e 18 Ma (Tamaki, 1995).

Il rift Paleogenico fu seguito nel Neogene da una subsidenza termica post-rift, la cui causa è da ricercarsi nella risposta isostatica ai cambiamenti di densità che seguirono l’assottigliamento litosferico (Gilder et al., 1991). Quest’ultimo infatti determinò la risalita di materiale astenosferico (Ma & Wu, 1987).

Nel Quaternario e si ebbe infine una fase di riattivazione del rifting (Ye et al., 1985; Shedlock et al., 1985) che interessò il Bohai basin, trasformandolo via via da bacino continentale a marino, come registrano i numerosi orizzonti marini nei sedimenti Quaternari del North China basin (Ren et al. 2002).

1.3.3 Collisione Indo-Eurasiatica

La collisione Indo-Eurasiatica è avvenuta nell’Eocene, ma le prime fasi di convergenza si ebbero già nel tardo Cretacico (Molnar & Tapponnier, 1975). A seguito della collisione Indo- Asiatica (50-70 Ma), l’evoluzione tettonica della Cina occidentale è stata dominata dalla compressione (Yin & Harrison, 2000) ed è stato stimato che la convergenza tra le placche abbia portato ad un accorciamento e sottoscorrimento dell’India sotto Himalaya e Tibet pari a 300 forse 700 km (Molnar & Tapponnier, 1975). Come conseguenza della continua convergenza post-collisionale si ebbe anche il ringiovanimento dell’orogeno Tien Shan e movimentazione di regioni settentrionali come il rift Baikal (Fig. 1.9). Grande effetto si ebbe anche lungo le faglie E-W di Cina e Mongolia che avrebbero trasmesso gli stress collisionali anche alla Cina orientale, contribuendo al rifting (Molnar & Tapponnier, 1975, 1977).

Diversi autori ritengono che la deformazione litosferica possa movimentare un significativo flusso mantellico e che tale flusso tenda a spostarsi essenzialmente lungo la verticale (e.g.

England, 1993; Houseman et al., 1981; Liu & Zandt, 1996). Liu et al. (2004), sulla base della tomografia sismica, hanno invece evidenziato come la struttura del mantello sotto la Cina sia compatibile con l’ipotesi di un’estrusione mantellica laterale. Tale estrusione, assieme agli

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potrebbe aver guidato una diffusa risalita astenosferica sotto la Cina orientale, contribuendo al rifting (con formazione dei rift Cenozoici nella regione occidentale dell’NCC) e al diffuso vulcanismo (Fig. 1.10).

Fig. 1.9 Rilievo topografico ed illustrazione tettonica semplificata della Cina e delle regioni limitrofe. 1-campi vulcanici principali con età: E-Eocene, N-Neogene e Q-Quaternario; 2-faglie trascorrenti e direzioni di movimento; 3-rift; 4-direzione di convergenza delle placche; 5-principali centri di estensione; 6-sismicità (da Liu et al., 2004).

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Fig. 1.10 Illustrazione schematica della collisione Indo-Eurasiatica e della relazione con vulcanismo ed estensione Cenozoici nella Cina orientale (da Liu et al., 2004).

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1.3.4 Modalità dell’assottigliamento litosferico della Cina Orientale

Sebbene l’assottigliamento litosferico della Cina Orientale sia oramai stato individuato da tempo (e.g. Griffin et al., 1992; Menzies et al., 1993), le modalità con cui si è verificato sono tuttora controverse. Le ipotesi riguardano la delaminazione e la trasformazione per processi convettivi. La delaminazione, intesa in questo caso come rimozione della porzione inferiore della litosfera è stata suggerita da Gao et al. (2002, 2004), Wu et al. (2003), Yang et al.

(2003). Tale processo sarebbe stato accompagnato dalla trasformazione della crosta inferiore in eclogite. L’ipotesi formulata da Gao et al. (2002, 2004), Wu et al. (2003), Yang et al.

(2003) si basa sul rinvenimento di una serie magmatica del Giurassico sup. nella località di Xinglonggou (NCC settentrionale) con caratteristiche chimico-petrografiche compatibili con la fusione parziale di una sorgente prevalentemente eclogitica. Il modello in questione prevede che l’assottigliamento litosferico abbia raggiunto un tale stadio nel Giurassico sup. e che le rocce della crosta inferiore possano essere state delaminate, convertite in eclogite, incorporate nel mantello convettivo e fuse. Nonostante questo modello sia applicabile a tutto l’NCC, esso richiede ulteriori studi in quanto il magmatismo Mesozoico ha il suo picco nel Cretacico inf. (Yang et al., 2003; Xu et al., 2004b; Wu et al., 2005) piuttosto che nel Giurassico sup., come sostenuto dal modello della delaminazione. Inoltre, la delaminazione viene considerata come un processo piuttosto rapido (5-10 Ma), il che apparentemente si

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L’assottigliamento per processi convettivi sostenuto da Griffin et al. (1998) e Xu (2001) è invece ritenuto essere un processo molto più lento (>100 Ma) e l’idea si rifà al modello di Davies & Richards (1992) secondo cui l’ispessimento della litosfera oceanica risulta da una contrazione termica mediante addizione di materiale astenosferico (ovvero ispessimento dato dalla conversione termica del materiale astenosferico in materiale litosferico).

L’assottigliamento litosferico può quindi essere visto come risultato del processo inverso e quindi conversione della porzione inferiore della litosfera in astenosfera, ed essere applicato alla Cina orientale. Una volta che il mantello litosferico si è termicamente convertito in astenosfera, può mescolarsi convettivamente con essa (Fig. 1.11).

Un modello analogo è sostenuto da Niu (2005), il quale prevede la trasformazione della litosfera in astenosfera per idratazione basale della prima. L’idratazione è da ricondursi alla circolazione di fluidi ricchi d’acqua derivanti dalla deidratazione della litosfera oceanica Pacifica subdotta (slab). L’idratazione della parte basale della litosfera ridurrebbe la sua rigidità, resistenza e viscosità rendendola soffice e meno viscosa ovvero convertendola in astenosfera.

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Fig. 1.11 Rappresentazione schematica del concetto di accrezione litosferica oceanica (a) e di assottigliamento litosferico inteso come contrario all’accrezione (b) (Niu, 2005).

1.3.5 Origine del vulcanismo Cenozoico intraplacca nella Cina Orientale

Secondo la maggior parte degli autori il vulcanismo intraplacca è riconducibile ad un sistema di hot spot-mantle plume che prevede la risalita di materiale astenosferico (probabilmente originatisi nel mantello inferiore) e conseguente fusione parziale per decompressione adiabatica, generando magmi detti OIB o con caratteristiche simili assimilabili in sede continentale. Non tutto il magmatismo intra-placca però può essere ricondotto ad una genesi da hot spots. Alcune province vulcaniche continentali sono ad esempio connesse con tettonica di tipo estensionale e in questi casi il magmatismo costituisce una risposta passiva all'assottigliamento crostale causato da stress differenziale all'interno di una placca e dà origine a flood basalts e zone di rifting continentale (e.g. Niu, 2005).

Il vulcanismo intraplacca che ha interessato il NCC è ancora oggi oggetto di studio. Tra le varie interpretazioni, le più sostenute sono: vulcanismo legato a hot spot-mantle plume (e.g.

Deng et al., 1996, 2004; Zhao et al., 2001), vulcanismo legato ad attività di retro arco (e.g.

Liu, 1987; Liu et al., 2001; Ren et al., 2002), vulcanismo legato a tettonica estensionale e assottigliamento della litosfera (e.g. Menzies et al., 1993; Griffin et al., 1998; Menzies & Xu, 1998; Wilde et al., 2003).

1) Vulcanismo legato a hot spots-mantle plume

Il coinvolgimento di mantle plume nel vulcanismo dell’NCC è stato sostenuto per lungo tempo. Tale ipotesi però negli ultimi anni è stata abbandonata in quanto l’esistenza di plumes sarebbe negata dalla tomografia sismica del mantello sotto la Cina orientale, che non riporta

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termiche ad essi compatibili (Pei et al., 2004; Zhao et al., 2004), come invece si osserva per isole vulcaniche associate a hot spots quali Hawaii, Samoa, Tahiti ecc.

Inoltre anche i dati isotopici dell’He (3He/4He; Chen et al. 2007), considerati utili indicatori delle sorgenti di mantello, indicherebbero l’assenza di un mantle plume coinvolto nel vulcanismo della Cina Nord Orientale.

2) Vulcanismo di retroarco

Tradizionalmente il vulcanismo Cenozoico della Cina orientale è stato relazionato al roll-back della placca Pacifica subdotta. Zhao et al. (2004) hanno mostrato mediante tomografia sismica che la placca Pacifica subduce e gradualmente si flette alla profondità di 400-600 km (nella zona di transizione mantello inferiore-superiore). Lo slab orizzontale è presente sotto i campi vulcanici nella Cina NE, compatibilmente con l’idea che i recenti basalti della Cina NE siano relazionati all’estensione di retro arco. Tuttavia Taylor & Martinez (2003) hanno sottolineato come i basalti di retro-arco, generati per risalita diapirica di mantello astenosferico, mostrino affinità nel chimismo con i basalti di arco insulare (arricchimento in LILE e impoverimento in HFSE) e come questa similitudine diminuisca all’aumentare della distanza dal centro di estensione del retro-arco all’isola o all’arco continentale. Il fatto che i basalti della Cina orientale non presentino le caratteristiche chimiche di cui sopra potrebbe essere attribuito alla grande distanza (>1000 km) tra i campi vulcanici della Cina NE e l’arco vulcanico del Giappone. Sembra pertanto che l’ipotesi dell’attività di retroarco come causa del vulcanismo della Cina orientale non possa essere esclusa su base dalla geochimica (Chen et al., 2007).

3) Vulcanismo legato a tettonica estensionale e assottigliamento della litosfera

Ma & Wu (1981) per primi hanno avanzato l’ipotesi che il vulcanismo dell’NCC sia legato alla tettonica estensionale. La distensione avrebbe infatti assottigliato la litosfera nel Mesozoico portando l’astenosfera più vicina alla superficie e determinando una fusione per decompressione adiabatica. La distribuzione localizzata dei campi vulcanici nella Cina NE potrebbe quindi essere attribuita ai canali creati dal magma per venire in superficie. Chen et al. (2007) tuttavia ritengono che tale modello presenti una lacuna (o paradosso) in quanto, considerando l’assottigliamento litosferico di tutta la Cina orientale, si ha che tale riduzione di spessore litosferico ha interessato tutto l’NCC mentre il vulcanismo è concentrato essenzialmente nella parte settentrionale di questa regione.

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Capitolo 2

AREA DI PROVENIENZA ED ASPETTI PETROGRAFICI DEGLI XENOLITI STUDIATI

2.1 AREA DI PROVENIENZA

I basalti Cenozoici sono ampiamente distribuiti nella Cina Orientale (e.g., Zhou e Armstrong, 1982). A N-W di Pechino (Beijing) ci sono numerosi plateau di dimensioni notevoli costituiti da basalti Miocenici e Pliocenici sia di tipo alcalino che subalcalino ad affinità tholeiitica interstratificati (Zhi et al., 1990). Tra questi, i basalti alcalini sono caratterizzati da abbondanti xenoliti sia mantellici che crostali di dimensioni considerevoli (fino a 20 cm di diametro).

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L’area di provenienza dei campioni studiati in questa tesi corrisponde al plateau basaltico di Hannuoba (Fig. 2.1), localizzato al margine settentrionale del Cratone del Nord della Cina nella Zona Centrale (Fig. 1.4). Tale plateau si trova circa 200 km ad W di Pechino e copre un’area di oltre 1 700 km2 per potenze da 100 ad oltre 500 m (Xu, 2002). I basalti di Hannuoba, principalmente di tipo alcalino, hanno un età variabile tra 14 a 27 Ma (Zhu, 1998) e includono abbondanti xenoliti peridotitici di derivazione mantellica. Tra questi, sono comuni le lherzoliti a spinello, ma si rinvengono anche harzburgiti (Song & Fey, 1989;

Tatsumoto et al., 1992; Fan et al., 2000; Chen et al., 2001) e rare lherzoliti a spinello-granato (Fan & Hooper, 1989; Chen et al., 2001). Subordinatamente sono inoltre presenti anche altri tipi di xenoliti dati da pirosseniti di cumulo e granuliti (Feng et al., 1982; Xie et al., 1993).

Lungo il margine meridionale del plateau vi sono numerose località dove gli xenoliti sono particolarmente abbondanti: quelli qui studiati sono stati campionati a Damaping (dove costituiscono fino al 90% dell’affioramento (Feng, 1980)), nell’ambito della campagna Cina- 1998 dai Proff. Princivalle F. e Comin-Chiaramonti P. del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste. (Figg. 2.2, 2.3).

Fig. 2.2 Fotografia dell’area di campionamento.

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Fig. 2.3 Fotografie di dettaglio dei basalti alcalini con gli abbondanti inclusi xenolitici (località Damaping).

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2.2 ASPETTI PETROGRAFICI E CLASSIFICATIVI

Nella presente tesi sono stati studiati 16 noduli ultrafemici (Fig. 2.4) inclusi in basalti Cenozoici provenienti da Hannuoba. Le fasi minerali costituenti sono olivina (ol), ortopirosseno (opx), clinopirosseno (cpx) e spinello (sp), la cui abbondanza relativa (ol>opx>cpx>sp) classifica i noduli in esame come lherzoliti a spinello appartenenti al Gruppo I di Frey & Prinz (1978) (Fig. 2.5. e Tab. 2.1). I noduli si presentano freschi e senza evidenti tracce di alterazione.

Il chimismo delle fasi minerali testimonia la natura impoverita dei noduli ad indicare fenomeni di fusione parziale prima della cattura da parte del magma e la risalita in superficie.

Mg# delle olivine (0.901-0.920), Mg# degli ortopirosseni (0.905-0.925), Mg# dei clinopirosseni (0.907-0.939), Cr# dello spinello (0.094 e 0.468) nonché gli intervalli di variazione composizionali per le diverse fasi (vedi Tab. 4.1, 5.1, 6.1, 7.1) ricalcano i risultati ottenuti sperimentalmente dalla fusione della peridotite (Mysen & Kushiro, 1977; Jaques &

Green, 1980). Un’ulteriore conferma del carattere residuale dei noduli si ha anche della Fig.

2.6 laddove è riportata la variazione di Cr# dello spinello in funzione del contenuto in Fo dell’olivina: come si può notare la composizione dei noduli studiati ricade all’interno del campo di Arai (1994; olivine-spinel mantle array) per le peridotiti restitiche di mantello.

Peraltro la variabilità di Cr# dello spinello rispetto al limitato intervallo di variazione del contenuto di Fo nell’olivina suggerisce che i noduli derivano da un mantello variamente impoverito.

Sulla base della descrizione di Mercier & Nicolas (1975) per le rocce peridotitiche, è stata riconosciuta, per i noduli di Hannuoba, una tessitura protogranulare indice di un grado di deformazione basso o nullo. Tale tessitura è data da grossi cristalli di olivina e ortopirosseno (fino a 3 mm) con contorni tipicamente curvilinei a debolmente rettilinei. I cristalli di clinopirosseno e spinello presentano dimensioni ridotte (<1 mm). Il clinopirosseno si presenta prevalentemente intergranulare e con cristalli dai contorni variabili da curvilinei o irregolarmente rettilinei. Lo spinello si trova frequentemente sottoforma di piccoli granuli arrotondati, ma talvolta presenta una forma vermiculare (holly leaf). L’assenza di zonature chimiche e/o lamelle di essoluzione nelle diverse fasi suggerisce che gli xenoliti sono stati trasportati in superficie dal magma ospite in uno stato di equilibrio termodinamico.

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Fig.2.5 Composizione mineralogica modale degli xenoliti rappresentata nel triangolo olivina-ortopirosseno- clinopirosseno. I dati derivanti dall’analisi modale sono stati ricalcolati a 100 ignorando lo spinello.

Fig. 2.6 Relazione tra il contenuto in Fo (%Fo) delle olivine e Cr# (= Cr/Cr+Al) dei coesistenti spinelli. In rosso il campo di variazione delle peridotiti di mantello definito da Arai (1994). La linea tratteggiata

Tab. 2.1 Stima modale degli xenoliti studiati.

Olivina, ortopirosseno, clinopirosseno e spinello sono indicati rispettivamente come ol, opx, cpx, sp.

campione OL OPX CPX SP

C1 74.4 18.1 6.8 0.7

C2 62.9 25.2 10.7 1.2

C3 59.1 26.6 13.2 1.1

C5 70.4 19.5 7.5 2.6

C6 66.5 22.5 9.8 1.2

C7 72.3 15.6 11.5 0.6

C9 69.7 22.0 6.8 1.5

C10 57.4 30.9 10.5 1.2

C11 72.2 17.4 9.6 0.8

C12 71.3 19.1 7.9 1.7

C13 64.3 19.7 14.8 1.2

C16 68.2 21.7 8.7 1.4

C17 67.5 24.9 6.7 0.9

C19 64.1 25.7 8.3 1.9

C20 54.3 31.2 14.0 0.5

C21 63.6 23.1 11.1 2.2

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Fig. 2.4 (in alto) Aspetto macroscopico degli xenoliti lherzolitici studiati.

Fig. 2.7 (in basso) Fotografia allo stereomicroscopio illustrante la tessitura protogranulare di uno degli xenoliti studiati. Ben visibili i contorni curvilinei o debolmente rettilinei di olivina e ortopirosseno. A sx si nota lo spinello con la caratteristica morfologia holly leaf .

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Capitolo 3

METODOLOGIE SPERIMENTALI ED ANALITICHE

Lo studio dei noduli lherzolitici è stato affrontato utilizzando diverse metodologie sperimentali ed analitiche. Per lo studio petrografico è stata preparata una sezione sottile (28x46x1.3 mm) per ciascun campione, e tali sezioni sono state studiate al microscopio in luce trasmessa. Di ciascuna fase minerale costituente sono state effettuate l’analisi chimica e l’analisi strutturale, nonché per il clinopirosseno la determinazione dell’abbondanza degli elementi in traccia.

3.1 ANALISI CRISTALLOGRAFICA STRUTTURALE

3.1.2 Preparazione dei campioni

I cristalli sono stati prelevati direttamente dai campioni macroscopici. Dopo aver individuato il cristallo desiderato, questo è stato prelevato con l’ausilio di un ago e posto su un vetrino opportunamente preparato con una goccia di olio di cedro ad alto indice di diffrazione n=1.5 (l’olio ha lo scopo di mantenere sul vetrino il cristallo durante la sua manipolazione). Il cristallo isolato immerso nell’olio, è stato quindi frantumato ed i frammenti così ottenuti sono stati studiati al microscopio in luce trasmessa. Sono stati considerati solo i cristalli che presentavano estinzione omogenea, assenza di geminazioni ed inclusioni e alta trasparenza a nicols paralleli poiché meglio si adattano all’indagine strutturale, con gli altri (geminati e/o con inclusioni) si hanno sovrapposizioni delle intensità dei raggi diffratti dai singoli individui cristallini. I cristalli selezionati sono stati quindi ripuliti dall’olio di cedro con acetone. Questa operazione ha permesso anche di eliminare eventuali frammenti ed impurità dalla superficie del cristallo. A questo punto il minerale è stato attaccato, con adesivo tipo mastice diluito con acetato di amile, ad un capillare di vetro precedentemente inserito e fissato in un cilindretto di ottone (che verrà poi montato sulla testa goniometrica del diffrattometro). Per quanto riguarda le dimensioni dei campioni, si sono preferiti quelli aventi raggio tra 50-100 μm.

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Questi cristalli infatti danno luogo a riflessi più intensi rispetto a quelli più piccoli e non presentano l’inconveniente di avere un forte assorbimento della radiazione.

3.1.3 Diffrattometro automatico

La fase successiva alla preparazione del campione è quella della raccolta dei dati, che verranno poi utilizzati per l’affinamento della struttura cristallina. Questa operazione è stata svolta al diffrattometro automatico a cristallo singolo della Kuma Diffraction KM4 installato presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Trieste. Il diffrattometro sopra citato utilizza la radiazione kα del Mo (λ=0.7107 Å), monocromatizzata in uscita per mezzo di un cristallo di grafite. Lo strumento si compone di un goniometro, basato sulla geometria K, collegato tramite un’opportuna interfaccia, ad un calcolatore e ad una colonna di conteggio, a sua volta collegata ad un rilevatore (generalmente un contatore a scintillazione). Il diffrattometro emula la geometria euleriana a quattro cerchi (2θ, ω, χ, ϕ) indipendenti tra loro, i cui assi si intersecano nel baricentro del cristallo e ne permettono l’opportuna orientazione, in modo da soddisfare, di volta in volta, le condizioni di riflessione di tutti i piani cristallografici.

Inizialmente si fissa il supporto di ottone (sul quale è stato precedentemente inserito il campione) sulla testa goniometrica del diffrattometro. Poi, mediante delle traslazioni lineari lungo tre direzioni tra loro perpendicolari ed un’opportuna rotazione attorno a ϕ, si centra il cristallo sull’asse del collimatore, in modo tale che il suo baricentro coincida con l’intersezione dei 4 assi. Tali operazioni preliminari vengono effettuate mediante l’ausilio di un microscopio montato sul diffrattometro. Si passa quindi alla scansione di alcuni riflessi scelti secondo tre filari reticolari di riferimento, al fine di verificare che il cristallo non presenti geminati o anomalie reticolari. Successivamente vengono inseriti nel computer un certo numero di riflessi ad alto angolo di 2θ per migliorare le costanti reticolari. Se tali riflessi risultano essere troppo deboli, vengono inseriti dei riflessi a basso angolo, ma di più forte intensità. Dai valori dei baricentri dei riflessi vengono calcolate le distanze interplanari da cui si ottengono le costanti di cella (a, b, c, β per il clinopirosseno, a, b, c, per l’ortopirosseno e l’olivina, a0 per lo spinello) e le relative deviazioni standard.

Per tutte le fasi il generatore ha operato nelle stesse condizioni (25 mA e 45kV). Inoltre sono

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La condizioni di ripresa impartite per i cristalli delle quattro fasi mineralogiche studiate sono elencate nella seguente tabella:

CPX OPX OL SP

Gruppo spaziale C2/c Pbca Pbnm Fd3m

2θ min-max 3-60 3-60 3-60 3-110

Tempo per step 0.5-1.5 s 0.5-1.5 s 0.5-1.5 s 0.5-1.2 s

HKL min -13 -13 0 0 -13 0 -8 0 0 0 0 0

HKL max 13 13 7 27 13 0 8 17 10 19 19 19

3.1.4 Raffinamento strutturale

Terminata la raccolta dei dati strutturali, si è proceduto al loro raffinamento mediante il calcolatore, che utilizza dei programmi di calcolo specifici. Si tratta in sostanza di un

“affinamento” dei parametri atomici (posizioni, occupanze e parametri termici) in modo da avere il miglior accordo possibile tra valori osservati e calcolati. Inizialmente, utilizzando il programma DATAPROC, si sono calcolati i quadrati dei fattori di struttura osservati Fo2 e le loro deviazioni standard σ2. In pratica da ogni intensità I (hkl), diffratta dai singoli nodi del reticolo, si ricava il corrispettivo F (hkl), dopo aver applicato le opportune correzioni per il fattore di Lorentz (L) e per il fattore di polarizzazione (P).

Come accennato in precedenza, la determinazione della struttura cristallina consiste nel trovare una disposizione di atomi nella cella elementare in modo che gli Fo, osservati sperimentalmente attraverso le misure delle intensità degli effetti di diffrazione, siano nel miglior accordo possibile con gli Fc, calcolati sulla base della disposizione di questi atomi.

L’accuratezza del modello è misurata dal fattore di discrepanza (R), definito come:

R1 =

∑ ∑

Fo Fc Fo

Il fattore R1 sarà tanto più piccolo quanto più è accurata la determinazione della struttura, che viene considerata buona per R1 ≤ 3%. Questa operazione viene svolta dal programma SHELX-97 (Sheldrick, 1997) che applica sistematicamente anche un programma di pesatura w; poiché il calcolo è basato su Fo2, il fattore di discrepanza, (più elevato di R), è dato da:

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wR2=

( ) ( )

12 2 2

2 2 2

⎥⎥

⎢⎢

⎡ −

∑ ∑

Fo w

Fc Fo w

Un altro parametro fornito dal programma è il GooF (Goodness of fit), definito come:

GooF =

( )

( )

12 2 2 2

⎥⎥

⎢⎢

n m

Fc Fo w

dove m è il numero di osservazioni, n il numero di parametri utilizzati nel raffinamento. Le strutture ben affinate hanno valori di GooF ≅ 1.

Nello stadio iniziale del raffinamento sono state assegnate le seguenti curve di diffusione atomica (Tokonami, 1965; International Table for X-ray Cristallography, 1974): per il clinopirosseno, Mg vs. Fe nel sito M1 e Ca vs. Na nel sito M2, totalmente ionizzate; per l’ortopirosseno e l’olivina, Mg vs. Fe totalmente ionizzate in entrambi i siti M1 e M2; per le tuute e tr le fasi silicatiche sono state inoltre utilizzate curve parzialmente ionizzate per Si e Ossigeno (Si2.5+, O1.5-); per lo spinello, Mg vs. Fe nel sito T e Al vs. Cr nel sito M, sia totalmente neutre che parzialmente ionizzate. Si è proceduto quindi alla prima fase del raffinamento considerando i fattori termici come isotropi ed inserendo in ogni ciclo di calcolo il nuovo peso w trovato, fino a raggiungere la convergenza. Nella seconda fase del raffinamento invece, si sono trasformati i fattori termici da isotropi ad anisotropi e si è proceduto nel medesimo modo fino al raggiungimento della convergenza. Per il clinopirosseno è stata poi calcolata la sintesi di Fourier delle differenze, per mezzo della quale Rossi et al. (1987) hanno individuato la presenza di un residuo di densità elettronica vicino al sito M2. Tale residuo è stato introdotto attribuendogli la curva di diffusione del Fe2+ ed il fattore termico equivalente isotropo ricavato per il sito M2, in accordo con Dal Negro et al.

(1982); quindi sono stati eseguiti dei cicli di minimizzazione variando alternativamente la sua occupanza e tutti i parametri (occupanze, coordinate e fattori termici isotropi) degli altri atomi. Tale accorgimento è necessario proprio per evitare la forte correlazione esistente tra M2 e M2’. Una volta raffinate le coordinate atomiche, per le fasi silicatiche studiate è stato

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legame, i volumi dei poliedri, le relative varianze angolari ed elongazioni quadratiche medie (Robinson et al., 1971).

3.2 ANALISI CHIMICA MEDIANTE MICROSONDA

3.2.1 Preparazione dei campioni

Dopo aver ultimato le riprese dei dati strutturali, i cristalli utilizzati per tali riprese sono stati preparati per le analisi alla microsonda elettronica. I campioni sono stati scollati dal capillare di vetro, posti su un vetrino ed inglobati in una resina epossidica (araldite). Successivamente sono stati fatti affiorare dalla stessa resina mediante levigatura con polvere abrasiva di carburo di silicio (SiC). Una volta scoperti, i cristalli sono stati lucidati con paste diamantate prima di 6 μm e poi di 1 μm. I preparati così ottenuti sono quindi stati metallizzati con un film di carbonio avente uno spessore prossimo ai 200 Å ed inseriti nella microsonda elettronica.

Quest’ultima fase del lavoro è stata effettuata presso il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.

3.2.2 Microsonda elettronica

Lo strumento utilizzato per l’analisi chimica è una microsonda elettronica Cameca/Camebax dotata di quattro spettrometri WDS (=a dispersione di lunghezza d’onda) installata presso l’Istituto di Geoscienze e Georisorse CNR-Università di Padova. Le condizioni analitiche sono: accelerazione di 15 kV, corrente di 15nA, tempi di conteggio di 5 s per gli elementi maggiori e 10 per gli elementi minori. Gli standard sintetici utilizzati per i vari elementi sono:

wollastonite per Si e Ca, periclasio per Mg, corindone per Al, albite per Na, ortoclasio per K e ossidi sintetici vari per Cr, Fe, Mn, Ti, Ni. Il programma PAP CAMECA è stato utilizzato per convertire i conti dei raggi X in peso percentuale dei corrispondenti ossidi. I risultati sono considerati accurati entro l’errore del 2-3% per gli elementi maggiori ed entro il 5% per quelli minori. Per verificare il grado di omogeneità all’interno di una stesso cristallo sono stati effettuati più punti analisi (ca. 10 in relazioni alle dimensioni del cristallo e alla sua spaziando su tutta la superficie del cristallo. Ogni cristallo è stato mediamente analizzato in 10 punti.

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3.2.3 Ripartizione cationica

I dati ottenuti mediante la microsonda elettronica sono stati elaborati con la routine FORMICA, che calcola il Fe3+ su base stechiometrica (4 cationi e 6 ossigeni per i pirosseni; 3 cationi e 4 ossigeni per olivina e spinello).

La ripartizione cationica nei siti cristallografici delle quattro fasi considerate è stata ottenuta con diverse modalità. Per lo spinello, è stata calcolata mediante il programma MINUIT (James & Ross, 1975), utilizzando la routine preparata dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova. Le frazioni atomiche Mg, Fe2+, Fe3+, Al sono state distribuite tra i siti T e M, mentre gli altri elementi sono stati assegnati ai siti T ed M sulla base della loro preferenza (e.g. O’Neill & Navrotsky, 1983; Urusov, 1983) Per il calcolo delle distanze di legame T-O e M-O. e da queste i parametri a0 e u, è stato usato il set di distanze di legame proposto da Lavina (2002). Per l’olivina, la distribuzione cationica è stata invece ottenuta usando le seguenti equazioni (in Princivalle & Secco, 1985):

12*XMgM1 + 26*XFe2+M1 + 25* XMnM1+ 28*XNi = ∑e¯M1

XMgM1 + XFe2+M1 + XMnM1 + XNi = 1

12*XMgM2 + 26* XFe2+M2 + 25*XMnM2+ 20*XCa = ∑e¯M2

XMgM2 + XFe2+M2 + XMnM2+ XCa = 1 XMgM1 + XMgM2 = Mg tot

XFe2+M1 + XFe2+M2 = Fe tot XMnM1 + XMnM2 = Mn tot

Con X la frazione atomica e e¯ il numero di elettroni ottenuto dal raffinamento strutturale nei siti M1 e M2. Ni e Ca sono stati inseriti in M1 e M2 rispettivamente sulla base della loro comprovata preferenza di sito (e.g. Brown, 1980; Nord et al., 1982). Per il clinopirosseno la ripartizione è stata inizialmente ottenuta usando le seguenti equazioni analoghe a quelle utilizzate per l’olivina (in Dal Negro et al., 1982):

12*XMgM1 + 26*XFe2+M1 + 26*XFe3+ + 24*XCr + 22*XTi + 13*XAlVI = ∑e¯M1

XMgM1 + XFe2+M1 + XFe3+ + XCr + XTi + XAl = 1

20*XCa + 11*XNa + 25*XMn + 26*XFe2+M2 + 12*XMg=∑e¯M2

XCa + XNa + XMn + XFe2+M2+ XMgM2 = 1 XMgM1 + XMgM2 = Mg tot

XFe2+M1 + XFe2+M2 = Fe tot

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Con X la frazione atomica e e¯ il numero di elettroni ottenuto dal raffinamento strutturale nei siti M1 e M2. Fe3+, Ti, Cr e AlVI sono stati assegnati a M1; Ca, Na e Mn al sito M2.

Tuttavia poiché è stata riscontrata un’eccedenza di elettroni chimici rispetto a quelli strutturali, per ottenere un migliore risultato (che comunque rientra nell’ambito dell’errore strumentale) si è preferito effettuare la ripartizione di Fe2+ e Mg tra i siti M1 e M2 mediante raffinamento strutturale utilizzando SHELXL 97 con i constraints chimici. Per quanto riguarda l’ortopirosseno, anche in questo caso inizialmente la ripartizione è stata ottenuta risolvendo un sistema di equazioni (analogo a quello dei clinopirosseni) e successivamente, proprio per omogeneità con i risultati dei clinopirosseni, mediante raffinamento strutturale utilizzando SHELXL 97 con constraints chimici.

3.3 ANALISI CHIMICA MEDIANTE LA-ICP-MS

Nella preparazione dei campioni da utilizzarsi per la determinazione degli elementi in traccia mediante laser ablation - inductively coupled plasma – mass spectrometry (LA-ICP-MS) è stata adottata la medesima procedura descritta per l’analisi in microsonda senza metallizzazione con film di carbonio. In questo caso si è proceduto alla preparazione di soli cristalli di clinopirosseno (raggio tra 150-200 μm). Le concentrazioni sono state determinate mediante lo strumento installato presso l’Istituto di Geoscienze e Georisorse CNR-Università di Pavia, che accoppia una sorgente laser Nd:YAG (Brilliant-Quantel) a un quadrupolo ICP- MS (DRCe-PerkinElemer). La sorgente laser opera a 10Hz con un diametro dello spot di 40 μm ed un’energia (pulse energy) di 0.02-0.03 mJ. Ogni analisi consiste nell’acquisizione di 60 s di segnale di fondo e 60 s di segnale da ablazione laser. Gli standard SRM Nist612 e 44Ca sono stati adottati rispettivamente come standard esterno ed interno. Le concentrazioni degli elementi in traccia sono state ottenute mediante il software GLITTER (van Achterbergh et al.

2001). L’accuratezza dei dati, stimata sullo standard BCR2 USGS (basaltic glass reference), è circa pari al 5%. Sono state determinate le abbondanze relative di 38 elementi tra minori e in traccia, comprese le terre rare (REE). Per ciascun cristallo di clinopirosseno sono stati fatti tre punti analisi (nucleo-intermedio-periferia) per ognuno degli elementi considerati.

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Capitolo 4

CLINOPIROSSENO

4.1 GENERALITA’

Il diopside è il più comune clinopirosseno in noduli e xenocristalli contenuti nelle kimberliti o nei basalti alcalini. L’hedenbergite e Mn-hedenbergite si rinvengono tipicamente in skarn calcarei, in sedimenti ricchi in Fe metamorfosati termicamente, in quarzo sieniti, granofiri e Fe-dioriti. Il termine diallagio viene usato per descrivere il diopside contenente quantità rilevanti di ioni trivalenti. I minerali diopside ed hedenbergite costituiscono i termini estremi della soluzione solida completa CaMgSi2O6-CaFeSi2O6. La divisione tra le composizioni intermedie è arbitraria.

La prima struttura pirossenica ad essere stata determinata fu proprio quella del diopside (Warren & Bragg, 1928). Clark et al. (1969) raffinando la struttura di un diopside naturale ne hanno definito paramentri di cella (a=9.746 Ǻ, b=8.899 Ǻ, c=5.251 Ǻ, β=105.63°), densità (3.278 g/cm3) e gruppo spaziale (C2/c). Il diopside sintetico ha valori molto simili: a=9.752 Ǻ, b=8.926 Ǻ, c=5.248 Ǻ, β=105.83°. La stuttura dei pirosseni C2/c è data da un’alternanza di strati tetraedrici ed ottaedrici. Le catene dello strato tetraedrico sono tra loro equivalenti e O- ruotate (Appendice A), con il tetreadro T che si lega a due ossigeni O3 lungo la catena tetraedrica (ossigeni a ponte, bridging, poiché uniscono 2 tetraedri vicini), un ossigeno O1 ed un ossigeno O2 (ossigeni non a ponte, no-bridging, poiché appartengono ad un solo tetraedro della catena.). La distanza più corta è la T-O2 (1.59–1.61 Å), mentre la più lunga è la T-O3 (1.68–1.69 Å). Gli strati ottaedrici sono invece dati da poliedri regolari M1 a coordinazione 6 e poliedri irregolari M2 a coordinazione 8 che collegano lateralmente le catene tetraedriche con ioni Ca e Mg in M2 e M1 rispettivamente a coordinare gli ossigeni. I cationi in coordinazione ottaedrica realizzano legami esclusivamente con ossigeni no-bridging (O1 e O2). In M1 i cationi si legano con quattro ossigeni O1 e due ossigeni O2 e, poiché il catione giace sull’asse binario, le distanze sono a due a due uguali Le distanze più corte sono le M1- O2C1,D1 (2.02–2.05 Å), quelle intermedie sono le M1-O1A2,B2 (2.05–2.06 Å), mentre le più lunghe sono le M1-O1A1,B1 (2.12–2.13 Å). In M2 invece i cationi si legano ad 8 ossigeni formando quattro distanze corte con gli O1 e O2 (2.32-2.36 Å), due intermedie con gli O3C1

(2.54-2.56 Å) e due più lunghe con gli O3C2 (2.73-2.74 Å). Le distanze con gli O3 sono tuttavia troppo lunghe per permettere una buona coordinazione di cationi piccoli come Mg2+ e Fe2+; essi infatti si delocalizzano nella posizione M2’ a coordinazione 4 distorta (pseudotetraedrica) (Fig. 4.1 Dal Negro et al., 1982; Rossi et al., 1987). Il sito M2’, che è localizzato in prossimità dal sito M2, può coordinare due ossigeni O1 e due ossigeni O2 con le distanze M2’-O1 e M2’-O2 variabili tra 1.82-2.30 Å ed in esso risiede il residuo di densità

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per formula unit (afu). Le distanze M2-O1 e M2-O2 sono particolarmente sfavorevoli all’occupanza di Mg rispetto a Fe2+ e pertanto il sito M2’ risulta preferibilmente occupato da Mg mentre Fe2+ si colloca in M2. Dal Negro et al. (1982) hanno interpretato lo “splitting” di M2 a M2’ come precursore di processi di smistamento allo stato solido (unmixing) dei pirosseni calcici dove Fe2+ e Mg sostituiscono Ca in M2.

Fig.4.1 Proiezione sul piano (100) della struttura del clinopirosseno C2/c. E’ evidenziata la catena tetraedrica e rappresentato anche il sito M2’(Dal Negro et al., 1982).

(37)

4.2 CHIMISMO DEI CLINOPIROSSENI

Il clinopirosseno ha una composizione data da Wo43.8-48.5En47.4-51.5Fs3.4-5.2 che lo fa rientrare essenzialmente nel campo del diopside (Fig. 4.2); essendo inoltre presenti quantità discrete di Cr (0.024-0.038 atoms per formula unit, afu) viene classificato come Cr-diopside (Morimoto, 1989). Mg# varia tra 0.907 e 0.939, come è tipico per cpx inclusi in xenoliti ultramafici (e.g.

Dal Negro et al., 1984; Cundari et al., 1986). Il contenuto in Cr2O3 e Al2O3 è rispettivamente pari a 0.69-1.38% e 2.97-6.40%. L’analisi in microsonda non ha evidenziato zonature chimiche all’interno dei singoli cristalli su una media di ca. 10 punti analisi a cristallo spaziando su tutta la superficie (Appendice B, Tab. I). Pertanto, nelle considerazioni che seguono è stata considerata la composizione chimica media (Tab. 4.1).

Fig. 4.2 Composizione dei clinopirosseni di Hannuoba in termini di Wo-En-Fs (Morimoto, 1989).

In Fig. 4.3 si osserva come l’intervallo di variazione di Si e Altot nei cpx di Hannuoba ricalchi il campo definito dai cpx inclusi in xenoliti di peridotiti a spinello provenienti da diversi contesti descritti in letteratura (Dal Negro et al., 1984; Cundari et al., 1986; Princivalle et al., 1994; Franz et al., 1997; Carraro & Salviulo, 1998; Princivalle et al., 2000a,b; Embey-Isztin et al.,2001). Nella figura sopra citata sono presenti anche i dati relativi a megacristalli di cpx

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presentano tenori più elevati di Altot rispetto ai noduli, il che è dovuto al fatto che i primi ospitano maggiori quantità di AlIV nel sito T, caratteristica tipica di cpx cristallizzati da magmi alcalini a profondità mantelliche (Dal Negro et al., 1989a).

Fig.4.3 Variazione del contenuto di Al totale in funzione del contenuto di Si nei clinopirosseni di Hannuoba. I cpx riportati per confronto appartengono a xenoliti peridotitici a spinello (Mt. Leura e Mt. Noorat, Victoria, Australia (Dal Negro et al., 1984; Cundari et al., 1986); NE Brasile (Princivalle et al., 1994); Rhon, Germania Centrale (Franz et al., 1997); Predazzo (Carraro & Salviulo, 1998); Cameroon (Princivalle et al., 2000a); Nemby, Paraguay (Princivalle et al., 2000b); Bacino Pannonico, Europa Centrale (Embey-Isztin et al., 2001)) e a Mega-cpx (Victoria, Australia (Dal Negro et al., 1989a); Hannuoba, (Brizi et al., 2003)).

4.3 CRISTALLOCHIMICA DEI CLINOPIROSSENI INCLUSI NEI NODULI PERIDOTITICI DI HANNUOBA

4.3.1 Poliedro T

Il sito T è occupato quasi totalmente da Si4+ (1.889-1.945 afu) con minori quantità di Al3+

(0.055-0.111 afu). Come indicato da Dal Negro et al. (1982), la progressiva sostituzione di Si4+ (R.I.= 0.41 Å; Shannon, 1976) da parte di Al3+ (R.I.=0.53 Å), Si4+↔Al3+, porta ad un allungamento delle distanze T-Onbrg (1.560-1.606 Å) mentre le T-Obrg rimangono praticamente

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costanti (T-Obrg=1.672±0.002 Å), il che determina una distorsione angolare del poliedro (Tetrahedral Angle Variance; Robinson et al., 1971), misurata da σ2tet (24.42-26.72) ed un aumento del volume del tetraedro VT (2.226-2.238 Å3) (Tab. 4.2). Tali andamenti sono riscontrabili nei grafici di Fig. 4.4, laddove si nota anche come il comportamento dei cpx di Hannuoba sia coerente con quello di cpx inclusi in xenoliti lherzolitici descritti in letteratura (Dal Negro et al., 1984; Cundari et al., 1986; Princivalle et al., 1994; Carraro & Salviulo, 1998; Princivalle et al., 2000a,b) e qui presi a confronto.

Fig. 4.4 Variazione delle distanze di legame T-Onbrg (a) e del volume del poliedro T (VT) (b) in funzione del contenuto di Si. I clinopirosseni riportati per confronto, appartenenti a xenoliti peridotitiche a spinello, sono: Mt.

Leura e Mt. Noorat, Victoria, Australia (Dal Negro et al., 1984; Cundari et al., 1986); NE Brasile (Princivalle et al., 1994); Predazzo (Carraro & Salviulo, 1998); Cameroon (Princivalle et al., 2000a); Nemby, Paraguay (Princivalle et al., 2000b).

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