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Introduzione di Giuseppe Bruni

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Academic year: 2022

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Armonie di donna

Introduzione di Giuseppe Bruni

Nato e cresciuto nell’interno, dove gli aghi degli alberi grattano buone porzioni di cielo e la terra alta del nostro amato Appennino Tosco Emiliano accompagna coi suoi colori le risate e le grida dei bambini; lassù, in terra di confine, dove il “fognare” del tempo trasporta in tracciati aerei mutevoli la propria bianca energia attraverso fessure nelle chiome degli alberi e reconditi anfratti, provocando un sibilo continuo e tetro nelle orecchie di chi non lo conosce.

Un luogo plasmato un po’ dal tempo e un po’ dal movimento degli uomini; un luogo dove gli sguardi creano da sé i propri confini, i profili naturali delle montagne, del fiume incurante del mondo esterno e dei boschi, incollati sui dorsi abitati da briganti e partigiani, da fiabe e leggende.

Figlio di una cultura bigotta, ma ricca di spiritualità e laboriosità, ai miei occhi di bambino il profilo lontano, laggiù, in fondo verso ovest, dove ogni sera – diceva mia nonna – giocava a nascondino il sole, non era un limite definito ma un punto d’inizio, un punto dal quale salpavano i desideri e che celava un mondo misterioso che mi incuriosiva e mi tentava. Era il luogo della fata turchina, della grande balena bianca, della Befana, della pantera, di Alice e di mia madre. Ero attratto da quel mondo femminile: «le donne sono strane», pensavo sorridendo.

A contatto con una cultura del “dopo-pace”, orgoglioso di questa nascita”presunta plebea”, dove l’insicurezza familiare, atavica e legata all’ambiente circostante, gravava la mia parte

emotiva di un peso difficile da scrollare.

«Non esiste al mondo distrazione migliore di correre dietro ad una donna!» dicevano i ragazzi più grandi che “solcavano” la strada statale con le loro rumorose lambrette grigie,

“nuovi” mezzi d libertà.

Il movimento del mio cuore oscillava tra una bellezza femminile rinascimentale, rappresentazione sublimata di un ideale irraggiungibile, ed uno sguardo alla storia della Chiesa di Tommaso D’Aquino il quale “esigeva” dalle donne di essere belle così da non spingere il marito fra le braccia delle prostitute, ma nel contempo non troppo belle così da

non attrarre su di sé l’attenzione di altri uomini.

Un bagaglio storico ingombrante che mi ha accompagnato a lungo nelle mie migrazioni di uomo e di professionista, dapprima come un fardello e poi mano a mano come uno

“strumento” sempre più sottile di indagine della persona e quindi della realtà. Colonizzare le proprie paure senza perdere l’uso di quegli “strumenti” ha significato acquisire una maggiore percezione e sensitività dei propri e degli altrui bisogni.

La psicoterapia, in genere, propone confronti così essenziali con se stessi e con gli aspetti più profondi della persona, da condurti a sentire movimenti psicofisici così sottili come

raramente accade nella vita di tutti i giorni.

«I grossi dubbi generano grosse certezze» e tutta la mia storia di terapeuta ha influenzato

la mia vita di uomo.

«Cherchez la femme» ammoniva ad inizio secolo il “famoso” criminologo Cesare Lombroso, il quale pretendeva di trovare nella donna il movente scientifico per la comprensione di diverse tipologie omicide. Possiamo riderci sopra oggi? Non direi visto che in tempi moderni l’attuale tecnologia ha letteralmente cancellato i confini tra realtà e fantasia, con la conseguenza di produrre illusioni ottiche che impongono un ideale realizzabile, quello di

poter diventare belle secondo l’occhio del momento.

«Cherchez la femme» nel moto oscillante tra innocenza infantile ed erotismo provocante, pur lasciando tranquilla nella cura dei nostri ricordi la cara e triste Marylin Monroe.

Oggi forse, alle soglie dei quaranta anni, razionalmente lo riterrò un segno di sopravvenuta

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“anzianità”, oppure un segnale irrevocabile che un grande amico comincia a voltarmi le spalle.

Un libro sulle donne?

Chi, come me, si interessa della persona nella sua completezza e non come uomo o donna, a serie difficoltà ad immaginare un lavoro, un’azione esclusiva della donna, ha serie difficoltà ad immaginare un lavoro, un’azione esclusiva della donna e non un’attività come modello comune di vita e di crescita. Eppure il problema continua ad esistere (cfr. Giuseppe Bruni – Vincenzo Prunelli, Cento Vite per lo Sport, Ed. Pacini Pisa, 1992). Spesso la donna rivendica un modello di attività per se stessa, perché non si ritrova in quello attuale, troppo a “misura di uomo”. I disagi della donna nella realtà sono oggettivi, ma dobbiamo fare attenzione a non vedere la donna a tutti i costi come un qualcosa di diverso, di protetto e da proteggere, e a non scordarsi che la vita presente penalizza soprattutto chi “non arriva”, e che vi sono uomini e donne che realizzano la propria vita con soddisfazione e senza mai

“arrivare”. In fondo non conosciamo ancora con esattezza “cosa c’è dentro la persona”, quali sono i suoi meccanismi e le sue risorse, le sue tensioni, le “trappole”che le bloccano la testa e il corpo, tutte quelle potenzialità che vanno perdute e restano deluse, e tutti quei “blocchi”

che a volte sarebbe possibile risolvere ed eliminare. Sebbene, però, un’utopia oltretutto ingiusta per chi è più “dotato”, pensare ad una sola forma di organizzazione che possa contentare tutti nello stesso modo. Ciò che preme far emergere è che il giusto equilibrio tra tre obiettivi: la prestazione, la persona e gli altri (e non solo la solidarietà), rappresenta l’unica condizione che permette di far funzionare tale “sistema fisico”e, dunque, di creare le condizioni più adatte all’esistenza. Oggi, ciò che penalizza di più la donna è un rapporto confuso con la realtà. Non è ancora superata la convinzione che il lavoro in senso lato, oltre che viralizzare, affatichi, sia un impegno poco gratificante di cui la donna può fare a meno.

A questo punto potremmo chiederci cosa fare. Certo il “rifiuto” di essere donna è una via non percorribile. In alcuni casi la donna “prevale”, in latri viene esclusa dai massimi livelli.

Ma è assurdo voler far diventare uomo la donna affinchè possa primeggiare.

Biologicamente, psicologicamente, socialmente è fondamentale una donna che sia donna.;

il piacere e il dolore, quali componenti complementari del moto umano, infatti, rappresentano un vero e proprio modo esprimersi e dunque sono vissuti sempre più come valori.

Un’attività, un lavoro, attraverso la personale espressività che ne definisca il linguaggio e le singole qualità umane, che la definisca come persona, non possono fare altro che esaltare la femminilità, e non opprimerla. È importante che la donna esprima un interesse sempre maggiore verso la società, in modo da incidere sulle scelte politiche, organizzative ed economiche e, quindi, ottenerle stesse opportunità, oltre che le stesse condizioni ed occasioni, offerte all’uomo. E la donna deve cambiare qualcosa di se stessa, dentro e fuori qualsiasi tipo di organizzazione. Per prima cosa “liberarsi” veramente di certe forme di cultura che continuano e vederla e proporla fragile ed incapace di certe “performance”

psicologiche e anche fisiche che sono, invece, alla sua portata.

«la persona orienta la sua vela – dice Alain – poggia sul timone, avanzando contro il vento con la forza stessa del vento».

Giuseppe Bruni

Presentazione Banca di Credito Cooperativo di Pistoia

A.T. Sloan (fondatore e primo presidente della General Motors) ha più volte affermato:

«Nella nostra economia industriale c’è una sola fondamentale differenza tra due imprese che operano negli stessi settori, e questa differenza è negli uomini».

Un principio universalmente valido, al quale però occorre una piccola integrazione, al fine di

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formarlo con maggior chiarezza; noi diremmo…: «e questa differenza è negli uomini così

come nelle donne».

La banca, sia come modello organizzativo sia come impresa “produttiva”, è tenuta a dare risposte immediate e concrete nei confronti del nostro mondo economico, per consentire alle imprese di rinnovarsi e di seguire così tempestivamente i cambiamenti legati alle

dinamiche di mercato.

Un libro sulle donne? Nessun privilegio, poteva essere benissimo un libro legato al mondo maschile. Noi crediamo infatti sia agli uomini che alle donne senza alcuna differenza legata a modelli di riferimento ancorati a schemi culturali passati.

Noi crediamo alle persone, a tutte le persone che sanno impegnarsi e sono dotate di capacità. Crediamo al professionismo come veicolo di socializzazione e produzione. Noi crediamo al professionista che possiede la capacità di trasmettere il proprio patrimonio di conoscenza e abilità all’organizzazione, che matura diversi passaggi di competenza aumentando sempre più il livello delle proprie prestazioni per assecondare il processo innovativo; la sua funzione sarà sempre più specializzata, condizione necessaria per realizzare gli obiettivi di impresa.

Un ringraziamento a tutti coloro i quali hanno riso il libro così ricco di quelle storie di vita, vissute e profonde, dalle quali il lettore potrà ricavare il proprio “senso in più”

Banca di Credito Cooperativo di Pistoia

Introduzione di Cinzia Lotti

A Chiara «Ho colto la più bella rosa della vita» (K.B.)

Se per alcuni la donna è «l’altra metà del cielo», per altri è la «la parte dove vai a cercare

l’azzurro» (1).

Oscar Wilde (che diresse “The Woman’s World”, una rivista femminile del periodo vittoriano) si chiedeva: «Chi può vantarsi di conoscere la donna?», mentre Virginia Wolf, considerata

«la madre spirituale dell’odierno movimento delle donne colte» (2), perorando la causa dei manifesti femministi del Novecento, nel corso di una conferenza tenuta alle studentesse di Cambridge formulò gli interrogativi: «Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo?» (3), ricordando poi che per secoli «le donne hanno avuto la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo» (4).

La storia…

Se la società cretese fu matriarcale (un’eccezione per l’epoca) sappiamo che nell’Impero romano la donna non «era soggetto di diritto», più esplicitamente è Robert Villers ad annotare che «a Roma, la donna, senza esagerazione, né paradosso…era unicamente un

oggetto» (5).

La patria potestas prevedeva, tra gli altri diritti, anche la «scomparsa forzata delle figlie minori»: «il padre generalmente lasciava in vita una sola figlia, la maggiore è del tutto eccezionale trovare menzionate due figlie in una famiglia romana» (6). Non diverso scenario nella Grecia del tempo. Un articolo dell’Editto di Rotari così recitava: «A nessuna donna sia consentito di vivere a sua arbitrio, bensì deve restare sempre sotto la tutela degli uomini o

sotto quella del re».

Paul Veyne cita un aneddoto esemplificativo: «un Greco scrive così alla moglie “Se (tocco ferro) avrai un bambino, se è maschio, lascialo vivere, se è femmina, esponila”» (7),

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proseguendo: «Che accadeva ai bambini esposti? Raramente sopravvivevano…».

Soltanto nell’anno 390 viene tolto al padre di famiglia il diritto di vita e di morte sui suoi figli:

«Con la diffusione del Vangelo, scompariva la prima e la più decisiva delle discriminazioni tra i sessi: il diritto di vivere fu accordato tanto alle femmine che ai maschi» (8).

Il concetto fondamentale di “persona”, il diritto al rispetto e alla vita, faceva finalmente il suo ingresso nella società: «Non c’è più né Greco, né Ebreo, né uomo, né donna, quel che conta

ormai è la persona» (San Paolo).

Régine Pernoud scrive che l’apogeo della società femminile si ebbe nell’età feudale mentre

«il Trecento e il Quattrocento rappresentano un’età “media”, nel corso della quale la mentalità cambia, specialmente nei confronti della donna (…) trascinata poi verso un’eclisse

da cui essa emerge di nuovo nel nostro Novecento».

Nel medioevo le “streghe” venivano condannate al rogo e San Tommaso d’Aquino sentenziava: «La donna è soggetta all’uomo a causa della debolezza della sua natura, che riguarda il suo corpo come pure la sua anima». Nei secoli XIV e XV due grandi figure di donne segnarono, o ancora meglio, incisero profondamente gli eventi della storia culturale tanto da dar vita a grandi mutamenti: Caterina da Siena e Giovanna D’Arco «Due ragazze come le altre, di cui ha parlato tutto il mondo allora conosciuto, e che hanno modificato in profondità l’equilibrio di quel mondo» (9). Nel tempo tante e tante altre donne scriveranno o faranno scrivere le pagine più belle e più intense, spesso anche le più drammatiche, della

storia, della loro e della nostra vita.

«Donne in guerra», potremmo dire mutando il titolo di un’opera di Dacia Maraini, che hanno gridato la rabbia, il silenzio, la paura e il dolore di secoli sulle piazze della vita, invocando il

nome della dignità, del rispetto e del diritto.

Ma «la donna non fa storia, è fuori dalla storia» e occorreranno due rivoluzioni, quella francese prima e quella industriale poi , perché il sorgente movimento femminista in Europa riesca a far sollevare l’attenzione sula questione femminile e sulla dimensione sociale del problema legato alla pluri-secolare emarginazione della donna. Evelyne Sullerot affermava:

«Se alle donne è stato rubato qualcosa è stato il tempo».

Certo è che il tema-donna a buon titolo meriterebbe, bene lo sappiamo, più ampia ed altra attenzione: non è qui il mio compito disquisire oltre, rimando invece il lettore ad altre

approfondite analisi.

E allora…

Van Gogh ebbe a scrivere «Nei rapporti con le donne si impara tanto sull’arte»; venti anni dopo nel “Manifesto” del futurismo (il movimento di Martinetti) si proclamava «il disprezzo della donna», o meglio, di quella figura femminile decadente dell’archetipo dannunziano: «i futuristi non sono contro la “donna”, ma contro un “certo tipo” di donna; e non sono contro l’arte delle donne ma contro l’arte che è femmina» (10).

Intanto la Woolf continuava a capeggiare la cultura femminista europea di inizio secolo, in nome di quella vita che «è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra

coscienza dall’inizio alla fine».

Ebbene,se questo librò potrà in qualche modo rappresentare un’occasione di riflessione sul mondo delle donne per coloro i quali lo leggeranno, lo scopo sarà stato raggiunto.

Scriveva Karen Blixen: «Il destino di un altro, anche se non ci interessa personalmente, serve a spiegare qualcosa».

Cinzia Lotti

1.Enzo Biangi, Un anno Una vita, Rizzoli, 1992.

2.Armanda Guiducci, introduzione a Le onde di V. Woolf, Newton Compton, 1992.

3.Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Newton Compton, 1993.

4.Ibidem

5.Régine Pernoud, La donna al tempo delle cattedrali, Bur-Rizzoli, 1986.

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6.Ibidem

7.Paul Veyne, La vita privata dell’Impero romano, Laterza – Oscar Mondadori, 1994.

8.Ibidem nota 5).

9.Ibidem nota 5).

10.Mario Verdone, Il Futurismo, Newton Compton, 1994.

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