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VII Catechesi. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8)

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Academic year: 2022

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VII Catechesi

Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8)

Per entrare nella meditazione di questa beatitudine possiamo lasciarci guidare e accompagnare sottilmente da una citazione tratta dal profeta Abacuc (Ab 1,12). Così dice il profeta, parlando del Signore Dio:

«Non sei tu fin da principio, Signore, il mio Dio, il mio Santo? Noi non moriremo! Signore, tu lo hai scelto per far giustizia, l’hai reso forte[…]. Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l’oppressione, perché, vedendo i perfidi, taci mentre il malvagio ingoia chi è più giusto di lui?».

Una bellissima citazione in cui viene verbalizzata una domanda che sicuramente portiamo nel cuore e ci autorizza a interrogare Dio sul mistero del male. Mentre lo interroghiamo, lo riconosciamo estraneo al male e assolutamente innocente. Questo testo profetico sarebbe da mettere nel “paniere” delle citazioni importanti da tenere sempre a portata di mano. Un versetto da avere sempre nel proprio cuore per lottare contro i pensieri impuri. Quando diciamo “impuri” non è necessario pensare subito a ciò che riguarda il “de sexto”. Sarebbe più urgente pensare a tutto ciò che in noi non è secondo il cuore misericordioso e luminoso di Dio: «Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male». Il profeta sembra dire che, anche se volesse, il Signore Dio non potrebbe sostare sul male per non venire meno alla sua divina verità.

Purificare lo sguardo

Ecco a che cosa noi stessi siamo chiamati: a diventare così puri da non vedere più il male. Il processo di purificazione interiore dovrebbe condurci a non avere più sensibilità per ciò che si oppone e corrompe la radicale bontà di tutto e di tutti. Si tratta di un lungo processo per arrivare a scorgere in tutte le cose, che del resto sono imperfette e talora persino inique, una parte di luminosità insopprimibile. La conversione radicale da fare nel proprio cuore è proprio questa: superare la tendenza, quasi congenita, a cogliere persino nelle cose buone, nelle persone sante, nelle situazioni serene, sempre quello che manca.

Il nostro sguardo è troppo spesso abitato da una sorta di malizia che si apparenta a quell’«invidia» (Sap 2,24) propria del Maligno. Talora siamo talmente contaminati da quest’invidia di fondo da diventare complici dell’Accusatore. Troppo spesso siamo alla ricerca di quello che non va bene negli altri per mascherare ciò che in noi, nel profondo del nostro cuore, esige purificazione e rinnovamento. Il Signore ci chiede di accedere a questa purezza di cuore che sa vedere la luce anche quando essa è flebile e, persino, umbratile. Eppure, cosa c’è di più bello, dolce e rasserenante di un raggio di luce in una tenebra fitta o di uno sprazzo di ombra in una giornata di canicola?! Una parola quasi augurale di Carlo Carretto può fare da portale nella meditazione di questa beatitudine:

«Beato colui che sa abbracciare castamente l’universo. Perché Gesù non è venuto ad opprimerci, è venuto a liberarci, non è venuto a privarci dell’abbraccio ma a renderlo casto. Essere puri significa abbracciare castamente le cose. […] Il giorno in cui capiremo che Gesù non è venuto a negarci l’amore e l’unione ma a sublimarcela e rendercela più bella, più umana, più gaudiosa, più vera, avremo fatto un gran passo avanti nella comprensione del Vangelo».

Le Beatitudini sono una forma di verginità perché esigono una purezza che permette il distacco dal proprio egoismo e il superamento generoso di ogni malevolenza, anche la più minima. La purezza va immaginata e coltivata laboriosamente come verginità da ogni attaccamento al proprio punto di vista, spesso miope e, in

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Significa infatti non cercare la propria fecondità fuori di sé, ma sempre a partire dal proprio cuore offerto alla misericordia ed esercitato nell’amore oblativo. Quella dei «puri di cuore» è la beatitudine propria di chi non viene forzato da nulla di esterno e di estrinseco, ma è in grado di scegliere e desiderare a partire dal più profondo delle ragioni del cuore. Chi è puro vive un’autoconsapevolezza che, lungi dall’essere autosufficienza, diviene ogni giorno di più luogo privilegiato di incontro e di condivisione. Il cuore si trasforma in luogo interiore di comprensione profonda e di estrema compassione. Questa condivisione radicale della sorte dell’altro diventa espressione della stessa compassione di Dio. Si tratta, in realtà, di un vero e proprio viaggio interiore verso una purezza di sguardo il cui chiarore diventa indice di una semplicità ricevuta, come quella dei bambini. Essa è sempre una semplicità recuperata, come quella degli amanti.

Attraverso il velo delle lacrime

Quando i santi Padri accolgono la sfida lanciata dal Signore Gesù per raggiungere una purezza di cuore che permetta di vedere Dio, non pensano alla vita nell’aldilà. Essi pensano alla nostra vita nella concretezza del suo presente vissuto con elegante umanità. In realtà, solo ciò che l’occhio del nostro cuore è in grado di distinguere, attraverso un generoso combattimento spirituale, come buono, vero e bello sarà oggetto incontestato di gioia eterna. La posizione specifica in cui troviamo questa beatitudine tra le altre è ben spiegato dal commento di Drewermann:

«Considerando il parallelismo esistente tra le due parti in cui è diviso il discorso della montagna, vediamo che i “puri di cuore” corrispondono agli “afflitti”, e ancora una volta questa relazione è sorprendente, ma anche immediatamente comprensibile. Le persone che sanno ancora piangere, soltanto loro potranno guardare questo mondo con occhi “puri”».

Il dono delle lacrime è sempre legato per i santi Padri alla possibilità di purificare gli occhi del cuore fino a vedere nella vita, nel mondo e nella storia i segni di quella presenza di Dio che sarà oggetto di gioia eterna, del nostro più profondo desiderio. Si tratta di far cadere dagli occhi del cuore quelle squame che impedivano a Saulo di vedere, in coloro che perseguitava con così grande furore, Colui che, sulla strada di Damasco, gli si rivela in una grande luce come il «Gesù che tu perseguiti» (At 9,5). La tradizione della Chiesa e la sua acuta sensibilità a riguardo della salvezza ha pensato il purgatorio come estrema possibilità. Infatti, se non ci purifichiamo abbastanza nel qui e ora – cosa abbastanza scontata – avremo ancora una possibilità per aprirci alla visione del volto di Dio senza che la sua luce ci accechi ma, al contrario, ci allieti. Le lacrime sono, infatti, da una parte il segno di una rinascita e, dall’altra, di una compassione simile a quella di Dio per le sue creature più fragili e bisognose.

«Beati i puri di cuore» corrisponde esattamente, come si è già detto, a «Beati gli afflitti». Nella logica del commento fatto fino a questo momento significa dire: beati coloro che invece di uccidere la loro sensibilità la coltivano, la raffinano. Siamo chiamati a diventare, attraverso un’accoglienza generosa del dono della grazia di Dio, delle “raffinerie di umanità”; dei crogioli in cui il fuoco della carità è capace di eliminare le scorie del nostro egoismo per renderci capaci di una umanità profetica di ciò che saremo chiamati a godere nell’eternità, non come rimando ma quale compimento. Tutti noi abbiamo avuto probabilmente l’opportunità di incontrare nella nostra vita una persona santa. Da che cosa è possibile percepire la santità di un uomo, di una donna, se non da questi occhi puri, trasparenti, che invece di essere uno schermo sono una porta? I santi Padri, ma anche la tradizione pagana, parlano degli occhi come della “porta dell’anima” ornata delle perle più preziose e più terapeutiche. Queste perle sono la schiettezza, la sincerità e l’onestà evinte dalla gratuità della e nella relazione.

Una postura purificata che non tende mai a imporsi, ma ad accogliere. Uno stile che non cede mai alla tentazione di possedere, ma è sempre incline a servire.

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Chi è puro, quando si avvicina a qualcuno o si lascia avvicinare da qualcuno non lo fa ponendosi il problema di come l’altro debba essere per lui. Al contrario, il puro di cuore è attraversato e conquistato piuttosto dalla curiosità tutta particolare di sapere chi l’altro sia veramente. Il cuore purificato si pone sull’altro una domanda che non ha niente a che vedere né con la curiosità né col giudizio, ma è totalmente orientato a una comprensione intrisa di compassione. La domanda è: «Quali e quante lacrime hanno irrigato e solcato il cuore dell’altro?»; e ancora: «Che cosa vive, sente e soffre nell’intimo del suo cuore?». Tutto ciò non per fare qualcosa insieme ma per essere insieme e camminare di pari passo, quasi danzando, verso l’unica meta che è – ritornando ad una suggestiva parola di Ireneo – «la visione di Dio». Ci sono persone i cui occhi aprono alla speranza e persone i cui occhi inquietano. Ci sono sguardi che mettono a disagio e sguardi che rasserenano senza nulla dire. C’è da augurarsi che tutti facciano, almeno una volta, questa esperienza, non in cielo, ma con fratelli e sorelle in umanità, con cui essere lavati dalle calde lacrime della tribolazione e del discernimento spirituale. Costoro hanno purificato la loro vita fino ad essere già quaggiù un riflesso godibile della presenza di Dio. Le persone che sanno piangere possono guardare il mondo con occhi puri. Per questo il profeta invita con forza: «Lavatevi, purificatevi» (Is 1,16). Molte volte l’unico modo per comunicare è piangere e lasciarsi accogliere nella propria vulnerabilità e sofferenza che rivela ciò che in noi attende non di essere “risolto” ma semplicemente di essere “accolto”. Quando il Signore Gesù dice: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», vuole dare un messaggio di speranza. Coloro che hanno accolto l’afflizione, che portano il peso della propria angoscia, della propria sofferenza, dei propri drammi, non possono non vedere gli altri se non nella luce in cui li vede Dio: attraverso il velo delle lacrime che rigano ogni volto e scavano i cuori.

L’opposto della purezza è l’ipocrisia

A ben vedere, è proprio il caso di dirlo, siamo tutti persone in cammino nella tribolazione che cercano di purificarsi, pian piano, dalle scorie e dalle incrostazioni che ottenebrano lo sguardo e avvelenano il cuore. Si è tutti immersi nel crogiolo della vita per il lungo processo di liberazione mai compiuto e sempre, per lo più, doloroso. Lo rivela chiaramente l’angelo dell’Apocalisse rispondendo alla domanda del veggente di Patmos:

«Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello» (Ap 7,14). C’è qualcosa che bisogna continuamente tenere presente e forse imparare: la consapevolezza che normalmente la gente soffre! Per questo il vero modo per raggiungere le persone è di entrare in contatto con la loro sofferenza e farlo con delicatezza. Bisogna saper leggere la sofferenza anche dietro la maschera dell’insofferenza che può, talora, rivestirsi persino dell’abito della superficialità e dell’eccesso. È necessario sempre di più passare dallo “sguardo sacerdotale” all’“intuizione profetica”. Il Signore Dio, scegliendo il piccolo e dimenticato Davide come re del suo popolo al posto dell’appariscente Saul, consiglia a Samuele di mettere un po’ di collirio sui suoi occhi, perché Dio non guarda le apparenze, Dio guarda il cuore (cfr. 1Sam 16,7). Nell’Apocalisse, Dio dice al Veggente: «Ti consiglio di comprare da me…

collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista» (Ap 3,18). Siamo chiamati a riconoscere, ascoltando la voce delle Beatitudini, che non è il mondo a essere cattivo, ma il nostro occhio a essere invidioso della bontà di Dio (cfr. Mt 20,15) verso ogni creatura. È in questo senso che va inteso il terribile invito del Signore nel Discorso della Montagna: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te» (Mt 5,29). Il puro di cuore è colui che è capace di vedere Dio dove nessuno lo ritroverebbe.

La vita ha sempre ragione

Essere puri significa essere sapienti e avere per questo coscienza che le cose hanno una loro logica: come le maree, i venti, le stagioni, le emozioni, i sentimenti. C’è bisogno di tempo perché le cose trovino un loro equilibrio, sia in ambito naturale che in ambito umano. Non è, di certo, costringendo la realtà o piegandola a noi stessi che essa assume una nuova forma, più pura e più adeguata. Con umile benevolenza occorre concedersi tutto il tempo della sedimentazione, a volte lasciando semplicemente che gli eventi accadano: la

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continua ad agitare l’acqua, non se ne vedrà mai il fondo. Se si vuole vedere il fondo, si deve dare tempo perché le cose decantino, facendo ritornare l’incanto della purezza. Se si dà tempo alla natura, la natura ritorna al suo splendore, basta solo non disturbare. Come non rammentare la lupa di Gubbio e Francesco, o l’albero che in pieno inverno ripara dal freddo Giovanni Gualberto? Il puro è una persona che viene da lontano e viaggia continuamente lontano abitando stabilmente il proprio cuore; il puro di cuore sa leggere ciò che avviene sulla terra attraverso il cielo, nei vuoti interstizi che fremono fra le stelle.

Pulire lo specchio del cuore

Simbolo della purezza è lo specchio. È uno degli attributi dell’imperatore del Giappone: il crisantemo e lo specchio. Lo specchio è l’emblema della giustizia come giustezza: si guarda la realtà senza alterarla, la si legge e la si accoglie senza violentarla. Inoltre, l’uso dello specchio nell’antichità era considerato, anche e soprattutto, come strumento di orientamento prima che come espediente estetico. Per questo sulle navi un grande specchio che rifletteva la volta celeste permetteva di viaggiare al sicuro non perdendo mai la direzione.

Per lo stesso scopo veniva utilizzato anche nel deserto dove non vi sono strade se non quelle tracciate dalle stelle in cielo. Quindi lo specchio, che è simbolo della purezza, rimanda alla necessità di orientarsi per non perdere la strada e, in caso di smarrimento, poterla ritrovare alzando il proprio sguardo verso la volta celeste.

Per questo bisogna che lo specchio si pulisca e diventi trasparente, se deve accogliere non falsata l’immagine di un’altra persona. E sembra essere questo tipo di “pulizia” della propria coscienza, appresa spesso a causa di esperienze amarissime con se stessi, quella che Gesù esalta come “beata”. È il riferimento alla purezza del cielo che ci permette di trovare la strada dove non è tracciata. Anche quando la sabbia nel deserto cambia le piste, la via più certa rimane tracciata nel cielo. Coltivare la purezza di cuore ci permette di non perdere l’orientamento o – se talvolta ci smarriamo – di ritrovarlo prontamente. Pulire lo specchio del cuore per non perdere la direzione giusta e non smarrire la via della vita coincide con tutta la fatica della vita spirituale. Non aggiungere cose, non fare incetta di meriti, di virtù, ma pulire e scrostare senza mai stancarsi. La purezza magnetizza il nostro cuore. Con questo magnete possiamo prendere senza dover fare forza, ma semplicemente attraendo con dolcezza e senza fatica. È inutile zavorrare la propria vita. Nostro compito è, invece, quello di alleggerirla, liberarla, renderla assolutamente sensibile alle cose «dall’alto» (Gv 3,3). Proprio come insegna il Signore Gesù a Nicodemo aiutandolo a non avere paura del desiderio di verità che c’è nel suo cuore fino a rischiare di essere emarginato dalla cerchia dei suoi pari pur di essere fedele a se stesso in verità umile. Si tratta di pulire ogni giorno lo specchio del nostro cuore, in particolare attraverso la preghiera di fuoco di cui parlano i santi Padri. Solo se ci purifichiamo in senso evangelico riusciremo a non falsare l’immagine dell’altro per non sfasare la verità di Dio che si rivela attraverso la concretezza di chi mi sta di fronte o cammina come me e mi sta accanto. Lo specchio del cuore deve essere pulito per non proiettare sull’altro le proprie paure, le proprie frustrazioni. Il rischio sempre incombente è di prestare all’altro cose che non gli appartengono. Così pure non va permesso a nessuno di proiettare a sua volta, alterando così la percezione della nostra realtà interiore. Possiamo recepire il commento un po’ graffiante, ma non meno vero, di Arturo Paoli:

«La beatitudine [i puri di cuore] ha indotto molti discepoli cristiani a credere che Dio si aspettasse dall’uomo un cuore pulito, senza la minima macchia, per essere ammesso alla sua amicizia. I discepoli ebrei che accolgono le parole che escono dalla sua bocca, non hanno la minima idea di cosa devono fare per raggiungere la purezza di cuore. Per loro impure sono le tazze, i piatti, certi cibi e soprattutto il sangue. Per questo la donna è periodicamente impura. I discepoli cristiani hanno interpretato la beatitudine alla maniera greca come la necessità di affrancarsi dal corpo. E non pochi sono finiti nella pazzia o nella crudeltà verso se stessi e verso gli altri. E sono arrivati a costruire un tipo di umanità, una specie di classe sociale definita stato di perfezione. Ora secondo Gesù, nessuno è buono se non Dio, e, quando egli ci stimola ad essere perfetti come il Padre, intende dire che nella carità-amore non c’è mai un punto di arrivo. Si tratta di una perfezione in cammino, sempre raggiunta e sempre lasciata indietro».

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Il puro è un uomo di desiderio

Rimanere puri nonostante tutto e malgrado tutto. Normalmente quando si rimane puri si è molto poveri, si hanno pochissime cose. C’è poco da difendere. Se si è puri, cioè puliti, chiari, c’è veramente poco da difendere? La verità si impone da sola, si offre da se stessa. Il sole, al mattino di ogni giorno, si innamora nuovamente di ogni cosa ridando splendore a tutte le creature. Proprio come l’Altissimo, il sole fa la sua splendida comparsa all’orizzonte dolcissimamente lasciando che ogni creatura cui si ridona nella sua bellezza mattutina faccia la sua: senza costrizione alcuna, se non il godimento dell’amore. Dunque, pulire lo specchio del cuore significa dare spazio al desiderio che ci «inabita». In latino la parola desiderio è legata al cielo: de- siderans. Il puro è un uomo di desiderio. Quando la Scrittura ci dice: «Non desiderare», invita semplicemente a pulire lo specchio del proprio anelito per desiderare secondo Dio, nella libertà e nella gioia.

Il puro è un calmo

Il segno per discernere un cuore puro, purificato, un cuore nitido e rinnovato nel crogiolo della propria adesione al mistero di Cristo e del suo Vangelo, è la calma. Il puro è un calmo: ancora più calmo di quanto lo sia il mite. Per questo si rivela una persona che prende tutto il tempo per dare alla realtà la possibilità di schiarirsi fino a rischiararsi. Il puro non vuole imporre il suo punto di vista, vuole che le cose vengano alla luce fino a manifestarsi nella loro luce naturale e nello splendore proprio di una verità disarmata e disarmante.

Nessuno può pretendere di possedere la verità, può solo attendere pazientemente che venga alla luce. Il puro non va in giro con delle torce accese rischiando di creare degli incendi, se non dolosi almeno dolorosi. Chi ha lavorato alacremente sul proprio cuore aspetta che il giorno torni e ogni cosa ritrovi il suo chiarore naturale.

Perciò il puro è una persona paziente che sa aspettare, che non intorbida, che non è presa dall’ansia. Per questo coltiva la fiducia nell’armonia del cosmo e sa sintonizzare il proprio sentire con le leggi della natura in cui si rispecchiano le leggi della grazia fino a rendersi sensibile a ogni cultura, a ogni storia, a ogni sensibilità. Il puro è capace di calmare il mondo in cui vive come lo specchio d’acqua di un lago che non va intorbidito con il rimestare continuo del bastone della propria inutile e dannosa intromissione.

Capaci di vedere Dio ovunque

La purezza di cuore del cristiano è la purezza del cuore del Cristo. Essa è grazia, dono gratuito. Viene da lontano. È nata dal fianco aperto del crocifisso. Essa trascende tutti i nostri piccoli sforzi, trascende persino i nostri desideri, perché è santa, partecipando alla stessa santità di Dio, e brucia i nostri cuori di uomini. È l’infusione in noi di un fuoco che non tollera il non amore. Essa consuma, brucia e purifica con l’ardore della sua luce: «Il nostro Dio è un fuoco divoratore» (Eb 12,29). Un teologo contemporaneo, Teilhard de Chardin, dice che la purezza è lo sguardo sul reale a partire dal cuore di Dio che ha creato e fa sussistere ogni cosa in tutti i suoi aspetti. Questa purezza del cuore non è questione morale, ma squisitamente mistica. Essere puri di cuore significa avere la capacità di vedere Dio dappertutto, persino nella sessualità. Pertanto, vi è un modo di vivere la sessualità che può essere divino come, altresì, può nascondersi una punta di malizia anche nella più incontaminata castità. Possiamo concludere la nostra meditazione sulla beatitudine che fa dei «puri di cuore»

delle persone capaci di avere visioni, di guardare così dentro alle cose da spingere l’intuizione del cuore lontano senza mai lasciarsi ingabbiare dal pregiudizio e paralizzare dalla paura. Un testo di Agostino può aiutarci a concludere e ad andare avanti:

«Se aspiriamo a questa beatitudine come purificare il nostro occhio interiore? E chi mai non cercherebbe di purificare il suo cuore per vedere Colui che ama con tutto se stesso? Fratelli, è la fede che purifica il cuore, la fede che agisce attraverso l’amore. Cosa fa questa fede? Ci mette in grado di vedere ora attraverso uno specchio – come in un enigma – e, domani, faccia a faccia».

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