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Problemi strutturali relativi al ponte di Messina

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ORDINE DI NAPOLI

IN GEGN ERI Luglio-Agosto 2005

GRANDI OPERE 8

Mi presen to in questo pubblico dibattito organizzato dagli studenti della Facoltà di Ingegnera come un libero cittadino, che per combina- zione è anche ingegnere, ma que- sto è un dettaglio, perché sono una persona che ragiona, che esamina i fatti e li analizza su un piano asso- lutamente indipendente.

A questo tema si son o dedicati moltissimi nostri colleghi universi- tari a partire dal 1980, essendo sta- te nominate almeno tre commissio- n i con sultive i cui membri son o stati cambiati di volta in volta.

Fin almen te potrete sen tire oggi una voce fuori dal coro.

Il tema dell’attraversamento sta- bile dello Stretto di Messina ha ap- passionato moltissimo i tecnici fin dai tempi lontani. Poiché mi piace studiare la storia delle costruzioni, ho cercato e ho trovato qualche spun to in teressan te fin dall’otto- cento, ad esempio studiando la fi- gura di un grande strutturista, Al- fredo Cottrau, dal nome alsaziano, ma nato a Napoli. Egli ha percorso tutte le tappe della carriera di un tecnico militante nel campo delle neonate costruzioni metalliche: da semplice operaio a saldatore, a di- segnatore, poi fu promosso inge- gn ere, progettista e direttore dei lavori, fino a diventare titolare di impresa di costruzion i. Al tempo della proclamazione dell’Unità d’I- talia (1861) fu nominato funziona- rio responsabile delle Ferrovie Ita- liane, strumento allora indispensa- bile per cementare e coagulare tra loro i vari staterelli che costituiva- no la nostra penisola.

Ha p r o g et t a t o e d ir et t o cir ca 3500 ponti ferroviari e numerose stazioni di importanti capoluoghi.

Mi piace leggere alcune considera- zion i su ll’a t t ra versa m en t o dello stretto di Messina da Lui pubblica-

te sul Monitore delle Strade Ferra- t e (To r i n o , 3 m a g g i o 1 8 8 3 ):

“…La prima di queste idee consi- steva nel poggiare le pile metalli- che - relativamente leggierissime ed offrenti poco ostacolo alle cor- renti ed ai marosi – su grossi gal- leggianti in lamiera di acciaio, a forma di pesce piatto (come le tin- che), ossia composte con due ca- lotte sferiche riunite insiem e; i galleggianti erano supposti som- mersi e trattenuti a mezzo di forti ancore, a circa 10 o 12 metri sotto il livello medio del mare: essendo da tutti risaputo che a quelle pro- fondità le più potenti burrasche di- ventano inerti ed insensibili.”

Con questa idea Cottrau può an- che considerarsi in un certo senso precursore del progetto del Ponte di Archimede.

La sua seconda idea è invece più scherzosa: “…La seconda idea poi (sembrerà uno scherzo) era quella di impiantare nel Canale, e su va- stissima scala, la coltivazione delle ostriche, e di attivarla in modo da ottenere, dopo 30, 50 ed anche più an n i, u n a diga at t raverso allo Stretto, dal Continente cioè alla Sicilia, mantenendola però abba- stanza sommersa, da non impedire la navigazione in dati punti.”

Questa rappresenta una soluzio- n e ecologica che farebbe attual- mente piacere al WWF.

Tra le prime proposte spicca an- che quella di Carlo Navone che nel 1870, nella sua tesi di laurea, stu- diò il “Passaggio sottomarino at- traverso allo Stretto di Messina per unire in comunicazione continua il sistema stradale ferroviario sicilia- no alla rete della penisola”, dive- nendo precursore del tunnel sotto la Manica.

Nel 1969 fu bandito un concorso internazionale di idee per il colle-

Problemi struttura li rela tivi a l ponte di M essina

DIFEDERICOM . MAZZOLANI

Ingegnere

Professore ordinario di Tecnica delle Costruzioni Relazione tenuta in occasione del Convegno

“Il Ponte sullo Stretto”, organizzato presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli

“Federico II”

il 28 Ottobre 2004

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ORDINE DI NAPOLI

IN GEGN ERI

gamento stradale e ferroviario stabi- le tra la Sicilia ed il resto della peni- sola, a cui parteciparono numerosi progettisti nazionali ed internazio- nali. Sei furono i progetti premiati, che prevedevano varie soluzioni. In particolare:

Ponte strallato a tre campate di 540-1300-540 m (Lambertini, De Miranda, Leonhardt);

Ponte sospeso a tre campate di 770- 1600-770 m (Gruppo Ponte Messi- na);

Ponte sospeso a quattro campate di 465-1360-1360-465 m (Gruppo Montuosi);

Ponte sospeso a cinque campate di 500-1000-1000-500 m (Technital);

Ponte sospeso a una campata di 3000 m (Musumeci);

Ponte alveo galleggiante (Alan Grant).

L’unico ponte sospeso ad un’unica campata fu quello proposto dall’ing.

Musumeci, famoso per il suo origi- n a le pon te in c.a . a Poten za , ch e prevedeva un sistema di sospensio- ne del tutto particolare non giacente

in u n pia n o m a con u n o sch em a spaziale tale da creare una rigidezza anche fuori dal piano per ridurre la

deformabilità fisiologica di questa tipologia stru ttu ra le. Un ’idea ch e meritava di essere seguita e svilup-

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Figura 1 - La soluzione propost a da Alan Grant per l’at t raversament o dello st ret t o di M essina

Figura 2 - Evoluzione dei grat t acieli nel t empo

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pata, ma così n on è stato. L’idea originale fu quella proposta dall’in- glese Alan Grant: un ponte galleg- giante in profondità strallato al fon- do marino per contrastare la spinta idrostatica, la cui sezione trasversale è costituita da un tubo centrale con- tenente la linea ferroviaria e due tu- bi laterali per i due sensi di marcia stradali (Figura 1). Ciascun tubo è composto da due camice coassiali di acciaio riempite di calcestruzzo, il tutto riempito nella parte superiore di pietrame sciolto a scopo di zavor- ra, per ridurre la spinta verso l’alto.

Il sistema di ancoraggio era previsto con cavi d’acciaio inclinati, disposti a intervalli di 100- 150 m . Questa tipologia, che sta attualmente aven- do importanti sviluppi sotto il nome di “Ponte di Archimede”, ha l’enor- me van taggio di essere in sen sibile alle azioni sismiche ed era indipen- den te da lla lu ce. Non osta n te ciò,

questa soluzione non è stata presa n ella dovuta con siderazion e dalla So ciet à Po n t e d i Messin a . Do p o questa premessa storica, possiamo passare a parlare delle sfide dell’uo- m o co n t r o le fo r ze d ella n a t u r a (vento, sisma, gravità). Noi assistia- mo quotidianamente a questa sfida soprattutto nel campo dei grattacieli ed in quello dei ponti.

La Millen n ium Tower, progettata da Sir Norman Foster (1989), dove- va rappresentare una città in verti- cale ospitante 60.000 persone nella baia di Tokyo. Tale progetto è stato considerato un’utopia e non è stato mai realizzato.

Se noi osserviamo l’evoluzione dei grattacieli a partire da quando si è comin ciato a superare altezze im- portanti (sopra i 200 m) con schemi strutturali an cora n on chiari (un a specie di muratura armata con pro- filati di acciaio incastonati dentro),

si è passati dai 240 metri del Wool- worth Building nel 1913 ai 381 me- tri dell’Empire Sta te Bu ildin g n el 1931. Dopo questo periodo che pos- siamo considerare pionieristico, la crescita è stata piuttosto graduale, quasi lineare nel tempo (Figura 2).

Si passa infatti dai 381 m dell’Empi- re St a t e Bu ildin g a i 417 m delle sfortunate Twin Tower ( 1972), che già dalla nascita hanno goduto l’a- gognato primato per un tempo bre- vissimo, in quanto nel 1974 nasceva la Sears Tower di Chicago raggiun- gendo i 443 m.

Abbiamo dovuto aspettare poco più di 20 anni per arrivare ai 450 m, mentre solo quest’anno hanno supe- rato la fatidica soglia dei 500 m con la Torre 101 di Taipei. Se si conside- r a q u est o p er io d o ev o lu t iv o d a l 1931 al 2004, si n ota che l’in cre- mento in altezza è stato di circa 1,8 m all’anno.

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Tabella 1 - Le carat t erist iche dei pont i sospesi più lunghi del mondo

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Veniamo ora ai ponti. La Tabella I contiene le caratteristiche geometri- che e temporali dei principali ponti del mondo. E’ importante segnalare che, tra tutti questi ponti, soltanto tre sono anche ferroviari: il Minami Bi- san-Seto in Giappone, il “25 Aprile”

di Lisbon a ed il Tsin Ma di Hon g Kong.

Se esa min ia mo l’evolu zion e dei ponti sospesi in un periodo equiva- lente, a partire dal 1931 con il Was- hington Bridge, vediamo che, attra- verso alti e bassi, si arriva ad un an- no fondamentale nella storia dell’e-

voluzione dei ponti (Figura 3). Infatti nel 1998 si è raggiunto contempora- neamente il primato in Europa e nel mondo: in Danimarca con il Great Belt (luce 1624 m; Figura 4) ed in Giappone con l’Akashi Kaikyo (luce 1990 m; Figura 5).

Il pon t e più lu n go d’Eu ropa , il Great Belt, collega due isole dell’arci- pelago danese e fa parte di un siste- ma stradale e ferroviario che unisce la penisola dello Jutland con la capi- tale della Danimarca attraverso un viadotto in cui camminano parallela- mente la strada e la ferrovia.

Chi sa per quale ragione, arrivati nella prima isola, nel punto dove si deve attraversare lo Stretto di Store Bealt, le automobili con tin uan o a passare su l pon te men tre il tren o passa sotto terra attraverso un tun- n el sottomarin o (Figura 6). Siamo an cora in attesa di un a giustifica- zione convincente per questa scelta del tutto irrazionale.

In realtà bisogna seriamente con- siderare le insormontabili difficoltà che un attraversamento ferroviario comporta quando la luce e quindi la deformabilità trasversale del ponte

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Figura 3 - L’evoluzione dei pont i sospesi

Figura 4 - Il Great Belt , il pont e più lungo d’Europa (1624 m)

Figura 5 - L’Akashi Kaikyo, il pont e più lungo del mondo (1990 m)

Figura 6 - Lo sdoppiament o dell’at - t raversament o dello St ore Bealt

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diventa critica. Non a caso il ponte più lungo del mondo, l’Akashi Kaik- yo, era stato progettato per essere anche ferroviario, ma nel 1989, an- n o in cu i a Tokyo si svolgeva il Con gresso Mon diale di In gegn eria Sismica, hanno cancellato la ferro- v ia sen za d a re d elle sp ieg a zio n i esaurienti.

Adesso ci troviamo di fron te ad una grande sfida: l’attraversamento stradale e ferroviario dello Stretto di Messina, con la soluzione ufficiale che risale al 2003, che prevede un ponte sospeso di 3300 m di luce con una snellezza di 1/1320 m (Figura 7). Se collochiamo il progetto del n uovo pon te rispetto allo schema evolutivo dei precedenti ponti stra- da li, rispetta n do la da ta u fficia l-

mente prevista per il completamento (2011- 2012), n otiamo che rispetto all’Akashi Kaikyo bisogna impenna- re la curva evolutiva fino a farla di- ven tare quasi a tan gen te verticale co n a n d a m en t o ip er b o lico (v ed i tratto tratteggiato di Figura 8), non giu stifica to da l presen te svilu ppo della tecnologia. Un’evoluzione nor- male potrebbe corrispondere al pro- seguimento della retta con la stessa pendenza, consentendoci di arrivare a questa luce solo intorno agli anni 2050. E’ comunque doveroso rico- noscere che quello che vi ho appena mostrato è sbagliato, perché stiamo operando sulla curva dei ponti stra- dali. Noi dobbiamo invece far riferi- mento ai ponti ferroviari, che – co- me già osservato – hanno problemi

particolari, legati principalmente al- la necessità di dover conciliare l’e- strema deformabilità trasversale con la rigidità delle rotaie. Basta pensare all’innesto fra la parte fissa e la par- te mobile, che crea una serie di pro- blemi allo stato attuale non ancora risolti.

Vediamo quindi quale è stata l’e- voluzione dei ponti ferroviari (Figu- ra 9). Il “25 Aprile” è stato realizza- to nel 1966, ma la corsia ferroviaria era sem p licem en t e p red isp o st a e non operativa. E’ stato adeguato per traffico ferroviario solo molti anni dopo, grazie agli importanti investi- menti fatti nel 1999 in preparazione dell’Esposizion e In tern a zion a le di Lisbona.

Dai 1013 m del ponte di Lisbona si arriva ai 1100 m con il Minami Bi- san-Seto in Giappone, fino a supe- rare i 1300 m con il pon te Tsin g Ma, che recentemente collega la cit- tà di Hong Kong con il nuovo aero- porto. Si tratta quin di di un tren o leggero di tipo metropolitano. Esiste quindi un salto di circa 2000 m da superare nel giro di sei sette anni.

Un tale salto mi sembra molto più inquietante rispetto a quello di 1000 m per i ponti stradali. Tuttavia i pa- reri non sono concordi: c’è chi dice che questo salto è preoccupante, co- m e a fferm a va st a m a t t in a il prof.

Augenti; c’è al contrario chi sostie- ne che è normale perché la tecnica progredisce e porta esempi in altri settori quali ad esempio quello aero- n autico- aereospaziale e quello dei Luglio-Agosto 2005

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Figura 7- La soluzione “uf f iciale”

Figura 8 - Est rapolazione della curva evolut iva dei pont i st radali

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computer, che effettivamente negli ultimi decenni hanno mostrato pro- gressi impen sa bili. Io riten go co- mun que che tali settori n on sian o paragon abili con quello dell’in ge- gneria civile, dove storicamente la linea di crescita è stata sempre gra- du ale, come trova riscon tro n ella ora citata evoluzione dei grattacieli ed in ogni caso non si è di recente verificata alcuna rivoluzione tecno- logica che giustifichi brusche im- pennate e cambi di tendenza.

A questo punto, per meglio chia- rirsi le idee, è necessario porsi alcu- ne domande.

Perch é il pon t e “25 Aprile” su l fiume Tago a Lisbona fu reso ferro-

viario solo dopo 25 anni la sua rea- lizzazione?

Perché l’Akashi Kaikyo fu inizial- men te progettato per essere ferro- viario, ma durante la sua costruzio- ne la ferrovia fu eliminata?

Perché nel ponte più lungo d’Eu- ropa in corrispondenza dello Store Bea lt la st ra da e la ferrovia n on procedono in parallelo, ma sono se- parate? Sembrerebbe infatti più eco- n omico far con tin uare la ferrovia sul ponte sospeso, anziché indiriz- zarla in un tunnel sottomarino, do- po l’esperien za n on troppo felice d ell’a t t r a v er sa m en t o so t t er r a n eo della Manica.

In passato lungo il percorso evo-

lutivo ci sono stati numerosi inci- denti da cui dobbiamo trarre inse- gn a m en t o. L’esem pio del fa m oso crollo del Tacoma Bridge è emble- m a t ico (1 9 4 0 , L=8 5 3 m ). Qu est o ponte aveva un valore della snellez- za di 1/ 355, con siderato all’epoca proibitivo ed è crollato per una in- tensità del vento molto inferiore ri- spetto a quella di progetto.

Se vediamo il filmato che ha ri- preso il crollo del pon te in tempo rea le, si vede u n ’a u t om obile ch e tenta di uscire dall’ impalcato dis- torto e sembra che – come qualcuno dice – che tale automobile sia stata messa lì apposta per dimostrare gli effetti del fenomeno, ma il poverac- cio ch e vi era den t ro a vrà a vu t o l’impressione di trovarsi sulle mon- tagne russe (Figura 10). La struttura, studiata e progettata a tavolino per un vento superiore a quello agente al momento del disastro, è crollata perché era stato trascurato il feno- meno del flutter allora ignoto. Dopo 10 anni il ponte sul Tacoma venne ricostruito con una nuova soluzione che pesava il 30% in più.

Si è già osservato che la snellezza di un ponte, definita come l’inverso del rapporto fra l’altezza della sezio- ne trasversale dell’impalcato e l’in- tera luce del ponte, rappresenta un aspetto molto critico nella progetta- zione. Al diminuire di questo rap- porto la snellezza del ponte aumen- ta . Il gra fico di Figu ra 11 risu lta molto istruttivo in quanto consente di esaminare l’evoluzione delle cur- ve corrispondenti a tale rapporto al variare del tempo. I diversi colori delle curve si riferiscono a tre aree geografiche distinte: Nord America, Europa e Giappone.

Si pu ò osserva re ch e, a pa rt ire dalla seconda metà dell’800 e fino agli inizi del XX secolo, i valori del- la sn ellezza riman gon o pressoch é costanti (con h/L sempre inferiore a 1/ 100). Successivamen te il brusco decrescere delle curve segn ala un rapido aumento della snellezza, con soluzioni sempre più ardite ed avan- zate, fin o ad arrivare a perdere il con t rollo del processo evolu t ivo, che ha toccato il fondo con il dram- matico crollo del Tacoma. Da allora

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Figura 10 - Il crollo del Tracoma bridge Figura 9 - Est rapolazione della curva evolut iva dei pont i f erroviari

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i progettisti hanno dovuto rivedere le loro posizioni e conseguentemen- te la curva dei rapporti h/L è risalita più alto fino al punto corrisponden- te al secondo ponte Tacoma.

Confrontando le esperienze ame- ricane, europee e giapponesi, si può in generale riscontrare che:

nel Nord America la snellezza del Tra coma bridge (h / L = 1/ 355) h a ra ppresen t a t o u n pu n t o lim it e di non ritorno che non è stato mai più superato, facen do tesoro dell’espe- rienza negativa del passato;

in Giappone non è mai stata supe- rata una snellezza corrispondente a h/L = 1/250 ed è importante ricor- d a r e ch e il p o n t e p iù lu n g o d el m o n d o (Ak a s h i- Ka ik y o ) h a u n a snellezza molto bassa corrisponden- te a h/L pari a circa 1/150;

l’Europa si è sempre dimostrata

più coraggiosa, raggiun gen do n el su o p o n t e p iù lu n g o su llo St o r e Bealt una snellezza corrispondente a d u n r a p p o r t o h / L cir ca p a r i a 1/350.

In qu esto qu adro, come si deve giudicare la snellezza proposta per il pon te sullo stretto di Messin a con un rapporto h/L pari a 1/1320, che addirittura non è rappresentabile nel grafico tanto è completamente fuori misura rispetto a quanto fino ad og- gi realizzato nel campo dei ponti di grande luce? Un miracolo della tec- nica oppure una pura follia.

Come si può non rimanere stupe- fatti confrontando l’altezza dell’im- palcato proposto, che è composto da tre cassoni separati aventi un’altez- za pari a circa 2,60 m, con l’altezza di ben 14 m circa dell’impalcato a schema reticolare dell’Akashi Kaikyo

bridge? Certo bisogn a ricon oscere che la concezione aerodinamica del ponte italiano è molto avanzata ed è an che apprezzabile sotto l’aspetto puramente teorico. Ma quante per- plessità in sorgon o se si pen sa che l’attuale ponte più lungo del mondo, pur avendo una luce pari a meno di 2/3 rispetto allo stretto di Messina, ha un impalcato con un’altezza pari ad un edificio di cinque piani?

Parten do dall’origin e, le luci dei primi ponti metallici in circa un se- colo sono passate dai 33 m del pri- mo ponte in ferro (Coolbrokdale sul fiume Severn in In ghilterra, 1779;

Figu ra 12) a i 521 m del Firt h of Forth bribge in Scozia (1890) (Figu- r e 1 3 ), t r a sfo r m a n d o lo sch em a strutturale ad arco ereditato dalla tradizione fin dal tempo dei romani in schemi nuovi ed innovativi resi Luglio-Agosto 2005

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Figura 11 - Evoluzione nel t empo della snellezza dei pont i

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possibili da lla tra sforma zion e del ferro n el n uovo materiale acciaio (schemi reticolari, sospesi, tipo Ger- ber, …). La scoperta dell’acciaio ed il suo impiego nelle costruzioni così dette civili ha prodotto una rivolu- zione vera e propria, che non a ca- so si accompagna alla storica “rivo- luzione industriale” del XIX secolo.

Se fossimo nati all’inizio di questo secolo, nessuno di noi avrebbe po- tuto immaginare che nel corso della propria vita avrebbe visto del ponti con luci di centinaia di metri. Nes- suno. Eppure si è verificato grazie all’uso dell’acciaio.

Questo salto dimensionale, che ha visto il passaggio dai ponti in mu-

ra tu ra rima si immu ta ti per secoli con luci pari a una decina di metri fino a lunghezze di 100- 200 fino a 500 m, è sta to possibile gra zie a questa epocale rivoluzione tecnolo- gica.

Pensate con quale entusiasmo gli ingegneri di quell’epoca si sono li- berati dalla schiavitù della muratu- ra con i su oi sch em i blocca t i ed han n o fin almen te potuto costruire delle strutture aventi gli schemi sta- tici che si studiano in Scienza delle Costruzioni.

Finalmente una cerniera si poteva realizzare come un a vera cern iera ed un carrello fun zion ava proprio come u n vin colo scorrevole. Con

qu est a rivolu zion e di m a t eria li e tecnologie e facendo tesoro dei non p o ch i in cid en t i d i p erco rso , si è passati da un periodo pionieristico ai giorni nostri, con lo scenario che nel campo dei ponti di grande luce vi ho appena mostrato.

On est a m en t e d ev o d ir e ch e in qu esto momen to u n a rivolu zion e t ecn ologica ch e con sen t a u n a u - mento di luce da 1 a 3 nel giro di pochi anni non è ravvisabile, anche se a pprezzo molt issimo lo st u dio teorico- sperimentale alla base della soluzione di impalcato proposta: il fatto di averlo diviso in tre parti con sen te certamen te un a dimin u- zion e importa n te delle a zion i del ven to. Ma n on basta. Esprimo co- mun que la mia con vin zion e che i m iei illu st r i co lleg h i ch e h a n n o avuto l’incarico di studiare un pro- blema specifico nell’ambito dell’in- tera progettazion e del pon te sullo stretto lo hanno fatto nel migliore dei modi e con grande professiona- lità . Forse qu ello ch e è ven u to a mancare è stata una visione di in- siem e d el p ro b lem a , ch e n o n h a consentito di coglierne i limiti.

Ho iniziato con Cottrau ed essen- do tornati all’ 800 vorrei continuare con Cottrau, per sottolineare in al- cune sue frasi quella saggezza che gli ingegneri di ogni epoca dovreb- bero sempre avere: “Secondo me la vera scienza dell’ingegnere non deve consistere nel progettare opere co- lossali, ma bensì nel raggiungere un dato scopo con la maggiore facilità e con la minore spesa possibile…”.

E poi aggiunge un’altra frase che veramente amo molto, sempre in un articolo sul “Mon itore delle strade ferrate” nel maggio del 1883 dal ti- tolo “Può gettarsi un pon te n ello stretto di Messina?”: “Il volgo va in estasi davanti a un elefante, una balena o una giraffa, mentre il na- turalista ed il filosofo ammirano di più la potenza del Creatore negli animali minuscoli e microscopici ed a mò di esempio trovano perfetta e sorprendente la pulce e la formica che sviluppano, a parità di peso, una forza 40÷50 volte superiore a quella dei più grossi quadrupedi”.

Io credo ch e l’in gegn ere debba

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Figura 12 - Il primo pont e met allico (Coolbrokdale, 1779)

Figura 13 - Il “Firth of Forth” bridge in Scozia (1890)

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guardare avanti, ma non può igno- rare il passato e la saggezza di chi ci ha preceduti.

In occasione di un recente dibat- tito pubblico sul ponte di Messina, in risposta agli argomenti contrari , qualcun o ha detto: “Mi preoccupa la figura di uno scienziato che teme il futuro”. Guarda caso si alludeva al sottoscritto,che purtroppo aveva già lasciato la sala e quindi non ha potuto rispondere in quella sede. Lo faccio adesso dicen do che in n an zi tutto nono sono uno scienziato ma un semplice in gegn ere con i piedi per terra e non solo non temo il fu- turo, ma consapevole dei limiti di- mensionali del ponte sospeso mi sto dedicando da diversi anni allo stu- dio di soluzioni innovative per l’at- t ra versa m en t o di bra cci d’a cqu a , u t ilizza n d o il sist em a d el p o n t e su b a cq u eo (Su b m er g ed Flo a t in g Tunnels), quello che in Italia è stato battezzato come Ponte di Archime- de. Nel 2001 in collaborazione con la Cin a , a b b ia m o p r o g et t a t o u n ponte di circa 4 Km per il collega- mento subacqueo della costa a sud di Shanghai un’isola attraverso lo stretto di Jintang.

In questi giorni abbiamo iniziato un programma di ricerca in colla- borazione con l’Istituto di Meccani- c a d e l l ’Ac c a d e m i a Ci n e s e d e l l e

Scienze di Pechino per la realizza- zione del primo prototipo del Ponte di Archimede n el lago delle mille isole. Il protocollo ufficiale sarà fir- mato il 5 Dicembre 2004 alla pre- sen za del presiden te Ciampi. Son o stato invitato anch’io in quanto ho ricevuto la delega del Rettore a rap- presentare la “Federico II” in questa attività.

Come vedete a n ch ’io qu in di mi occupo di strutture avanzate, ma in man iera un po’ diversa. Un ’ultima informazione per concludere. Saba- to scorso è uscito sul settiman ale Don n a di Repu bblica u n a rt icolo molto interessante che ho scoperto per caso con il titolo: “Ponte dei miracoli – Sarà una grande opera inutile probabilmente dannosa ma resa necessaria dalla potenza di un sogno, anzi di uno spot“, firmato da Franco La Cecia, che è un giornali- sta che ha scritto anche un libro su quest’argomento.

Riporto alcuni brani. All’inizio di- ce: “Il ciak vero (financial thriller) sarà a gennaio, con l’aggiudicazio- ne dell’appalto. Poi si vedrà se il film virerà sulla success story op- p u re su ll’eco- cat ast rof ico, com e continuano a temere le associazioni ambientaliste che promuovono inu- tili m anifestazioni”. Poi con tin ua affermando in buona sostanza che

anche la mia presenza alla recente riunione pubblica della Commissio- ne di Garanzia del Comune di Mes- sina è stato irrilevante perché ora- mai i dadi erano tratti.

Nel seguito illustra tutti gli aspetti caratterizzanti la questione “Ponte”

aven ti carattere econ omico, ecolo- gico, urbanistico, nonché quelli le- gati ai provvedimenti antimafia ne- cessa ri per cerca re di blocca re le a zio n i m a la v it o se g ià in a t t o . E con clude in fin e con questa frase:

“Non importa: si comincerà, perché è nella logica delle cose. Magari si sospenderà e poi si ricomincerà di n u ovo, a sin gh ioz z o, com e n ella tradizione dell’abusivismo del Sud pieno di palazzine lasciate con i ferri a sporgere dai soppalchi e dai solai. Ecco il Ponte sarà un magni- fico Polifemo mai finito. E l’handi- cap di avere un solo occhio lo ren- derà famoso nei secoli”.

Assisteremo con il fiato sospeso ai fatti del prossimo futuro. L’esito dell’aggiudicazion e della Gara in - ternazionale varrà come una prima verifica sul campo che darà un se- gnale forte.

Non voglio passare alla storia co- me la Cassandra di questa operazio- ne e spero fortemente nel mio inti- mo di essermi sbagliato. La risposta sarà ormai prossima.

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IN GEGN ERI

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