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Tribunale Bologna , n ISSN Direttore responsabile: Antonio Zama

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Concorso di persone (fisica e giuridica) nel reato tributario e principio di specialità: una possibile difesa

dell’ente contro la nuova offerta punitiva “3 sanzioni, per 1 reato”?

Cooperation of persons (natural and legal) in the tax offense and principle of specialty: a possible defense for the legal entity against the new punitive offer “3 penalties, for 1

offense”?

03 Febbraio 2022

Vittore d'Acquarone, Giulia Bertaiola

Abstract

Dopo lunga attesa e diffuse sollecitazioni, con d.l. 124/2019 e d.lgs. 75/2020, il legislatore ha dapprima introdotto e poi subito ampliato la responsabilità amministrativa da reato tributario degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001, senza tuttavia operare un coordinamento con il sistema punitivo esistente, storicamente strutturato su un doppio binario sanzionatorio. Scopo del presente contribuito è quello di indagare se, premessa una breve esposizione dei contenuti delle recenti riforme e dell’attuale apparato sanzionatorio, la disciplina esistente già offra principi e istituti utili a porre rimedio all’eccesso punitivo da ultimo raggiunto nei confronti dell’ente, nell’attesa di un auspicato intervento normativo di più ampio respiro diretto a ricondurre a – reale e non solo dichiarata – razionalità il sistema. In particolare, l’attenzione si concentrerà sul principio di specialità, al fine di valutare se quella che rappresenta la soluzione già individuata per la persona fisica, possa diventarlo, pur con i dovuti adattamenti, anche per quella giuridica. D’altronde, anche per questa dovrebbe porsi quell’esigenza, che ha dichiaratamente ispirato il legislatore nel 2000, di evitare di punire due volte per il medesimo fatto lo stesso soggetto, sicché non si intravedono ragioni valide, tali da giustificare una differenza di trattamento, che non violi il principio di uguaglianza costituzionale, per escludere l’operatività nei confronti dell’ente-imputato del principio di specialità e dei sui meccanismi attuativi previsti dagli artt. 19-21 d.lgs. 74/2000.

After a long wait and widespread solicitations, with d.l. 124/2019 and d.lgs. 75/2020, the legislator first introduced, and then immediately expanded, the administrative liability of entities pursuant to d.lgs.

231/2001, without however coordinating it with the existing punitive system, historically structured on a double sanctioning track. The purpose of this contribution, after a brief explanation of the contents of the recent reforms and the current sanctioning system, is to investigate whether the existing discipline already offers principles and institutions useful to mitigate the punitive excess recently reached with regard to the entities, while waiting for a more wide-ranging regulatory intervention aimed at bringing the system back to – real and not just declared – rationality. In particular, the attention will be focused on the principle of specialty, in order to assess whether the solution already identified for the natural person, can apply, with the necessary adaptations, also to the legal one. On the other hand, even for this latter the need should arise, which openly inspired the legislator in 2000, to avoid punishing the same subject twice for the same fact, so there are no valid reasons, that can justify a difference in treatment compatible with the principle

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of constitutional equality, to exclude the validity – for the legal entity under trial – of the principle of specialty and the implementation mechanisms provided for by Articles 19-21 of d.lgs. 74/2000.

Sommario

1. La responsabilità da reato tributario degli enti: quando la riforma è già nella sua stessa attesa 2. L’iter riformatorio: stratificazione di provvedimenti, procedimenti e sanzioni

2.1 Step 1: La direttiva PIF e la legge di delegazione europea 2.2 Step 2: Il c.d., decreto fiscale

2.3 Step 3: Il decreto legislativo attuativo della direttiva PIF

3. L’attuale quadro sanzionatorio: la nuova offerta punitiva “3 sanzioni, per 1 reato”

4. Il lungo e altalenante rapporto tra sistemi sanzionatori, amministrativo e penale, tra cumulo e alternatività della pena

5. “Ratio” del principio di specialità per la persona fisica: “eadem” per la persona giuridica?

5.1 Segue. Criticità

Summary

1. Tax liability of the legal entities: when the reform is already in her own wait 2. The reform process: stratification of measures, proceedings and sanctions 2.1 Step 1: The PIF directive and the European delegation law

2.2 Step 2: The so-called tax decree

2.3 Step 3: The legislative decree implementing the PIF directive

3. The current penalty framework: the new punitive offer “3 penalties, for 1 offense”

4. The long and fluctuating relationship between administrative and criminal sanctioning systems, between cumulation and alternativeness of the sanction

5. “Ratio” of the specialty principle for the natural person: “eadem” for the legal entity?

5.1 Continued. Critical issues

Scritto sottoposto a referaggio esterno con il sistema del doppio cieco secondo le regole della rivista e valutato positivamente

1. La responsabilità da reato tributario degli enti: quando la

riforma è già nella sua stessa attesa

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Con un duplice intervento normativo, il primo sullo spirare del 20191 e il secondo a metà del 20202, il legislatore ha dapprima introdotto e poi subito ampliato la responsabilità amministrativa da reato tributario degli enti ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Benché attesa e sollecitata da tempo da dottrina maggioritaria3, giurisprudenza di legittimità4 e legislatore sovranazionale5, la portata innovativa della riforma in parola risulta essere invero più apparente che reale6, posto che il rischio fiscale – intendendosi per tale quello «di operare in violazione di norme di natura tributaria [aventi talvolta rilevanza penale] ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento»7 – rappresentava, già prima degli interventi in parola, un rischio tutt’altro che sconosciuto, bensì noto, diffuso e pertanto generalmente già presidiato. Come evidenziato in dottrina, «pur non volendo disconoscere la rilevanza della riforma, non può tacersi che i reati tributari avevano già, in qualche misura, fatto ingresso nella vita dell’ente»8.

Le irregolarità fiscali aventi rilievo penale che possono oggi impegnare la responsabilità dell’ente, infatti, erano già sanzionate in sede amministrativa9, dovevano essere oggetto di autonormazione sin dall’impianto originario della “231”10 e ben potevano assumere rilevanza quali fattispecie prodromiche rispetto ad altri reati-presupposto11, quali quelli corruttivi, patrimoniali in danno dello Stato, societari e ostacolanti l’identificazione della provenienza delittuosa di beni e altre utilità trasferite. La giurisprudenza, inoltre, aveva ammesso già da tempo la confisca diretta, e così anche il sequestro preventivo a questa funzionale, del profitto del reato tributario commesso dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica che sia rimasto nella disponibilità di quest’ultima12.

La notevole quantità di elementi che incidono su an e quantum dell’obbligazione tributaria, d’altro canto, rendeva e rende tuttora il rischio fiscale particolarmente diffuso nell’ambito dell’attività di impresa, potendo collocarsi in quasi tutti i processi aziendali che comportino movimentazioni finanziarie ovvero il compimento di operazioni economiche rilevanti ai fini impositivi. Inoltre, se da un lato la complessità della disciplina di settore, attraverso l’imposizione di rigidi formalismi, contribuisce alla prevenzione di condotte fraudolente, dall’altro, i mutamenti frequenti e incisivi nella normazione tributaria e nella sua interpretazione generano incertezza e aumentano il rischio di errori valutativi, astrattamente sanzionabili pur laddove incolpevoli.

Si tratta pertanto, generalmente, di un rischio già presidiato, soprattutto negli enti dotati di un modello di organizzazione e gestione ai sensi del decreto legislativo 231/2001, in ragione della gestione dei flussi finanziari imposta dal legislatore e della presumibile adozione di misure di mitigazione di altri rischi-reato parimenti idonee a prevenire anche quello fiscale. Sicché, sebbene gli interventi normativi in commento rendano necessaria o quanto meno opportuna un’attività di revisione dei modelli13, come evidenziato anche dalla giurisprudenza di legittimità14, non è da escludere che la medesima possa finire con l’esaurirsi in un aggiornamento del risk assessment con eventuale implementazione dei protocolli e delle misure di controllo già adottati, che ben possono risultare idonei, appunto, a presidiare efficacemente pure i rischi- reato di natura tributaria15.

Ora, se può convenirsi sulla razionalità della scelta legislativa16, definita «criminologicamente coerente»

giacché «rispondente alla ratio del “sistema 231”, che ambisce a contrastare la criminalità di impresa in tutte le sue molteplici sfaccettature»17, le perplessità in merito alle recenti riforme attengono alla modalità (meramente additiva) con cui si è dato ingresso agli illeciti penal-tributari nel catalogo dei reati- presupposto e all’apparato sanzionatorio (percettibilmente eccessivo e comunque irrazionale) che ne è di conseguenza derivato, sebbene il rischio di moltiplicazioni sanzionatorie fosse stato da più parti e a più riprese ampiamente evidenziato18.

Avendo il legislatore mancato entrambe le occasioni per operare un coordinamento del sistema punitivo

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tributario, storicamente strutturato su un doppio binario sanzionatorio amministrativo-penale, scopo del presente contribuito è quello di indagare se, premessa una breve esposizione dei contenuti delle recenti riforme e dell’attuale sistema sanzionatorio, la disciplina esistente già offra principi e istituti utili a porre rimedio all’eccesso punitivo raggiunto nei confronti dell’ente, nell’attesa di un auspicato intervento normativo di più ampio respiro diretto a ricondurre a – reale e non solo dichiarata – razionalità il sistema19 . Di medesimo avviso, d’altronde, la stessa Corte di Cassazione, secondo la quale, a fronte del rischio rilevato di potenziale frizione della riforma in commento con il principio del ne bis in idem, «potrebbe rendersi necessario valutare di dare maggiore rilievo ai meccanismi di coordinamento tra l’attuale sistema sanzionatorio amministrativo tributario e la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti anche al fine di evitare un eccesso della risposta sanzionatoria in contrapposizione con l’esigenza di promuovere un apparato di tutela che appaia legittimo e giusto»20.

2. L’iter riformatorio: stratificazione di provvedimenti, procedimenti e sanzioni

I due interventi normativi di cui in premessa sono stati anticipati da una legge delega del 4 ottobre 201921, occasionata dalla necessità di recepimento della c.d., direttiva PIF22, e si sono concretizzati in due diversi atti aventi forza di legge: un decreto legge dell’immediato 26 ottobre 2019, con cui è stata introdotta per la prima volta la responsabilità amministrativa dell’ente per alcuni reati fiscali commessi nel suo interesse o vantaggio (cfr. § 2.2); un decreto legislativo del successivo 14 luglio 2020, con il quale, per quel che qui interessa, sono stati inseriti nel catalogo dei reati-presupposto della “231”, tra l’altro, tre nuovi illeciti tributari (cfr. § 2.3).

Sebbene la direttiva europea abbia ricevuto formale recepimento con il secondo provvedimento, emanato dall’Esecutivo a ciò delegato dal Parlamento, già il decreto emergenziale del dicembre 2019 ha rappresentato la prima risposta domestica alle istanze comunitarie, rispetto alle quali invero, come vedremo, il legislatore nazionale è andato ben oltre. Ciò, peraltro, senza dar conto delle ragioni a giustificazione dell’addizione sanzionatoria rispetto all’apparato già esistente, «al di là delle formule tautologiche, tese a rimarcare l’equazione (errata) tra maggior repressione e migliore tutela degli interessi erariali»23, e senza preoccuparsi di introdurre idonei meccanismi di raccordo della nuova disciplina con quella previgente, al fine di impedire che l’estenuante ricerca di effettività e dissuasività delle sanzioni (attraverso la loro minaccia anziché la loro applicazione) finisse per far loro perdere la proporzionalità e ragionevolezza che pure le devono caratterizzare.

2.1 Step 1: La direttiva PIF e la legge di delegazione europea

La direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, si riproponeva l’obiettivo di «proseguire nel ravvicinamento del diritto penale degli Stati membri completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi in tale settore, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile, evitando al contempo incongruenze sia all’interno di ciascuna di tali branche del diritto che tra di esse» (considerando 3).

Sulla premessa che, «nella misura in cui gli interessi finanziari dell’Unione possono essere lesi o minacciati dalla condotta imputabile a persone giuridiche, queste dovrebbero essere responsabili dei reati commessi in loro nome, quali definiti nella presente direttiva» (considerando 14), il legislatore europeo ha previsto un

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doppio paradigma imputativo degli enti, nella sostanza sovrapponibile a quello di cui al decreto legislativo 231/2001 (art. 6)24, e un pacchetto sanzionatorio comprensivo di sanzioni pecuniarie, non necessariamente di natura penale, ed eventualmente – ma in via solo facoltativa – sanzioni di tipo interdittivo (art. 9)25.

Com’è poi esplicitato, «poiché la presente direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare norme più rigorose per reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione» (considerando 16). Tuttavia, ferma l’esigenza di prevedere sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive» (art. 9), non si è mancato di precisare che «i livelli delle sanzioni non dovrebbero andare oltre quanto è proporzionato ai reati» (considerando 15), che «per gli altri tipi di sanzioni [assimilabili a quelle penali] dovrebbe essere pienamente rispettato il principio del divieto di essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato (ne bis in idem)» (considerando 17), che, ancora, «l’auspicato effetto deterrente dell’applicazione di sanzioni penali impone particolare cautela con riferimento ai diritti fondamentali» tra i quali «la libertà d’impresa, […] i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene e il principio del ne bis in idem» (considerando 28) e, infine, che, per quanto «gli Stati membri poss[a]no, in linea di principio, continuare ad applicare parallelamente misure e sanzioni amministrative nel settore oggetto della presente direttiva […] dovrebbero, tuttavia, garantire che l’irrogazione di sanzioni penali per reati a norma della presente direttiva e di misure e sanzioni amministrative non comporti una violazione della Carta» (considerando 31).

Al fine di dare compiuta attuazione alla direttiva europea, con la Legge di delegazione europea del 201826, il Parlamento ha indicato al Governo principi e criteri direttivi da seguire per la sua attuazione, i quali imponevano, quanto alla posizione degli enti, di «integrare le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 […] prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea» (art. 3, lett. e), in conformità a quanto previsto dagli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della direttiva» (art. 3, lett. a), stabilendo, in relazione ad essi, sanzioni pecuniarie e interdittive che risultassero «effettive, proporzionate e dissuasive»

(art. 3, lett. h).

Sennonché, considerato che, per quanto concerne la materia tributaria, da un lato, la direttiva in parola si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA, considerati tali se caratterizzati da fraudolenza, transnazionalità ed elevati livelli di evasione fiscale27, e, dall’altro, che il provvedimento europeo non imponeva l’applicazione di sanzioni necessariamente penali, ben potendo risultare sufficienti allo scopo quelle tradizionalmente previste dal sistema amministrativo-tributario, già da sole particolarmente afflittive, non si può mancare di osservare come l’organo esecutivo sia andato ben oltre le indicazioni del legislatore sovranazionale e nostrano, introducendo la responsabilità da reato dell’ente pure in relazione a fattispecie delittuose evasive di imposte diverse da quelle sul valore aggiunto, anche interamente domestiche, per importi inferiori alla soglia fissata dalla direttiva europea e non necessariamente caratterizzate da fraudolenza.

2.2 Step 2: Il c.d., decreto fiscale

Con l’art. 39 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante «disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili» (c.d., Decreto fiscale), sono state introdotte prime «modifiche alla disciplina penale in materia tributaria e della responsabilità amministrativa degli enti nella stessa materia», dichiaratamente funzionali «all’introduzione di strumenti volti a rafforzare e a razionalizzare la risposta sanzionatoria che l’ordinamento prefigura in rapporto ai reati tributari»28.

Il provvedimento in parola rappresenta un «caso più unico che raro di decreto legge con previsioni ad

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efficacia differita all’entrata in vigore della successiva ed eventuale legge di conversione»29, in quanto, nonostante il riferimento all’indifferibilità e all’urgenza contenuto nel titolo del decreto, l’entrata in vigore della norma in parola è stata espressamente rinviata alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione, intervenuta il limine il successivo 24 dicembre 2019, con l’ulteriore specificazione che le disposizioni concernenti l’estensione a taluni reati tributari della c.d. confisca allargata si applicano esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione stessa, in deroga alla regola del tempus regit actum cui sono ordinariamente soggette le misure di sicurezza30. Come osservato anche dalla Corte di Cassazione, «è stato emanato, pertanto, un provvedimento “ad urgenza differita”, che potrebbe comportare la necessità di valutare l’effettiva sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza caratterizzanti le materie fatte oggetto di decretazione governativa ai sensi dell’art. 77 Cost.».

Dubbi di incostituzionalità a parte, «la riforma opera, a differenza del passato, in una duplice direzione. Da un lato, continua a rivolgersi alla persona fisica, irrobustendo il trattamento sanzionatorio; dall’altro lato, volge lo sguardo anche nei confronti della persona giuridica, che irrompe, per la prima volta, come attrice principale, nel sistema punitivo tributario»31.

In particolare, una prima area di intervento ha riguardato l’apparato sanzionatorio propriamente penale di cui al decreto legislativo 74/2000, sul quale il legislatore dell’emergenza, in controtendenza rispetto all’ultimo intervento di revisione del sistema sanzionatorio tributario32, ha inciso mediante un complessivo inasprimento delle pene principali33, la riduzione di alcune soglie di punibilità34 e l’estensione di incisive misure e sanzioni di natura patrimoniale35, cui ha fatto da contraltare – ma in misura insufficiente a ricondurre a equilibrio la riforma36 – la sola estensione, intervenuta in sede referente, dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità conseguente all’estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento di primo grado37.

Il secondo ambito di intervento, invece, ha interessato il decreto legislativo 231/2001 e si è concretizzato nell’introduzione del nuovo art. 25-quinquiesdecies, mediante il quale è stato previsto il sistema della responsabilità degli enti da reato tributario e rafforzato, in tal modo, il quadro degli strumenti di intervento patrimoniale a disposizione, per effetto della possibilità, fino ad allora preclusa, di applicare anche nei confronti dell’ente la confisca per equivalente e il sequestro a ciò finalizzato del profitto del reato.

Ad avviso del legislatore38, «con l’introduzione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i più gravi reati tributari commessi nel loro interesse o a vantaggio delle medesime, si inizia a colmare un vuoto di tutela degli interessi erariali che, pur giustificato da ampi settori della dottrina con la necessità di evitare duplicazioni sanzionatorie, non può più ritenersi giustificabile sia alla luce della più recente normativa eurounitaria39 sia in ragione delle distorsioni e delle incertezze che tale lacuna aveva contribuito a generare nella pratica giurisprudenziale»40.

In sede di conversione in legge del decreto, che inizialmente contemplava la responsabilità dell’ente per il solo reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 74/2000), sono stati inseriti anche i reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. 74/2000), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs.

74/2000), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. 74/2000) e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 d.lgs. 74/2000), alla cui commissione, in caso di ritenuta responsabilità dell’ente, consegue l’applicazione di una sanzione pecuniaria fino a 400 o 500 quote a seconda del reato realizzato e dell’importo evaso o sottratto a imposizione, aggravata nel caso di conseguimento da parte dell’ente di un profitto di rilevante gravità, e delle sanzioni interdittive di cui

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all’art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e) decreto legislativo 231/200141.

2.3 Step 3: Il decreto legislativo attuativo della direttiva PIF

Con il decreto legislativo del 4 luglio 2020, n. 75, emanato su delega parlamentare, l’organo esecutivo ha poi inteso completare – se mai ve ne fosse stato bisogno – il processo di attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 già intrapreso con il decreto-legge di cui al precedente paragrafo42, intervento, questo, che tuttavia appare, ancor più del precedente, di dubbia necessità.

Nonostante, infatti, nella relazione illustrativa del progetto di legge vengano espressamente individuati, tra i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, secondo la catalogazione offerta dalla Direttiva, quelli previsti dalle «vigenti norme penali tributarie, con il limite oggettivo rappresentato dall’esclusiva rilevanza delle condotte connotate fraudolenza e incidenti sull’imposta del valore aggiunto»43, il legislatore nazionale – dopo aver già dato ingresso nel catalogo dei reati-presupposto, con il precedente intervento, anche a fattispecie incidenti sull’imposta sui redditi – con il decreto legislativo in parola ha inserito nell’art.

25-quinquiesdecies un nuovo comma 1-bis volto a estendere la responsabilità dell’ente per i delitti, invero privi del carattere della fraudolenza44, di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. 74/2000), omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. 74/2000) e indebita compensazione (art. 10-quater d.lgs. 74/2000), «se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro». In relazione alla commissione di tali reati è stata prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria fino a 300 (nel primo caso) o 400 quote (negli altri due), sempre aggravata in caso di danno di rilevante gravità e con applicazione delle sanzioni interdittive già individuate dalla norma per le altre fattispecie delittuose precedentemente introdotte45.

Il quadro degli interventi in materia penal-tributaria è, infine, completato con la previsione della punibilità, a titolo di tentativo, dei reati dichiarativi commissivi, qualora «gli atti diretti a commettere i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro» (art.

6, comma 2-bis, d.lgs. 74/2000).

3. L’attuale quadro sanzionatorio: la nuova offerta punitiva “3 sanzioni, per 1 reato”

A seguito delle riforme intervenute nell’ultimo biennio, la commissione di illeciti tributari aventi rilevanza penale risulta oggi assoggettata a un triplice statuto sanzionatorio che, per evitare equivoci terminologici, verranno nel prosieguo identificati come “penale”, “amministrativo” e “231”46.

Quanto al sistema penalistico strettamente inteso, la «nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» di cui al decreto legislativo 74/2000, che ha segnato un radicale cambio di passo rispetto al precedente quadro normativo previsto dal decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1982, n. 516, anche nota come legge “manette agli evasori”47, irroga nei confronti dell’autore del reato-persona fisica pene di tipo detentivo secondo un sistema premiale- riscossivo accompagnato da «uno strumentario di incentivi-disincentivi sostanziali e processuali diretti a ripristinare il gettito tributario offeso dalle condotte incriminate, con o contro la volontà dell’imputato»48.

In caso di condanna o sentenza di patteggiamento per uno dei reati tributari previsti dal decreto in parola, infatti, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto, anche per

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equivalente (art. 12-bis d.lgs. 74/2000), e, in taluni casi, a seguito delle riforme in commento, anche la c.d.

confisca allargata o per sproporzione di cui all’art. 240-bis c.p. (art. 12-ter d.lgs. 74/2000).

Sul versante amministrativo c.d. “tradizionale”, invece, la «riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi» di cui al decreto legislativo 471/1997 commina, secondo i principi generali dettati dal decreto legislativo gemello 472/1997, sanzioni formalmente amministrative di natura pecuniaria, tendenzialmente parametrate in percentuale alla misura dell’imposta evasa, nei confronti dell’autore della violazione fiscale ovvero dell’ente al quale questo appartiene. Mentre, infatti, nell’impianto originario della disciplina, sebbene fosse precisato che le violazioni riferite alle persone giuridiche, si intendono riferite alle persone fisiche che ne sono autrici49, la società nell’interesse della quale queste hanno agito era (solo) obbligata in solido al pagamento della sanzione, salvo il diritto di regresso nei confronti delle medesime50, a seguito della riforma del 200351, l’ente è oggi destinatario diretto ed esclusivo della sanzione. Anche in questo caso, peraltro, la sua applicazione è presidiata da misure cautelari non troppo dissimili da quelle proprie del sistema penale, essendo consentiti l’iscrizione di ipoteca e il sequestro conservativo a favore dell’Amministrazione finanziaria sui beni del contribuente, fino a concorrenza del credito fiscale vantato52. «Di qui l’inopportunità – ma, forse, meglio dire l’illegittimità – di un ulteriore carico sanzionatorio connesso al medesimo fatto storico»53.

Quanto, infine, al sistema “231”, la «disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica» per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, ora anche tributario, di cui al decreto legislativo 231/2001, contempla l’applicazione, nel caso di ritenuta responsabilità dell’ente, di sanzioni, anch’esse definite “amministrative” (art. 9), di tipo pecuniario, interdittivo, patrimoniale (confisca) e reputazionale (pubblicazione della sentenza). Come gli altri due sotto-sistemi precedenti, nondimeno, anche il presente è dotato di proprie misure cautelari volte a garantire, nel caso del sequestro preventivo, la futura disponibilità del profitto o del prezzo del reato, oggetto di confisca obbligatoria in caso di condanna, anche per equivalente (artt. 19 e 53); nel caso del sequestro conservativo, a evitare che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato (art. 54).

In definitiva, il risultato uscente dal combinato disposto del nuovo con l’esistente altro non è se non una progressiva stratificazione di sanzioni e cautele, sproporzionate ormai per eccesso rispetto al disvalore dell’illecito, le quali, peraltro, nulla aggiungono in termini di effettività al sistema punitivo tributario, il cui (in)successo continua a essere miopemente affidato alla minaccia della sanzione in astratto più che alla sua applicazione in concreto54. Basti considerare come, in barba ai più elementari principi di sussidiarietà ed extrema ratio del sistema penale, il medesimo fatto illecito possa essere punito molto più gravemente in sede tributaria che penale, secondo un rapporto che può addirittura raggiungere una proporzione di circa 1 a 24 (o, meglio, di 24 a 1)55.

In definitiva, «risulta […] arduo immaginare che sarà un tale scintillio d’armi a determinare l’auspicato calo della criminalità fiscale: per produrre tale effetto, oltre che sul piano etico e di educazione alla percezione del disvalore dell’evasione fiscale (promuovendo, così, una maggior adesione “per scelta personale” al precetto), occorrerebbe intervenire, come già sosteneva un grande studioso del diritto penale parecchi anni fa, sulla fase dell’accertamento (diminuendo l’attesa d’impunità dei piccoli e medi evasori) e, dunque, sulla concreta irrogazione di una pena e non su quella della durezza delle sanzioni»56.

Ma tant’è. Nell’attesa, come auspicato in premessa, di un intervento realmente riformatore della disciplina punitiva tributaria, ad oggi affetta da «“sistematica” irragionevolezza»57, è con l’attuale quadro regolatorio

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che occorre confrontarsi, sicché non resta che indagare se l’ordinamento offra già ora strumenti rimediali dell’eccesso punitivo raggiunto, da ultimo, nei confronti dell’ente, con l’introduzione della responsabilità (anche 231) per le violazioni fiscali.

D’altronde, quello del rapporto-raccordo tra diversi sistemi sanzionatori è un tema tutt’altro che nuovo, anzi già affrontato e variamente risolto, in diversi settori dell’ordinamento, per mezzo di diversi istituti, posti tutti a presidio di una generale proporzionalità della risposta punitiva, tra cui, senza pretesa di esaustività: il principio del ne bis in idem58, che prevede la celebrazione di un unico procedimento, con conseguente preclusione, sul piano processuale, di celebrarne altri; il meccanismo di adeguamento sanzionatorio sperimentato in materia di market abuse59, che contempla la celebrazione di entrambi i procedimenti e l’irrogazione di entrambe le sanzioni, pur coordinate tra loro; il principio di specialità, già adottato proprio in materia tributaria, che consente lo svolgimento di entrambi i procedimenti ma con eseguibilità di una sola sanzione, quella speciale.

Non essendovi in tale sede spazio per esplorare ogni possibile soluzione di coordinamento praticabile, il focus del presente contributo si concentrerà sul principio di specialità che già regola il rapporto tra sistemi sanzionatori amministrativo e penale, anche in materia fiscale, al fine di valutare se quella che rappresenta la soluzione de iure condito individuata per la persona fisica, sino a poco tempo fa unica destinataria di potenziali duplicazioni punitive, possa diventarlo de iure condendo anche per quella giuridica.

4. Il lungo e altalenante rapporto tra sistemi sanzionatori, amministrativo e penale, tra cumulo e alternatività della pena

Quello tra sistema sanzionatorio amministrativo e penale in materia tributaria è un rapporto di lunga data, tradizionalmente oscillante come il pendolo di un orologio, a seconda del contesto sociale e della stagione politica attraversata, tra il cumulo delle sanzioni e la loro alternatività. «Se, infatti, si allarga lo sguardo e si analizza, anche solo cursoriamente, l’evoluzione storica del diritto penale tributario, si avverte l’impressione di essere davvero di fronte a una manifestazione di lunaticità (per non dire schizofrenia) normativa, assai difficile da inquadrare nell’alveo di una razionale politica del diritto»60.

Conviene allora ripercorrere brevemente i passi più significativi dell’evoluzione legislativa sul punto, sino a oggi maturata nel contesto della responsabilità penale della (sola) persona fisica, per valutare se le logiche che l’hanno ispirata possano ora trova applicazione, mutatis mutandis, con riferimento (anche) alla persona giuridica.

Il primo intervento organico in materia61 si registra con la legge 7 gennaio 1929, n. 462, recante «norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie», che regolava il rapporto tra sistemi sanzionatori in termini di alternatività, prevedendo che «le leggi finanziarie stabiliscono quando dalla violazione delle norme in esse contenute e che non costituisca reato, sorga per il trasgressore l’obbligazione al pagamento di una somma, a titolo di pena pecuniaria, a favore dello Stato» (art. 3). Secondo la dottrina,

«il testo normativo risent[iva] fortemente dell’influenza del c.d. “particolarismo tributario”, ovvero di quel fenomeno consistente nell’attribuzione al diritto tributario di una peculiare e marcata autonomia rispetto agli altri settori dell’ordinamento, giustificata da esigenze di tutela dell’erario che legittimerebbero un trattamento differenziato rispetto ai canoni del diritto comune»63.

In tale contesto, alla cui base stava un’identità teleologica tra sanzione pecuniaria e detentiva, le sanzioni amministrative64 rappresentavano il mezzo ordinario di tutela degli interessi erariali, mentre le sanzioni penali avevano un ruolo residuale, coerente con il principio di extrema ratio che informa (o dovrebbe

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informare) il ricorso al diritto criminale, limitato e circoscritto alle sole fattispecie considerate dal legislatore di maggior disvalore sociale. Coerentemente, peraltro, la normativa in parola, nel regolamentare il rapporto tra i due sistemi sul piano procedimentale, stabiliva anche una pregiudiziale tributaria specifica per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti, funzionale, come evidenziato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge dell’epoca, a «riservare agli organi specializzati dell’amministrazione finanziaria l’accertamento della evasione e a consentire l’intervento della giurisdizione penale solamente una volta stabilità l’an e il quantum della evasione d’imposta»65.

Nel frattempo, sempre al fine di evitare sproporzionati cumuli sanzionatori, anche la legge 24 novembre 1981, n. 689 (c.d., legge di depenalizzazione), fissava in via generale il principio di specialità tra sanzioni amministrative e penali66, riconducente anch’esso al medesimo risultato di alternatività delle stesse, in questo caso, genericamente, in favore di quella da considerarsi, tra le due, speciale.

Pur progressivamente rafforzato da diversi interventi legislativi, attuati tutti nel solco di un graduale processo di potenziamento dell’apparato repressivo tributario67, l’impianto normativo disegnato nel 1929 resistiva per circa mezzo secolo, quando – quanto meno a parole – giunse l’epoca delle “manette agli evasori”, slogan che accompagnò mediaticamente con enfasi la nuova riforma del sistema penal-tributario, necessitata dall’aggravarsi del fenomeno dell’evasione fiscale e dal contestuale consolidarsi della consapevolezza circa l’importanza della tutela del gettito fiscale.

Con legge 7 agosto 1982, n. 519, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 10 luglio 1982, n.

429, recante «norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria», infatti, il legislatore intendeva assegnare alla sanzione penale una funzione marcatamente preventiva, spostando il baricentro dal momento dell’evasione a quello dell’accertamento, e anticipare così la tutela penale, incentrandola sull’interesse dello Stato alla trasparenza fiscale, con evidenti profili di problematicità rispetto ai principi di offensività e di sussidiarietà che la dovrebbero ispirare68. Per quanto qui di interesse rispetto ai rapporti tra i diversi sistemi sanzionatori, con l’intervento in parola, il legislatore, da un lato, ha abbandonato definitivamente il principio di alternatività tra sanzioni amministrativa e penale in favore del cumulo delle medesime;

dall’altro, ha eliminato la pregiudiziale amministrativa ed escluso espressamente quella penale, in deroga al principio generale allora vigente69, riconoscendo tuttavia efficacia di giudicato alla sentenza penale nel processo tributario70.

Alla base di tale scelta stava la consapevolezza, da un lato, dell’insufficienza della sola sanzione pecuniaria a contrastare efficacemente il fenomeno dell’evasione fiscale, dall’altro, della sua irrinunciabilità, oltreché per evidenti interessi di cassa, anche perché il contribuente poteva avere più il timore di una pesante sanzione pecuniaria che di una pena detentiva, spesso evitabile beneficiando della sospensione condizionale della medesima: di fatto, quindi, «pene criminali e pene pecuniarie erano due strumenti che operavano in parallelo e contemporaneamente nella prospettiva di rendere più efficacemente deterrente il sistema punitivo»71.

Sennonché, la riforma si rivelava ben presto non solo infruttuosa, bensì proprio fallimentare, sia sul piano della prevenzione, sia su quello della repressione, finendo con l’operare una inutile, e anzi dannosa,

«amministrativizzazione del diritto penale tributario, che perse identità e svolse un ruolo prevalentemente sanzionatorio delle violazioni amministrative»72. Infatti, la configurazione delle nuove fattispecie criminose come reati di pericolo astratto e presunto, di natura prevalentemente contravvenzionale e puniti con pene blande dotate di esigua capacità dissuasiva, aveva prodotto una proliferazione di notizie di reato, che gli uffici giudiziari non furono in grado di gestire, per fatti di reato connotati da una scarsa offensività

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in concreto, in quanto originati da illeciti meramente formali ovvero da fatti economicamente bagatellari già oggetto di sanzioni amministrative, destinati peraltro a essere estinti con l’oblazione se non quando a cadere in prescrizione.

Ne risultò, insomma, un sistema inefficacie, inefficiente e ineffettivo, mediante il quale il legislatore non riuscì a «veicolare presso i consociati il valore della solidarietà fiscale, in quanto, essendo incentrato su fattispecie incriminatrici di scarso contenuto di disvalore, venne percepito come odioso e ingiusto, volto a

“colpire” non i “grandi” evasori” ma i “piccoli” contribuenti»73.

Venne così avvertita l’esigenza di un’inversione di rotta, verso un sistema più razionale e maggiormente informato ai principi di offensività e sussidiarietà propri della tutela penale, che indusse il legislatore a tornare sui propri passi, da un lato, direzionando la risposta punitiva criminale verso fatti caratterizzati da particolare gravità e da un’effettiva lesione degli interessi erariali e, dall’altro, abbandonando il principio del cumulo delle sanzioni in favore, come in origine, della loro alternatività, dovuto non tanto «ad un mutato ruolo della pena pecuniaria, che del resto non aveva visto cambiare la sua disciplina nei suoi tratti più importanti, ma alla necessità storica di modificare una politica repressiva che si era dimostrata inefficace».

Nacque in questo contesto e su queste direttrici la seconda grande riforma del diritto penal-tributario.

Con legge 25 giugno 1999, n. 205, recante «delega al governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario», il Parlamento ha fissato i principi e criteri direttivi ai quali avrebbe dovuto uniformarsi la nuova disciplina (art. 9, comma 2), dando indicazione al legislatore delegato, da un lato, sul piano delle strategie di politica-criminale, di «prevedere un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, […] caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell’erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi di imposta» (lettera a), accompagnati da «soglie di punibilità idonee a limitare l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi» (lettera b), da «sanzioni accessorie adeguate e proporzionate alla gravità delle diverse fattispecie» (lettera d) e da «meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno» (lettera e);

dall’altro, al fine di garantire razionalità all’apparato sanzionatorio nel suo complesso, di «prevedere l’applicazione della sola disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa» (lettera i) e di «coordinare le nuove disposizioni con il sistema sanzionatorio amministrativo, in modo da assicurare risposte punitive coerenti e concretamente dissuasive» (lettera l).

In attuazione della delega ricevuta, è stato emanato il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, contente la

«nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» ancor’oggi vigente, definita da taluni una vera e propria «rivoluzione copernicana»74.

Nel ventennio trascorso dalla sua entrata in vigore, il legislatore è intervenuto quasi ossessivamente sul Testo Unico in parola75, lasciando tuttavia sempre inalterate le disposizioni, contenute nel Titolo IV, che regolano i rapporti tra sanzioni e procedimenti amministrativi e tributari: i primi in base al principio di specialità; i secondi in termini di autonomia e indipendenza, salvo il presidio, volto a scongiurare indebite duplicazioni punitive, dell’ineseguibilità della sanzione amministrativa irrogata nei confronti del contribuente che venga condannato, per quella stessa violazione, in sede penale.

Quanto ai rapporti tra sistemi sanzionatori, come si legge in premessa nella stessa relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo approvata dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000 (d’ora in poi, anche solo “Relazione”), «la novità saliente [della riforma] è rappresentata dalla introduzione del principio di specialità76, che esclude, nel caso di convergenza di norme repressive

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eterogenee sul medesimo fatto, il cumulo – sancito, di contro, nell’odierno regime [ante 2000] – tra misure punitive dell’uno e dell’altro genus», coerentemente con il principio affermato dall’art. 15 c.p., in ambito penale e a quanto già previsto in via generale, per le sanzioni amministrative non tributarie, dall’art. 9 legge 689/1981. Ai sensi del nuovo art. 19, comma 1, infatti, «quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale», tendenzialmente individuata in quella penale77 «in considerazione degli elementi specifici in essa richiesti, quali il dolo specifico, il superamento delle soglie di punibilità e le particolari modalità commissive»78. Deroga, tuttavia, a tale regola il comma successivo della norma il quale, al fine di garantire l’efficacia deterrente del sistema79, prevede che, quand’anche il principio di specialità porti a escludere la punibilità in sede tributaria per effetto della condanna in sede penale, «permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 47280 [ossia dell’ente nell’interesse del quale ha agito l’autore della violazione], che non siano persone fisiche concorrenti nel reato».

Quanto ai rapporti tra procedimento penale e processo tributario, come evidenziato dal legislatore delegato nel paragrafo 5.2 della Relazione, il tema ha assunto «una rilevanza tutta particolare nella cornice del nuovo sistema, a fronte del generale spostamento “a valle” della linea di intervento punitivo e dell’introduzione di soglie di punibilità ragguagliate all’ammontare dell’imposta evasa, con conseguente devoluzione al giudice penale di compiti di verifica spesso integralmente sovrapponibili a quelli del giudice tributario». Al riguardo, scartata qualsiasi soluzione che postulasse un condizionamento tra procedimenti nell’uno o nell’altro senso81, la scelta normativa è stata quella di adozione del regime, al contrario, del c.d., doppio binario82, in virtù del quale «il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione» (art. 20)83. Ciò nondimeno, dovendo evitare, in ossequio al principio di specialità fissato dalla disposizione precedente, duplicazioni sanzionatorie per un medesimo fatto nei confronti del medesimo soggetto84, è stato espressamente previsto che «l’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato» (art. 21, comma 1), ma che «tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto» (art. 21, comma 2) 85.

Quella appena esposta rappresenta la disciplina tuttora vigente, sopravvissuta indenne, come visto, a tutti gli interventi riformatori dell’ultimo ventennio. Essendo stata formulata in epoca addirittura antecedente all’introduzione della responsabilità amministrativa da reato dell’ente, si tratta ora di capire se le ragioni che ne hanno ispirato l’introduzione per la persona fisica, consentano di ampliarne l’applicazione, mutatis mutandis, anche alla persona giuridica, mediante una interpretazione estensiva ovvero un’applicazione analogica della norma, comunque costituzionalmente orientate.

5. “Ratio” del principio di specialità per la persona fisica: “eadem

” per la persona giuridica?

La soluzione individuata nel decreto legislativo 74/2000 – applicazione della sola sanzione speciale, salva la responsabilità amministrativa del contribuente-persona giuridica che non sia persona fisica concorrente

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nel reato – era parsa al legislatore della riforma, «in sé, rispondente ad una logica “di sistema”. Questa consiste, in effetti, nell’evitare che il medesimo fatto venga punito due volte in capo al medesimo soggetto (una volta come illecito amministrativo e l’altra come illecito penale), mantenendo, tuttavia, la punizione divaricata rispetto a soggetti diversi (ad esempio: amministratore, da un lato, e società amministrata, dall’altra)», come peraltro già contemplato in altre ipotesi normative86.

Sennonché, rispetto a questo assetto, che permetteva in fondo una ragionevole ripartizione delle responsabilità e delle relative sanzioni (detentive in capo alla persona fisica; pecuniarie nei confronti di quella giuridica), l’introduzione della responsabilità da reato tributario dell’ente ex D.lgs. 231/2001 finisce inevitabilmente per alterarne gli equilibri e conduce, anzi, a una «inaccettabile triplicazione delle sanzioni, essendo la persona fisica (rappresentante) soggetta alla sanzione penale ex D.Lgs. n. 74/2000, e l’ente soggetto alle sanzioni amministrative generali ex D.Lgs. n. 471/1997, e alle sanzioni amministrative (rectius , penali) ex D.Lgs. n. 231. Con un effetto abnorme, perché non solo si avrebbe, per uno stesso fatto, il concorso di sanzioni detentive e pecuniarie, sia pure a carico di soggetti diversi, ma addirittura si avrebbe l’applicazione doppia di sanzioni pecuniarie a carico dello stesso soggetto»87.

Ora, se fino a ieri, proprio in ragione di quella diversità soggettiva che rendeva fin improprio parlare di un fenomeno di duplicazione sanzionatoria, tale concorrenza di responsabilità risultava accettabile e sostenibile, tale non appare più oggi che, a seguito delle recenti riforme esaminate in premessa, i due sistemi sanzionatori (amministrativo e 231), peraltro entrambi di natura solo formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale88, vengono entrambi a convergere nei confronti della societas.

D’altronde, anche per l’ente, così come per la persona fisica, vale ugualmente quella logica “di sistema”

consistente nell’esigenza di «evitare che il medesimo fatto venga punito due volte in capo al medesimo soggetto» che, come visto sopra, ha ispirato il legislatore della riforma, sicché non si intravedono ragioni valide, tali da giustificare una differenza di trattamento rispettoso del principio di uguaglianza costituzionale, per escludere nei suoi confronti l’operatività del principio di specialità e dei sui meccanismi attuativi previsti dagli artt. 19-21 d.lgs. 74/2000, finalizzati proprio a scongiurare inaccettabili duplicazioni sanzionatorie, senza che debba assumere rilevanza alcuna la natura fisica o giuridica del soggetto che ne è destinatario.

È vero che l’art. 19, comma 2, del decreto prevede una deroga al suddetto principio proprio nei confronti dell’ente rappresentato dall’autore della violazione, ma trattasi di regola applicabile ad altra ipotesi, diversa da quella ora considerata, e formulata in un’epoca storica in cui l’ordinamento nemmeno contemplava una responsabilità da reato della persona giuridica. Infatti, come condivisibilmente affermato in dottrina,

«questa disposizione opera in relazione al caso di riparto di responsabilità tra soggetti diversi, penale a carico del reo persona fisica/rappresentante, amministrativa nei confronti del soggetto rappresentato. Non è questa la casistica qui in esame, in cui la doppia responsabilità (amministrativa generale e amministrativa/penale) sarebbe a carico dello stesso soggetto. Senza tener conto del fatto che sarebbe probabilmente arbitrario estendere una regola dettata in precedenza, ed in relazione alla particolare tematica della ripartizione di responsabilità tra agente/persona fisica ed ente/contribuente, rispetto ad una disciplina sopravvenuta che insiste unicamente sulla responsabilità dell’ente»89.

Al contrario, proprio l’inciso pure contenuto nella norma, che fa comunque salvo il principio di specialità per le «persone fisiche concorrenti nel reato» al fine di scongiurare duplicazioni sanzionatorie nei confronti del reo-contribuente (solitamente, l’imprenditore individuale), pare offrire argomenti favorevoli all’estensione della sua operatività, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata giacché scevra di irragionevoli disparità di trattamento, anche nei confronti dell’ente sotto processo, al quale d’altronde «si

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applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili» (art. 35 d.lgs. 231/2001).

Sebbene trattasi di orientamento minoritario, infatti, non è mancato chi, tanto in dottrina90 quanto in giurisprudenza91, abbia ricondotto la responsabilità dell’ente alla figura del concorso di persone, fermo restando che, pure seguendo la diversa tesi secondo cui il fatto illecito rimproverato all’ente ha un contenuto non perfettamente sovrapponibile bensì aggiuntivo (il deficit organizzativo) rispetto al reato commesso dalla persona fisica, si rinviene quella comunanza fattuale alla base delle rispettive responsabilità, pur diversamente declinate dal punto di vista soggettivo, che pare giustificare l’estensione anche all’ente del principio di specialità già previsto attualmente per l’individuo.

Invero, come sostenuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione92, «la responsabilità della persona giuridica è aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune. Il criterio d’imputazione del fatto all’ente è la commissione del reato “a vantaggio” o

“nell’interesse" del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti. V’è, quindi, una convergenza di responsabilità, nel senso che il fatto della persona fisica, cui è riconnessa la responsabilità anche della persona giuridica, deve essere considerato “fatto” di entrambe, per entrambe antigiuridico e colpevole, con l’effetto che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica s’inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale. Pur se la responsabilità dell’ente ha una sua autonomia, tanto che sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (D.Lgs. n. 231, art. 8), è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore, da parte di un soggetto fisico qualificato».

Tali considerazioni sono valse ai giudici di legittimità anche per affermare che, «di fronte ad un illecito plurisoggettivo, deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato», il quale, «va ricordato per incidens, legittima che, in caso di concorso di persone nel reato, possa aggredirsi il patrimonio di uno o dell’altro dei concorrenti anche per l’intero; ovvero che, nel caso di concorso fra la responsabilità individuale dell’autore e quella dell’ente ex d.lgs. 231/2001, consente che la misura patrimoniale ablativa possa incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso. Nel primo come nel secondo caso, con l’unico limite per cui il vincolo non può essere il valore complessivo del suddetto profitto»93.

Ora, se è vero, come è vero, trattandosi di orientamento ormai consolidato, che il sequestro prima e la confisca poi può interessare indifferentemente i beni dell’imputato persona fisica o giuridica, anche per l’intera entità del profitto accertato, «con l’unico limite che il vincolo cautelare d’indisponibilità non deve essere esorbitante, nel senso che non deve eccedere, nel complesso, il valore del profitto, e non deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l’unicità del profitto»94, significa che il fatto dal quale il profitto scaturisce è sostanzialmente il medesimo, a prescindere dalla categoria teorica entro la quale si voglia inquadrare la compartecipazione all’illecito di persona fisica e giuridica.

Sicché, in definitiva, sembra possibile individuare, per i fini che qui interessano, una forma di concorso della seconda nel reato tributario della prima tale da escludere, nei confronti dell’ente-imputato, l’operatività della deroga al principio di specialità di cui all’art. 19, comma 2, decreto legislativo 74/2000, con conseguente ineseguibilità della sanzione amministrativa, eventualmente irrogata in sede tributaria, in caso di condanna in sede penale ai sensi del decreto legislativo 231/200195.

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5.1 Segue. Criticità

La soluzione appena prospettata, che avrebbe il merito di ricondurre a razionalità il sistema recuperando quella divaricazione sanzionatoria nei confronti di diversi soggetti, ciascuno destinatario di una sola sanzione, e restringendo l’area di operatività delle sanzioni amministrative “tradizionali” alle sole violazioni che non costituiscono illeciti penali, evidenzia, tuttavia, anche in ragione del suo adattamento solo ex post a un’ipotesi non contemplata ex ante al momento della sua formulazione, alcune criticità che non si può mancare di evidenziare, oltreché per onestà intellettuale, affinché possano essere tenute in debito conto nell’auspicato momento di revisione normativo dell’intero apparato sanzionatorio.

Una prima criticità attiene all’entità dei rispettivi trattamenti sanzionatori.

Invero, il legislatore ha introdotto la responsabilità da reato tributario degli enti al dichiarato fine di rafforzare la risposta punitiva dell’ordinamento contro il fenomeno dell’evasione fiscale. Tuttavia, le sanzioni 231, che dovrebbero prevalere su quelle amministrative in virtù della specialità della disposizione

“penale” (che con quella tradizionale condivide la violazione fiscale, a cui assomma, quale elemento specializzante, la colpa in organizzazione), sono caratterizzate da un grado di afflittività anche sensibilmente inferiore96.

Sennonché, considerati i principi di sussidiarietà e di extrema ratio che dovrebbero ispirare l’intervento della pena criminale, la quale dovrebbe andare a colpire le fattispecie illecite caratterizzate da un maggiore disvalore e allarme sociale rispetto alle quali altre soluzioni normative non valgono a raggiungere lo scopo, rappresenta una devianza di sistema la circostanza che le sanzioni amministrative finiscano per risultare così tanto più gravose di quelle penali. E si tratta, invero, di criticità facilmente risolvibile, nella misura in cui queste ultime fossero effettivamente destinate a essere sostitutive delle prime, mediante un innalzamento del numero di quote irrogabili ai sensi del decreto legislativo 231/2001 in relazione alla commissione dei reati tributari.

Altra criticità, questa volta più apparente che reale, attiene all’eventualità che l’applicazione della sanzione 231 possa essere evitata laddove l’ente dimostri di avere adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi idonei a prevenire il reato tributario poi effettivamente verificatosi, senza che vi sia stata omessa vigilanza ed essendosi invece verificata un’elusione fraudolenta dei medesimi.

Al riguardo, trattandosi di soluzione sì favorevole per la persona giuridica, ma che presuppone comunque la rilevanza penale del fatto, nella sua dimensione oggettiva, la criticità potrebbe essere facilmente risolta mediante il meccanismo previsto dall’art. 21, comma 2, decreto legislativo 74/2000, a mente del quale le sanzioni amministrative «non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’art.

19, comma 2 [tra i quali dovrebbe rientrare a pieno titolo l’ente-imputato ex 231], salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto», ricomprendente le formule assolutorie perché il fatto “non costituisce reato” o “non è previsto dalla legge come reato”97.

Anche se, invero, essendo esclusa una colpa organizzativa dell’ente causalmente rilevante rispetto alla commissione della violazione fiscale, la sua persistente punizione in sede tributaria finirebbe col configurare una responsabilità meramente oggettiva che «non solo si allontana da qualsiasi principio etico, ma si dimostra anche antistorica, come dimostrato [proprio] anche dalla recente introduzione della disciplina della responsabilità amministrativa delle società, ispirata al principio nulla poena sine culpa, in rispetto al modello generale delle sanzioni amministrative adottate dal nostro ordinamento, previsto dalla l.

23 novembre 1981, n. 689»98, il cui art. 3 fissa il principio di colpevolezza che pure dovrebbe informare,

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nel minimo, il sistema sanzionatorio amministrativo99.

Ulteriore criticità attiene, infine, alla rilevanza che il pagamento del debito tributario, comprensivo di sanzioni amministrative e relativi interessi, assume nel sistema penal-tributario umano in termini di esclusione della punibilità ovvero di attenuazione del trattamento sanzionatorio secondo un meccanismo premiale basato su una logica progressiva, propria anche degli strumenti deflativi del contenzioso tributario, tale per cui l’effetto premiante si riduce in funzione della velocità dell’adempimento sanato. Ai sensi degli artt. 13100 e 13-bis101 decreto legislativo 74/2000, infatti, se intervenuto prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, comporta l’estinzione di taluni reati ovvero una diminuzione speciale della pena in caso di condanna per altri, sicché è evidente l’interesse, comune all’Erario, che la persona fisica vanta alla celere estinzione dei debiti tributari da parte dell’ente-contribuente, interesse che verrebbe vanificato se la sanzione amministrativa irrogata rimanesse ineseguibile, secondo il meccanismo di cui all’art. 21 del medesimo decreto, nell’attesa della definizione del procedimento 231 nei suoi confronti.

A ben vedere, come correttamente osservato in dottrina, l’ipotesi di attenuazione della pena conseguente al pagamento dei debiti tributari, quando reo e contribuente coincidono, rappresenta «una possibile deroga al principio di specialità, che si può in specie spiegare con evidenti intenti deflativi dei conteziosi (amministrativi e penali), e giustificare nell’effetto premiale che ne deriva per l’imputato»102. La criticità appena segnalata potrebbe, allora, essere in questo caso superata mediante l’estensione in via interpretativa ovvero l’applicazione in via analogica della disciplina prevista dai citati artt. 13 e 13-bis per la persona fisica anche a quella giuridica, la quale pure avrebbe così un interesse, anche personale, all’estinzione dei debiti tributari e dunque al pagamento delle sanzioni amministrative al fine di ottenere, a seconda dei casi, l’esclusione della propria punibilità in sede penale ovvero un’attenuazione della pena pecuniaria irrogabile, con conseguente mitigazione dell’effetto cumulativo delle sanzioni.

Trattasi di soluzione, quella dell’estensione della premialità connessa alle condotte riparatorie anche all’ente 103, affatto ragionevole e coerente rispetto alle logiche del sistema e agli interessi perseguiti (la riscossione dell’imposta evasa, prima ancora che la punizione del colpevole), tanto più se si considera il ruolo protagonista dell’ente, dal quale dipende «la loro esecuzione, specie quando comportano un impegno di spesa, una deliberazione degli organi societari o di una funzione dirigenziale. La persona fisica, autrice dell’infrazione, non vanta, il più delle volte, alcun potere in tale senso. In definitiva, l’illecito viene partorito dall’ente e l’ente stesso provvede alla rimozione delle sue cause. L’impossibilità, sancita dalla legge, di coinvolgere l’ente in tali vicende estintive appare, pertanto, ingiustificata»104.

1 Il riferimento è al decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, recante «disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili» (c.d., Decreto fiscale).

2 Il riferimento è al decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75, recante «attuazione della direttiva (UE) 2017/137, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale».

3 AMATO G., Perché introdurre la responsabilità dell’ente da reato tributario, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2018, 4, 109 ss., in il cui intervento è dichiaratamente «diretto a

‘patrocinare’ l’introduzione della responsabilità amministrativa dell’ente da reato tributario» sebbene, precisa l’Autore, «non in un’ottica persecutoria dell’ente, ma con la precipua finalità di ricondurre a ragione il complesso apparato sanzionatorio che caratterizza l’accertata commissione di un reato tributario nell’interesse di un ente da parte di un soggetto che ne è il responsabile legale. Ipotesi che è quella

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statisticamente più frequente». In senso favorevole alla soluzione in parola cfr., tra gli altri, IELO P., Reati tributari e responsabilità degli enti, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2007, 3, 7 ss.; PERINI A., Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2006, 2, 79 ss.;

ALDROVANDI P., Profili evolutivi dell’illecito tributario, Padova, 2010, 230 ss.; ALAGNA R., I reati tributari ed il regime della responsabilità da reato degli enti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, 1-2, 397 ss.; MAZZA O., Il Caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, in Diritto penale contemporaneo, 25 gennaio 2013; MAZZA O., La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit), in Diritto penale contemporaneo, 23 gennaio 2012; DELLA RAGIONE L., Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse, in Diritto penale contemporaneo, 4 febbraio 2011; DELLA RAGIONE L., La Suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante, in Diritto penale contemporaneo, 29 settembre 2011.

4 Nella nota sentenza Gubert (Cassazione penale, Sezioni Unite, 30 gennaio 2014, n. 10561), i giudici di legittimità si sono detti «consapevoli che la situazione normativa delineata presenta evidenti profili di irrazionalità, oltre che per gli aspetti già segnalati nell’ordinanza di rimessione, anche perché il mancato inserimento dei reati tributari fra quelli previsti dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rischia di vanificare le esigenze di tutela delle entrate tributarie, a difesa delle quali è stato introdotto la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143. Infatti è possibile, attraverso l’intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all’ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato. Dovendosi anche sottolineare come la stessa logica che ha mosso il legislatore nell’introdurre la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti finisca per risultare non poco compromessa proprio dalla mancata previsione dei reati tributari tra i reati-presupposto nel d.lgs. n. 231 del 2001, considerato che, nel caso degli enti, il rappresentante che ponga in essere la condotta materiale riconducibile a quei reati non può che aver operato proprio nell’interesse ed a vantaggio dell’ente medesimo. Tale irrazionalità non è peraltro suscettibile di essere rimossa sollevando una questione di legittimità costituzionale, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’art. 25 Cost., comma 2, deve ritenersi ostativo all’adozione di una pronuncia additiva che comporti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore. (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189). Le Sezioni Unite non possono quindi che segnalare tali irrazionalità ed auspicare un intervento del legislatore, volto ad inserire i reati tributari fra quelli per i quali è configurabile la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231».

5 Secondo il considerando 14 della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, «nella misura in cui gli interessi finanziari dell’Unione possono essere lesi o minacciati dalla condotta imputabile a persone giuridiche, queste dovrebbero essere responsabili dei reati commessi in loro nome, quali definiti nella presente direttiva».

6 Secondo BARTOLI R., Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sistema penale, 2020, 3, 223, «prima del riforma del 2019 l’ente già rispondeva per i

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reati tributari, nel senso che era fatto responsabile, non in termini punitivi, ma sulla base di altre prospettive che potremmo definire nella sostanza compensativo-riscossive».

7 La definizione è tratta dall’art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 128, recante «disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23», che ha introdotto nel nostro ordinamento il regime dell’adempimento collaborativo (c.d., cooperative compliance).

8 In questi termini, condivisibili, PIERGALLINI F., La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell’ente, in Sistema penale, 4 giugno 2020, 3.

9 L’attuale sistema sanzionatorio amministrativo è disciplinato dai coevi decreti legislativi del 18 dicembre 1997, n. 471, recante «riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione del tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662» e n. 472, recante «disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n.

662».

10 Ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. 231/2001, «i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: […] c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati».

11 In questo senso, VENEZIANI P., Problemi attuali in tema di responsabilità dell’ente da reato tributario , in Cass. pen., 2020, 9, 3086 ss. e BARTOLI R., op. cit. Evidenzia ulteriori intersezioni tra la materia penal-tributaria e la responsabilità da reato dell’ente in epoca anteriore alle riforme oggetto di analisi del presente contributo, INGRASSIA A.-CAVALLINI S., Brevi riflessioni sulla relazione tra il d.lgs.

231/2001 e i reati tributari: poenae non sunt multiplicanda sine necessitate, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2016, 3, 109 ss.

12 Cfr. Sentenza Gubert (v. nota 4). Per un approfondimento in merito, cfr., tra gli altri, AMATO G., op. cit ., e UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO, SERVIZIO PENALE, DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Relazione su novità normative. La legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del decreto legge 26 ottobre, n. 124, “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”:

Profili penalistici, 9 gennaio 2020, n. 3, 26, liberamente consultabile sul sito istituzionale al seguente link:

https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel0320.pdf.

13 In questo senso, cfr. PIERGALLINI F., op. cit., 5, che offre un catalogo esemplificativo di attività sensibili e di presidi cautelari ipotizzabili in relazione alle fattispecie illecite introdotto con il c.d. Decreto fiscale (artt. 2, 3, 8, 10, 11 d.lgs. 74/2000).

14 Secondo UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO, SERVIZIO PENALE, DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, op. cit., 25, «a seguito della riforma in esame, le persone giuridiche che adottano un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 devono aggiornarne i contenuti, al fine di implementare efficaci sistemi di gestione del rischio fiscale ed evitare la relativa sanzione».

15 Secondo BARTOLI R., op. cit., «nel sistema 231 v’erano alcuni reati che, basandosi su reati presupposti o comunque finalistici, potevano dare rilevanza indiretta ai reati fiscali. […] Di estremo rilievo la circostanza che tutto questo aveva conseguenze nella configurazione dei modelli di organizzazione e gestione, in quanto si veniva a porre un rischio reato tributario connesso al reato per cui l’ente poteva essere punito, che induceva l’ente a predisporre modelli volti ad ostacolare la commissione dello stesso reato tributario al fine di ostacolare la realizzazione del reato per il quale l’ente poteva essere punito».

16 Giudica complessivamente sensata l’estensione della responsabilità amministrativa degli enti al settore

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