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Scuola Superiore della Magistratura

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Scuola Superiore della Magistratura Scandicci, 24 marzo 2015

Organizzazione e gestione del ruolo monocratico e criteri di priorità:

“manuale di sopravvivenza” per i grandi e i piccoli Tribunali

Appunti di Alessandra Salvadori

Così come prima di partire è indispensabile conoscere la direzione verso la quale ci si muove, prima di agire risulta necessario individuare l’obiettivo cui si tende.

Restando all'interno della metafora proposta nel titolo dell’intervento, vorrei quindi consegnarvi innanzitutto una bussola da portare con voi in viaggio e, quindi, cercare di completare il manuale con le ultime indicazioni pratiche.

Prima di ogni altra cosa, la bussola.

Preliminare alla ricerca e proposta di soluzioni che possano recuperare o garantire efficienza al dibattimento penale, è l’individuazione dello scopo dell'attività giudiziaria penale.

Negli ultimi anni vi è stato un crescente interesse per il tema dell'efficienza e dell'organizzazione dell'attività giudiziaria e, conseguentemente, si è assistito ad un sempre maggiore ricorso a strumenti e a concetti importati dalla scienza aziendalistica e dalla statistica.

La scarsa dimestichezza di noi giuristi con questo armamentario ha purtroppo ingenerato anche non pochi effetti perversi.

Opportuno, iniziare con il fare chiarezza sui concetti, spesso abusati, di efficacia ed efficienza.

Per efficacia si intende la capacità di raggiungere un determinato obiettivo, mentre per efficienza si intende la capacità di raggiungerlo con il minimo possibile dispendio di risorse.

Evidente, quindi, che l'efficacia non coincida con il mero aumento di produttività e rapidità e che, per definire in termini di efficacia o efficienza un'attività occorra prima avere chiaro lo scopo della stessa.

Indispensabile, dunque, porre una chiara premessa.

Il processo penale mira all’irrogazione di una pena, previo accertamento di un reato; raggiunge il suo scopo, e quindi può definirsi utile, soltanto quando sia corretto, cioè compiuto nel rispetto delle norme (processuali e sostanziali), e si concluda con una sentenza definitiva intervenuta prima del maturare dei termini di prescrizione.

Questa affermazione, in sé banale, diviene significativa nel momento in cui si riflette sulle sue conseguenze.

Se l'obiettivo è giungere ad sentenza definitiva (corretta e in un tempo ragionevole), ne consegue che per valutare la efficacia (ed efficienza) del nostro lavoro dobbiamo alzare lo sguardo e passare dal particolare – valutazione focalizzata sul singolo magistrato o, al più su un singolo ufficio o fase – ad una visione d’insieme del processo penale.

La reale efficacia di un ufficio penale, infatti, può misurarsi solo in un’ottica complessivache valuti il risultato finale, e, dunque, che consideri i risultati di ciascuna fase ed ufficio in rapporto con le fasi e gli uffici successivi.

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In altri termini, un ufficio giudicante penale di primo grado (quale quello a cui voi siete destinati) potrà definirsi adeguatamente funzionale, solo se concluda tutti o quasi i processi in tempi ragionevoli, tali da lasciare un adeguato tempo per l’espletamento dei gradi superiori.

Da tale affermazione discende come sia del tutto insoddisfacente che prima del maturarsi del termine di prescrizione si concluda una o alcune delle fasi di cui si compone il processo penale.

A ben guardare, tutto il lavoro compiuto senza che si giunga ad una decisione definitiva è - salve rarissime eccezioni - non soltanto inutile o inefficace, ma è addirittura dannoso.

Produce numeri, ma finisce con il peggiorare l’efficacia complessiva del sistema.

A fronte di un simile presupposto, confrontiamoci – anzi scontriamoci – con la situazione dei nostri uffici.

Il dato di realtà è quasi sempre radicalmente diverso dal modello ideale: è acquisizione comune che oggiil problema del processo penale é rappresentato dall’eccessiva durata dei processi e, particolarmente, della fase dibattimentale.

Non credo ci sia bisogno di soffermarsi sulla situazione di generale inefficienza in cui versa il dibattimento penale e, ancor più, il rito monocratico. Gli effetti devastanti del carico e della eccessiva durata dei processi si colgono, infatti, con scottante evidenza nei processi per reati minori, ove, con ruoli sovraccarichi, i più brevi termini di prescrizione maturano nella maggior parte dei casi prima della decisione definitiva.

Nel corso di un paio di incontri sull’organizzazione, ho ascoltato vari colleghi riferire di ruoli monocratici penali anche superiori alle 1000 cause, per una larga parte delle quali non viene neppure completata l’istruttoria di primo grado perché tra un rinvio e l’altro interviene la prescrizione, mentre per buona parte dei restanti fascicoli la prescrizione interviene nel corso del giudizio d’Appello o mentre sono in un armadio in attesa di essere inviati in appello.

Da qui la surreale immagine di un giudice che lavora tanto strenuamente, quanto inutilmente.

La circostanza della scarsissima efficacia della giustizia penale monocratica è sconvolgente anche perché la giustizia penale “minore” è spesso tale solo come sanzioni, ma non come incidenza e rilevanza (con rito monocratico si celebrano in Italia circa il 90% del totale dei processi penali).

Dal confronto realizzato in occasione di alcuni incontri centrali, è emerso con evidenza che i pochi Tribunali (limito il discorso di oggi al primo grado per ovvie ragioni) adeguatamente funzionali, ossia in cui il dibattimento si conclude in tempi tali da lasciare sufficiente margine ai gradi successivi per consentire la pronuncia della sentenza definitiva prima del maturare dei termini di prescrizione, sono quelli in cui la Procura svolge un’opera di selezione e mantiene buoni livelli qualitativi o, quantomeno, quando, anche per contingenti ragioni (es. notevoli scoperture), non riversa un enorme numero di processi sul dibattimento.

In altri termini, il dibattimento penale riesce ad essere efficiente quando vi è un controllo dei flussi in entrata.

Da tutto ciò, una prima riflessione: occorre guardare al processo penale come un unico ciclo di produzione e non come ad una sequenza di fasi autonome.

Ed un ciclo di produzione deve essere interamente controllato.

E’ dunque indispensabile un adeguato collegamento tra Procura, Gip e Tribunale.

In particolare, bisogna prendere atto che la Procura è la benzina del processo.

Troppa benzina ingolfa il motore. Preferibile, pertanto, meno benzina, ma di miglior qualità.

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In assenza di una figura istituzionale deputata a sovraintendere i flussi degli affari ed a fronte della crescente richiesta di un efficace intervento giudiziario, è auspicabile l’effettivo coordinamento tra i vari dirigenti locali.

Ad un valido dirigente dovrebbe richiedersi la capacità di rapportarsi proficuamente con gli altri capi degli uffici, di tenere conto della disponibilità concreta di tutte le risorse a disposizione e di assumersi la responsabilità delle scelte organizzative di base.

Sicuramente insufficiente, invece, l’atteggiamento, per nulla infrequente, di limitarsi a preoccuparsi dell’aumento della mera produttività statistica del proprio ufficio.

Quest’ultima situazione appare comparabile – con gli opportuni adattamenti – ad una azienda in cui i diversi reparti procedano, senza alcuna strategia unitaria, ciascuno in modo totalmente autonomo.

Un esempio chiarificatore può essere quello di una pasticceria industriale in cui operino settori distinti incaricati: uno dell'acquisto delle materie prime; un altro della preparazione della crema al cioccolato e nocciola; un altro ancora dell'acquisto dei barattoli; un ulteriore dell'inserimento della crema nelle confezioni. Sarebbe impensabile pensare che il reparto “preparazione crema”

produca - consumando materie prime - senza accertarsi che gli altri settori abbiano un numero proporzionato di contenitori ove inscatolare la crema e/o altre modalità per conservarla prima che si rovini o scada e senza neppure preoccuparsi del sapore della crema...

Una simile azienda pasticcera sarebbe destinata certamente al fallimento.

Una tale condotta non è, purtroppo, molto difforme da quella di alcune Procure che si limitano ad inondare i Tribunali di processi spesso non adeguatamente istruiti.

Così chiarito l’obiettivo, con sguardo di insieme indirizzato verso la meta finale, si può cercare di sviluppare qualche ulteriore riflessione generale.

La mera quantità non può di per sé essere considerata un valore positivo.

La produttività è realmente tale solo se mantiene una qualità adeguata, ovvero almeno sufficiente a consentire un corretto, spedito ed utile (per quanto possibile in funzione della complessità e del numero delle questioni coinvolte) svolgimento della fase in corso e delle fasi successive.

D’altra parte, neppure la qualità può essere intesa come astratta adesione ad un modello di perfezione stilistica e giuridica dei provvedimenti giudiziari, perché deve anch’essa tener conto anche di altre esigenze intrinseche al processo, tra cui l’adesione al principio della durata ragionevole (e dunque, una adeguata quantità), nonché il rispetto delle parti e dei soggetti coinvolti a vario titolo.

Stabiliti i punti di riferimento, possiamo passare a completare il manuale di sopravvivenza e ricercare strategie che - a parità di risorse (giudici, cancellieri ed impegno lavorativo) e di condizioni normative – possano rendere almeno parzialmenteefficace il nostro lavoro.

Le strategie utilizzabili dal singolo Giudice.

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Gestire il ruolo e non farsi gestire dal ruolo: il lavoro in sequenza ed il lavoro in parallelo.

Utile innanzitutto, considerare la possibilità di modificare completamente l’organizzazione del ruolo passando da una trattazione “in parallelo” di tutti i processi ad una trattazione “in sequenza”.

La prima è la prassi normalmente utilizzata in quasi tutti i tribunali. In pratica, ogni fascicolo viene rinviato alla prima data libera e così a seguire fino a quando si completa un primo giro, dopodiché il circolo riprende e tutti i fascicoli che non si sono nel frattempo esauriti vengono di nuovo fissati uno di seguito all’altro e così via trattandoli tutti all’incirca contemporaneamente.

Il sistema sembra equo: metto tutti in fila senza fare scelte o favoritismi e anche inevitabile: cosa devo fare se non ho altre udienze? Inizio ad istruire quello che arriva e poi continuo quando avrò di nuovo uno spazio libero…

Esiste un’alternativa.

Invece, di procedere in parallelo per tutti i fascicoli e fissare per la prosecuzione udienze di rinvio molto distanti tra loro, si può suddividere l’intero ruolo in gruppi di fascicoli, decidere di iniziare l’istruttoria solamente per un primo insieme di processi e passare alla trattazione del successivo insieme soltanto quando i primi siano conclusi e così di seguito per tutti gli ulteriori gruppi.

So che questa proposta si scontra contro abitudini consolidate tramandate negli uffici.

Per questo penso di dover illustrare nel dettaglio le ragioni ed i vantaggi di questo metodo.

A sostegno del lavoro in sequenza possono essere portati moltissimi argomenti.

Il primo si trae dal buon senso e dall’esperienza.

L’arretrato, o meglio il rilevante numero di processi pendenti, di provvedimenti da scrivere, di carte e fascicoli sul ruolo, sulla scrivania e nell’armadio ingenera altro arretrato.

La ragione è intuitiva: se troppe sono le cose da fare, sulla stessa questione si deve tornare più volte, a distanza di notevole tempo, si spreca energia per studiare nuovamente ciò che si era già studiato - ed in parte dimenticato - in precedenza, talvolta si effettua uno studio molto sommario tenendo conto che la decisione arriverà a distanza di anni; vi è poi la confusione che ingenera scarsa concentrazione e altro spreco di efficienza.

Le conclusioni summenzionate, favorevoli all’abbandono del metodo di lavoro in parallelo, trovano un ulteriore conforto nelle tecniche insegnate nella formazione aziendale.

Non è questa la sede per svolgere un corso di time management, però sembra proficuo riportare alcuni singoli passaggi particolarmente pertinenti.

Legge di Carlson: svolgere un’attività in maniera continuativa prende meno tempo che svolgerla in più volte.

E’ dimostrato che ogni interruzione porta via non soltanto il tempo strettamente necessario, ma anche molto altro tempo necessario a recuperare la concentrazione.

Riprendere un compito più volte implica un maggior spreco di tempo rispetto ad iniziare ed esaurire lo stesso incombente; se le distinte sessioni di lavoro sono a notevole distanza tra loro lo spreco aumenta in modo esponenziale.

Ogni volta che un lavoro non viene portato a compimento “a caldo” si spreca del tempo.

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Viene, dunque, affermata la validità del lavoro in sequenza, che riduce i tempi di definizione del singolo fascicolo e, conseguentemente, gli intervalli tra le varie udienze di trattazione.

D’altra parte, il metodo del lavoro in sequenza, cui consegue la concentrazione delle udienze di trattazione di un singolo processo, agevola notevolmente il Giudice, laddove consente di effettuare uno studio approfondito delle singole udienze e di mantenere il patrimonio conoscitivo acquisito senza necessità di ripetere per più volte il medesimo studio a distanza di mesi od anni. Il che porta a migliorare sensibilmente, oltre alla produttività, anche la qualità del lavoro.

Si tratta di un modo di lavorare che funziona non soltanto per l’istruzione delle cause, ma – in generale – per qualsiasi attività giudiziaria: meglio non tornare troppe volte ad aprire un fascicolo, scrivere la motivazione in tempi rapidi …

Incidentalmente, segnalo che un ulteriore rilevantissimo risparmio di tempo si ottiene quando le motivazioni vengono redatte a brevissima distanza dalle rispettive decisioni. Il percorso argomentativo è ben chiaro, il ricordo degli atti è ancora fresco.

A distanza di tempo ci si trova, in pratica, a ricominciare da capo, duplicando il lavoro indispensabile per ottenere il medesimo risultato. In questo caso - che dovrebbe essere tendenzialmente evitato grazie ad una adeguata programmazione - utile avere almeno predisposto una traccia schematica dell’iter argomentativo e precisi appunti sul calcolo delle pene.

Ulteriori vantaggi si ottengono se la formazione dei gruppi si effettua per materie omogenee.

In tal modo non solo in una singola udienza, ma in un certo periodo di alcuni mesi verranno trattati solo processi della stessa o delle stesse materie. In tal modo sarà massimo il rendimento: lo studio su un caso sarà utile per molti altri trattati quasi contestualmente. Una sorta di specializzazione a tempo…

Per tornare all’attività giudiziaria, pertinente citare, poi, una interessantissima ricerca di qualche anno fa relativa allesezioni lavoro dei Tribunali di Milano e Torino, secondo la quale, a parità di casi sopravvenuti, la durata totale media dei processi (dall’iscrizione alla conclusione con sentenza, conciliazione o altra forma) è notevolmente inferiore per i magistrati che lavorano su pochi casi contemporaneamente, cercando di chiuderli rapidamente prima di aprirne di nuovi tra quelli in coda nel loro ruolo.

Ossia, è minore per i magistrati che lavorano ispirandosi al suggerimento implicito nel detto latino “Age quodagis”.

Viceversa, i magistrati che lavorano in parallelo su molti casi, li esauriscono più lentamente.

In altri termini, chi tiene “poche pentole contemporaneamente sul fuoco” riesce a

“cucinare più pasti per unità di tempo”; chi vuole far fare “un giro di walzer” ad ogni processo impiega un tempo medio decisamente superiore per definire ciascuna causa.

Secondo la ricerca che ho appena citato, l’ordine di grandezza dell’effetto del parallelismo sulla durata dei processi non è trascurabile. Sostengono gli autori che, in base a stime plausibili, se il giudice dimezzasse il numero di processi di cui inizia ad occuparsi in ogni trimestre, indipendentemente da quanti ne riceve di nuovi, e mantenesse costante il suo impegno e il numero di udienze necessarie a chiudere i casi, la durata dei suoi processi si ridurrebbe di oltre 3 mesi (rispetto ad una media nel campione di circa 9 mesi). Per ottenere lo stesso effetto lavorando con maggiore impegno, a parità di parallelismo, lo stesso giudice dovrebbe riuscire ad effettuare circa 90 udienze in più al trimestre (rispetto ad una media nel campione di circa 390 udienze).

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Al di là delle critiche che sono state mosse agli autori circa modalità di acquisizione e confronto dei dati, resta l’importanza dell’intuizione di fondo particolarmente valida per il settore penale (dove, al contrario del civile, il processo ha una sua scadenza).

Sempre con riferimento al processo penale, va infatti dato atto che tale diversa organizzazione del ruolo ha, quantomeno, il pregio di non poco conto di esporre al rischio prescrizione non tutti i processi, ma soltanto quelli appartenenti ai gruppi che vengono trattati per ultimi.

Merita di essere menzionato un ulteriore risvolto positivo del metodo proposto.

In caso di mutamento del giudice penale vi è la necessità di iniziare da capo l’istruttoria, a meno di non ottenere il consenso delle parti all’acquisizione degli atti già assunti senza rinnovo.

Facilmente immaginabili le conseguenze disastrose di un trasferimento di un giudice che stia istruendo contemporaneamente diverse centinaia di processi:

un’applicazione per tutti i processi in corso, implicherebbe un ritardo anche di anni nel trasferimento; lo spostamento senza applicazione costringerebbe, invece, al rinnovo degli atti istruttori già compiuti per tutti i numerosissimi fascicoli con un enorme dispendio di energia, un ulteriore allungamento dei tempi di definizione ed un aumento dell’arretrato.

Completamente diversa la situazione nel caso in cui il giudice stia procedendo con il metodo in sequenza: qualunque sia la consistenza del suo ruolo, egli avrà in corso l’istruttoria per un limitato numero di fascicoli; questo, oltre a rendere facilmente prospettabile l’ipotesi di una applicazione per qualche mese, comporterebbe – nel peggiore dei casi – di dover riprendere da principio l’attività soltanto per quei pochi processi.

Le ricadute favorevoli in termini di facilità di gestione dei trasferimenti e di risparmio di energie e, dunque, di efficienza, appaiono evidenti.

Ancora, il procedere per gruppi può rendere estremamente più semplice ottenere la collaborazione delle difese all’acquisizione degli atti.

Del tutto normale e comprensibile che il difensore non presti il proprio consenso allorché un atteggiamento di totale chiusura garantisca un aumento della durata del singolo processo di anni; altrettanto verosimile che ogni richiesta ed opposizione meramente dilatoria vengano abbandonate laddove il “guadagno” in termini di durata del processo si riduca a qualche mese.

Si tratta di una constatazione che è agevole riscontrare anche nella medesima sede giudiziaria, ove lo stesso avvocato modifica la propria strategia in funzione della sezione o addirittura del singolo giudice.

Tale constatazione ulteriormente conforta la valutazione positiva del metodo in sequenza: riducendo drasticamente la durata dell’istruttoria per ogni processo (a prescindere dalla durata complessiva del primo grado) non vengono premiate le tecniche dilatorie e si incentiva, dunque, una leale e proficua collaborazione di tutti gli attori del processo penale.

Il metodo di lavoro in sequenza consente di abbattere significativamente il tempo medio di definizione dei procedimenti.

Inoltre, e questa considerazione dovrebbe eliminare ogni remora dovuta al “senso di colpa” di ritardare alcuni procedimenti, non rende più lungo nessun processo.

Sembra una magia poco credibile, mentre vi è unaragione strettamente matematica, che può agevolmente essere compresa avvalendosi di un semplice caso esemplificativo.

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Consideriamo un giudice a cui vengano assegnati due casi A e B richiedenti ciascuno 10 giorni per essere conclusi. Se il giudice lavora in parallelo, ossia nei giorni dispari sul caso A e nei giorni pari sul caso B, impiegherà 19 giorni per esaurire il caso trattato nei giorni dispari e 20 per quello trattato nei giorni pari.

La durata totale media dei due casi sarà quindi di 19.5 giorni ossia (20+19)/2.

Supponiamo, invece, che il giudice lavori in modo sequenziale, ossia prima sul solo caso A e poi sul caso B ma soltanto dopo aver esaurito il primo. In questo modo, la durata del caso A (dall’iscrizione a ruolo all’esaurimento) sarà di 10 giorni mentre per il caso B sarà di 20 giorni.

E’ facile calcolare che la durata totale media dei due processi sarà di 15 giorni, ossia (20+10)/2.

Lavorando sequenzialmente, il giudice impiega per esaurire il caso B lo stesso tempo che impiegherebbe lavorando in parallelo. Ma, con il sistema sequenziale, il caso viene “parcheggiato” in attesa nei primi 10 giorni e trattato solo nei successivi 10. Per il caso A, invece, il giudice, lavorando sequenzialmente, impiega la metà del tempo che sarebbe stato necessario lavorando in parallelo.

esempio

Lavoro in parallelo Lavoro in sequenza durata Caso A : 19 durata Caso A : 10 durata Caso B : 20 durata Caso B : 20 durata media A e B: 19.5 durata media A e B : 15

Quindi, adottando il metodo sequenziale:

• la durata totale media di tutti i processi è inferiore, (15 contro 19,5)

• la durata di tutti i processi ad eccezione di quelli dell’ultimo gruppo è inferiore (caso A 10 contro 19).

• nessun processo dura più che lavorando in parallelo, (caso B 20 giorni)

L’esempio dimostra che se un giudice vuole ridurre la durata totale media a parità di impegno per unità di tempo, potrebbe ottenere questo risultato lavorando in modo sequenziale invece che parallelo.

Così facendo nessun suo processo durerebbe di più ma tutti, tranne uno, durerebbero di meno.

E’ peraltro evidente che lo stesso effetto si produrrà anche laddove si proceda – come è naturale che sia nel processo penale – non trattando un processo alla volta, ma procedendo per gruppi di cause.

Inoltre, la riduzione dei tempi medi sarà tanto più evidente quanto maggiore sarà il numero dei processi sul ruolo.

A questo punto ho dato fondo a tutte le mie capacità argomentative per convincervi della validità del metodo.

A questo punto resta da comprendere come fare in concreto perlavorare in sequenza.

L’organizzazione del lavoro con tale metodo impone, in primo luogo, di definire dei criteri di priorità tra i procedimenti per formare i gruppi di fascicoli da trattare in sequenza.

Si tratta di scelte e di strategie che è auspicabile vengano adottate in modo generale dai capi degli uffici (meglio se previo coordinamento), tanto più che i criteri a cui fare astrattamente riferimento possono essere molto vari ed anche diversamente combinabili tra loro (si potrebbe decidere di trattare i fascicoli tenendo conto della presenza di detenuti, di quanto normativamente stabilito, dell’ordine di pervenimento; della prossimità o meno della prescrizione, della gravità dei reati, della rapidità di definizione e di molto altro).

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Segnalo che anche nella circolare del CSM sulle tabelle è previsto che “In ogni caso i presidenti di sezione debbono provvedere a una selezione preliminare degli affari, in ragione della data di iscrizione a ruolo, dell'importanza delle questioni proposte e in funzione di una definizione anticipata del procedimento, anche ai fini di quanto previsto dal par. 62.5.” (“62.5 – I dirigenti degli uffici devono sorvegliare circa il rispetto dell'orario e promuovere moduli orari razionali, anche frazionati, per la trattazione dei singoli processi. Vigilano altresì sulla predisposizione, nel settore civile di un calendario del processo, e nel settore penale, di un piano di smaltimento degli affari, redatti sulla base della selezione preliminare delegata ai presidenti di sezione e in attuazione dei criteri indicati nel DOG.)

Tuttavia, laddove la dirigenza non programmi i flussi e, comunque, per i fascicoli che sono pendenti, non può ritenersi precluso a ciascun giudice di organizzare al meglio il suo ruolo, in modo da sfruttare al massimo il proprio tempo lavorativo.

Al contrario, a fronte delle obiezioni di coloro che non vogliono assumersi la responsabilità di “postergare” alcuni fascicoli rispetto ad altri, pare opportuno ricordare che il metodo proposto trova un serio appiglio normativo nel nuovo disposto dell’art. 132 bis attuazioni:

Formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi.

1. Nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi è assicurata la priorità assoluta:

a) ai processi relativi ai delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice e ai delitti di criminalità organizzata, anche terroristica;

b) ai processi relativi ai delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale, ai delitti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché ai delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni;

c) ai processi a carico di imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede;

d) ai processi nei quali l’imputato è stato sottoposto ad arresto o a fermo di indiziato di delitto, ovvero a misura cautelare personale, anche revocata o la cui efficacia sia cessata;

e) ai processi nei quali è contestata la recidiva, ai sensi dell’articolo 99, quarto comma, del codice penale;

f) ai processi da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato.

2. I dirigenti degli uffici giudicanti adottano i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria.

A prescindere dalla non esaustività della disposizione appena citata, nella quale non è possibile trovare la soluzione ad ogni problema relativo alla formazione dei vari gruppi, quanto mi preme qui sottolineare è che la prescrizione non è tra i criteri richiamati dalla disposizione per la formazione del ruolo.

Anche grazie a tale nuova disposizione, il giudice può, dunque, liberarsi dal vecchio incubo di dover trattare immediatamente quanto è in odore di prossima prescrizione e modificare il proprio metodo di organizzazione del lavoro per renderlo più efficace.

In proposito, segnalo quale stratagemma operativo quello disegnare sulla copertina del fascicolo la data di prescrizione.

Si tratta di una indicazione utilissima per riuscire a programmare. Infatti, se la prescrizione è molto lontana questo può consentire di porre il fascicolo in un

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gruppo intermedio.Se invece la prescrizione è vicina, occorre comprendere se è talmente imminente da non dare speranza di arrivare alla sentenza definitiva, e allora tanto vale postergare quel fascicolo, evitare una lunga ed inutile istruttoria e trattare altri processi che hanno una ragionevole aspettativa di sopravvivenza e trattarlo solo per pronunciare un NDP; ovvero se ha possibilità di non maturare ed allora bisogna trattare velocemente quel processo.

L’importante è non occupare del tempo per svolgere un’istruttoria relativi a fascicoli che non “sopravviveranno” …

Evidenzio altresì che, al di là della disposizione citata, che parla di priorità assoluta per un largo numero di processi, una trattazione realmente prioritariava sempre garantita ai processi con imputatidetenuti e, appena dopo, con imputati sottoposti a misura cautelare.

Nel caso di imputati sottoposti a misura cautelare, alcuni semplici accorgimenti possono rivelarsi utili:

2) Indicare in ogni provvedimento “detenuto dal …”; questo agevola ogni successivo giudice ed evita defatiganti ricerche negli atti del verbale di arresto o di esecuzione misura;

3) appuntare sulla copertina del fascicolo la scadenza del termine di fase della misura;

4) ricordarsi di verificare se sia stata disposta la traduzione degli imputati detenuti - anche di quelli agli AD - e ricordarsi di ordinarla sempre a fine udienza;

5) prestare particolare attenzione alla rinuncia, ove espressa in termini ambigui, che possano indicare la volontà di non essere presente ad una singola udienza;

6) ricordarsi della possibilità di disporre su richiesta del PM la sospensione dei termini di fase ai sensi del 304 c.p.p. e di disporre la sospensione dei termini di fase durante il tempo di redazione della sentenza;

I punti 4 e 5 valgono anche per gli imputati detenuti per altra causa.

Definiti i criteri di priorità, ci si trova di fronte al problema pratico di come creare i gruppisequenziali di fascicoli da trattare.

Utile, innanzitutto, poter disporre di un calendario che copra un ampio arco di tempo, effettuare previsioni sulla probabile durata media dei vari fascicoli e stabilire periodi distinti per rinviare quelli appartenenti a ciascun gruppo.

I fascicoli ritenuti prioritari verranno rinviati alle prime udienze utili possibilmente già fissando anche una o più udienze in prosecuzione (quelle necessarie ad arrivare alla sentenza di primo grado) nello stesso breve iniziale periodo di tempo;

stessi provvedimenti verranno presi per i fascicoli del 2° gruppo, i cui rinvii verranno stabiliti a partire dalla fine del primo periodo dedicato all’istruttoria dei precedenti e così di seguito.

Alla fine del primo “giro”, tutti i fascicoli dovrebbero trovarsi sistemati per gruppi e potrebbe così avviarsi lo smaltimento a scaglioni.

Elemento di ulteriore complessità deriva dalla sopravvenienza nel frattempo di nuovi fascicoli.

Per questi, due sono le alternative estreme tra cui scegliere:

quella di lasciare degli spazi vuoti nei vari gruppi di udienze destinate alla trattazione dei nuovi fascicoli;

quella di stabilire che la prima udienza od un primo rinvio di ogni singolo processo possa essere fissato anche molto avanti nel tempo, ma che, una volta iniziata l’istruttoria, il processo debba - secondo un calendario che si stabilisce fin dal principio - essere portato tendenzialmente a compimento nell’arco di pochi mesi.

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Tra le opposte soluzioni, appare preferibile quella intermedia di lasciare degli spazi vuoti indispensabili a non posticipare troppo alcuni dei fascicoli più recenti ritenuti prioritari (tra cui quelli con detenuti), mandandone in coda una parte.

Si tratta di un’attività di programmazione piuttosto complessa, ma molto proficua.

Altra attività che rientra nella pianificazione è quella - talmente scontata da sconfinare nel banale - diarrivare sempre in udienza ben preparati.

Segnalo che, sebbene ovvia, questa affermazione è l’applicazione alla materia di nostra competenza, di quella che, nei corsi di time management, viene insegnata come la regola d’oro della gestione del tempo di Stephen Covey.

L’affermazione si accompagna ad unospecchietto nel quale sono indicate in 4 quadranti tutte le attività

URGENTI IMPORTANTI

1 CRISI

NON URGENTI IMPORTANTI 2

PIANIFICAZION E urgenti

non importanti

3

INTERRUZIONI

non urgenti non importanti

4

PERDITE di tempo

L’assunto è che si lavora tanto meglio quante più attività si riesce a spostare nella casella 2 (e quanto più si riesce a non dedicarsi alle attività delle caselle 3 e 4).

In sintesi, l’obiettivo è cercare di svolgere il maggior numero di attività in modo programmato e non, invece, in una situazione di crisi (la crisi è caratterizzata dal sentirsi sotto pressione; la fretta toglie energia, riduce la qualità, aumenta il rischio di errore e spesso è motivo di interruzione di altre attività).

Le crisi, ovviamente, non sono evitabili, però possono essere ridotte al minimo attraverso una esatta pianificazione.

La pianificazione, per quanto ci riguarda, consiste, innanzitutto, nell’acquisire tutte le possibili informazioni utili in anticipo e, dunque, nello studiare i fascicoli che si porteranno in udienza.

Il tempo dedicato alla pianificazione non è sprecato, ma al contrario, rende molto di più di tante ore di lavoro confuso. Uno dei modi peggiori per utilizzare il tempo è cercare di fare troppe cose insieme.

Inoltre, la concentrazione delle udienze, conseguente al metodo di lavoro in sequenza, risulta perfettamente coerente con la possibilità di effettuare un attento studio dei fascicoli prima di ogni udienza.

L’udienza filtro e la calendarizzazione del giudizio

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A proposito di inconvenienti più o meno inaspettati e più o meno evitabili, mi sembra opportuno ribadire che il giudice ‘modello’ è un soggetto responsabile, che pianifica e si fa carico anche delle esigenze delle parti e, soprattutto, dei testi.

Nella valutazione della qualità del lavoro del magistrato, un certo rilievo dovrebbero averlo anche le concrete modalità di rapportarsi con gli altri soggetti coinvolti nel processo.

Mi riferisco, in primo luogo, alla necessità di programmarsi in modo da non trovarsi in condizione di dover “mandare a casa” e poi richiamare i testimoni citati.

Il primo degli accorgimenti utilizzabili a tal fine, è la c.d. udienza filtro o di smistamento. Si tratta di una creazione della prassi nata proprio per far fronte ad elementari esigenze organizzative.

Tale udienza è deputata ad affrontare ogni questione che precede l’istruttoria vera e propria.

Scopo di base è quello di evitare inutili citazioni e presenza di testimoni.

Occorre, pertanto, che sia chiaro alle parti che non devono citare i testi per tale udienza - sono previste eccezioni per processi con detenuti - e che la Procura abbia cura di specificare nella citazione che la p.o. non è tenuta a presentarsi, a meno che non intenda costituirsi parte civile.

In tale primo contatto tra il giudice penale e le parti si dovrebbe:

• porre tempestivamente rimedio alle nullità delle notificazioni;

• verificare la possibilità di procedere in assenza;

• accertare immediatamente l’esistenza di situazioni che impongano una pronuncia immediata predibattimentale (NDP per mancanza di condizione di procedibilità; prescrizione maturata e simili);

• saggiare la possibilità di conciliazione per reati procedibili a querela;

• far formulare le (e/o decidere sulle) richieste di riti alternativi;

• far formulare le (e/o decidere sulle) richieste di messa alla prova;

• verificare la esatta predisposizione del fascicolo per il dibattimento;

• affrontare tutte le questioni preliminari sollevate dalle parti.

Sebbene il Giudice penale abbia a disposizione ben pochi atti all’interno del suo fascicolo, una buona preparazione dell’udienza filtro passa dall’esame attento di questi pochi, ma significativi atti.

Per arrivare preparato, il Giudice dovrà avere:

• esaminato le notifiche;

• verificato se si possa procedere in assenza;

• accertati i termini di prescrizione (importanti per capire se vale la pena istruire il processo, e se vale la pena farlo in fretta);

• accertati i termini di decorrenza dei termini di custodia o di scadenza di misure non custodiali;

• controllato le eventuali dismissioni di mandati difensivi successivi alla notifica (così da poter provvedere alla nomina di un nuovo difensore con congruo anticipo);

• disposta la citazione dell’interprete, ove necessaria;

• disposto la richiesta di traduzione degli imputati detenuti (questi e, comunque, quelli in cui sia in corso una misura cautelare) vanno trattati con assoluta priorità).

Molto utile anche avere:

• verificato la presenza di eventuali procure speciali rilasciate per la richiesta di riti alternativi o di richieste già formulate;

• predisposto ricerche giurisprudenziali sulle questioni che si immagina potranno essere poste o bozze di provvedimenti da assumere in udienza e di motivazioni contestuali;

• esaminato con attenzione il capo d’imputazione e le liste testi.

(12)

In particolare, l’attenta analisi degli atti presenti nel fascicolo del dibattimento e delle liste testi, può aiutare a comprendere la linea difensiva e gli aspetti controversi del processo.

Tali informazioni - scarsamente influenti nel momento in cui si autorizza la citazione dei testi (doverosa a meno che non si tratti di prove vietate dalla legge ovvero manifestamente sovrabbondanti) - possono rivelarsi di fondamentale importanza nella fase dell’ammissione delle prove, consentendo di escludere le prove “manifestamente superflue o irrilevanti” (superflua è la prova che tende ad ottenere un dato conoscitivo già acquisito, per cui la sua acquisizione avrebbe funzione meramente defatigatoria; irrilevante è la prova che tende ad acquisire un dato ininfluente sul processo, in quanto indifferente; “manifestamente” nel senso che deve essere immediatamente percepibile).

Sempre nella prima fase il giudice può anche cercare di ottenere dalle parti il consenso all’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del P.M., nonché di documenti relativi alla attività di investigazione difensiva (eventualmente anche senza rinuncia al teste, che potrà essere sentito speditamente e con notevole risparmio di tempo - dando per scontato il complessivo racconto – solo a chiarimenti su punti specifici).

Anche per le udienze successivela esatta conoscenza del contenuto dell’istruttoria espletata è da ritenersi assolutamente indispensabile per esercitare il controllo sulla pertinenza delle domande.

Soltanto avendo presente le questioni di fatto e diritto rilevanti e tutto quanto già acquisito diviene possibile svolgere un attivo e proficuo ruolo di “moderatore” delle domande altrui che solo garantisce un andamento sollecito del processo.

La compiuta padronanza del fascicolo consente altresì di rivalutare adeguatamente il provvedimento di ammissione. Nel corso di tutta la fase istruttoria, alla luce delle prove già acquisite, una prova ammessa e non ancora acquisita può, infatti, diventare superflua o irrilevante, come anche una prova ritenuta superflua o irrilevante potrebbe non essere più tale a seguito di quanto s’è potuto apprendere nel corso dell’istruzione dibattimentale: l’art.495 co. 4 prevede che il giudice possa in tal caso ammettere prove già escluse, evidentemente rivalutando la precedente ordinanza.

Anche per le udienze successive è opportuno cercare di limitare al massimo i disagi dei testimoni. Per farlo si devono fissare i fascicoli stabilendo degli orari (precisi o, almeno a fasce).

Nella fissazione degli orari dei rinvii il diretto coinvolgimento delle parti ha indubbia utilità.

Nel corso dell’udienza filtro o dei successivi contatti, può essere molto utile interpellare chi ha indicato il teste, chiedendogli quanto prevede che possa durare l’esame. In tal modo si ottiene non soltanto una indicazione – sia pur imprecisa – che consente di determinare con migliore approssimazione il tempo da riservare a quell’incombente, ma si ottiene anche un non irrilevante effetto di responsabilizzazione della parte, che sarà più facilmente indotta a rispettare le proprie previsioni (altrettanto utile un’analoga richiesta circa la prevedibile durata della discussione).

Anche qui pertinente il richiamo ad un’altra delle “leggi del tempo”: secondo Parkinson “il lavoro si dilata fino a prendere tutto il tempo possibile”.

Pertanto, se si cerca di valutare in anticipo il tempo necessario per una certa attività, poi sarà più facile rispettarlo e farlo rispettare senza sprechi o disguidi.

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Uno stratagemma che funziona per cercare di rispettare i tempi prefissati è quello di inserire in ogni udienza tra i diversi fascicoli da istruire qualche fascicolo per conclusione dell’istruttoria ed (eventuale) discussione; in tal modo, se si sta rispettando la tabella di marcia, la discussione può svolgersi, mentre in caso di ritardo accumulato, semplicemente rinviando la sola discussione, si riesce a recuperare e a tornare in orario per sentire i testimoni.

La previa calendarizzazione del processo, poi, può essere molto utile nei casi in cui sia prevedibile (per l’oggettiva durata dell’istruttoria e delle discussioni) o consigliabile che il processo non possa esaurirsi in una sola successiva udienza.

In proposito, segnalo che plurime sono le ragioni che possono indurre a diluire l’istruttoria: laddove le udienze siano poche e non sia prevista la possibilità di fissare udienze straordinarie è un vero lusso dedicarne una interamente ad un solo processo, posto che, se subentra un impedimento legittimo, si rischia di perderla completamente; in molti casi il rigoroso ordine da seguire per i testimoni comporta che, se manca un teste dell’accusa, le altre parti possono opporsi a procedere all’esame degli imputati e degli altri testimoni (quindi, utile almeno dividere in due o tre udienze successive : testi PM, testi parte civile, testi difese); in altri casi, può essere estremamente valido sentire prima alcuni testi o consulenti su un tema che potrebbe risultare decisivo e, solo ove non lo sia, sentire gli altri numerosi testi (ad esempio in un caso - infortunio sul lavoro - in cui la procedibilità dipenda dalla durata della lesione e questa sia contestata, utile ottenere l’accordo delle parti per esaurire prima le prove su tale aspetto e, solo ove la durata risulti confermata come superiore ai 40 giorni, procedere successivamente a sentire i numerosi testi sul fatto).

Indicare fin da subito più di una udienza (o parte di udienza) per la trattazione di un certo fascicolo ha oggettivi vantaggi, tra i quali quello di rendere estremamente rari i casi di legittimo impedimento dei difensori (poiché l’udienza risulta già

“prenotata” da tempo) e di consentire la citazione dei testi con congruo anticipo.

La calendarizzazione, come già accennato, consente di ottenere la concentrazione delle udienze relative ad uno stesso fascicolo, ed è funzionale ad una razionale organizzare del ruolo secondo una trattazione in sequenza.

Alessandra Salvadori

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