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Consiglio Superiore della magistratura e giudizio di ottemperanza: un rapporto ancora pericolosamente irrisolto - Judicium

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CLARICE DELLE DONNE

Consiglio Superiore della magistratura e giudizio di ottemperanza: un rapporto ancora pericolosamente irrisolto

Sommario: 1.- La questione interpretativa posta dal CSM e i responsi della Cassazione 2.- Il preteso sconfinamento del Consiglio di Stato nell’ambito delle prerogative costituzionali del CSM (art. 105 Cost.) 3.- L’asserita impermeabilità del CSM ai poteri del giudice dell’ottemperanza quale riedizione, sotto le mentite spoglie della questione di giurisdizione, di un vero e proprio conflitto di attribuzioni

1.- La questione interpretativa posta dal CSM e i responsi della Cassazione

Due recenti pronunce della Cassazione1, rese in esito all’impugnazione di altrettante sentenze del Consiglio di Stato, hanno affrontato il tema del superamento del cd.“limite esterno” della giurisdizione nel contesto di un giudizio di ottemperanza instaurato nei confronti del Consiglio superiore della magistratura.

Il contesto stesso, e la natura degli attori coinvolti, danno ragione da un lato delle peculiarità degli addebiti mossi dai ricorrenti, tutti in buona sostanza ruotanti intorno all’uso (asseritamente) esorbitante della giurisdizione estesa al merito, tipica di questo giudizio; e dall’altro delle reali ragioni che hanno ispirato la decisione, nel primo caso di accoglimento e nel secondo di rigetto, che vanno ben oltre i limiti imposti, dall’art. 111, c. 8 Cost., al sindacato sulla giurisdizione.

1 La prima di esse è Cass, S.U., 9 novembre 2011, n. 23302, che ha enunciato il seguente principio di diritto: “La sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando su un ricorso per l'ottemperanza ad un giudicato avente ad oggetto l'annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ormai ripetibile, ordina alla competente amministrazione di provvedere ugualmente a rinnovare il procedimento ("ora per allora"), al solo fine di determinare le condizioni per l'eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione, eccede i limiti entro i quali è consentito al giudice amministrativo l'esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è soggetto, pertanto, al sindacato della Corte di Cassazione in punto di giurisdizione”. La seconda pronuncia è Cass., S.U., 19 gennaio 2012, n. 736, che ha respinto il ricorso perché le censure del CSM si sono appuntate sulla sentenza resa dal Consiglio di Stato in sede di ottemperanza che aveva già riconosciuto la sussistenza dell’interesse attuale dei ricorrenti ad ottenere il rinnovo della procedura “ora per allora”, ma che non era stata impugnata, essendosi perciò formato un giudicato interno che non poteva essere superato dalla Cassazione con l’esame delle censure di violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

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Identici i termini della questione: se possa il Consiglio di Stato, accogliendo un ricorso per l’ottemperanza, ordinare al Consiglio Superiore della Magistratura di rinnovare il procedimento di valutazione comparativa per l’assegnazione di magistrati ad uffici direttivi, utilizzando la formula “ora per allora” imposta dalla circostanza che nel frattempo tutti i concorrenti (che avevano ottenuto l’annullamento dell’assegnazione ad altri dell’ufficio) erano usciti dall’ordine giudiziario per pensionamento.

Il dubbio si nutre del rilievo che siffatta rinnovazione avrebbe non lo scopo di ricoprire un posto vacante, che imporrebbe una procedura con nuovi concorrenti, ma di consentire ai ricorrenti che ne risultassero vincitori (oramai solo) “virtuali” un migliore trattamento economico e giuridico a fini pensionistici.

E’ il Consiglio Superiore della Magistratura a rappresentare in termini di violazione della sfera delle sue attribuzioni, e quindi di superamento dei limiti cd. “esterni” della giurisdizione, l’esercizio, nel caso di specie, della giurisdizione di merito tipica dell’ottemperanza. L’art. 105 Cost. assegna infatti all’organo di autogoverno il perseguimento dell’interesse pubblico all’organizzazione e funzionamento della magistratura, che non può essere distratto allo scopo privato di consentire un superiore trattamento pensionistico. I ricorrenti non potrebbero dunque, in virtù dello status di pensionati medio tempore acquisito, insistere per l’ottemperanza delle decisioni a suo tempo assunte dal giudice amministrativo, ma solo perseguire la tutela risarcitoria nella ordinaria sede dichiarativa.

Si fronteggiano dunque la giurisdizione di merito del Consiglio di Stato in veste di giudice dell’ottemperanza e le attribuzioni del Consiglio Superiore della magistratura, asseritamente intangibili perché assegnate in via esclusiva dalla Costituzione in vista della realizzazione di scopi pubblicistici.

La Cassazione accoglie, con la sentenza n. 23302/2011, il terzo motivo di ricorso (ed assorbe gli altri due) facendo propria la suggestiva rappresentazione del Consiglio superiore della magistratura: la sentenza del Consiglio di Stato che ordini, in sede di ottemperanza, la ripetizione “ora per allora” di una procedura di valutazione comparativa non più ripetibile, eccede i limiti entro i quali è consentito l’esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è dunque sindacabile proprio in punto di giurisdizione (sindacato che poi, in concreto, sfocia nella cassazione).

La successiva sentenza n. 736/2012 giunge ad opposta conclusione perché, a suo dire, in punto di ripetibilità della valutazione comparativa “ora per allora” si sarebbe formato un giudicato interno.

Il diverso esito del ricorso è dunque dipeso esclusivamente da ciò, per il resto la ratio della pronuncia mostrandosi invece perfettamente sovrapponibile all’immediato precedente, di cui riprende ad litteras i passaggi cruciali della motivazione.

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Ai due interventi della Cassazione può dunque ben guardarsi, dal nostro punto di vista, come ad un unicum.

2.- Il preteso sconfinamento del Consiglio di Stato nell’ambito delle prerogative costituzionali del CSM (art. 105 Cost.)

Dei tre motivi in cui il ricorso proposto dal Consiglio superiore della magistratura in entrambi i casi si articola2, è solo l’ultimo che la Corte ritiene assorbente perché consente di collocare nel contesto

2 Con il ricorso che ha condotto alla sentenza n. 23302/2011 il CSM ha articolato la censura di superamento dei limiti esterni della giurisdizione in tre motivi. Con il primo di essi ha dedotto la violazione dei limiti esterni della giurisdizione con riferimento all'art. 24 Cost., all'art. 103 Cost. e all'art. 111 Cost., c. 1, sostenendo che il giudice amministrativo, utilizzando indebitamente ex post lo strumento dell'interpretazione del giudicato come parametro della legittimità ovvero dell'elusività del provvedimento reso dal CSM, si è arrogato la facoltà di scegliere il tipo di potere giurisdizionale da esercitare in concreto, ed ha optato per quello a cognizione sommaria, proprio della giurisdizione di ottemperanza, senza che ne ricorressero davvero i presupposti. Da ciò la violazione dei limiti entro i quali il Consiglio di Stato stesso può esercitare una giurisdizione di merito, in luogo dell'ordinario sindacato di legittimità articolato in due gradi di giudizio, oltre che del principio dettato dall'art. 111 Cost., comma 1, a tenore del quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Con il secondo motivo il CSM denuncia l’indebita sostituzione del giudizio del Consiglio di Stato al suo, poiché il giudice amministrativo avrebbe attribuito alla propria precedente sentenza n. 3513 del 2008, quella cioè da ottemperare - la quale non aveva affatto affermato che il ricorrente non avrebbe potuto vincere il concorso, ma si era limitata a riscontrare vizi motivazionali che rendevano necessaria una nuova valutazione comparativa - una portata diversa e ben più ampia di quella effettiva, quasi che l'esito del concorso fosse ormai predeterminato. L'ultimo motivo di ricorso, nel denunciare un eccesso di potere giurisdizionale ad opera del Consiglio di Stato, lamenta in particolare la violazione dell'art. 105 Cost., dipendente dal fatto che, quando l'impugnata sentenza di ottemperanza è stata pronunciata, tutti i magistrati che avevano partecipato al contestato concorso per il conferimento dell'incarico (di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione) avevano ormai cessato di appartenere all'ordine giudiziario per sopraggiunti limiti d'età.

Lo scenario è quasi identico per il ricorso che ha dato origine alla sentenza n. 736/2012, ove il Consiglio superiore della magistratura ha articolato la censura di superamento del limite esterno della giurisdizione, ex artt. 362 cpc e 111, c. 8 Cost., in tre motivi. Con il primo motivo ha dedotto la violazione dei limiti esterni della giurisdizione con riferimento agli artt. 24, 103, 104, 105 e 111 Cost., per le concrete modalità con le quali il giudice amministrativo ha esercitato il potere di dare attuazione alle proprie decisioni. La scelta di sindacare in sede di ottemperanza il provvedimento reso dal CSM su presupposti differenti da quello annullato con la decisione passata in giudicato, ha infatti compresso le facoltà processuali delle parti e finito per creare da sè, illegittimamente, i presupposti per l'esercizio della più penetrante giurisdizione di merito, in luogo di quella di legittimità, che sarebbe stata esercitata se il successivo provvedimento, fondato per espresso riconoscimento del giudice amministrativo su elementi diversi, fosse stato impugnato in via autonoma; ed ancora, perchè, a seguito di tale erronea decisione, il giudice amministrativo ha finito per invadere la sfera delle attribuzioni di rilievo costituzionale, riservate al discrezionale apprezzamento del CSM. Con il secondo motivo il CSM ha dedotto la violazione dei limiti esterni della giurisdizione sotto profili diversi in riferimento agli artt. 24, 103, 104, 105 e 111 Cost., L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. e), artt. 4 e 5, e artt. 4 e 7 nonchè 134 del cod. proc. amm., perchè il giudicato di annullamento si era formato sui vizi motivazionali, facendo espressamente salve le ulteriori determinazioni dell'amministrazione, e considerando l'esito favorevole di queste, per il ricorrente, solo eventuale; in sede di ottemperanza, invece, il giudice amministrativo aveva escluso che l'amministrazione potesse pervenire "al medesimo esito già ritenuto illegittimo". Con il terzo motivo - infine - nel denunciare l'esercizio, nella fattispecie, di una giurisdizione di merito, propria del giudizio di ottemperanza, il CSM ha lamentato in particolare la violazione dell’art. 105 Cost. derivante dal fatto che, quando l'impugnata sentenza di ottemperanza è stata pronunciata, entrambi i magistrati che avevano partecipato al contestato concorso per il conferimento dell'incarico di Presidente aggiunto presso la Corte di cassazione avevano ormai cessato di appartenere all'ordine giudiziario per sopraggiunti limiti di età.

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peculiare del giudizio di ottemperanza lo schema logico, da essa stessa costruito, dei confini tra limite

“interno” insindacabile, e limite “esterno” soggetto invece al suo sindacato in punto di giurisdizione.

“Quando l’ottemperanza sia invocata denunciando comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con essi, afferiscono ai limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell’individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell’amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti. Si tratta, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza (…)”.

In che consista siffatta possibilità, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza, è la Corte stessa a spiegarlo in un altro passo cruciale delle motivazione comune ad entrambe le pronunce3: “Per scriminare le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giurisdizione è consentito da quelli in cui esso risulta invece inammissibile, dovendosi aver riguardo al cosiddetto petitum sostanziale ed all’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (…), risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni alla giurisdizione, oppure il fatto stesso che, in una situazione del genere di quella considerata, un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava”.

L’assunzione a parametro di valutazione di petitum sostanziale e natura della posizione dedotta in giudizio non è che la riaffermazione del principio che la ricognizione dell’oggetto del giudizio, in quanto valutazione preliminare naturalmente rimessa ad ogni giudice adito (solo) in quanto tale, attiene ai limiti interni e non esterni della giurisdizione4. Valutazione rispetto alla quale, anzi, “un’eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione non è neppure in astratto postulabile, potendosi essa realizzare soltanto in un momento logicamente successivo, e cioè quando, dopo aver individuato quale è in concreto l’oggetto della domanda (…) il giudice erroneamente ritenga sussistente (o insussistente) la propria giurisdizione (…)”5.

Ma se così stanno le cose appare allora insostenibile che il collocamento a riposo dei ricorrenti in ottemperanza, sopravvenienza asseritamente in grado di escludere l’obbligo di conformazione del CSM, integri un superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

Il ricorso di chi ha ottenuto un provvedimento dichiarativo, motivato dall’asserita inottemperanza dell’amministrazione, ha quale petitum sostanziale la richiesta di esecuzione del decisum a beneficio del ricorrente. Ed il giudice è in grado di rilevare, dalla sola prospettazione astratta dell’istante, la

3 V. il punto 3 della motivazione di Cass. 23302/2011 e la lett. e) del punto 13 di quella di Cass. n. 736/2012.

4 Così S.U. 30 maggio 2007, n. 12671, in Giust. Civ., Mass., 2007, 5, che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso avverso la sentenza con cui il Consiglio di Stato aveva proceduto alla ricognizione dell’oggetto del giudizio instaurato di fronte a sé, qualificandolo come domanda volta ad impugnare il silenzio dell’amministrazione e non come domanda di ottemperanza.

5 Così, ad litteras, S.U. 30 maggio 2007, n. 12671, cit.

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sussistenza congiunta sia dei presupposti (legittimazione e interesse a richiedere la tutela esecutiva) che dell’oggetto (l’ordine di adempiere e la surrogazione dell’amministrazione nonché le altre istanze che oggi la legge consente al ricorrente) dell’ottemperanza stessa. In sede di ricognizione del tipo di tutela richiesta, una volta che il giudice l’abbia qualificata come di ottemperanza, non può dunque che ritenersi la sussistenza del potere di provvedere, in rito come in merito e, in tal ultimo caso, ordinando l’ottemperanza (provvedimento di segno positivo) o rilevando che è già avvenuta (provvedimento di segno negativo e di chiusura della procedura).

Sicché, persino ad ammettere che il sopravvenuto pensionamento dei ricorrenti integri un’ipotesi di inammissibilità dell’ottemperanza stessa e non una questione di merito, spetterebbe pur sempre al giudice adito il potere di provvedere (sia pure) con pronuncia di rito che, in ipotesi, dichiari l’inammissibiltà/improcedibilità del ricorso6. Pronuncia cui potrebbero poi imputarsi solo errores in procedendo e non il superamento del “limite esterno” della giurisdizione, posto che tale superamento si verificherebbe solo nella diversa ipotesi in cui, qualificata la domanda in termini di tutela esecutiva nei confronti dell’amministrazione, il Consiglio di Stato erroneamente declinasse la propria giurisdizione o, al contrario, assumesse provvedimenti estranei all’area di quelli consentiti dalla legge in tale sedes!7 Altro è invece la verifica, alla luce dell’interpretazione del decisum e del successivo comportamento dell’amministrazione, della sussistenza concreta dell’adempimento o al contrario della sua inesigibilità per qualsiasi ragione, anche sopravvenuta.

Essa assume rilevanza sì determinante, ma ai diversi fini dell’accoglimento/ rigetto nel merito della domanda di tutela esecutiva.

Il che deriva, a sua volta, dalla dinamica fisiologica del giudizio di ottemperanza quale species del genus esecuzione forzata, ove all’istanza del ricorrente si contrappongono le eccezioni dell’amministrazione di aver adempiuto o di non averne l’obbligo per le più diverse ragioni, e che proprio nulla ha da spartire con il diverso profilo, pregiudiziale, della giurisdizione sulla tutela esecutiva.

6 E’ la stessa Cassazione a decidere in questo senso, ritenendo inammissibile il ricorso ex art. 362 e 111, c. 8 Cost., proposto contro una decisione della sezione centrale della Corte dei Conti che aveva confermato la declaratoria di inammissibilità di un ricorso in materia pensionistica per mancata notifica dell’atto introduttivo al resistente. S.U. 14 giugno 2005, n. 12726 ha infatti chiarito che la censura proposta denunciava un asserito errore nell’interpretazione delle disposizioni sul processo davanti al giudice contabile, come tale attratto ai limiti interni, e non esterni della giurisdizione. In un altro caso, e proprio in tema di poteri del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, la Cassazione ha respinto il ricorso con il quale si deduceva la sussistenza dei presupposti per la sospensione del giudizio o per l’adozione di una pronuncia di improcedibilità, perché la censura era in realtà afferente ad errores in procedendo e perciò ai limiti interni della giurisdizione: così S.U. 19 luglio 2006, n.

16469.

7 Mi viene in mente, a quest’ultimo proposito, l’ipotesi dell’istanza esecutiva basata su provvedimento di una Commissione tributaria o della Corte dei Conti, giudici speciali che oggi gestiscono autonomamente l’ottemperanza alle proprie sentenze, o l’ipotesi di istanza di condanna all’astreinte avanzata ai sensi dell’art. 114, c. 4, lett. e) al giudice amministrativo, ma in relazione all’ottemperanza di una sentenza del giudice ordinario. Qui la giurisdizione appartiene, ai sensi dell’art. 614 bis cpc, proprio al giudice ordinario (per di più in sede dichiarativa) sicché la decisione (positiva o negativa) del GA, ed in specie del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, ben potrebbe essere impugnata in Cassazione per motivi di giurisdizione.

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Ed è proprio quanto è successo nel caso di specie ove il Consiglio superiore della magistratura, eccependo che è venuto meno l’obbligo di conformarsi per sopravvenuto collocamento a riposo dei ricorrenti, si inserisce appieno nella dinamica di quella giurisdizione di ottemperanza che è l’unica sede deputata alla verifica, nel merito, della sussistenza attuale dell’obbligo di conformazione al decisum.

Ed è per questo che quando lamenta che non “sussiste il potere del giudice amministrativo di emettere un provvedimento di ottemperanza”si riferisce non ad un qualunque provvedimento reso in tale sede (ponendo una questione di giurisdizione), ma al provvedimento positivo, cioè che ordina l’ottemperanza (ponendo perciò una questione “di merito”).

Alla luce di queste considerazioni appare allora priva di pregio l’affermazione della Cassazione che una sopravvenienza idonea ad escludere l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato “non riguarda l’interesse ad agire, bensì l’oggetto e lo scopo del giudizio di ottemperanza, e perciò i limiti entro i quali è esercitabile la relativa potestà giurisdizionale del giudice amministrativo”.

L’oggetto del giudizio non può infatti riguardarsi disgiuntamente dall’interesse ad agire che qualifica la domanda di tutela, come emerge dalla stessa impostazione della Corte, laddove ascrive ai cd. “limiti interni” della giurisdizione l’individuazione degli effetti conformativi del giudicato8, la ricostruzione della successiva attività dell’amministrazione e la valutazione di non conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti. Che differenza può infatti ragionevolmente ravvisarsi tra queste valutazioni e quella relativa all’esistenza di una sopravvenienza idonea ad escludere l’obbligo di conformarsi? Non si tratta forse, ed in entrambi i casi, della verifica della sussistenza dell’(in)ottemperanza attuale, e dunque di quella fondatezza “nel merito” della domanda di tutela esecutiva che attiene al “modo di esercizio”

del potere giurisdizionale? Perché mai allora la valutazione che l’amministrazione non ha più l’obbligo di adempiere dovrebbe riflettersi sul versante cd. “esterno” della giurisdizione, uscendo dalla normale dinamica degli errores in procedendo insindacabili ove imputati al supremo giudice amministrativo?

Che la questione debba porsi in termini di fondatezza/infondatezza della pretesa esecutiva, e non di esistenza/inesistenza della giurisdizione (di merito), risulta dalla possibilità, oggi offerta dall’art. 112 del Codice del processo amministrativo ma frutto di consolidata prassi applicativa, di chiedere nella sede dell’ottemperanza il risarcimento dei danni derivanti sia dall’inesecuzione, violazione o elusione del giudicato che dalla obiettiva impossibilità di eseguire il dictum a motivo di sopravvenienze fattuali o impedimenti normativi9.

8 Giurisprudenza costante: v., ex multis, S.U. 19 luglio 2006, n. 16469; S.U. 7 dicembre 2004, n. 22885; S.U. 26 luglio 2002, n.

11099; S.U. 16 novembre 2002, n. 16270, tutte in www.cortedicassazione.it.

9 Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si è infatti progressivamente consolidata la soluzione dell’ammissibilità dell’istanza risarcitoria per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, limitatamente ai danni successivi all’annullamento dell’atto illegittimo in quanto direttamente derivanti dall’inottemperanza al dictum: v., ad esempio, C. Stato, sez. V, 20 maggio

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Sicché proprio quanto il Consiglio superiore della magistratura ritiene estraneo all’ottemperanza ed appartenente alla giurisdizione di (sola) legittimità- la pretesa risarcitoria- è invece pacificamente ascritto alla tutela esecutiva (e ne conferma l’operatività nel caso di specie) perché consente di ovviare all’inadempimento dell’amministrazione, volontario o involontario che sia. Inadempimento che, a sua volta, non può che essere apprezzato proprio dal giudice dell’ottemperanza in esplicazione della peculiarissima giurisdizione al contempo esclusiva ed estesa al merito che lo caratterizza10.

Mi pare allora che lo spettro del superamento del “limite esterno” della giurisdizione, già di per sé sfuggente perché dai contorni eccessivamente frastagliati, sia stato qui agitato in modo volutamente fuorviante da un Consiglio superiore della magistratura storicamente riottoso ad accettare “ingerenze”

del giudice amministrativo.

3.- L’asserita impermeabilità del CSM ai poteri del giudice dell’ottemperanza quale riedizione, sotto le mentite spoglie della questione di giurisdizione, di un vero e proprio conflitto di attribuzioni

L’impressione è cioè che l’Organo di autogoverno della magistratura abbia inteso ancora oggi riproporre, sotto mentite spoglie, la questione che a suo tempo ed in duplice battuta prospettò alla Consulta come conflitto di attribuzioni proprio nei confronti del giudice amministrativo dell’ottemperanza, sostenendo di essere immune dalla giurisdizione estesa al merito riconosciuta a tale giudice perché invasiva delle sue attribuzioni quale organo a rilievo costituzionale.

Identica è la norma invocata, l’art. 105 Cost., ed il fatto che nei ricorsi alla Cassazione da cui sono scaturite le pronunce del 2011 e 2012, a differenza che in quelli a suo tempo rivolti alla Consulta, essa sia posta a sostegno del preteso sconfinamento dai limiti della giurisdizione di merito rispetto a quella di legittimità, non cambia la sostanza della censura. Una sostanza che emerge invece, in tutta la sua reale pregnanza, dai primi due motivi (assorbiti) del ricorso che ha condotto alla pronuncia n. 23302/2011, il primo incentrato sull’ “uso indebito dell’interpretazione del giudicato”, il secondo addirittura sulla pretesa invasione del “merito delle prerogative riservate al Consiglio Superiore della magistratura dalla Costituzione e dalle leggi”! E che persino il linguaggio sia mutuato dalla logica del conflitto di attribuzioni risulta dal

2008, n. 2360; C. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 849; C. Stato, sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861; C. Stato, sez. VI, 8 marzo 2004, n. 1080.

10 V. amplius, su questo profilo, Sassani, Arbor actionum. L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in Riv. dir.

proc., 2011, 1356 ss.

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raffronto con il testo della sentenza n. 419/1995 della Consulta, ove si legge che il Consiglio superiore della magistratura ha sollevato “conflitto per la difesa delle proprie attribuzioni, deducendo la violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195 del 1958”11.

Argomento, quello dell’invasione del merito delle prerogative costituzionali dell’organo di autogoverno della magistratura, che la Consulta ritenne inconsistente12, chiarendo che “la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria”, e che “in linea di principio non sono configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre in cui il dovere di attuare la decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite al soggetto il cui operato è sottoposto a sindacato. Al contrario, la garanzia della competenza cede a fronte della contrapposta garanzia di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e dà contenuto concreto, in definitiva, alla garanzia della pari osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura”.

Ma ancor prima, ed in modo ben più radicale, le aspirazioni del Consiglio superiore della magistratura ad una vera e propria forma di autodichia13 erano state frustrate dalla stessa Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, recante Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, sollevata dalle SS.UU. della Cassazione in relazione agli artt. 100, primo comma, 104, 105, 24, primo comma, 103, 102, secondo comma, Cost.

11 Lo stesso è a dirsi per il conflitto di attribuzioni sollevato, sempre dal CSM, nei confronti del Consiglio di Stato quale giudice dell’ottempernaza e che ha dato luogo alla di poco successiva sentenza n. 435/1995, anch’essa consultabile in www.giurcost.it, ove era lamentata “la violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n.

195 del 1958, per la lesione delle sue competenze, direttamente derivanti dalla norma costituzionale, in tema di nomina dei magistrati agli uffici direttivi. Inoltre, con la decisione che ha dato luogo al conflitto, il Consiglio di Stato, adito in s ede di ottemperanza, avrebbe emesso una pronuncia di merito nei confronti di un organo (il C.S.M.) non sottoponibile alla giurisdizione di merito in virtù delle sue attribuzioni costituzionali(…)”.

12 Entrambe le sentenze, la capostipite 8 settembre 1995, n. 419 e la successiva 15 settembre 1995, n. 435, consultabili in www.giurcost.it, dichiarano infatti che spetta al Consiglio di Stato, in sede di giudizio per l'ottemperanza al giudicato, il potere di emettere ordini nei confronti del Consi glio superiore della magistratura e di disporne, in caso di inottemperanza, la sostituzione attraverso la n omina di un commissario ad acta.

13 V. amplius, per tutti, Occhiocupo, Autodichia, in Enc. Giur. Treccani, IV, Roma, 1988, ed ivi riferimenti bibliografici di base.

Che la questione sia stata prospettata proprio in termini di autodichia intesa quale immunità dalla giurisdizione comune in ragione della prevalenza del valore della indipendenza dell’organo di rilievo costituzionale risulta in modo a mio avviso evidente dagli argomenti utilizzati per sostenere l’immunità stessa. L’avvocatura dello Stato faceva infatti rilevare come la giurisdizione generale di legittimità fosse prevista dalla Costituzione solo per gli atti amministrativi della Pubblica amministrazione, laddove invece quelli del CSM in merito alla carriera dei magistrati, pur oggettivamente amministrativi, non potevano in alcun modo ascriversi ad una autorità amministrativa provenendo, al contrario, da un organo a rilievo costituzionale (è la nota teorica degli “atti amministrativi di autorità non amministrative”) per sua natura immune da altri poteri dello Stato, ed in specie da quello giudiziario. Proprio per questo contro eventuali lesioni di situazioni soggettive derivanti dalle deliberazioni delle commissioni del Consiglio superiore, la legge istitutiva ammette il ricorso al plenum del Consiglio stesso e non davanti al giudice che, in quanto altro potere dello Stato, deve mantenersi nei limiti delle sue attribuzioni. A ciò la Consulta risponde, come accennato nel testo, bilanciando il valore dell’indipendenza/autonomia dell’Organo con il valore dell’indefettibilità della tutela giurisdizionale.

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Con la sentenza n. 44/1968 la Corte dichiarò infatti infondata la questione negando che le decisioni assunte dal CSM in merito alla carriera dei magistrati potessero, alla luce della Carta costituzionale, ritenersi immuni dal controllo in forma impugnatoria della giurisdizione amministrativa.

La tesi, sostenuta dall'Avvocatura dello Stato sul presupposto della necessità di sottrarre tali atti a qualsiasi sindacato di organi estranei ed in grado di intaccarne l’indipendenza, è sconfessata dalla Corte proprio riconducendo nei suoi giusti confini ruolo e funzioni pensati dal Costituente per l’organo di autogoverno. L'istituzione del Consiglio superiore della magistratura rende infatti effettiva, fornendola di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della magistratura, collocandola nella posizione di

"ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" e sottraendola ad interventi suscettibili di turbarne comunque l'imparzialità e di compromettere l'applicazione del principio consacrato nell'art.

101, secondo cui i giudici sono soggetti solo alla legge. Ma il pieno adempimento di tale funzione non impone certo la sua sottrazione ad ogni interferenza, non solo di poteri attivi, in particolare di quello esecutivo14, ma anche del potere giurisdizionale.

E ciò in ragione dell’operare di un altro principio costituzionale, quello cioè della generalità ed indefettibilità della tutela giurisdizionale che, ove non assicurata, comporterebbe per i cittadini- magistrati un intollerabile vulnus, i diritti ed interessi relativi al loro status di dipendenti dello Stato restando fuori, non senza paradosso, proprio dalle garanzie della tutela giurisdizionale!

L’utilizzo dello schema concettuale del limite esterno della giurisdizione appare dunque oggi imposto dagli arresti con cui la Consulta ha prima sancito la sottoponibilità degli atti del CSM sulla carriera dei magistrati alla giurisdizione generale di legittimità, e poi la consequenziale operatività dell’ottemperanza quale suo corollario, e dall’inimpugnabilità, altrimenti, delle sentenze del Consiglio di Stato.

Tale schema si rivela tuttavia anche particolarmente funzionale allo scopo (reale e neppure troppo velato) di rimettere in discussione principi oramai consolidati perché esibisce, nelle pronunce della Cassazione, contorni talmente sfuggenti da poter all’occorrenza ospitare anche il vero (ed idealmente unico) quid disputandum: non può il giudice amministrativo sostituire le sue valutazioni di merito a quelle riservate dalla Costituzione al CSM. E’ insomma ancora e sempre la giurisdizione di merito la vera imputata, anche se contestarne l’esercizio è possibile oggi solo contestando la giurisdizione di ottemperanza che la veicola.

14“(…) ed in ispecie di quello esecutivo, cui in passato la magistratura era stata collegata, ed a volte anche gerarchicamente subordinata, e rispetto al quale quindi l'esigenza di autonomia si era tradizionalmente fatta valere (…)”, è il significativo passo della motivazione della sentenza della Consulta n. 44/1968, citata nel testo.

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La ratio dei ricorsi del CSM15 e dei responsi della Cassazione emergono allora dalla natura degli attori coinvolti: un organo (a rilevanza) costituzionale che non si rassegna ad ingerenze nel merito di quelle che ritiene prerogative sovrane anche dopo che la Consulta ne ha soffocato ogni aspirazione all’autodichia; ed un organo supremo in grado di piegare le resistenze ai decisa sostituendosi all’obbligato persino se organo costituzionale, ma le cui decisioni sono sottratte al sindacato della Cassazione se non per motivi di giurisdizione.

Ed infine proprio la Cassazione che, costruendo un concetto di limite interno/esterno della giurisdizione del tutto evanescente e modulandone di volta in volta l’estensione secondo criteri assolutamente indeterminabili a priori16, si erge a vero, ed unico, giudice supremo ben oltre i limiti riconosciuti dall’art. 111, c. 8, Cost.

Peccato che questo scontro fra titani si sia consumato facendo riaffiorare, di fatto, l’intangibilità del CSM da parte della giurisdizione amministrativa nel suo snodo più delicato sotto il profilo

15 Quello che ha dato luogo alla sentenza n. 23302/2011, ma anche quello successivo sfociato nella sentenza n. 736/2012, sebbene non coronato da successo perché la Cassazione, come già rilevato, ha ritenuto che sulla questione si fosse formato un giudicato interno.

16 Soprattutto da quando la Cassazione ha contaminato le questioni di giurisdizione con la variabile della formazione del giudicato sulla questione sollevata, così arrivando, in sostanza, ad affrontare la questione stessa solo dopo aver ripercorso l’intero procedimento svoltosi davanti al giudice amministrativo, ed arrivando perciò spesso a sanzionarne gli eventuali errores in procedendo: v., da ultimo, Cass. n. 23306 del 2011, per la quale “(…) alla questione della giurisdizione attiene anche il sistema delle disposizioni che disciplinano il rilievo della medesima questione e l’irreversibilità della relativa decisione (…)”. Non così, invece, Cass. n.

5468 del 2009, per la quale l’erronea valutazione da parte del Consiglio di Stato in ordine alla formazione del giudicato interno riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale e rientra perciò nell’ambito dei limiti solo interni della giurisdizione, come tale sottratto al controllo della Cassazione stessa. Ha perspicuamente rilevato Vaccarella, I confini della giurisdizione (tra giudice ordinario e giudice amministrativo), in www.judicium.it, che “(…) non esiste – né può esistere - alcun razionale criterio idoneo a giustificare perché il giudicato implicito sia trattato ora come “attinente” alla questione di giurisdizione, ora come error in procedendo:

esemplare è un recente caso in cui le Sezioni Unite – a fronte di una decisione del Consiglio di Stato che aveva dichiarato perfettamente legittimo il procedimento amministrativo in base al quale la P.A. aveva alienato un’azienda ma che aveva dichiarato di non potersi pronunciare ex professo sulla pretesa nullità (che comunque, incidenter tantum, escludeva) dei relativi contratti perché la questione spettava al giudice ordinario – hanno statuito (Cass. 24 luglio 2009, n. 17349) «che la sentenza impugnata non poteva affermare la giurisdizione del giudice ordinario, relativamente alla dichiarazione di nullità o di annullamento dei contratti in questione, essendosi sul punto formato il giudicato implicito, per mancanza di impugnazione, relativamente alla giurisdizione, della sentenza del TAR»; tornata la medesima controversia, tra le stesse parti, davanti alle Sezioni Unite con l’impugnazione della nuova decisione con la quale il Consiglio di Stato, rimangiandosi totalmente la precedente decisione, affermava la totale illegittimità del medesimo procedimento amministrativo e la conseguente nullità dei contratti, le Sezioni unite hanno respinto il ricorso con il quale si lamentava che sulla questione della legittimità del procedimento amministrativo si era formato il giudicato affermando (Cass. 27 gennaio 2012 n. 1149) che «la censura, quale quella di specie, concernente una pretesa violazione del giudicato, riguardando la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice adito, rimane estranea al vizio di eccesso dei limiti esterni della giurisdizione e, quindi, al controllo di questa Corte per motivi inerenti alla giurisdizione», riguardando tale controllo solo «i caratteri essenziali di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, perciò, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in judicando o in procedendo”. Risulta di tutta evidenza come proprio la lettura, più o meno ampia, del concetto di questione di giurisdizione sia il cavallo di Troia che consente alla Cassazione di penetrare, in modo più o meno ampio, nel merito della valutazione degli errores in procedendo compiuti dal supremo giudice amministrativo. Ed il tutto, come già rilevato, in modo assolutamente imponderabile, e dunque non preventivabile! I due casi qui in esame ne sono l’ennesima riprova: la scriminante tra accoglimento e rigetto del ricorso è proprio l’inverarsi, nel secondo caso e non nel primo, di un giudicato (interno).

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dell’effettività della tutela giurisdizionale, quello dell’esecuzione forzata, superando persino il duplice sbarramento posto a suo tempo dalla Consulta.

E’ questa la logica delle giurisdizioni supreme, si dirà.

Ma è difficile rassegnarsi alla pericolosa incrinatura del principio che “la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria” e non può perciò arrestarsi neppure, ed anzi a maggior ragione, di fronte ad organi di rilievo costituzionale.

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