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GUIDO FALQUI MASSIDDA
IL RIDOTTO DELLA
VAL GIASINOZZA
Vita di guerra nel Primiero
2 Il ridotto della Val Giasinozza
Vita di guerra nel Primiero di Guido Falqui Massidda Edizione:
EPIGRAPHIA a.c.r.
64025 - Pineto (TE)
www.epigraphia.com - [email protected] Impaginazione: Gianluca Mariani
Collaborazione: Marta Volpicelli
© Copyright testi Guido Falqui Massidda ISBN: 978 88313290 1 9
I diritti sono riservati.
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Fonte foto: Österreichische Nationalbibliothek
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CollanaHistorica
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Dedicato alla mia nonna Maria Deville e al nonno Giuseppe Tavernaro
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UNA PRESENTAZIONE ED UN RINGRAZIAMENTO
Ringrazio anzitutto l’editore e la bravissima Marta Volpi- celli.
Ringrazio tanto la professoressa Elena Albertini che ha scritto la presentazione del libro, è stata la mia prima let- trice e mi ha corretto con la matita rossa molti strafalcioni.
Ringrazio Valentina Gerola per aver dattiloscritto quanto esposto con la mia gallinografia.
Ringrazio Augusto Bini, collezionista appassionato di cose storiche che mi ha fornito tutte le fotografie dopo faticosa ricerca.
Preciso che tutti i personaggi che fanno da contorno a “Il ridotto della Val Giasinozza” sono di pura fantasia e qua- lunque individuazione reale è puramente casuale.
Le vicende storiche della Guerra nel Primiero, sono vere.
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PRESENTAZIONE
Continua il cammino dell’amico Guido dentro la selva dei sentimenti umani, laddove i sentieri delle emozioni si snodano, si interrompono, si incrociano secondo il gioco del destino. Ed ecco la narrazione fantastica, piena di in- venzioni e umanità che ha sempre caratterizzato le fatiche editoriali di un uomo che dall’alto di una sapienza tanto acuta quanto distaccata ha sempre dato prova di autoiro- nia. È come se per una disposizione interiore fosse per il Nostro sempre necessario intrecciare il piano della fantasia con il piano della realtà storica, rendendo difficile al lettore cogliere il limite fra i due orizzonti quanto più si addentra dentro la narrazione. Ecco, credo che questo sia il segre- to della piacevolezza di questa ultima fatica: rendere storia una invenzione narrativa, donando agli interpreti e alle am- bientazioni la credibilità tipica del fatto realmente accadu- to. Questo è possibile sia perché al fondo c’è una profonda abitudine allo studio e alla ricerca documentale sia perché nello stesso tempo c’è l’innato talento a fare di una storia una occasione di viaggio nel mondo della fantasia usando le ali di una grande leggerezza stilistica. Così il ridotto della Val Giasinozza diventa in tutto simile all’antro di Polifemo abitato questa volta da capitani e soldati che chiusi in quello spazio nascosto e misterioso scrivono una storia di verità.
Scrivono una storia di guerra diversa da quella sempre nar- rata fatta di solidarietà e umanità degna di ricordo.
Perché al fine anche questo ridotto non è importante che sia esistito veramente ma che per questo non sia meno vero.
Elena Albertini
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PREFAZIONE
Un romanzo storico che racconta vicende di guerra di uno spaccato del nostro paese: la Prima Guerra Mondiale nel Primiero. Tra dolori, battaglie, sotterfugi e stratagemmi, ci parla di valori, di sentimenti, di amicizia e di lealtà. At- traverso la narrazione storica si concentra sulla vita che va avanti anche quando è tutto perduto, nelle situazioni più disparate, impervie e dolorose.
L’autore si sofferma e analizza le storie dei personaggi, le loro paure, le loro caratteristiche, nel bene e nel male, perché il male ci porta molto spesso ad avere dei compor- tamenti che in altre situazioni non avremmo e che possono manifestarsi nei periodi più bui dell’esistenza umana; ci rac- conta dei loro sentimenti in una situazione tanto difficile e sotto stress, ma ci parla soprattutto di valori umani, come l’amicizia, il rispetto e la lealtà verso il nemico, verso l’altro da te, verso l’uomo che porta solamente una divisa di un colore diverso dal tuo, ma che come te sta solo cercando di sopravvivere ed è solamente un uomo.
Attraverso ricordi, vari racconti dei familiari e soprattut- to la testimonianza dei nonni che hanno vissuto quel perio- do, sottolineando l’importanza di tramandare di generazio- ne in generazione antichi vissuti ed esperienze e di ascoltare le memorie e i ricordi degli altri, come se fossero un libro da leggere, parla di storie di vita e di umanità dove l’umanità non c’è.
Epigraphia a.c.r.
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11 PREMESSA
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ella mentalità legale e ancor meglio notarile (professione che mi ha accompagnato per tanti anni) un buon contratto, una ipotesi di accordo inizia sempre con una premessa.La narrazione che ci accingiamo a scrivere (io) e a leggere (i miei 24 lettori) “acchiappa” questo modo di fissare su carta (o su memoria informatica se Loro pre- feriscono) il sostrato, la base, e in certo qual modo le motivazioni che spingono a narrare le vicende di questo libro.
Anzitutto le persone. Alcune (poche) persone sono reali. Le stesse persone a volte si trasformano in perso- naggi: allora non sono reali, ma verosimili. Quello che dicono e fanno sono frutto di invenzione, di ricostruzio- ne fantasiosa, a volte probabile, basata anche su fram- menti di memoria e racconti di mia madre, della gente del mio paese che ho avuto la ventura di incontrare.
Primeggiamo, in questa categoria di persone reali, la figura del mio nonno Giuseppe Tavernaro e di mia non- na Maria Deville.
Nel contesto storico in cui li ho collocati hanno cer- tamente vissuto, sofferto e gioito nel vortice di avveni- menti che hanno cambiato il destino dell’Europa, del Trentino e del mio paese. Ma nel libro ne parlo ben poco se non nella premessa.
La mia nonna Maria l’ho conosciuta bene e di quel periodo ho colto brevi frammenti di pensiero dal quale
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ho percepito e sentito il fastidio per la retorica, un’au- tentica generosità, intelligenza e capacità organizzativa e di lavoro assolutamente non comuni. Cosa che non si sposava certo se non per amore con le nuvole ideali- stiche su cui viaggiava il nonno Giuseppe, ispeziente di dogana austro-ungarico e, udite udite, irredentista. Di quell’irredentismo culturale non violento che si nutriva della cultura italiana e latina. Il nonno conosceva i clas- sici latini e, mi diceva la mamma, recitava il suo poeta preferito, Ovidio, a memoria rigorosamente in latino.
Di questo grande e, per il suo ambiente certamente bizzarro personaggio, non ho avuto la fortuna di far co- noscenza.
Ho qualche flash di mia madre che lo dipinge buono fino all’eccesso del buonismo. Lui che era un alto fun- zionario di dogana, che aveva comandato le dogane di frontiera della Vallarsa e di Borghetto, era quello, come diceva mia madre, a cui facevano pena anche i contrab- bandieri.
Come si sarà comportato nel periodo così denso di avvenimenti e di contraddizioni ove caleremo la nostra storia? Probabilmente la mia nonna lo avrà tenuto pru- dentemente nell’ombra.
So per certo che, quando sul campanile della chiesa della Pieve fu issata la bandiera italiana portata da una farmacista di Rovereto, piangeva dalla commozione. E, questo me lo ha raccontato proprio la nonna Maria, si sentì dire che forse in futuro non avrebbe più pianto di commozione, ma di amarezza “coi taliani”. Perché mi disse: «Oggi non ci sono più idealisti come tuo nonno.
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Il nonno che di fronte alla pressione del Maresciallo dei carabinieri che voleva rivendicasse il suo patriottismo per la pensione, rispose con durezza che ben altri erano i motivi che avevano spinto le sue azioni. E non fece domanda». Così mi racconta mia madre.
Pare, mi disse mamma, che il nonno avesse subito un procedimento (non so in quale categoria classificar- lo) pretestuoso, forse per via del suo irredentismo, ed era stato destituito dalle sue funzioni e cacciato senza alcuna remunerazione dal corpo di doganieri, ma di questa procedura contro il nonno ho solo il racconto di mia madre. Il cortese studioso Dr. Alessandro Cont ha svolto ricerche nel settore giudiziario senza riuscire a rintracciare documenti. Probabilmente è stata adottata una procedura amministrativa o dimissioni “spintanee”.
Mia madre mi ha raccontato di “uno che ce l’aveva con lui” per le sue idee e che l’ha denunciato. Per mia madre fu una fortuna che la cosa non sia successa in guerra, altrimenti le conseguenze potevano essere ben più ter- ribili.
Il personaggio di mia nonna è vero per quel che mi ha raccontato lei stessa (molto poco) e anche per quel che mi ha raccontato mia madre (un poco di più).
Rimane la verità di questo personaggio straordina- rio (la nonna), senza nessuno che la potesse aiutare (il famoso fratello mons. Deville, di cui ho raccontato le gesta in un mio libro, era in America) la quale si guada- gnò da sola il pane per i quattro figli. Racconta la mia mamma che la nonna andava ad Arsiè a procurarsi il sale per un magazzino per soldati. Cosa avranno fatto la
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nonna, il nonno e la famiglia (tra cui la mia piccolissima mamma) in quel periodo?
Posso solo immaginarlo. Verosimile o vero conoscen- do la tempra e il carattere dei personaggi. O forse sarà bene inventarsi qualcosa per loro in linea con la loro personalità. Meglio di no. Nell’umanità di un intero po- polo della conca del Primiero le loro vite si perdono, si confondono nel fortino comune, con l’umanità degli altri, ma ne emergono non solo per la singolarità delle loro posizioni per i tempi in cui operarono, ma, ai miei occhi, per quanto mi hanno dato e tramandato di lavo- ro, di ideali di fatica e di operosità.
Per lasciar galoppare la fantasia in una storia imma- ginaria non è tuttavia possibile prescindere dal conte- sto temporale e dalle caratteristiche territoriali fisiche e umane, ove uomini e donne di fantasia si muovono nell’umanità e nel territorio del tempo, questi veri.
Quindi non si può raccontare una storia della Prima Guerra Mondiale nel Primiero (1914-1918) senza rac- contare la storia della Prima Guerra Mondiale in Euro- pa e nel mondo.
La nostra di storia è di un anno dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale nella quale i trentini partiro- no, era il 1914, con la divisa austriaca per la Galizia e i monti Carpazi verso una orrenda strage. Strage a cui li destinò il cinismo e l’incompetenza dello stato maggiore austro-ungarico che li mandò sui monti Carpazi a fun- gere da massa d’urto contro le milizie russe collezionan- do un milione di morti inutilmente sacrificati fino alla controffensiva germanica.