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Programma di lavoro della Commissione Europea per il 2020

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Academic year: 2022

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Programma di lavoro della Commissione Europea per il 2020

Osservazioni della

Scuola di Studi Internazionali - Università di Trento

Quinta Commissione Permanente del Consiglio della Provincia autonoma di Trento

Trento, 19 Marzo 2020

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Sintesi esecutiva

Il programma di lavoro della Commissione Europea per l’anno 2020, in particolare come definito nella comunicazione COM (2020) 37 final, manifesta l’ambizione di una Commissione europea che si definisce geopolitica. La Commissione elabora un programma pensato per permettere all’Unione di affrontare i grandi cambiamenti mondiali (ambiente, digitale, commercio, sviluppo, sicurezza, migrazione) in modo da preservare un ruolo importante nel mondo e al contempo di tutelare i diritti e lo stato sociale che caratterizzano, pur con differenze tra Paese e Paese, lo stile di vita e la politica nel continente.

Pur coerente e strutturato al fine da far convergere diverse politiche e misure sugli obiettivi prioritari e di maggior interesse, il programma di lavoro della Commissione europea appare fin troppo ambizioso. L’azione della Commissione europea e del Parlamento europeo è stata spesso bloccata dal Consiglio dell’Unione, dove si riflettono e scontrano gli interessi divergenti degli Stati membri.

La vaghezza nei dettagli di alcune proposte, unitamente all’asprezza delle divergenze nazionali su tali questioni, rende velleitario, seppur lodevole in principio, lo slancio della Commissione. Le autorità locali e nazionali da un lato sono chiamate a individuare gli obiettivi che realisticamente hanno maggiori occasioni di successo, concentrando su di essi gli sforzi; dall’altro esse possono attivarsi, insieme alle altre istituzioni e alla società civile, per contribuire al dibattito su come conseguire risultati anche nelle materie dove maggiori sono le difficoltà.

La lettura del programma di lavoro della Commissione europea alla luce della difficile negoziazione sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 suggerisce come la promozione dei nuovi obiettivi (es:

clima, migrazione, sicurezza, digitale) passi necessariamente per una revisione delle politiche esistenti (politica di coesione e politica agricola, in primis). Gli obiettivi di lavoro, i finanziamenti e le novità legislative saranno strettamente legati gli uni agli altri; difficile sarà separare neutralità climatica, sviluppo tecnologico, formazione professionale, mobilità delle persone, finanza sostenibile, cooperazione allo sviluppo, politica estera, commercio internazionale, protezione dei diritti dei cittadini, salvaguardia dei territori (urbani e non urbani), protezione sociale e stato di diritto. Questo quadro richiederà da parte delle istituzioni nazionali e locali l’adozione di un approccio non “compartimentalizzato” alle politiche europee, associato a un modo diverso di intendere il bilancio pluriennale dell’Unione europea.

Le autorità locali sono chiamate a identificare e comprendere le ricadute locali di politiche apparentemente sovranazionali e nazionali, quali la transizione ambientale e digitale, la strategia industriale europea e la riforma del commercio internazionale. Questo permetterà di affrontare i rischi e le opportunità specifiche dei territori di piccole dimensioni e caratterizzati da imprese medio piccole, valorizzando quei fattori locali che aiutano a creare valore aggiunto e a garantire alto benessere e protezione sociale. Un ruolo particolare, nel dibattito e nell’implementazione delle politiche, può essere giocato dalle macroregioni transfrontaliere, come l’Euregio, che consentono a regioni relativamente omogenee di influenzare il corso delle negoziazioni europee e di conseguire risultati tangibili sia nel mercato unico sia nei mercati internazionali.

Un ruolo più assertivo dell’Ue nel mondo richiede prima di tutto una maggior unione di intenti tra gli Stati, un quadro normativo e istituzionale coerente ed efficace, e una condivisione profonda dei

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valori che ispirano l’azione europea del futuro. La Commissione europea identifica correttamente i principali problemi e propone obiettivi come la difesa dello stato di diritto, la tutela dei diritti dei cittadini, la riforma della governance economica. La Commissione spinge anche per una Conferenza sul futuro dell’Unione. L’Unione europea non può in effetti trovare il collante per rimanere insieme esclusivamente nella necessità di proteggersi da minacce esterne e nel tentativo di promuovere in modo più assertivo i propri interessi e la propria cultura all’estero. Progressi sul fronte istituzionale e nella governance, da un lato, e l’affermazione convinta da parte di tutti gli Stati membri di alcuni principi condivisi, dall’altro, rimangono elementi imprescindibili per assicurare un futuro all’Ue.

La crisi epidemiologica legata al Coronavirus avrà conseguenze economiche e sociali così grandi da costringere le istituzioni dell’Ue e i governi europei a prendere provvedimenti oggi non facilmente immaginabili. Questo non avrà solo un impatto dirompente sul programma di lavoro della Commissione nel 2020 e 2021. La misura in cui sarà possibile mettere in piedi una risposta unitaria e coordinata a questa sfida sarà determinante nel definire il futuro dell’Unione stessa, che non potrà essere quella che conosciamo ora.

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Premessa

In apertura, un ringraziamento alla Quinta Commissione permanente e alla sua Presidente, Alessia Ambrosi, per l’invito alla Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento a fornire delle osservazioni sul programma di lavoro della Commissione Europea per l’anno 2020, in particolare in relazione alla comunicazione COM (2020) 37 final. Nonostante i tempi stretti e le difficoltà connesse alla sospensione dell’attività didattica per l’emergenza Covid 19, la Scuola di Studi Internazionali coglie con favore la possibilità di iniziare un cammino di confronto e collaborazione con gli organi istituzionali della PAT, e in particolare con questa Commissione del Consiglio provinciale, sui temi dell’Europa e delle relazioni internazionali.

Questo documento intende fornire una chiave interpretativa delle priorità della Commissione europea nel contesto internazionale, illustrandone le potenzialità e i punti critici e presentandone sinteticamente alcune implicazioni per il territorio e per le politiche provinciali. La struttura del documento riflette queste finalità.

Si ritiene di dover distinguere il contributo di una struttura accademica come la Scuola di Studi Internazionali da quello di attori portatori di interessi specifici, non entrando così nel dettaglio di tutte le specifiche proposte normative della Commissione europea e fornendo invece una riflessione più generale sul rapporto tra azione esterna e implicazioni locali nel programma della Commissione europea.1 Per facilitare la lettura, i temi trattati in ciascun paragrafo sono evidenziati da alcune parole o frasi in grassetto, mentre le implicazioni per le autorità locali e nazionali, che questo documento propone all’attenzione della Quinta Commissione e del Consiglio Provinciale, sono sottolineate.

La crisi epidemiologica in corso avrà conseguenze economiche e sociali così gravi da costringere istituzioni dell’Ue e governi europei a prendere provvedimenti di grande portata che non rientrano nel programma in discussione e che potrebbero cambiare per sempre l’Unione europea. Esistono nell’Ue dei meccanismi e delle risorse che possono essere attivate per affrontare congiuntamente una crisi di epocali proporzioni. La misura in cui questo avverrà potrebbe determinare il futuro dell’Unione stessa, oltre che il programma di lavoro della Commissione europea. In questo documento questo scenario verrà discusso solo superficialmente, ma rimane una precisazione importante perché la diffusione dell’epidemia potrebbe modificare tutti i punti oggetto del programma e non solo la vita economica e sociale degli europei. Tutto è potenzialmente in gioco:

la sostenibilità delle finanze pubbliche, il commercio internazionale, la sicurezza, i flussi migratori, le relazioni con il continente africano, con i Paesi del Medio Oriente e con il Nord America. Forse anche l’Unione europea stessa per come la conosciamo.

1 Hanno collaborato alla stesura del documento numerosi docenti della Scuola di Studi Internazionali con competenze disciplinari e geografiche diverse: Pejman Abdolmohammadi (storia contemporanea), Antonino Alì (diritto internazionale), Luisa Antoniolli (diritto comparato), Luigi Bonatti (politica economica), Matteo Borzaga (diritto del lavoro), Andrea Fracasso (politica economica), Emanuele Massetti (scienza politica), Giuseppe Nesi (diritto internazionale), Sara Lorenzini (storia contemporanea), Marco Pertile (diritto internazionale), Louisa Parks (sociologia politica), Carlo Ruzza (sociologia politica), Jens Woelk (diritto comparato).

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Parte I. Una Commissione “geopolitica”

Il contesto internazionale e gli obiettivi del programma della Commissione

Il programma della Commissione europea si colloca in un contesto internazionale profondamente diverso da quello osservato nello scorso decennio. Si tratta di un quadro caratterizzato da una forte contrapposizione tra numerosi attori globali e regionali e da una elevata incertezza e volatilità, sia economica sia politica. Oltre alle crisi economiche e finanziarie iniziate nel 2008, hanno contribuito a determinare questa situazione diversi fattori nazionali e internazionali. Tra questi, il profondo cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con l’azione dell’Amministrazione Trump, la trasformazione del terrorismo internazionale di matrice islamica/jihadista che tende sempre più ad assumere una base territoriale e capacità operative, la crescente “aggressività” e competizione da parte di attori emergenti quali la Russia, la Cina, la Turchia e i Paesi dell’area medio- orientale, e la crescita demografica dei Paesi dell’Africa Subsahariana in un contesto di perdurante crisi economica e progressiva pressione migratoria.

In questo contesto si collocano numerosi conflitti armati (sia interni sia tra Stati) in aree limitrofe all’Unione, una sempre più accesa competizione tra gli Stati sul piano economico, tecnologico e commerciale, il crescente ricorso a sanzioni economiche unilaterali (anche con discutibili effetti extraterritoriali), e il duro confronto sull’estrazione e distribuzione di risorse energetiche nel Mediterraneo e nella regione confinante con l’Europa orientale. La progressiva destabilizzazione del Medio Oriente e della sponda meridionale del Mediterraneo ha reso i confini dell’Unione europea insicuri trasformando regioni che rappresentavano tradizionalmente un’area di cooperazione e di espansione economica in una “minaccia”. A fronte di queste crisi, che comportano dilemmi etici ed evidenti ripercussioni sulla vita quotidiana dei cittadini europei, gli Stati membri hanno spesso perseguito politiche divergenti ispirate all’interesse nazionale dei governi di turno così ostacolando, se non vanificando, le prospettive di un’azione europea coerente in politica estera.

La recente decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione costituisce un nuovo elemento di complessità e probabilmente di debolezza nella futura azione esterna delle istituzioni europee.

Nonostante la Commissione affermi pragmaticamente nel suo programma che il Regno Unito

“continuerà ad essere un partner, un alleato e un amico”, l’uscita dall’Unione di un Paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con una tradizione diplomatica di altissimo livello sembra indebolire il peso politico dell’Unione nelle relazioni internazionali. Le numerose divergenze di opinione emerse tra gli Stati europei sui principali dossier di politica estera portano a dubitare che Brexit favorisca di per sé l’adozione di una politica estera più coerente ed efficace.

Sembra invece verosimile che il Regno Unito possa perseguire una politica di alleanze asimmetriche con alcuni Paesi membri (i Paesi del gruppo di Visegrad e i Paesi baltici) in grado di disarticolare ulteriormente l’azione esterna dell’Unione.

Brexit costituisce un formidabile banco di prova per l'Unione europea; pur essendoci numerosi accordi con Stati terzi, nessuno ha caratteristiche simili a quello oggi in discussione con il Regno Unito, a causa della vicinanza storica e geografica, e della necessità di trovare nuovi equilibri che riescano a conciliare da un lato la ritrovata sovranità e indipendenza del Regno Unito, e dall'altro la

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garanzia per l'Europa che ci sia uno spazio aperto e non distorto. La proposta europea copre settori estremamente ampi, che vanno ben al di là degli aspetti economici, ricalcando le attuali competenze dell'UE. Resta da vedere quanto il Regno Unito sarà disposto a convergere sugli standard minimi fissati dall'UE. Presumibilmente, i tempi previsti per concludere il negoziato (fine 2020) risulteranno insufficienti, anche se non è chiaro se ci siano le condizioni per negoziare una proroga, vista la posizione rigida assunta dal governo inglese. Gli eventuali effetti distorsivi in mancanza di accordo (una specie di hard Brexit 2.0) o in caso di accordi parziali e/o asimmetrici potrebbero avere ripercussioni anche a livello locale, ad esempio sui flussi turistici, e più in generale sulla mobilità delle persone, e sulla vendita di beni aventi uno sbocco importante sul mercato inglese, in primis quelli alimentari.

Il programma di lavoro della Commissione per il 2020 mostra consapevolezza dell’enorme rilievo pratico di queste sfide globali e regionali. Nel presentare le linee di azione future come

“ambiziose”, la Commissione europea afferma infatti che verrà posta particolare enfasi sull’azione esterna in tutte le iniziative e le azioni proposte. Da questo la locuzione di Commissione

“geopolitica”. In questa luce vanno interpretati numerosi obiettivi strategici contenuti nella Comunicazione COM (2020) 37 final (Allegato I, nuove iniziative, obiettivi strategici: 9, 10, 11, 12, 14, 24, 25, 26, 27, 28, 30, 32, 33).

Una prima chiave interpretativa di queste azioni riguarda la creazione di una migliore capacità difensiva dell’Unione. La Commissione mira a valorizzare le grandi dimensioni dell’economia comunitaria e l’insieme delle competenze degli Stati dell’Unione per fronteggiare l’aggressività mostrata da diversi attori globali e regionali. Secondo la Commissione, l’Unione europea, per diventare più sicura, deve saper difendersi da attori che operano su scala globale nei campi della finanza, dell’industria, dell’energia, delle reti e dell’innovazione tecnologia. A prescindere dalla natura pubblica o privata, molti di questi attori perseguono obiettivi che minano o mettono a rischio gli interessi strategici dell’Unione. Questa azione difensiva riguarda, ad esempio, gli investimenti diretti esteri in imprese e settori strategici dell’Unione, la protezione della proprietà intellettuale e della tecnologia dell’Unione, la difesa dei diritti dei consumatori, la protezione dei dati dei cittadini, la sicurezza nell’approvvigionamento energetico, la competizione internazionale con imprese fortemente sovvenzionate dalle autorità di Paesi terzi.

Una seconda chiave interpretativa dell’orientamento geopolitico perseguito dalla Commissione europea riguarda il contributo dell’Unione alla riforma delle organizzazioni internazionali esistenti, specie quelle di natura economica ma non solo, al fine di realizzare una nuova forma di multilateralismo flessibile. In un contesto di evidente crisi delle istituzioni internazionali, la Commissione europea ritiene che l’approccio multilaterale alle relazioni internazionali debba essere preservato ma in parte rivisto. Il programma perseguito rivela un’evidente preferenza per un sistema che preservi molti aspetti dell’ordinamento liberale internazionale del dopoguerra e al contempo consenta di promuovere specifici interessi europei attraverso rapporti preferenziali con un numero ristretto di attori regionali e globali.

Nel campo del commercio internazionale, pur rimanendo fedele al sistema multilaterale basato sulle regole esistenti e con a capo l’Organizzazione mondiale del Commercio, la Commissione europea ha sviluppato negoziazioni bilaterali per stringere accordi profondi e comprensivi di liberalizzazione con Giappone, Canada e Corea, tra gli altri. Questi accordi hanno avuto un impatto positivo sulle imprese

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italiane e trentine, in particolare nei settori agricoli, alimentari e meccanici. Al contempo, però, hanno contribuito a rafforzare l’idea di una competizione a geometria variabile tra grandi attori globali e regionali, in cui si collocano anche le controversie commerciali con gli Stati Uniti che hanno rischiato di paralizzare gli stessi settori negli scambi con il Nord America.

Una terza chiave interpretativa degli obiettivi dell’Unione fa riferimento al ruolo che l’Unione europea può svolgere nella creazione e gestione dei beni pubblici globali (quali l’ambiente), nella promozione dello sviluppo dell’Africa e dei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, e nella definizione di standard globali in campo sia tecnologico sia sociale.

L’Unione europea gode da tempo di un ruolo leader nella definizione di standard per la tutela di diritti individuali e nella promozione di beni pubblici globali, quali l’ambiente, la protezione della privacy e dei dati, la salute. La Commissione europea intende continuare in questa direzione e per farlo propone di assumere un approccio ancor più proattivo, guidando gli altri partner mondiali verso l’adozione di prassi, norme e azioni più ambiziose. In questo quadro si inserisce anche il Green Deal europeo e la promozione delle nuove tecnologie. La dimensione geopolitica appare importante in entrambi i casi, visto che la Cina e gli Stati Uniti contribuiscono in modo diverso su questi temi.

Sul fronte ambientale, infatti, gli Stati Uniti hanno mostrato un certo disimpegno, mentre la Cina ha assunto un approccio più costruttivo seppur vincolato dalle esigenze di sviluppo del Paese. Sul piano tecnologico, invece, i Paesi europei e gli Stati Uniti sembrano allineati nello sviluppo e nell’impiego delle nuove tecnologie più avanzate, mentre la Cina viene rappresentata come un concorrente e un potenziale pericolo per le minori restrizioni a tutela dei diritti fondamentali.

Sul piano della politica estera propriamente detta, l’Unione europea manifesta una evidente debolezza nella realizzazione di azioni comuni e nell’adozione di decisioni condivise. Questo deriva dal ruolo ancora prevalente degli Stati membri in questo campo e dai numerosi conflitti di interesse tra Paesi europei. L’ambizione della Commissione europea è quindi totalmente giustificata dalla effettiva necessità di rafforzare il coordinamento degli Stati in numerosi ambiti, ma è soggetta (come verrà discusso nel prossimo paragrafo) a limitazioni talmente pesanti da rendere possibile un esito fallimentare della strategia e persino l’espansione delle fratture tra gruppi di Paesi in merito agli obiettivi stessi dell’Unione.

Rischi e limiti del programma “geopolitico” della Commissione europea

La strategia geopolitica delineata nel programma della Commissione europea comporta opportunità e rischi, i cui effetti potranno riverberarsi sul piano nazionale e locale. Questa consapevolezza dovrebbe informare le scelte politiche e le misure che le autorità, secondo le proprie competenze, dovranno adottare.

In termini generali, l’analisi degli obiettivi della Commissione europea rivela una corretta identificazione dei principali problemi emersi nel decennio precedente. È tuttavia lecito dubitare che i meccanismi decisionali delle istituzioni europee, e in particolar modo del Consiglio, consentiranno di attuare un programma politico realmente ambizioso. Non deve essere dimenticato infatti che a fronte dell’azione di proposta legislativa e di stimolo politico della Commissione, l’adozione di politiche europee “ambiziose” è stata spesso bloccata dal Consiglio dell’Unione,

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dove maggiormente si riflettono gli interessi divergenti tra gli Stati membri. L’ampia previsione di procedure di voto che prevedono il raggiungimento di una maggioranza qualificata o dell’unanimità rende infatti difficile l’adozione di politiche che si discostino troppo dal “minimo comun denominatore” degli interessi degli Stati membri.

Nel campo della politica estera e di sicurezza comune, in particolare, dove prevale il voto all’unanimità, l’azione dell’Unione europea è apparsa debole e lenta o addirittura assente in una serie di casi che spaziano dalle guerre civili in Siria, Libia e Ucraina, alla questione israelo-palestinese o, ancora, al rapporto con i Paesi dell’Africa subsahariana (Niger e Mali in primo luogo). L’assenza di un reale coordinamento europeo in politica estera ha portato all’emersione evidente di tensioni tra gli Stati membri che si sono confrontati con politiche talvolta completamente divergenti (in Libia e Ucraina principalmente). La lentezza nell’assunzione delle decisioni europee e le divisioni tra gli Stati membri nell’azione esterna hanno permesso ad altri attori (Russia, Turchia, Egitto, Paesi del Golfo), che interpretano in modo molto più assertivo l’uso o la minaccia dello strumento militare, di penetrare in aree di influenza dove tradizionalmente l’Unione europea svolgeva un ruolo preminente.

Da questo punto di vista, alcune affermazioni nel programma della Commissione europea, che si collocano nel solco del tradizionale ruolo dell’Unione come potenza normativa nelle relazioni internazionali, appaiono poco verosimili alla luce delle divisioni tra i membri e delle complessità dei meccanismi istituzionali. Ci fa riferimento in primo luogo alle affermazioni – politicamente cruciali – in merito all’opportunità di mettere la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile al centro delle politiche europee o “all'elaborazione di un piano d'azione per i diritti umani e la democrazia” concentrato “sul ruolo guida dell'UE nella definizione di norme in materia di diritti umani e nel rispetto del diritto umanitario”. Nei principali dossier di politica estera che li riguardano, gli Stati europei sembrano procedere individualmente, perseguendo i propri interessi nazionali, e le istituzioni europee sembrano sprovviste di una forte capacità di condizionamento. Un’azione comune a difesa dei diritti umani e del diritto umanitario che non assuma connotati meramente retorici sembra quindi in questo quadro istituzionale non facilmente realizzabile.

Un altro settore in cui la complessità dei meccanismi istituzionali e le divergenze politiche tra gli Stati membri hanno impedito all’Unione europea di adottare misure efficaci riguarda le politiche migratorie e di asilo. È di tutta evidenza, infatti, il fallimento dei meccanismi di ricollocazione dei richiedenti asilo ideati e proposti dalla Commissione precedente a fronte del rifiuto da parte di alcuni Stati di accettare in alcun modo la redistribuzione. La gestione della pressione migratoria sui Paesi del Mediterraneo si è tradotta in sostanza nel raggiungimento di accordi caso per caso senza una politica europea coerente. I tentativi di riformare il regolamento di Dublino III rivedendo il principio del Paese di primo ingresso – che nelle circostanze attuali pone un peso spropositato sui Paesi del Sud – si sono finora rivelati del tutto infruttuosi. Alla luce di questi precedenti, in assenza di cambiamenti sostanziali negli orientamenti politici degli Stati membri, non sembrano sussistere elementi per ritenere che il “nuovo patto sulla migrazione e l’asilo” proposto dalla Commissione entrante abbia maggiori prospettive di successo. Sotto questo profilo, pur scontando l’ovvia generalità di un testo programmatico, il documento in oggetto appare particolarmente vago. Non è dato comprendere, infatti, in che modo, nel contesto politico e istituzionale attuale, la Commissione potrà elaborare “un sistema più resiliente, più umano e più efficace in materia di migrazione e asilo”

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che metta le società europee al riparo da crescenti e preoccupanti forme di estremismo e dalla violenza xenofoba/razzista.

Questo stato delle cose limita di certo l’efficacia dell’azione della Commissione soprattutto per quanto concerne la politica estera e di migrazione, ma impatta anche sul altre importanti questioni, quali la definizione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e la promozione di una politica industriale europea che non leda la tutela della concorrenza tra le imprese europee che operano nel mercato unico. Per quanto riguarda il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, le proposte della Commissione europea e del Parlamento, che propongono un ampliamento del bilancio dell’Ue allo scopo di finanziare le nuove priorità (es: difesa, sicurezza, migrazione, ambiente), si scontrano con molti dei Paesi in Consiglio (Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, che si definiscono “frugali”) che ritengono non opportuno che il bilancio dell’Ue superi l’1% del reddito nazionale lordo complessivo. Le differenze sono in verità relativamente contenute e quindi la valenza dello scontro è principalmente di natura politica. L’effetto congiunto di un bilancio che non cresce (anzi, che si riduce per l’uscita del Regno Unito) e di un programma della Commissione che si espande in nuovi settori è la potenziale contrazione delle voci di bilancio tradizionali, ovvero la politica di coesione e la politica agricola, e l’impossibilità di creare una capacità di spesa autonoma dell’Ue per sostenere la domanda aggregata dell’Unione in caso di shock comuni. Il compromesso possibile è quello di un bilancio relativamente contenuto e di una sovrapposizione degli obiettivi; ad esempio, una quota rilevante dei fondi destinati alla politica agricola dovrà essere diretta ad azioni utili al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal. In questo modo, l’Unione riuscirebbe a costruire una narrativa, e a catalizzare investimenti privati e nazionali, intorno ai nuovi obiettivi, senza di fatto finanziarli con risorse aggiuntive. Questo ha una conseguenza importante, ripresa nel proseguo più volte, sul modo in cui le autorità nazionali e locali dovranno approcciarsi alle politiche europee per valorizzare le opportunità: l’approccio non potrà essere compartimentalizzato, ma trasversale e ciò imporrà un coordinamento stretto tra Dipartimenti e Assessorati diversi. Per quanto attiene alla strategia industriale europea che mira alla creazione di imprese capaci di confrontarsi con i colossi di altri continenti, essa comporterà una revisione della politica di concorrenza che consenta la nascita di imprese di grandi dimensioni, sia nazionali sia transnazionali. Dato che la Commissione europea dovrà opporre minor resistenza di fronte a imprese in posizione dominante, la nuova politica andrà a intaccare la concorrenza nel mercato unico e, viste le marcate differenze di struttura industriale nei vari Paesi europei, non è difficile prevedere effetti territorialmente molto diversi dell’applicazione della nuova politica.

Il ritorno dell’approccio intergovernativo, a scapito del Parlamento europeo e della Commissione europea, è stato certamente rafforzato da carenze nell’impianto istituzionale che andrebbero risolte. Gli interessi divergenti tra gli Stati membri rendono sempre più difficile la revisione dei meccanismi di funzionamento dell’Unione e, di conseguenza, l’adozione e l’implementazione di azioni coerenti con il programma di lavoro della Commissione europea. Questi conflitti hanno alimentato incomprensioni anche in ambiti fondamentali dell’Unione, come lo stato di diritto, i diritti fondamentali, e la democrazia. Per questo la Commissione ha giustamente introdotto nel suo programma azioni volte alla tutela e alla promozione di questi cardini del sistema europeo, come si evince dagli obiettivi strategici contenuti nella Comunicazione COM (2020) 37 final (Allegato I, nuove iniziative. Obiettivi strategici: 38, 40, 41). Ecco quindi evidente il paradosso della Commissione

“geopolitica”. Da un lato, l’ambizione del programma della Commissione riflette l’effettiva necessità

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dell’UE di rispondere in modo unitario alle crescenti pressioni e sfide internazionali. Dall’altro, l’ambizione del programma rischia di rendere ancora più evidenti le fratture tra gruppi di Paesi proprio in merito agli obiettivi dell’Unione.

È importante sottolineare come, nel perseguire i propri obiettivi (geopolitici e non), la Commissione non affronti con chiarezza il problema della legittimità. Qualche attenzione viene in effetti riservata alla componente dell’output legitimacy (es: economia al servizio delle persone), ma non sembrano esservi proposte chiare per quanto riguarda l’input legitimacy, alla base della sopravvivenza dell’Unione stessa. La retrocessione della questione democratica come ultimo punto in agenda è in linea con la tradizionale pratica politica della Ue, sebbene cozzi con la sua retorica. Non vi è riferimento al fatto che alcune regole dell’Ue costituiscono degli ostacoli al dispiegamento del processo democratico, come denunciato anche dall’ Ombudsman europeo (ad esempio sul Trilogo).

Preoccupano, inoltre, alcune proposte che ricalcano propositi censori quali l’ obiettivo di

“contrastare la disinformazione e adattarsi all'evoluzione delle minacce e delle manipolazioni, oltre a sostenere mezzi d'informazione liberi e indipendenti.” La forza di un regime democratico si basa sulla capacità di far emergere e incanalare le esigenze della popolazione nel processo decisionale.

Nonostante siano reali i rischi alla sicurezza connessi all’uso manipolatorio dell’informazione da parte di soggetti interni ed esteri, appare piuttosto problematico l’obiettivo di silenziare informazioni, racconti, narrazioni o propaganda politica che vengano percepite come

‘disinformazione’, ‘minaccia’ o ‘manipolazione’ da chi si trova (temporaneamente) al potere: queste pratiche non dovrebbero far parte dell’armamentario democratico in tempi di pace. La questione è particolarmente delicata alla luce della proposta di attivare una conferenza sul futuro dell’Europa (obiettivo 39). La retorica dell’inclusività e dell’ascolto rischierebbe di rivelarsi un boomerang nel momento in cui la Ue si lanciasse in iniziative censorie e illiberali proprio in questa fase.

Cogliere le opportunità nel programma della Commissione europea

Nonostante i rischi e le riserve evidenziati nel paragrafo precedente, il programma della Commissione europea contiene numerosi spunti per la riflessione da cui trarre suggerimenti per le autorità locali e nazionali, tra cui la Quinta Commissione e il Consiglio Provinciale.

Il Green deal rappresenta un esempio virtuoso, almeno sulla carta, del tentativo della Commissione europea di legare maggiormente le varie priorità e le azioni dell’Unione europea. La conversione dell’economia necessaria per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 può infatti rappresentare anche uno strumento di promozione della crescita aggregata e locale. La Commissione propone che il processo di conversione ecologica e digitale venga messo in stretta relazione sia con le azioni per superare l’arretratezza o la scarsa crescita in alcune regioni dell’UE (che sono parte della politica di coesione e della politica di sviluppo rurale), sia con le misure che favoriscano l’inclusione e la giustizia sociale.

Questo piano di lavoro comporta implicitamente l’adozione di un approccio meno

“compartimentalizzato” alle politiche europee e un diverso modo di intendere il bilancio pluriennale dell’Unione, di cui si è detto. Al di là di etichette che verranno attribuite alle vecchie e alle nuovi voci del Quadro finanziario per il prossimo settennato, appare chiaro come la Commissione e il Parlamento Europeo intendano promuovere nuove azioni e re-indirizzare azioni esistenti per mettere in più stretta relazione temi vecchi e nuovi: neutralità climatica, sviluppo

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tecnologico, formazione professionale, mobilità delle persone, finanza sostenibile e salvaguardia dei territori non urbani. Parte delle politiche “tradizionalmente” sarà così indirizzata a raggiungere obiettivi trasversali e nuovi obiettivi.

Questo richiederà alle autorità nazionali e locali la capacità di interpretare prontamente le opportunità offerte nell’ambito di strumenti finanziari e politiche diverse, senza compartimentalizzazione: l’approccio dovrà essere trasversale con un coordinamento stretto tra Dipartimenti e Assessorati della PAT. Per rendere questa raccomandazione concreta, si consideri come esempio l’obiettivo di valorizzare un territorio vocato ad attività agricole di pregio, un obiettivo tipico di regioni come il Trentino. Per conseguire tale risultato potrebbe essere utile fare ricorso ai progressi tecnologici legati all’adozione delle tecnologie blockchain, utili a tracciare in modo trasparente e certificato il percorso dei prodotti lungo la filiera alimentare. L’adozione di tecnologie avanzate come la blockchain necessita sia di investimenti in beni capitali, e quindi di sostegno finanziario alle imprese di piccole dimensioni, sia di spesa per la formazione del personale e del management. La difficoltà a valorizzare un marchio “Trentino” in Europa e nel mondo rende inoltre utile pensare ad azioni congiunte in ambito Euregio. Ecco quindi che la promozione della produzione agricola del territorio, l’adozione diffusa di innovazioni tecnologiche, l’aggiornamento delle competenze del mondo del lavoro, l’integrazione macroregionale e l’introduzione nel sistema finanziario di elementi che favoriscano la sostenibilità ambientale non sono obiettivi distinti in compartimenti separati, come potrebbe invece apparire dalla schematica presentazione nel programma della Commissione europea di 43 punti-obiettivi.

Nel tentativo di esemplificare ulteriormente l’interconnessione esistente tra obiettivi del programma della Commissione europea e tra le misure che possono essere attuate per conseguirli, l’esempio può essere spinto anche oltre. La tracciabilità dei prodotti agro-alimentari, infatti, può consentire di sfruttare al massimo il fatto che una data origine (aziendale o territoriale) è percepita dai consumatori come di particolare valore, estraendo valore aggiunto da distribuire a imprese e lavoratori. Ecco quindi che anche la promozione di pratiche agricole sostenibili, la valorizzazione della conoscenza locale, e la creazione di brand aziendali o territoriali che generano valore diventano parte della strategia di valorizzazione della produzione agricola del territorio. Questo esempio mostra chiaramente come il pacchetto di misure previste nel Green Deal tocchi e si sovrapponga a politiche che rientrano in altre aree di intervento (e che quindi corrispondono a plurime fonti di co-finanziamento europeo) come lo sviluppo rurale (pilastro della politica agricola comune), l’educazione al consumo sostenibile, la tutela della biodiversità, la ricerca scientifica applicata, la tutela dei consumatori, ecc. Un esempio forse semplice questo, ma rappresentativo per il Trentino, di come sarà importante che la PAT coordini strettamente le linee di intervento nei diversi ambiti in cui esse incontrano il programma della Commissione europea: sviluppo rurale, accesso alla finanza, finanza sostenibile, progresso tecnologico e digitale, sostenibilità nell’agricoltura, decarbonizzazione dell’energia, rispetto della biodiversità, economia circolare, adeguamento della competenze, inclusione sociale, consumo critico, ecc.

Un secondo elemento su cui vale la pena soffermarsi sono le ricadute locali di politiche che a prima vista potrebbero apparire importanti soltanto a livello nazionale o sovranazionale. La consapevolezza degli effetti indiretti di alcuni cambiamenti in essere, infatti, deve informare le scelte politiche e le misure che le varie autorità, secondo le proprie competenze, dovranno adottare.

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Un esempio concreto di questo riguarda la realizzazione di una nuova strategia industriale per l’Europa (Obiettivo 14 e Iniziative REFIT 24,25) che quasi certamente si accompagnerà a una non trascurabile revisione della politica di concorrenza. Questa revisione, fortemente voluta da molti Stati membri, viene considerata inevitabile per favorire la nascita di imprese di grandi dimensioni, capaci di competere alla pari sui mercati globali con concorrenti americani e asiatici, secondo quanto stabilito nella visione “geopolitica” della Commissione europea. La revisione della politica di concorrenza andrà, in alcuni casi, a intaccare la libera concorrenza nel mercato unico europeo perché la Commissione europea dovrà opporre minor resistenza alla creazione di imprese in posizione dominante. Questo scenario deve essere considerato con anticipo dalle autorità trentine.

Territori caratterizzati da imprese di piccole e medie dimensioni, come il Trentino, corrono il rischio di non poter sfruttare al meglio questo (in parte discutibile) orientamento. Anzi, potrebbero persino soffrire dell’accresciuta competitività dei campioni nazionali e comunitari che si formeranno in futuro grazie a questo cambiamento. Questa considerazione riguarda anche la promozione di una maggiore integrazione delle imprese trentine nelle catene del valore europee e globali. La necessità di “agganciare” altre imprese lungo la filiera (e non consumatori finali) rende auspicabile la promozione a livello territoriale più riconoscibile, ad esempio nella macroregione dell’Euregio; un territorio dove esiste già una rete e le competenze dei territori e delle imprese sono complementari.

Questa osservazione rende opportuno per le autorità locali valutare, ove possibile, come incentivare la crescita di attività imprenditoriali a livello macro-regionale e transnazionale, sviluppando quindi una riflessione sul ruolo che l’Euregio potrebbe giocare anche in chiave industriale. Le difficoltà connesse all’applicazione di divieti settoriali al transito di mezzi su gomma in Tirolo mostrano l’esistenza di serie difficoltà in questa direzione. Difficoltà che fanno apparire il tentativo della Commissione europea di riesaminare il regolamento sul commercio elettronico transfrontaliero (Iniziativa REFIT: 21) velleitarie se contemporanee a ritorni delle restrizioni alla mobilità fisica dei vettori nello spazio Schengen.

Una riflessione analoga può essere elaborata per la proposta di riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Obiettivo 30) e per la proposta di scrivere un libro bianco su uno strumento relativo alle sovvenzioni estere (Obiettivo 14). Entrambi questi obiettivi della Commissione europea sono diretti a rafforzare la regolamentazione che consente alle imprese occidentali di difendersi dalla competizione delle imprese straniere che godono di aiuti pubblici (diretti e indiretti) nei loro Paesi, spesso anche per perseguire obiettivi non strettamente economici.

Questi strumenti difensivi richiederanno capacità di attivazione da parte delle imprese negativamente colpite dalla concorrenza sleale di imprese non-Ue. Appare quindi opportuno che la PAT sviluppi una riflessione su quale possa essere il ruolo della Provincia autonoma, della Regione TAA e dell’Euregio, sia nelle fasi di negoziazione di queste importanti riforme, sia nella costituzione di forme di coordinamento che permettano di sfruttare opportunità cui è più facile accedere da parte di territori e di imprese di più grandi dimensioni.

Queste riflessioni e questi esempi rimandano a un tema molto più ampio, ovvero il tema del regionalismo europeo. Questo verrà ripreso nella seconda parte del documento con indicazioni su aspetti specifici e riflessioni sul contributo che le regioni e le macroregioni transfrontaliere, così come anche la società civile, possono dare nell’attuazione del programma della Commissione

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europea in questa fase di trasformazione dell’assetto dell’Ue; in quanto segue, invece, verranno proposte delle considerazioni di carattere più istituzionale e generale.

Sebbene l’ultima ‘legislatura’ europea (2014-2019) abbia visto due chiari tentativi di secessione all’interno di Stati membri – da parte della Scozia con il referendum concordato con il governo del Regno Unito del settembre 2014 e della Catalogna con il referendum (organizzato contro la volontà del governo centrale spagnolo) e la successiva dichiarazione unilaterale d’indipendenza dell’ottobre 2017 – non privi di risvolti drammatici e preoccupanti, il programma presentato dalla Commissione europea non cita il problema di una maggiore inclusione delle regioni nel processo decisionale e, tantomeno, il rischio secessione in alcune regioni della Ue. Eppure, i due casi sopra citati sono soltanto i più eclatanti di una lunga serie. Va infatti ricordato che i nazionalisti baschi si resero protagonisti di un tentativo di ‘secessione morbida’ già nel periodo 2003-2005 e che nelle imminenti elezioni regionali (aprile 2020) le forze favorevoli al diritto all’autodeterminazione potrebbero sfiorare il 70% dei consensi. C’è poi da considerare il caso delle Fiandre, i cui partiti secessionisti - Nuova Alleanza Fiamminga (NVA) e Interesse Fiammingo (VB) - sono diventati i più forti non solo nel parlamento fiammingo ma anche in quello federale del Belgio, con l’NVA al governo nazionale dal 2014 al 2018. E non può certo passare inosservata la prima vittoria delle forze nazionaliste e secessioniste nella storia della Corsica nelle elezioni regionali del 2017. Se parte delle popolazioni che si percepiscono nazioni di minoranza (o senza stato) adotta una convinta posizione secessionista di principio, alcuni fattori, anche ricadenti tra le prerogative della Ue, hanno certamente contribuito ad acuire le crisi. Tra questi, gli effetti collaterali della crisi economica e delle politiche di austerità, contro le quali la mobilitazione popolare nelle regioni caratterizzate dalla presenza di identità nazionali di minoranza si manifesta più facilmente nella richiesta di exit (dallo stato-nazione), piuttosto che nella richiesta di voice (nello stato nazione). Questa osservazione suggerisce come la revisione della governance economica europea (obiettivo 19 della Commissione) possa influire indirettamente anche sulle posizioni indipendentiste, a riprova della forte relazione trasversale (a volte implicita) tra i vari obiettivi del programma di lavoro della Commissione europea.

Una parte rilevante del problema si annida anche all’interno dell’architettura costituzionale della Ue. E’ infatti risaputo che il ruolo marginale del Comitato delle Regioni, in congiunzione con il tradizionale carattere intergovernativo della Ue e con il limitatissimo accesso al Consiglio della Ue da parte delle regioni, spinge le forze politiche che si fanno rappresentanti di minoranze nazionali verso il secessionismo perché solo se fossero indipendenti, cioè Stati membri, avrebbero l’influenza nelle istituzioni che altri Stati, nonostante siano più piccoli in termini economici e demografici, hanno già. Eppure, né il documento del programma della Commissione europea, né il documento sulla Conferenza sul Futuro dell’Europa (sempre della Commissione - obiettivo 39) paventa riforme che riguardino il ruolo delle regioni nel sistema istituzionale della Ue. Tra l’altro, questo aspetto interesserebbe tutte le amministrazioni regionali e non solo quelle caratterizzate da spinte secessioniste. Le modalità della Conferenza dovrebbero permettere alle regioni e alle macroregioni transnazionali di far sentire la propria voce in un dialogo prolungato e inclusivo con cittadini, imprese, associazioni, enti ed istituzioni di tutti i livelli di governo. Come discusso in precedenza, però, le possibilità effettive che un Consiglio popolato da molti Stati di cultura fortemente centralistica accetti una riforma che riconosca alle regioni un ruolo di policy making a livello europeo sono abbastanza remote. Sarebbe quindi opportuno che le istituzioni regionali, e la PAT tra esse, fossero pronte a sfruttare e, possibilmente, potenziare i canali attuali presso le istituzioni di

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Bruxelles: uffici di rappresentanza a Bruxelles, contatti regolari con parlamentari europei, scrutinio consiliare delle leggi europee, partecipazioni in progetti regionali transfrontalieri (Euregio) e - tramite lo stato - la conferenza stato-regioni ed i contatti con i parlamentari nazionali.

Invero, l’enfasi posta da questo documento sul (macro)regionalismo transnazionale non trova corrispondenza nel programma della Commissione europea. Ciò è strano perché, da decenni ormai, questo fenomeno è realtà e gli strumenti del diritto UE, come ad esempio il GECT, permettono una cooperazione intensa in tanti settori. Per una piccola realtà autonoma, con degli interessi specifici, distinti da tante altre regioni, la presenza in diversi fora a livello europeo è essenziale per la rappresentanza di interessi specifici (che potrebbero facilmente risultare posizioni di minoranza all’interno del contesto nazionale). Presso il Comitato delle Regioni è stata notificata la costituzione di 74 GECT ai sensi del regolamento (CE) n. 1082/2006 (modificato nel 2013)2; la cooperazione transfrontaliera e interregionale è quindi da considerare, oltre ad una opportunità in quanto apre una nuova dimensione aggiuntiva, anche e soprattutto una normalità in tutta l’Europa. Pertanto si dovrebbe continuare a utilizzare e sviluppare ulteriormente le buone basi della collaborazione euroregionale nell’ambito del GECT Tirolo-Alto Adige/Südtirol-Trentino. Questo progetto è stato caratterizzato fin dalla sua istituzione da un forte sostegno da parte delle realtà politiche delle tre entità territoriali, portando perfino, in alcuni casi, a un’azione politica congiunta nei confronti dei governi nazionali. Per poter adempiere a tale ruolo sembra determinante una forte rappresentanza a Bruxelles per ottenere delle informazioni, aver accesso diretto alle istituzioni dell’UE e fare rete con altre regioni europee. Inoltre, appare necessario, per rafforzare l’efficacia della collaborazione transfrontaliera, intensificare i contatti e rapporti fra uffici equivalenti nelle amministrazioni delle tre entità, ad esempio attraverso un delegato per i rapporti euroregionali in ogni ramo tematico dell’amministrazione come punto di contatto e primo interlocutore per richieste e iniziative.

2 https://portal.cor.europa.eu/egtc/CoRActivities/Pages/Register/IT.aspx

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Parte II. Osservazioni su alcuni selezionati obiettivi del programma della Commissione europea

“Un Green Deal europeo”

Il Green Deal europeo riflette l'ambizione di lunga data dell'Ue di essere riconosciuta come leader nelle questioni ambientali sulla scena globale. Come in altri ambiti discussi in questo documento e presenti nel programma di lavoro (es. digitale, diritti), l’Ue cerca di essere leader soprattutto nella regolamentazione. In ambito ambientale, invece, la Commissione europea ha proposto di reindirizzare azioni e specifiche risorse, promuovendo un cambiamento dell’economia finalizzato al raggiungimento di obiettivi di interesse globale e caratterizzato da una transizione inclusiva, giusta e non penalizzante in termini di competitività.

Si è già detto nella Parte I di questo documento delle opportunità economiche connesse al Green Deal e della necessità per le autorità nazionali e locali di adottare un approccio non compartimentalizzato alle politiche europee, al fine di coniugare gli obiettivi ambientali (economia circolare, biodiversità, ecc.) con altri obiettivi economici (innovazione, inclusione, sviluppo del territorio non urbano, qualità della vita, ecc.), e così da poter accedere a fonti diverse di risorse.

Il programma di lavoro della Commissione europea per il Green deal contiene opportunità diversificate a livello locale e la PAT è già per molti versi in sintonia con l'approccio dichiarato dalla Commissione europea. La progettazione locale è in linea con l'Agenda 2030 e gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile sono contenuti anche nei documenti programmatici della PAT. La Provincia, di recente, sta organizzando una serie di assemblee per i cittadini, nel tentativo di coinvolgere le parti interessate su Agenda 2030.

Il Green Deal europeo pone il tema dell'adattamento al centro e fornisce varie fonti di potenziale supporto. Questo è un aspetto importante, dato che molti degli effetti dei cambiamenti climatici sono visti e sperimentati a livello locale, e sono proprio gli attori locali a sviluppare per primi delle risposte innovative alla necessità di adattamento (e mitigazione). In tale ottica, per orientare la programmazione della Provincia nel medio termine, appare importante comprendere con chiarezza come i fondi, compresi quelli legati alla proposta riforma della politica agricola comune ("from farm to fork") e al Fondo per una Transizione Giusta (Just Transition Fund), saranno diretti a sostenere le risposte di adattamento locale. In particolare, spesso le procedure di finanziamento dell'UE tendono a creare opportunità per i “soliti sospetti” (attori locali ben organizzati e più grandi, tra cui ONG, gruppi della società civile e attori del settore), mentre le sfide poste dai cambiamenti climatici possono essere affrontate con efficienza e creatività anche da attori più piccoli, come fanno per esempio i piccoli agricoltori con approcci di vecchia data. Le nuove opportunità di finanziamento consentiranno a tali idee di prosperare? È quindi importante avviare una riflessione partecipata su come la PAT possa favorire iniziative diversificate che valorizzino i nuovi orientamenti del bilancio pluriennale e il Green Deal, da un lato, e anche le conoscenze e le iniziative locali, specie per quanto attiene alle attività di montagna.

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Al centro del Green Deal europeo, e di altre proposte normative, vi è l'obiettivo di far diventare l’Ue carbon neutral entro il 2050. Come esattamente questo obiettivo verrà raggiunto è di grande interesse per i governi regionali e locali. Regolamentazione, sistemi basati su meccanismi di mercato (come l’ETS) e revisione della classificazione “green” dei prodotti finanziari sono possibili strumenti, dagli effetti diversi. Nel settore dei trasporti sarà per esempio essenziale capire in anticipo come l’impegno alla decarbonizzazione possa ispirare nuovi approcci anche nei settori connessi, come il turismo, l’industria e l'agricoltura. Lo stesso dicasi per la generazione e l’uso di energia da fonti rinnovabili, in particolare considerando gli usi alternativi di un bene prezioso come l’acqua.

L’amministrazione provinciale può accompagnare questo processo di decarbonizzazione in modi diversi, dall’incentivazione delle imprese al sostegno alla ricerca, da linee di indirizzo alle società collegate alla moral suasion nei confronti degli operatori economici di più grandi dimensioni, dall’uso degli appalti pubblici alla promozione dell’innovazione tecnologica, dall’attrazione di imprese leader alla conversione di imprese del territorio.

Il Fondo per una Transizione Giusta pone l’enfasi sulla necessità che "nessuno rimanga indietro"

mentre l'Ue si sposta verso la neutralità climatica. Questa preoccupazione è coerente con gli obiettivi sociali ed economici della Commissione (si rimanda ai paragrafi corrispondenti) e mostra ancora una volta come le azioni dirette a diversi obiettivi debbano essere strettamente coordinate per produrre risultati tangibili. Le informazioni finora disponibili sul Green Deal si focalizzano principalmente sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sul supporto da dare agli attori che si adattano per aderire meglio al modello di economia circolare. Anche questo aspetto è di particolare interesse per le imprese del Trentino, e quindi per l’Amministrazione.

Molti aspetti dei cambiamenti climatici e della transizione richiedono di essere affrontati a livello nazionale e comunitario, anche quando ciò non è esplicitamente trattato nel programma di lavoro della Commissione. Il Green Deal, per esempio, non affronta le sfide globali che discenderanno dai cambiamenti climatici globali, come per esempio l’immigrazione. Questo, in linea teorica, avrebbe potuto rientrare nell’approccio geopolitico della Commissione, di cui si è dato conto. È possibile che la Commissione non abbia inteso diluire il consenso sul pacchetto “verde” con riferimenti a un tema controverso come l’immigrazione; non è altresì escluso che nel medio termine questi temi non vengano correlati più direttamente. Qualora le ondate migratorie non fossero causate da sconvolgimenti politici e militari, ma piuttosto da fattori climatici, non è possibile escludere che l’impegno della Commissione europea possa espandersi per conciliare quei due nuovi obiettivi della sua agenda. Una eventualità da identificare in tempo anche a livello locale.

“Un’Europa pronta nell’era digitale”

Sul fronte dell’”agenda digitale”, la Commissione europea è pronta a giocare un ruolo con l’introduzione e in alcuni casi con la modifica della vigente normativa Ue in materia. Nel passato si è intervenuti con azioni nel quadro delle politiche settoriali e orizzontali (politica industriale, di concorrenza, politica commerciale, reti trans-europee RTE; ricerca e sviluppo tecnologico e spazio;

ravvicinamento delle legislazioni per migliorare l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno; libera circolazione delle merci, libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali;

istruzione, formazione professionale, gioventù e sport; cultura). Secondo il documento programmatico della Commissione europea, infatti, verranno adottati una strategia e un piano

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d’azione nel campo digitale a partire rispettivamente nel primo trimestre e nel secondo trimestre del 2020.

Prosegue l’attenzione della Commissione europea verso il campo della cybersecurity con la revisione della direttiva delle reti e dei sistemi informativi (la cd. direttiva NIS). Una particolare attenzione è rivolta all'alfabetizzazione digitale attraverso un piano d'azione aggiornato per l'istruzione digitale. Inoltre, verrà adottata una comunicazione sul futuro della ricerca e dell'innovazione e lo Spazio europeo della ricerca. Questi settori sono particolarmente importanti per la PAT in considerazione dell’attenzione della Provincia per le tematiche dell’innovazione, della ricerca e dell’istruzione.

Nel settore dell’intelligenza artificiale (IA), la Commissione europea nel 2018 ha presentato una strategia e ha concordato un piano coordinato con gli Stati membri. Nell’aprile 2019 sono stati presentati degli orientamenti etici per un’intelligenza artificiale affidabile basato sul quadro per l’intelligenza artificiale del 19 febbraio 2020. La questione principale è come accelerare la diffusione dell'IA nel settore industriale. Negli orientamenti politici della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen si sottolinea la necessità di un dibattito su un’intelligenza artificiale antropocentrica ed etica e sull'uso dei big data per la creazione di ricchezza a favore di società e imprese. Da rilevare come meno di un quinto delle grandi aziende europee usi strumenti di intelligenza artificiale su vasta scala. I maggiori produttori sono infatti americani e cinesi (85% delle domande di brevetto, 4 aziende americane rappresentano un quarto di tutto il mercato). La dipendenza da questi Stati genera problemi di ordine vario e principalmente di ordine geopolitico ed economico e di sicurezza in senso ampio. In questo senso, quindi, anche l’agenda digitale rientra nell’approccio geopolitico della Commissione europea.

Il successo dell’IA dipende in gran parte, oltre che da competenze e da infrastrutture digitali, dall’accesso ai dati. Le imprese possono sviluppare algoritmi di apprendimento efficaci solo in presenza dei suddetti dati. L’Ue intende favorire la creazione di un mercato unico dei dati (non personali) per lo sviluppo della tecnologia ai livelli extra-europei e ha adottato un regolamento sulla libera circolazione dei dati non personali applicabile dal 28 maggio 2019, proprio con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei dati non personali negli Stati membri e nei sistemi informatici in Europa. Il programma della Commissione europea sui dati e sull’IA è sicuramente ambizioso, ma formulato in maniera eccessivamente sintetica. Il gap con gli Stati Uniti e la Cina è enorme e diventare leader in questo settore richiede degli sforzi non indifferenti che non sembrano supportati da politiche particolarmente innovative. In altri termini, alla regolamentazione (la disciplina dell’IA e dei suoi aspetti etici) di cui l’Ue è leader a livello mondiale, non corrisponde un’egual forza nel campo della ricerca e della politica industriale. La nuova strategia in materia di dati dovrebbe favorire un approccio finalizzato all’accrescimento di valore dei dati non personali. La Commissione, inoltre, si è posta come obiettivo l’analisi (con un Libro bianco) degli effetti distorsivi sulla concorrenza di aiuti e sovvenzioni da parte di Stati non Ue. Anche in questo caso emerge chiaramente lo stretto collegamento tra obiettivi diversi del programma (es. la difesa da minacce esterne, la promozione delle tecnologie, la protezione delle imprese europee), nonostante l’apparente separazione dei vari capitoli nella Comunicazione della Commissione europea.

Infine, un settore particolare in cui la Commissione europea intende intervenire è quello relativo alla finanza digitale. Sono in programma un piano d'azione sulla tecnologia finanziaria, compresa

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una strategia per un mercato UE dei pagamenti integrato, una proposta concernente le criptoattività. Inoltre, è prevista una normativa sui servizi finanziari intersettoriali riguardo alla resilienza operativa e alla ciber-resilienza.

Sulla maggior parte di queste materie la PAT non ha competenza diretta. Tuttavia, come accennato in precedenza, può contribuire all’istruzione digitale e alla formazione delle persone e dei lavoratori, e può favorire (tramite incentivi e appositi requisiti negli appalti pubblici) gli sforzi delle imprese che intendono adottare tecnologia innovativa in modo più sicuro. A differenza di altri ambiti discussi in questo documento, la dimensione dell’Euroregio non appare sufficientemente grande da permettere a misure transfrontaliere macroregionali di dare vita a giganti tecnologici capaci di competere con aziende americane e asiatiche. Diversa la conclusione per quanto riguarda settori di nicchia o applicazioni avanzate, sfruttando anche le competenze presenti nel territorio dell’Università di Trento, della Fondazione Bruno Kessler, dei centri di ricerca e delle imprese più avanti in questo settore.

“Un’economia al servizio delle persone”

Già nel suo discorso di insediamento la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato di voler realizzare il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, solennemente proclamato a novembre 2017, proprio al fine di rilanciare una delle politiche dell’Unione europea più colpite dalla crisi economico-finanziaria. Se è vero, infatti, che soprattutto tra la fine degli anni Ottanta del secolo scorso e l’inizio degli anni Duemila l’Ue si è vista riconoscere, attraverso diverse modifiche al Trattato di Roma del 1957, un novero sempre più ampio di competenze legislative in materia, è altrettanto vero che negli ultimi anni tali competenze sono state poco o per nulla esercitate, come dimostra lo scarsissimo numero di direttive adottate.

Di qui, per l’appunto, la proclamazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che peraltro presenta tutta una serie di criticità che sembrano riemergere anche nel nuovo programma di lavoro della Commissione europea (obiettivo 18). Si tratta, in effetti, di uno strumento normativo con il quale si tenta di rafforzare la posizione di lavoratrici e lavoratori soprattutto sul versante della sicurezza sociale e che, tuttavia, avendo natura non vincolante (soft law) non è in grado di incidere in alcun modo sulla struttura delle competenze legislative dell’Ue in materia sociale (stabilite dagli art. 153 ss. del TFUE). Ai sensi di tali previsioni, vi sono materie sulle quali l’Ue medesima può intervenire secondo la procedura legislativa ordinaria (a maggioranza qualificata), come ad esempio quella relative alle “condizioni di lavoro”, materie sulle quali può intervenire secondo la procedura legislativa speciale (all’unanimità), come ad esempio quella relativa alla “sicurezza sociale e protezione sociale”, e materie in ordine alle quali la sua competenza è del tutto esclusa, come ad esempio quella retributiva. In questo quadro, e facendo qui riferimento al tema sul quale il Pilastro sembra volersi concentrare maggiormente, quello per l’appunto concernente la sicurezza sociale, le difficoltà di legiferare sono del tutto evidenti, stante la necessità di raggiungere l’unanimità dei consensi degli Stati membri, ovvero addirittura l’esclusione della materia oggetto di un possibile intervento da quelle sulle quali l’Ue ha competenza, come nel caso della regolamentazione del salario minimo.

Vanno lette in questa luce anche le proposte contenute nel programma di lavoro e nella Comunicazione della Commissione. Sarà davvero difficile che il legislatore dell’Unione sia in grado

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di licenziare provvedimenti legislativi in materia di indennità di disoccupazione ovvero di salario minimo, proprio per il fatto che nel primo caso va raggiunta l’unanimità dei consensi e che nel secondo la competenza dell’Unione è radicalmente esclusa (anche se, sorprendentemente, nel documento si riconduce la tematica del salario minimo alle “condizioni di lavoro” anziché alle

“retribuzioni”). Più facilmente realizzabili sembrano invece essere misure relative alla parità di genere ed in particolare alla trasparenza delle retribuzioni, atteso che, in proposito, l’Ue può legiferare a maggioranza qualificata e che si tratta di una materia su cui già sussiste un acquis decisamente sviluppato.

Anche laddove tali provvedimenti legislativi dovessero essere adottati, le ricadute a livello locale sarebbero assai limitate, soprattutto per il fatto che il diritto del lavoro in Italia è materia di pressoché esclusiva competenza statale, sebbene poi su alcune questioni, come quella relativa alla parità di genere, la Provincia Autonoma di Trento si sia dotata, negli anni, di una normativa più specifica di quella nazionale e perciò più efficace nel combattere le discriminazioni, le molestie e il mobbing sui luoghi di lavoro. Gli intendimenti e il lavoro della Commissione europea possono quindi principalmente informare il dibattito degli organi competenti della Provincia autonoma di Trento, rappresentando un punto di riferimento e uno strumento di confronto utile a rendere le disposizioni in linea con l’evoluzione del quadro europeo.

Il programma di lavoro della Commissione europea in campo economico appare ambizioso. Lo sforzo della Commissione è volto a rilanciare un processo di crescita caratterizzato da minor disuguaglianza individuale, territoriale e regionale. Coerentemente, anche la transizione ambientale e digitale (prima e seconda tematica del programma di lavoro) devono portare benefici diffusi ed essere quindi compatibili con, se non funzionali a, il consolidamento dello spazio dei diritti sociali (obiettivo 18). La Commissione prevede che vengano affrontati anche elementi che si sono rivelati molto spinosi nel recente passato, quali la tassazione delle imprese (dentro e fuori l’Ue) (obiettivo 22) e l’unione doganale (obiettivo 23). La promozione del mercato interno richiederebbe infatti un maggior coordinamento sugli elementi che non rientrano nelle competenze esclusive dell’Ue e sui quali gli Stati membri hanno da sempre inteso agire in autonomia.

Il tentativo di spingere lo sviluppo economico verso una direzione che riduca le disuguaglianze, le discriminazioni e le sacche di povertà, premiando l’inclusione sociale e la formazione di nuove competenze (obiettivo 31), è in linea con l’ambizione della Commissione di rafforzare l’Europa sociale (obiettivi 18 e 41) e la democrazia (obiettivi 37 e 39). Date le competenze della PAT in alcune di queste materie appare inevitabile l’impatto di decisioni o raccomandazioni dell’Unione sul territorio locale. Questo rende importante continuare nel lavoro di mappatura e adeguamento delle politiche locali in tema di lavoro, assistenza sociale, formazione e azioni contro la discriminazione.

La Commissione europea si prefigge di guidare il processo di riforma della governance economica (obiettivo 19) in vista di un rafforzamento dell’integrazione dei mercati dei capitali (obiettivo 20) e di conseguire dei progressi nella costituzione di un’Unione bancaria (obiettivo 21). Una lunga esperienza ha insegnato che sono le crisi a sbloccare lo stallo che spesso si determina tra forze dagli interessi e dalle vedute non coincidenti, innescando dei cambiamenti fino a poc’anzi ritenuti impossibili o improbabili. Questo ad esempio è accaduto nell’estate del 2012, quando la Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi, di fronte al rischio sempre più concreto che l’euro potesse implodere, promise che se necessario sarebbe intervenuta illimitatamente in soccorso di

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un paese membro, superando la riluttanza dei Paesi del centro-nord Europa a infrangere un dogma che fino a quel momento era sembrato invalicabile. Allo stesso modo, è parso che la crisi climatica spingesse la nuova Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen a superare – con il programma di grandi investimenti volti ad accelerare in Europa la transizione ad un’economia decarbonizzata – le resistenze dei Paesi meno propensi a espandere il bilancio comune europeo.

L’obiettivo di chi è favorevole a tale espansione è quello di dotare l’Ue di uno strumento per stabilizzare le economie dei Paesi membri a fronte di possibili shock (senza trasferimenti fiscali permanenti tra paesi), di promuovere competitività e convergenza (tramite investimenti in innovazione e capitale umano), e di finanziare gli investimenti verdi all’interno dell’Unione. Il vertice tra i capi di governo europei svoltosi nel febbraio 2020 ha tuttavia confermato quanto sia difficile realizzare tale obiettivo, con i Paesi che più contribuiscono al bilancio europeo non disponibili a dover finanziare maggiori spese, e quelli che più beneficiano di sussidi a vantaggio dei propri agricoltori e aree depresse non disponibili a ridimensionare la spesa in questi settori tradizionali dell’intervento europeo per far posto a maggiori finanziamenti dell’Unione a favore di investimenti in ricerca e tecnologie verdi. Un’implicazione diretta di queste osservazioni sul Trentino riguarda quindi la probabile revisione della struttura delle politiche nel nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Ue. La contrarietà di molti Stati ad ampliare il budget dell’Ue e di altri a veder ridotte le poste destinate a politica di coesione e politica agricola comune potrà essere conciliata con l’ampiamento degli obiettivi proposto dalla Commissione europea (Green deal, difesa e migrazione) solo, come anticipato nella parte I, con una sovrapposizione dei nuovi obiettivi a quelli tradizionali, riorientando parte delle politiche esistenti verso i nuovi temi. Questo richiederà, come illustrato nella sezione “cogliere le opportunità del programma dell’Unione”, di attivarsi a leggere le politiche e i fondi dell’Unione in modo non compartimentalizzato, ma trasversale.

Lo stretto collegamento tra il nuovo programma di Quadro finanziario pluriennale post 2020 e lo spazio di cambiamenti nella riforma della governance economica mette in evidenza, ancora una volta, la tensione tra le caratteristiche del programma della Commissione e le intenzioni degli Stati membri, già discussa in materia di politica estera. Non è un caso che l’obiettivo del completamento dell’Unione bancaria (obiettivo 21) in realtà richieda anche un grande lavoro per il completamento delle proposte prioritarie in sospeso da anni (Allegato III), oltre che per la realizzazione di nuove azioni proposte dalla Commissione europea per il 2020 (Allegato I). Uno stallo politico, prima ancora che operativo.

Appare fin d’ora evidente che la crisi pandemica in corso avrà conseguenze economiche così gravi da costringere istituzioni e governi europei a prendere provvedimenti impensabili fino a poche settimane fa. Colpendo in una situazione che era già di rallentamento (o quasi recessione), l’emergenza sanitaria rischia di paralizzare nelle aree colpite interi settori economici (quali il turismo e il trasporto aereo) e interrompe le catene produttive che richiedono rapidi spostamenti di persone e di merci. Si tratta a tutti gli effetti di quello che gli economisti definiscono uno shock dal lato dell’offerta, cui segue uno shock della domanda legato alla contrazione dei redditi. A esso si accompagnano un forte calo delle entrate fiscali e un altrettanto forte aumento della spesa pubblica per misure d’emergenza e per trasferimenti a sostegno di imprese e famiglie in difficoltà, che rischiano di non essere sostenibili per Paesi già pesantemente indebitati come l’Italia. La solidarietà dei partner europei sarà fondamentale per l’Italia, a maggior ragione nella situazione che si va determinando. Non solo non è affatto da escludere che il nostro Paese debba ricorrere in un futuro

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