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Vangelo del 27/3/ domenica del Tempo di Quaresima - anno C - Lc 15,

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Academic year: 2022

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Vangelo del 27/3/2022

4° domenica del Tempo di Quaresima - anno C - Lc 15,1-3.11-32

Trascrizione del video-commento del biblista p. Fernando Armellini non rivista dall'autore.

Gli errori di composizione sono dovuti alla differenza fra la lingua parlata e scritta; la punteggiatura è posizionata a orecchio.

I video sono disponibili sul suo canale YouTube: bit.ly/videoarmellini

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.

Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Oggi ci viene proposta quella che è la più nota e anche la più bella delle parabole di Gesù, quella che è conosciuta come la parabola del figliol prodigo.

Questo titolo però rivela che noi stiamo centrando la nostra attenzione su uno dei personaggi, quello che entra in scena per primo, questo figlio scapestrato che abbandona la casa del padre, ma non è lui il personaggio più importante.

Se noi centriamo la nostra attenzione sul figliol prodigo, rischiamo di non cogliere il messaggio più importante che Gesù ci vuole comunicare, quello che noi cercheremo di cogliere nella nostra riflessione.

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2 Quand’è che viene impiegata questa parabola?

L'abbiamo ascoltata tutti tante volte in occasione delle celebrazioni comunitarie del Sacramento della riconciliazione, allora colui che presiede, introduce il commento più o meno in questi termini:

“Vedete, noi cerchiamo la gioia, però tante volte andiamo fuori strada.

Tu giovane, per esempio, che hai abbandonato la pratica religiosa perché i tuoi amici magari ti prendevano in giro, dicevano che eri un bigotto, allora non sei più andato in chiesa;

Oppure tu ti si è allontanato dai fratelli della tua comunità con cui andavi anche d'accordo, sì c'erano anche dei dissensi, dei pettegolezzi che ti infastidivano, però ti trovavi abbastanza bene…

sei stato coinvolto in un altro giro di amici, sei davvero contento? Sei felice?

Il nuovo giro di amici è davvero migliore di quello che hai lasciato?

Oppure tu ti sei lasciato coinvolgere in compromessi economici, oppure in compromessi affettivi…

sei contento della scelta che hai fatto?”

E poi arriva naturalmente la riflessione fatta dal predicatore che dice:

“Cambia vita, convertiti, torna sui tuoi passi, torna alla casa del Padre.”

Certamente la parabola vuol dire anche questo, ma non è l'obiettivo principale per cui Gesù l'ha raccontata. Se fosse questo l'obiettivo principale, non capiamo perché ha aggiunto la seconda parte della parabola, quello del figlio maggiore che ci dà anche parecchio fastidio, non ci è simpatico per niente.

Ma soprattutto c'è un terzo personaggio, quello sì che è il protagonista… il padre!

È su questo personaggio che Gesù vuole che noi concentriamo l'attenzione perché è la figura del Dio di Gesù di Nazareth, del Padre del cielo.

L'obiettivo fondamentale per cui Gesù ha raccontato questa parabola, è per togliere dalla mente degli scribi e dei farisei quell'immagine di Dio che è idolatrica, il Dio inventato dagli uomini che non assomiglia al Padre del cielo.

Scribi e farisei però non ci sono più, questa parabola oggi è raccontata per noi, perché il Dio in cui credono ancora oggi tanti cristiani ha molte caratteristiche del Dio dei farisei, il Dio legislatore, giudice, che premia, che punisce… non è il Dio di Gesù di Nazareth, non assomiglia - come vedremo - al personaggio principale della parabola, quella del padre.

Allora vediamo adesso anzitutto a chi Gesù rivolge questa parabola, è molto importante perché vedremo che non la rivolge ai peccatori, come noi siamo soliti fare per convincerli a cambiare vita, vuole che cambino testa, non i peccatori, ma i giusti. Sentiamo:

Continuavano ad avvicinarsi a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:

Proviamo a visualizzare la scena così capiamo bene a chi Gesù rivolge la parabola, chi sono coloro che Lui vuole convertire?

Lui si trova dentro una casa, attorno a Lui ci sono tutti i pubblicani e i peccatori.

I pubblicani erano le persone più lontane da Dio, gli irrecuperabili, coloro per i quali non c'era alcuna speranza di salvezza.

Erano dei collaborazionisti, dei pagani oppressori, avevano tradito il loro popolo per amore del denaro, avevano anche abbandonato la fede offrendo il culto al dio dell'imperatore.

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Se Gesù avesse voluto convertire queste persone avrebbe dovuto raccontare la parabola lì, dentro la sala, ma non è a loro che Gesù racconta la parabola.

Fuori c'è un altro gruppo di persone, sono gli scribi e i farisei, questa è gente perbene, persone pie, religiose, che osservano tutti i comandamenti… e che cosa fanno? “Mormorano!”

“Diagon gūzein” vuol dire che là fuori “stanno contestando” il comportamento di Gesù… e che cosa dicono? “Costui accoglie i peccatori”

È bello… non dicono il nome, no, “questo tale” “hutos”, non dicono nemmeno il nome… “accoglie i peccatori”, il verbo che viene impiegato vuol dire non che lo fa una volta, che lo fa sempre!

È il suo stile di vita, di accogliere in casa sua i peccatori e di mangiare con loro!

Mangiare all'unico piatto con i peccatori significa diventare immondi.

Nessuno di questi scribi e dei farisei mette piede nella sala nella quale Gesù si trova.

Queste persone che sono fuori dicono: “Ma questo personaggio qui, che seduce anche le folle…

crede in Dio? Perché il Dio non sta insieme con i peccatori, odia i peccatori, Lui sta dalla parte dei giusti. “

Ricordiamo il fariseo che prega nel tempio e dice a Dio: “Io non sono come quel pubblicano là in fondo, ma del resto anche tu lo disprezzi, noi due invece siamo amici perché io osservo tutti i comandamenti, sono buono, digiuno due volte per settimana.”

Gesù non crede davvero in Dio, non crede nel Dio che hanno in mente loro.

Sono dei poveri infelici, Gesù sa che questi scribi ed i farisei non sono gente cattiva, ma è gente che crede in un Dio che non esiste, non è il Dio che Lui è venuto a presentare nel mondo e non sperimentano, queste persone, la gioia di sentirsi amati, indipendentemente dal fatto che siano buoni o meno buoni, perché il Dio che Gesù presenta è un Padre che ama tutti e questo è fuori dalla logica degli scribi e dei farisei.

Gesù li ama, li vuole rendere felici perché se non accolgono questo Dio che Gesù propone, saranno sempre degli arrabbiati nella vita, litigheranno con tutti coloro che non la pensano come loro perché non hanno capito la gratuità dell'amore del Padre.

Come fa Gesù adesso, per salvare questi scribi e farisei, che Lui ama? Li vuole portare alla gioia.

Adopera una pedagogia che non è quella che in genere impieghiamo noi, noi cominceremmo subito a discutere con gli scribi e i farisei. Errore… perché perdiamo!

Loro ci portano nel loro campo, ci fanno ragionare da uomini e ragionando da uomini, come ragiona il loro Dio secondo i criteri di giustizia di questo mondo, loro vincono.

Gesù non segue questa pedagogia della discussione… “mettere al muro”, no… perderesti, perché il Dio che loro hanno in mente ragiona esattamente come loro, infatti lo hanno inventato loro questo Dio.

Gesù racconta una parabola e la parabola non impone una verità, la fa uscire da dentro, da chi ascolta, alla fine chi ha ascoltato la parabola pronuncia lui il giudizio.

Sentiamo come inizia la parabola, il primo personaggio è proprio il figlio prodigo. Ascoltiamo:

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più

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giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto

“Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. Secondo le disposizioni del Libro del Deuteronomio capitolo 21, la parte che spetta al figlio minore è di 1/3 dell'eredità, i 2/3 spettano al primogenito.

Ma che cosa significa chiedere l'eredità al padre che è ancora vivo? Equivale a dirgli:

“Padre, per me tu sei morto e sepolto, non ho più nulla a che vedere con te.

Se tu esisti, io non sono libero di fare ciò che voglio, non posso essere felice, tu sei un intralcio alla mia vita”. Questo vuol dire chiedere l'eredità.

Siccome il padre qui rappresenta Dio, noi vediamo riflessa nel modo di ragionare, di pensare di questo ragazzo e delle scelte che fa, vediamo riprodotto ciò che accade a tante persone oggi che si allontanano da Dio, si allontanano dalla casa del Padre perché hanno la stessa concezione di Dio che ha questo figlio di suo padre.

Che immagine di Dio c'è dietro questo scelte di vita del ragazzo e di tante persone oggi che si allontanano da Dio?

C'è l'immagine errata del Padre, l'immagine errata del volto di Dio, è visto come un padre- padrone, un antagonista della libertà e della gioia… “non mi lascia fare ciò che io ritengo bene”.

Qui noi abbiamo tutta una catechesi che è impostata in modo scorretto, quella proprio di

presentare Dio come un padrone il quale è in diritto di dare ordini… chi li osserva viene benedetto, chi li trasgredisce viene punito.

Grande parte della nostra catechesi è stata impostata così, si è messo il carro davanti ai buoi!

Anzitutto andava presentato il volto di un padre il quale ama il figlio e soltanto chi si sente amato ascolta con fiducia, si fida di ciò che il padre gli dice, difatti i comandamenti sono chiamati le 10 parole che un padre amorevole ti rivolge perché ti vuole felice.

Se non si comprende questo e si pensa che Lui abbia il diritto di dare delle imposizioni altrimenti punisce coloro che disobbediscono, allora viene voglia di scappare da casa.

Quando il Padre del cielo mi dice non uccidere, non che dopo ti punisco se tu uccidi, ma ti suggerisco questo, ti rivolgo questa parola perché ti voglio uomo autentico.

Se tu uccidi sei una bestia non un uomo; se tu commetti adulterio, non lo devi fare non perché ti punisco, ma perché ti disumanizzi; non devi rubare, non perché ti punisco se rubi, ma perché non sei un uomo se tu rubi, se tu calunni…

Ecco allora, quando cambia il volto di questo Padre che non è un padrone, ma è uno che ti ama e quindi ti indica il cammino della vita e della vera gioia, sultanato tu, quando tu hai questa

immagine corretta del volto di Dio, tu lo ascolti.

E difatti noi notiamo come nei Vangeli mai Gesù parla di obbedienza, “ūpa cuoè”, mai ricorre questo termine, Gesù non dice mai di obbedire a Dio, dice che dobbiamo assomigliare al Padre del cielo.

Ecco allora che cosa accade a coloro che hanno un'immagine scorretta del volto di Dio, è riflessa in questa immagine che ha questo figlio che scappa da casa… se ne vanno!

Difatti, dopo non molti giorni, questo ragazzo si allontana da casa. Chiaramente non deve essere stata una scelta fatta all'improvviso, no, lui si è consigliato con i suoi amici, gli hanno detto:

“Guarda che tuo padre ti impedisce di essere felice, vattene!”

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Esattamente quello che accade anche oggi, i suggerimenti che ti vengono dati dei media, dai colleghi… ti portano a vedere il volto di Dio come questo padrone dal quale devi scappare.

Difatti lui se ne va perché gli anni della giovinezza sono pochi, passano come un soffio, si corre il pericolo di perdere l'occasione migliore di godersi la vita e uno ha paura poi alla fine di avere qualche rimpianto, di aver perso delle opportunità.

Tuttavia direi che sarebbe ingiusto pensare che le colpe siano solo di questo ragazzo, tra poco noi conosceremo suo fratello, intuiremo subito che tipo è, come la pensa, come ragiona…

È un tipo orgoglioso della sua perfetta osservanza degli ordini del padre, poi anche altezzoso per la sua integrità morale, intollerante di chi non condivide il suo impegno, il suo modo di gestire il lavoro, poi ha un ritmo frenetico di vita.

Vivere accanto a un fratello così, che anche lui ha un'immagine scorretta del padre, quella del padrone e lo dirà dopo: “Io obbedisco, non trasgrediscono i tuoi ordini”.

Vedete, oggi noi cerchiamo tanti capri espiatori per gli abbandoni della Chiesa, diciamo la mentalità edonistica, il degrado morale, la mondanità, la perdita dei valori… ma se le chiese si svuotano sarà solo colpa di questi fratelli minori, o non avranno qualche responsabilità anche i fratelli maggiori?

E adesso sentiamo che cosa accade a questo ragazzo che pensa che sarà felice solo allontanandosi dalla casa del padre:

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno dava a lui. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.

La bella vita non dura sempre, i soldi finiscono. Che cosa sono questi soldi che finiscono?

Sono gli idoli che si sgretolano, quegli idoli nei quali questo giovane ha posto tutta la sua fiducia convito che gli avrebbero dato il piacere, la gioia.

La tua forma fisica a cui tenevi tanto, il fascino del tuo aspetto giovanile, ricordati sfioriscono, a un certo punto arrivano le rughe, la cellulite e se confondi la gioia con il piacere, a un certo punto i pozzi cui tu vai ad attingere il piacere seccano.

Tu adoravi l'idolo del successo nella carriera, e per la carriera avevi posto da parte addirittura gli amici e anche la famiglia… a un certo punto questo idolo, questo pozzo secca, quando vai in pensione non ti telefona più nessuno.

Il piacere dei banchetti, quando vai avanti negli anni la salute non te li permette più; i viaggi, le crociere …quando invecchi te li devi scordare… se poi non ci sono i soldi tutto finisce molto prima e coloro che tu consideravi degli amici erano solo dei colleghi di bisbocce, non ti vogliono più nella loro casa, ti cacciano via.

Ecco, questo giovane si è fidato degli idoli, ha abbandonato la casa del padre perché gli idoli gli davano ciò che lui cercava e invece di essere saziato, adesso ha fame.

E che cosa è costretto a fare?

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“A mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione che lo manda nei campi a pascere i porci”.

Lui non voleva condividere i progetti del padre, voleva essere indipendente, autosufficiente, autonomo nelle sue scelte, essere libero… e adesso si ritrova schiavo degli idoli!

Quando si abbandona la casa del Padre, quando ci si allontana da Dio, ci si illude di diventare dei superuomini, degli dei di se stessi, si cade in mano a nuovi padroni, i quali ti costringono a compiere delle azioni di cui addirittura poi alla fine finisci per vergognarti, azioni ripugnanti, indegne di un uomo.

Per esempio, se tu abbandoni Dio e ti fidi di un idolo che è il denaro, perché ti promette tanto il denaro, ma il denaro ti dà degli ordini, ti fa compiere delle azioni che tu non avresti mai voluto fare… sfruttare i più deboli, imbrogliare, mentire, rubare, adulare; poi cerchi il successo perché quello ti dà il piacere, l'ebbrezza… ma che cosa ti chiede questo idolo?

Di scendere a dei compromessi per ottenere riconoscimenti, avere visibilità, ti fa compiere delle azioni di cui puoi anche vergognarti perché il peccato ti promette molto, ma ti porta sempre più lontano da dove vorresti andare. Come saziare questa fame?

Questo giovane “è tentato di rubare le carrube ai porci”, non scende però fino a questo livello, cioè di mettersi insieme con i porci a mangiare… voleva le carrube, “ma nessuno dava a lui”

L'uomo deve saziare la propria fame, ma la fame, l'uomo la sazia accogliendo l'alimento che un suo simile gli pone fra le mani, è in questo scambio di alimento che si realizza l'umano, non è

scendendo a mangiare con i porci, buttandosi in basso, no… è guardando al proprio fianco e rapportandosi con il fratello.

Questo giovane ha fame, “ma nessuno gli dava”? Cosa significa questo?

È una pennellata molto efficace questa, che viene data per dire che nessuno è disposto a darti una mano in un mondo regolato dalla logica degli idoli.

Quando ci si allontana da Dio e si entra in una società dove si adorano gli idoli, se uno ti dà una mano, lo fa per interesse e se non hai qualcosa da dargli in cambio, tu da lui non ricevi aiuto.

Dove l’ideale è arricchire, salire in alto, raggiungere il potere, il dominio… lì la regola è quella della competizione.

Se tu vieni sconfitto sei tagliato fuori, non ti aiuta più nessuno, se ti aiutano è perché tu puoi dare loro qualcosa, magari una spinta per il loro successo. Questa è la logica della società idolatrica in cui questo giovane è andato.

E adesso che cosa accade? È deluso, è inevitabile, perché gli idoli si sgretolano a un certo punto…

rientra in se stesso e comincia a ragionare. “Io ho fame, che faccio?”

Pensa… io sono qui un salariato, mi paga poco, un lavoro che più vergognoso non si può, in casa di mio padre i salariati guadagnano molto di più, hanno pane in abbondanza, io qui invece muoio di fame… cosa faccio? Fa un ragionamento e dice:

Per mangiare, perché è l'unico problema che lo preoccupa in questo momento, - dice - vado alla casa di mio padre e gli dico “accettami tra i tuoi salariati”, lì guadagno di più e sono trattato meglio.

La domanda… era pentito questo ragazzo? La risposta è chiaramente no!

Nelle sue parole non c'è alcun segno di una presa di coscienza di avere sbagliato, l'unico problema che lui ha è di trovare il modo di saziare la fame; se fosse comparso in quel momento, un altro

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scapestrato come lui che avesse detto “guarda che sono pieno di soldi”, non aveva nessun problema, dimenticava di nuovo il padre e continuava a fidarsi di quegli idoli lo avevano poi tradito… non c'è alcun segno che lui sia pentito.

Avesse detto: “Cosa non ho combinato! Chissà come sta ancora mio padre?

Com'è rimasto quando gli ho detto in faccia “per me tu sei morto”.

Avesse detto:

“Vado a casa di mio padre, entro e gli dico “sono venuto qui solo per chiederti scusa, so di averti fatto soffrire in un modo incredibile, sono indegno di essere chiamato tuo figlio.

Non voglio restare in questa casa anzi, non prendo neanche una tazza di tè perché non la merito e poi me ne vado, vado a morire sotto i ponti, non merito di stare in questa casa, l'ho combinata troppo grossa, ti ho fatto troppo male”. Quello sarebbe pentimento!

Non c'è una parola di questo tipo in questo ragazzo e questo va tenuto ben presente per capire adesso il volto del padre.

Lui ha ancora in mente l'idea del padre-padrone che è quella che è entrata anche nella nostra mente con una certa catechesi.

Quando si dice… “tu hai peccato, hai sbagliato, chiedi perdono a Dio, se tu gli chiedi perdono perché ti sei reso conto di avere sbagliato, Lui ti perdona, non ti punisce, ma se tu non gli chiedi perdono allora vai incontro alla punizione e ai castighi”.

Questa catechesi è una maschera diabolica posta sul volto di Dio, non abbiamo ancora capito neanche noi, tanti cristiani, che il volto di Dio non è quello, quello è il volto del Dio che avevano gli scribi e i farisei, il volto del Dio di Gesù di Nazareth è quello che ti perdona sempre, che ti ama in modo incondizionato, anche se sei il figlio più scapestrato.

Quando ti rendi conto di questo amore, allora capisci di essere andato fuori strada, ti abbandoni tra le braccia di questo Padre, gli dai totalmente fiducia e capisci che puoi esser felice soltanto accogliendo il suo amore.

Questo padre, noi lo vedremo, ha due figli e nessuno di questi due figli ha capito chi è lui.

Adesso difatti entra in scena questo Padre che è il personaggio principale, il Dio di Gesù di Nazareth, è il centro della parabola. Ascoltiamo:

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.

I tratti del volto del Dio di Gesù di Nazareth sono tracciati nitidi da Gesù nella figura di questo padre, ci presenta la sua reazione al ritorno del figlio con 5 verbi, li esamineremo perché saranno motivo per noi per verificare se davvero crediamo in questo Dio oppure se abbiamo ancora in mente l'immagine del Dio degli scribi e dei farisei.

Primo verbo: “quando era ancora lontano, i padri vide suo figlio”.

Non è che stava lavorando, poi ha alzato gli occhi e ha visto che stava arrivando il figlio, no!

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Questo è uno sguardo che ha sempre guardato lontano nella direzione verso quell'orizzonte oltre il quale aveva visto andare suo figlio, non si è più distolto questo sguardo da quell'orizzonte nell'attesa paziente del ritorno. Non è questo lo sguardo del Dio degli scribi e dei farisei.

Il Dio degli scribi e dei farisei è il legislatore che poi rimane con lo sguardo a controllare chi fa ciò che Lui ha ordinato e chi trasgredisce i suoi comandamenti… per premiare e per punire.

È il Dio che adorano ancora tanti cristiani che si sentono dei salariati e che attendono la paga al termine della giornata… Dio non è questo, il Dio di Gesù di Nazareth non è quello dello sguardo che era in quel triangolo, l'occhio di Dio con sotto scritto “Dio ti vede”; stai attento, non rubare perché Dio ti vede, non commettere adulterio perché Dio ti vede e prende nota e alla fine ti manda all'inferno.

Questo è lo sguardo del Dio degli scribi e dei farisei, quello del Dio di Gesù di Nazareth è solo uno sguardo di amore che accompagna sempre il figlio quando fa il bene e soprattutto, quando si allontana dal cammino della vita per riportarlo sulla strada della gioia.

Secondo verbo: “si commosse”

E qui c'è un verbo greco che tutti abbiamo sentito citare qualche volta, “splanknizomai”, viene da

“splankna”, che sono le viscere. Anche nell'Antico Testamento c'è la stessa immagine nel termine ebraico quando Dio si presenta “anirrahum vehannun”, viene da “rehem” che è l'utero materno, vuol dire che Dio sperimenta per l'uomo un amore viscerale che è quello della madre per il figlio che ha in grembo… non si può immaginare un'emozione più intima e più forte di questa.

Nel Nuovo Testamento, il verbo splanknizomai ricorre 12 volte ed è sempre riferito a Dio o a Gesù.

È allora una verifica per noi… è questo amore che noi coltiviamo, quello che ci fa assomigliare al Padre del cielo? Amiamo e ci interessiamo anche noi come il Padre del cielo dei nostri fratelli con la stessa attenzione, con la stessa passione d'amore?

Terzo verbo: “ha cominciato a correre”

I grandi signori non correvano mai, facevano correre i servi, loro avevano un portamento sempre nobile, calmo, distaccato.

A questo padre l'emozione ha chiaramente fatto perdere il controllo delle reazioni, non ragiona più con la testa ma con l'emozione delle viscere. Comincia a correre… è pericoloso per un vecchio, se inciampa, cade e qui la gente che lo vede correre dice: “ma non è più quella persona nobile che noi conosciamo” È vero, ha perso la testa.

Chi ama non si interessa di quello che le persone possono dire, lui agisce ascoltando il cuore.

Quarto verbo: “lo abbracciò”.

No, il testo greco dice “epepezen epitontrakelon autù” che significa… lui stava correndo, ad un certo punto, proprio non ce la faceva più, perché aveva corso più che poteva, gli “cadde sul collo”.

Quinto verbo: non è “filein” lo baciò … “katafilein” non smetteva più di baciarlo.

Non gli ha chiesto se era pentito, no no no!

È suo figlio sempre, non gli interessa se è pentito, non vuole sentire che gli chiedano scusa, no!

Il figlio come reagisce?

Con il ritornello che aveva preparato, lui vuole farsi accogliere come un servo, entrare alle dipendenze di questo nuovo padrone che è migliore di quello che lui aveva quando era lontano.

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“Padre, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…” e il padre lo interrompe perché non vuole nemmeno sentir parlare che suo figlio si presenta come un servo, Dio non vuole gente che servono Lui.

Nella Bibbia, quando si parla dei servi di Dio, sono quelli che mettono la loro vita a disposizione del progetto di amore di Dio, non si serve Dio, erano gli dei pagani che volevano gli uomini al loro servizio, no… il Dio di Gesù di Nazareth è servo degli uomini.

Tutte le persone pie e devote si ritengono dei salariati e si aspettano, al termine della giornata, il premio e quando si dice loro che Dio darà la gioia dell'ingresso nella sua casa, tutti si arrabbiano perché dicono “ma io mi sono comportato bene e quindi quell'altro che si è comportato male deve essere punito” … tu sta credendo, professando la tua fede non Dio di Gesù di Nazareth, ma nel Dio che hanno in mente gli scribi e i farisei.

Che cosa fa adesso il padre? È arrivato il figlio, non gli chiede se è pentito, se gli chiede scusa…

Notiamo, nei Vangeli, mai Gesù dice di chiedere perdono a Dio, se fai del male chiedi perdono al tuo fratello.

Dio perdona perché continuamente con il suo sguardo, con la sua Parola e attraverso gli angeli che lui pone a fianco di tutti i suoi figli, Lui vuole ricondurre sulla strada della vita chi si è allontanato e che ha fatto del male a se stesso e ai fratelli, ai quali deve chiedere perdono.

A Dio che cosa deve chiedere? Nulla, deve solo ringraziarlo perché ha guidato la sua vita, gli è stato accanto e lo ha riportato nel cammino della gioia; e quando Dio riesce a ottenere questo risultato che cosa accade? La festa, si fa festa in cielo!

Cosa dice il padre?

Prima cosa: “presto portate fuori una veste, la prima, e rivestitelo”

La veste, nella Bibbia ha un significato simbolico importante, indica chi è una persona, qui è la veste che ti rende simile al padre, tu non sei un servo, tu non sei uno straccione, tu sei il figlio del padrone di casa… è la somiglianza con il Padre del cielo, è la veste battesimale che ti viene

consegnata.

Devi ricordarti che tu rimani sempre suo figlio, anche se ti sei allontanato.

Secondo: “date un anello alla sua mano”

Non è l'anello di nozze, è il sigillo che garantisce che tu sei il padrone di casa, che puoi disporre di tutti i beni di tuo padre, è la firma in banca che tu adesso hai.

Il padre sta dicendo consegnandoti un anello “tutto ciò che è mio è tuo”.

Terza cosa che dice di fare: “mettetegli i calzari ai piedi”.

Dio non vuole servi, vuole figli. I servi andavano scalzi e Lui non vuole vedere gente scalza.

Fa capire a questo figlio che è sempre rimasto figlio, la sua coscienza gli diceva che era già tanto per lui essere un servo, no…tu sei sempre stato suo figlio!

Quante volte, quando una persona è andata fuori strada nella vita, ha quasi paura di questo Dio perché teme sempre che sia arrabbiato, che lo guardi con l'occhio strano, no… continua ad amarti perché sei sempre suo figlio.

Poi la festa: “Portate il vitello, quello di grano - dice, quello proprio allevato bene - questo mio figlio era morto e rivive, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciano a fare festa!

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L'ha detto Gesù, quando un figlio ritorna, si fa più festa in cielo che per 99 giusti che sono sempre stati sulla via retta.

E adesso entra in scena un altro personaggio che non capisce la festa gratuita, la festa va meritata.

L'amore gratuito e incondizionato di Dio non è capito nemmeno da tanti cristiani di oggi che continuano ad adorare quell'immagine di Dio che è quella degli scribi e dei farisei.

Sentiamo adesso chi è questo terzo personaggio:

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo".

Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

Non è stato difficile per Gesù raccontando la parabola, farci identificare con il figlio minore, perché tante volte capita anche a noi di allontanarci dalla casa del Padre, di ragionare con la nostra testa, di non fidarci della sua Parola, quindi andiamo lontani da Lui, poi ci troviamo male e torniamo alla casa del Padre.

Più difficile per Gesù è tirar fuori dalla nostra mente quell'immagine di Dio che è quella degli scribi e dei farisei… il Dio che premia e punisce.

Ecco la ragione per cui ci presenta la figura del fratello maggiore che riproduce esattamente lo scriba e il fariseo e - aggiungiamo subito - anche la figura di tanti cristiani di oggi che continuano ad adorare questo Dio.

Vediamo questo fratello maggiore.

È in campagna a lavorare, è uno impegnato, quando torna a casa trova una sorpresa… musiche, danze. Allora chiama uno dei servi e dice: “sta capitando qui? Mai sentito io che ci fosse una festa.”

E il servo gli dice:” È tornato tuo fratello e tuo padre ha organizzato una festa, ha ucciso il vitello di grano”.

A questo punto il figlio maggiore diventa furioso, non accetta che ci sia una festa non meritata, non c'è gratuità! Merita chi lavora!

E non vuole entrare alla festa. Il padre, allora esce.

Facciamo attenzione adesso a ciò che dice il figlio maggiore e chiediamoci: ha ragione o ha torto?

Dice al padre: “da così tanti anni io ti faccio da servo”.

Vero, lui non si sente figlio del padre, lui è servo esattamente come gli scribi e i farisei che sono servi e vengono puniti o premiati a seconda della loro obbedienza o delle trasgressioni della Torah.

È la posizione in cui si trovano ancora tanti cristiani di oggi, non si sentono figli amati

gratuitamente, si sentono servi… “da tanti anni io fedelmente osservo tutti i comandamenti” e naturalmente, se sentono parlare di una festa gratuita… “allora io che ho fatto tanta fatica?”

Sei uno scriba e un fariseo, non sei cristiano!

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“Non ho mai trasgredito alcun tuo comando e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici”

Vedi che non ti senti figlio? Sei tu, sei il padrone di casa, invece tu ti senti servo e ti aspetti che sia io a dartelo… prenditelo il capretto! Vedi che tu non ti senti uno della casa.

“Ora è arrivato il figlio tuo - non dice mio fratello, no, figlio tuo - costui il quale ha divorato la tua vita con le meretrici - come fa lui a sapere che è stato con le meretrici, è anche malizioso - per lui hai immolato il vitello di grano”.

Bene, siamo leali… ha ragione o ha torto questo giovane?

Ha tutte le ragioni, ragiona esattamente come noi, con i nostri criteri di giustizia.

Noi abbiamo questa immagine di Dio che ci siamo creati noi, che è un idolo perché l'abbiamo inventato noi, lo facciamo ragionare come noi, non è il Dio di Gesù di Nazareth.

Il Dio dello scriba, del fariseo e di tanti cristiani, è quello che non organizza un banchetto gratuito, tu devi avere lo scontrino, devi passare alla cassa e pagare per poter entrare alla festa, no!

Il Dio di Gesù di Nazareth è quello dell'amore gratuito!

Notiamo, nella parabola il termine padre ricorre 13 volte, 7 volte è quella del cronista che racconta la parabola, 5 volte ricorre sulla bocca del figlio minore, 1 volta lo pronuncia il servo quando parla e gli dice “tuo padre ha organizzato la festa”, nemmeno una volta sulla bocca del figlio maggiore.

Tanti cristiani che ragionano come questo figlio maggiore sono servi, non si sentono figli.

Tutti hanno notato che la parabola non è finita, il padre dice al figlio maggiore “Tu sei sempre con me tutto ciò che è mio e tuo, ma bisognava fare festa perché il fratello tuo costui - il fratello maggiore aveva detto “questo figlio tuo costui” … no è tuo fratello - era morto ed è tornato in vita e quindi bisogna fare festa”.

A questo punto noi ci chiediamo, il figlio maggiore è entrato alla festa?

E il figlio minore, è rimasto nella casa del padre o stato un po' dentro e un po' fuori?

È facile rispondere a queste domande quando conosciamo chi è questo figlio maggiore.

Sì, entra alla festa perché lui deve fare ciò che il padre vuole, quindi deve obbedire ma non si lascia convincere.

È esattamente ciò che accade a tanti cristiani di oggi che quando sentono la presentazione del volto di Dio di Gesù di Nazareth dicono:

“Sì è così, è colui che ama gratuitamente e ama tutti, senza condizioni e quindi ci fa sentire fratelli di tutti, anche di coloro che sbagliano nella vita e quindi dobbiamo essere degli angeli che

riportano questi figli alla casa del Padre”.

Entriamo alla festa ma continuiamo ancora ad adorare quel Dio che è giusto secondo i nostri criteri.

Siamo quindi dei figli maggiori, ma poi siamo anche dei figli minori e lo sappiamo bene cosa capita ai figli minori quando tornano a casa… capita ancora che escono, poi sono infelici e tornano alla casa del Padre.

Quello che è bello è che Dio è così buono che ama i figli che sono così, che si comportano come il figlio minore e come figlio maggiore e Lui continua ad amarci così.

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