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1. L’allevamento suino

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Academic year: 2021

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1. L’allevamento suino

1.1 La storia

Secondo molti Autori, i maiali domestici deriverebbero dal cinghiale (Sus scrofa o Sus ferus), che già 10 milioni di anni fa era molto diffuso sia in Europa che in Asia e nel Nord Africa. Secondo altri Autori, oltre al cinghiale, avrebbero partecipato alla formazione della specie e delle razze attuali:

• Il Sus vittatus dell'Asia meridionale, a testa corta, tronco tozzo e zampe brevi, (attualmente esistente in Cina, Indonesia ed India) progenitore delle razze inglesi Yorkshire e Berkshire, della Poland China americana e dell'Edelschwein tedesca.

• Il Sus mediterraneus, derivato da incroci di forme selvatiche europee ed asiatiche.

Le prime raffigurazioni dei progenitori del suino sono state graffite circa 40.000 anni fa sulla parete della grotta di Altamira ed anche nel sud della Rhodesia. La prima addomesticazione del suino è avvenuta probabilmente in Cina oltre 7.000 anni fa. In Mesopotamia, nel 3.500 a.C., esistevano maiali già addomesticati da tempo, tanto da presentare notevoli variazioni morfologiche indotte dalla selezione. Presso gli Egizi, i Greci ed i Romani il "porco" è sempre stato tenuto in gran conto, tanto che la letteratura classica è piena di riferimenti al maiale ed al suo allevamento. Nel Medioevo l'allevamento suino brado assunse un ruolo di primo piano con conseguente aumento del consumo della sua carne, grazie anche all'apporto delle abitudini alimentari delle popolazioni

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animale allevato. A partire dal dopoguerra, infine, il maiale fu trasformato in animale dai pregiati tagli carnosi. Risultati così rapidi furono possibili grazie ai progressi della genetica e delle tecniche di alimentazione.

Tre furono gli obbiettivi principali, tuttora validi, che i genetisti si prefissarono di raggiungere :

• La diminuzione dello spessore del lardo della linea dorso-lombare • L’aumento dei tagli carnosi

• L’elevato accrescimento giornaliero degli animali

La diminuzione dell’attitudine a produrre tessuti adiposi, la cui sintesi richiede molta più energia di quelli muscolari, unitamente all’aumento della velocità di accrescimento giornaliero, hanno consentito di riflesso un notevole risparmio nel consumo degli alimenti dei soggetti posti all’ingrasso. L’allevamento suino negli anni passati risultava principalmente legato al podere ed alle sue disponibilità di ricoveri e di approvvigionamento dei mangimi necessari nonché di carattere estensivo, favorito dalla possibilità di pascolo, di ghiande e di castagne. Sistemi di allevamento ai quali, all’inizio di questo secolo, si sono aggiunti quelli di carattere industriale.

Mentre l’allevamento familiare era tale che, fino a pochi anni fa, ogni famiglia che disponesse dello spazio necessario aveva il proprio maiale all’ingrasso, quello brado e semibrado era legato alle zone a coltura estensiva di Toscana , Umbria, Lazio, del Mezzogiorno e delle isole, ricche di pascoli e di ghiande. L’allevamento di carattere “poderale” era condotto soprattutto in aziende dell’Italia centrale dotate di ricoveri e di manodopera mezzadrile, dove si producevano lattonzoli e magroncelli secondo le richieste degli ingrassatori del Nord. Questi, specializzati nell’ingrasso del suino da fornire all’industria salumiera, portavano avanti allevamenti di tipo industriale agevolati dall’utilizzazione del siero delle aziende casearie .

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Agli inizi degli anni ’60 , sia per la crescente mancanza di manodopera e di aziende mezzadrili, sia per l’introduzione di nuove razze precoci, l’allevamento suino ha subito un notevole cambiamento e gli allevamenti intensivi hanno preso sempre più piede.

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1.2 La distribuzione dell’allevamento suino a livello

europeo

L’allevamento del suino a livello intensivo ha visto un maggior sviluppo principalmente nelle zone temperato fredde sia a livello mondiale che europeo; questo è probabilmente dovuto sia ai legami che questa tipologia di allevamento ha con le produzioni agro industriali che caratterizzano tali zone, sia alle particolari esigenze fisiologiche proprie della specie. Nella zona U.E.15 dal 1994 al 1997 la popolazione suina si è mantenuta pressoché costante oscillando tra i circa 17 milioni di capi del ’94 ai quasi 19 milioni del 1997. Si può notare un significativo incremento negli anni ‘98-’99 con una popolazione che raggiunge i 125 milioni per poi mantenersi costantemente intorno ai 22 milioni dal 2000 sino al 2005. Le tabelle sotto riportate ed il grafico annesso mostrano questi andamenti in base ai dati ottenuti da analisi statistica dell’ EUROSAT.

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Tabella 1.1- Andamento della popolazione suina in Europa (dati Eurosat, 2005) 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 EU (25 countries) 150.273.700 150.831.160 150.425.670 151.194.430 158.751.130 : : 152.902.470 154.356.340 152.793.050 151.142.750 151.666.920 EU (15 countries) 117.673.230 116.071.700 118.473.280 118.947.530 125.406.410 124.347.950 122.195.460 122.711.950 122.214.640 121.660.720 122.679.840 122.330.990 Euro-zone 95.559.390 94.686.843 96.476.512 96.126.026 102.635.130 102.406.900 100.773.160 101.323.390 100.914.820 : : : Belgium 6.984.067 7.153.233 7.116.747 7.351.820 7.551.100 7.321.741 7.266.174 6.775.231 6.600.158 6.366.248 6.318.734 6.252.988 Czech Republic 3.867.000 4.016.000 4.080.000 4.013.000 4.001.000 3.688.000 3.594.000 3.441.000 3.429.000 3.309.000 2.915.000 2.719.000 Denmark 10.864.000 10.709.000 11.079.000 11.494.000 11.991.000 11.914.000 12.642.000 12.975.000 12.879.000 12.969.000 13.407.000 12.604.000 Germany 24.698.117 23.736.568 24.282.982 24.795.250 26.293.994 26.001.459 25.766.825 25.957.757 26.251.490 26.495.300 26.334.800 26.989.054 Estonia 459.800 448.800 298.400 306.300 326.400 285.700 300.200 345.000 340.800 344.600 353.700 351.600 Greece 951.000 917.000 904.000 939.000 905.000 969.000 936.000 861.000 1.027.000 993.000 994.000 1.042.000 Spain 18.295.517 18.125.000 18.572.000 19.480.000 21.562.000 22.418.000 22.149.308 23.857.775 23.517.740 24.097.540 24.894.960 24.888.882 France 14.593.400 14.530.600 14.968.100 15.472.500 15.869.200 15.991.000 15.168.000 15.275.430 15.378.000 15.265.000 15.168.000 15.117.000 Ireland 1.498.332 1.542.430 1.664.560 1.716.960 1.800.880 1.762.940 1.731.480 1.762.940 1.781.500 1.731.620 1.757.600 1.678.000 Italy 8.023.000 8.061.000 8.090.000 8.281.000 8.323.000 8.415.000 8.645.536 8.766.262 9.166.000 9.157.000 8.971.762 9.200.000 Cyprus 356.206 374.074 399.530 414.788 436.400 425.193 413.805 450.977 490.818 488.101 470.504 429.719 Latvia 500.700 552.800 459.600 429.900 421.100 404.900 393.500 428.700 453.200 444.400 435.700 427.900 Lithuania 1.259.800 1.270.000 1.127.600 1.200.100 1.159.000 936.100 867.600 1.010.800 1.061.000 1.057.400 1.073.300 1.114.700 Luxembourg 67.866 72.827 76.976 73.720 80.945 82.122 82.596 76.206 76.478 75.891 77.133 84.547 Hungary 4.356.000 5.032.000 5.289.000 4.931.000 5.479.000 5.335.000 4.834.000 4.822.000 5.082.000 4.913.000 4.059.000 3.853.000 Malta 55.466 55.087 64.568 67.110 61.417 : : 80.898 78.303 73.067 76.853 73.025 Netherlands 13.931.000 13.935.000 14.253.000 11.437.000 13.418.000 13.139.000 12.822.000 11.514.000 11.154.000 10.765.540 11.140.000 11.000.000 Austria 3.728.991 3.706.185 3.663.747 3.679.876 3.810.310 3.433.029 3.347.931 3.440.405 3.304.650 3.254.866 3.125.204 3.169.541

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Grafico 1.1 - Andamento della popolazione suina in Europa dal 1994 al 2005 110.000.000 112.000.000 114.000.000 116.000.000 118.000.000 120.000.000 122.000.000 124.000.000 126.000.000 128.000.000 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Grafico 1.2 - Andamento della popolazione suina in Italia dal 1994 al 2005

7.400.000 7.600.000 7.800.000 8.000.000 8.200.000 8.400.000 8.600.000 8.800.000 9.000.000 9.200.000 9.400.000 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Nel 1997 la produzione totale di carne dell’area comunitaria è stata di circa 16,25 milioni di tonnellate; nel 1998 è aumentata dell’ 8% raggiungendo così i 17,55 milioni di tonnellate; ciò ha consentito di aumentare l’export di 1,3 milioni di tonnellate rispetto al precedente anno.

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Tabella 1.2 – Produzione di carne suina a livello europeo (% sulla produzione totale di carne) (dati Eurosat)

Paese Produzione di carne suina .000 t. % Produzione di carne totale .000 t

Produzione di carne suina sulla carne tot. %

Belgio/Lussemburgo 1,035 6,4 1,805 53,3 Danimarca 1,495 9,3 1,971 75,8 Germania 3,602 22,4 6088,8 59,2 Grecia 144 0,9 545,1 26,4 Spagna 2,255 14 4428,1 51 Francia 2,145 13,3 7077,2 30,3 Irlanda 212 1,3 1,106 19,2 Italia 1,345 8,4 3,857 35 Olanda 1,622 10,1 3,183 51 Austria 457 2,8 801,9 57 Portogallo 305 1,9 724 42,1 Finlandia 168 1 330,7 50,7 Svezia 310 1,9 561,5 55,3 Regno Unito 992 6,2 4103,5 24,2 UE a 15 paesi 16,087 100 36582,8 45,3 UE centro Nord 12,038 74,8 27028,6 48 UE centro Sud 4,049 25,2 9554,2 38,6

Nell’ultimo decennio la produzione europea ha visto notevoli cambiamenti sia in fatto di produzioni che di consumo pro capite annuo. La Commissione ha pubblicato in luglio l’aggiornamento delle previsioni circa i mercati agricoli europei e mondiali fino al 2012.

La produzione di carne suina dovrebbe aumentare ad un tasso inferiore a quello registrato negli anni novanta. Nel 2012 è prevista una produzione della UE-25 di circa 22 milioni di tonnellate (18.664.000 t nella UE-15 e 3.334.000 nei 10 nuovi Paesi membri).

I consumi sono in aumento e dovrebbero superare all’interno dell’Unione i 20 milioni di tonnellate, con un consumo pro capite che passerebbe dai 43,5 Kg del 2004 ai 44,4 Kg del 2012.

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In merito alla suinicoltura extra UE, la Commissione ha utilizzato i dati di diverse agenzie internazionali OECD, USDA e FAPRI. Le previsioni indicano una espansione della produzione e dei consumi mondiali, trascinati dalla crescita demografica e del reddito dei Paesi asiatici e latino americani. La Cina da sola dovrebbe contribuire a circa il 60 % dell’aumento produttivo mondiale nei prossimi sette anni. Altri paesi con suinicoltura in forte crescita sono: Brasile, Messico, Canada e Russia.

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1.3 L’allevamento suino in Italia

Nell’arco di un ventennio la crescita della suinicoltura italiana è stata considerevole, passando dai 4.684.000 di capi del 1962 ai circa 9 milioni del 1985. Al 31 dicembre 1985 il patrimonio suinicolo italiano ammontava a 9.169.100 capi allevati in 598.448 aziende (elaborazioni A.N.A.S su dati ISTAT). Lo studio metteva in evidenza il fatto che, la maggior parte degli allevamenti, appartenesse alla classe inferiore ai 10 capi allevati, ma che al contempo comprendeva solamente il 12,3% del totale dei soggetti. Contrariamente a quanto avveniva per il caso sopra indicato, gli allevamenti con oltre 400 capi, erano solo lo 0,7% ma raggruppavano il 67,5% degli esemplari censiti.

Da questi dati emerge chiaramente come l’allevamento a livello italiano, nello scorso ventennio, fosse sostanzialmente suddiviso in due: una parte, numericamente rilevante ma con pochi soggetti, destinata ad una produzione poco più che familiare; ed un’altra, di minor peso numerico ma con una elevata concentrazione di soggetti in allevamento, rivolta al mercato. Tale situazione non si riscontrava negli altri parteners europei, dove l’allevamento era invece impostato su di una pluralità di aziende di più modeste dimensioni.

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad un progressivo cammino di miglioramento e specializzazione di tutto il settore, che ha portato ad aumentare in modo esponenziale le produzioni dei grandi allevamenti, facendo scomparire quasi totalmente i piccoli allevatori, che fino a poco tempo prima rappresentavano la realtà più evidente nel nostro paese. Al 1° giugno 2005 i suini ammontano a poco meno di 9,3 milioni di capi, in aumento dello 0,8% rispetto alla stessa data dell’anno precedente.

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Tabella 1.3 – Patrimonio nazionale suino al 1° giugno anni 2004-2 005 (capi in migliaia)

(Istat,2005)

In particolare, i lattonzoli crescono dell'1,1 per cento, i suini di peso incluso tra i 20 ed i 49 kg del 5,4% e i suini da riproduzione di 50 kg e più del 3,0 % (+32,2 % i verri; +2,2 % le scrofe). Relativamente alla categoria delle scrofe si registra una diversa tendenza tra le scrofe montate (-0,3 %) e quelle non montate (+12,4 %).

Tra i suini da ingrasso si segnala la diminuzione di tutte le categorie, seppure con una variazione di appena lo 0,5% per gli animali di peso superiore ai 110 kg, destinati in gran parte alla produzione di prosciutti. Il consolidamento del patrimonio suinicolo nazionale, è da attribuire da un lato al decremento delle macellazioni di suini (pari al 4,2% nel periodo giugno 2004 - maggio 2005), dall’altro al commercio con l'estero di animali vivi. L’entità delle esportazioni resta comunque molto limitata, interessando poco meno di 34 mila capi vivi tra giugno 2004 e maggio 2005 (+85,3 % rispetto al periodo precedente).

La consistenza del patrimonio suinicolo nazionale continua, peraltro, ad essere alimentata quasi esclusivamente dai flussi di importazione riguardanti circa 653 mila capi suini (-29,4% rispetto al periodo precedente).

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Grafico 1.4 – Andamento della consistenza nazionale di bestiame al 1° giugno- anni

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1.4 Le principali tecniche di allevamento

1.4.1 L’allevamento intensivo confinato

Questa tipologia di allevamento è quella che senza dubbio viene maggiormente praticata nel comparto suinicolo, rivolto alle grandi produzioni industriali.

Essa si distingue in due metodologie differenti : a ciclo aperto ed a ciclo chiuso; mentre la prima comprende solamente la fase di ingrasso di animali acquistati all’esterno dell’azienda, la seconda prevede, oltre ad essa, anche una fase di riproduzione all’interno dell’azienda stessa. Ovviamente, le differenti metodologie procedurali comportano anche differenze strutturali significative all’interno degli allevamenti.

Allevamenti a ciclo aperto

Questi allevamenti generalmente partono dall’acquisto di magroncelli di 25-35 o 50-60 kg di peso vivo per arrivare, attraverso la sola fase di ingrasso, alla produzione del suino leggero ( 100-110 kg di peso vivo ) o a quella del suino pesante utilizzato per l’industria salumiera ( 160 kg e oltre di peso vivo ).

L’allevamento a ciclo aperto solitamente utilizza un unico tipo di ricoveri, caratterizzati da capannoni suddivisi in box, aventi un’adeguata coibentazione per evitare notevoli sbalzi di temperatura (ottimale intorno ai 15 °C). Gli animali sono generalmente raggruppat i in gruppi di 25-30 capi e mantenuti in box dotati di trogoli e di eventuali condutture per la fornitura di miscele secche o liquide di mangimi.

La pavimentazione in cotto o fessurata, spesso unita ad una lettiera in paglia, è disposta su diversi livelli per favorire la differenziazione delle zone di riposo da quelle di defecazione; questo avviene quando, per quest’ultima, non siano previste zone esterne al ricovero stesso.

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Allevamenti a ciclo chiuso

Gli allevamenti a ciclo chiuso partono da scrofe e verri per produrre i soggetti da ingrassare, i quali vengono ingrassati nello stesso allevamento. Questa tipologia di allevamento, avendo al suo interno contemporaneamente la presenza di :

• Scrofe ( in attività riproduttiva, in fase di asciutta e prossima copertura, in gestazione, in fase di parto e allattamento )

• Suinetti in fase di svezzamento dai 10 ai 25 kg • Scrofette da rimonta fino al peso di 110-120 kg

• Verrini da destinare alla rimonta fino al peso di 120 kg • Verri in attività produttiva

• Suini all’ingrasso

necessita di ricoveri con caratteristiche differenti ed aventi ognuno una propria funzione.

Questo permette di creare in essi il microclima più adatto per ogni tipo di animale e, per ogni ciclo di allevamento, di realizzare lo “svuotamento” sanitario necessario a garantire le pulizie e le disinfezioni, onde scongiurare eventuali accumuli microbici.

I ricoveri che nella maggior parte dei casi vengono utilizzati nelle diverse fasi di allevamento dei riproduttori sono:

- Centro eros: dove le scrofette al primo salto e le scrofe dopo l’asciutta sono tenute a contatto con il verro

Zona di gestazione: dove le scrofe passano la gravidanza fino a 4 -8 giorni dal parto.

- Sala parto e allattamento: ogni scrofa viene mantenuta all’interno della propria gabbia mentre i lattonzoli dispongono di una zona

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- Ricoveri per i soggetti da rimonta: destinati a quei soggetti adibiti

alla riproduzione all’interno dell’azienda stessa.

La suinicoltura italiana suddivide la sua produzione in due grandi gruppi : • Il suino pesante da salumificio

• Il suino leggero da macelleria

Queste due differenti tipologie di prodotto finale hanno influenzato inevitabilmente sia la durata che le tecniche di allevamento che si sono dovute adeguare alla tendenza del mercato.

Suino pesante da salumificio

Diversamente dalla produzione di altri paesi, quella italiana del suino pesante per l’industria salumiera, porta gli animali ad essere macellati a circa 160-170 kg di peso vivo ed a fornire carcasse di circa 130-140 kg. Queste differenze di peso alla macellazione sono dettate dalle richieste dell’industria salumiera nazionale, specializzata nella produzione di prosciutti ed altri salumi di pregio, per i quali viene richiesta una carne matura che può essere fornita solamente da suini di età superiore ai 10 mesi. La macellazione a pesi così elevati comporta numerosi inconvenienti che vanno da un peggioramento degli indici di conversione degli alimenti, ad un aumento della quantità di grasso nella carcassa, ad una maggiore durata della permanenza degli animali nelle strutture adibite all’ingrasso. Ciò determina anche conseguenze decisamente negative a livello economico.

L’ingrasso dei suini pesanti passa attraverso quattro differenti fasi in cui l’animale prende nomi diversi:

• Lattone (25-40 kg di peso vivo) • Magroncello (40-60 kg di peso vivo) • Magrone (60-100 kg di peso vivo)

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Suino magro da macelleria

Per la produzione del suino magro da macelleria vengono spesso utilizzati ibridi commerciali che presentano buoni indici di conversione uniti ad elevate velocità di accrescimento.

La selezione genetica operata su questi animali ha consentito, inoltre, una elevata capacità di adattamento sia alle condizioni ambientali che al tipo di alimentazione, arrivando alla macellazione con carcasse di circa 100 kg di peso. I piani alimentari per questi animali (che tendono a favorire la produzione di tagli magri) comprendono la somministrazione di concentrati “ad libitum” per i primi mesi di vita arrivando fino ad un 75 % della medesima razione nei periodi successivi. Ovviamente, questi piani variano al variare delle caratteristiche dell’ibrido impiegato, ed è per questo motivo che spesso i produttori indicano ai loro clienti livelli nutritivi adeguati nelle differenti fasi di allevamento dell’animale.

Tabella 1.4 - Razionamento e prestazioni del suino leggero (Assalzoo,1984)

Mesi di età 2 3 4 5 6 Peso vivo (kg) 20 35 45 78 100 Alimento al di (g) 800 1.500 2.150 2.750 3.100 Alimento al di (% di PV) 4 4,3 3,9 3,5 3,1 Incremento ponderale giornaliero (g) 450 580 750 780 720 Indice di conversione 1,8 2,3 2,5 2,8 3,1

Per quanto concerne la sezionatura della carcassa del suino leggero si possono ottenere percentuali che variano dal 58 al 65% (del peso della carcassa) di tagli pregiati (coscio, spalla, lombo, petto) e dal 15 al 17% di

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Il tipo di allevamento tradizionale (confinato) si colloca prevalentemente nel nord Italia e nelle specifico nella Pianura Padana. Questo è dovuto principalmente a due fattori fondamentali :

• La grande tradizione salumiera della zona

• La presenza di grandi caseifici (zona del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano) che forniscono grandi quantità di siero impiegate nell’alimentazione del suino.

Unico neo di questa tipologia di produzione riguarda l’aspetto ambientale legato allo smaltimento dei reflui.

Essi, infatti, causano diversi problemi soprattutto se si considera che la maggior parte di questi allevamenti vengono detti “senza terra” in quanto svincolai da un superficie agraria. Per questo motivo, negli ultimi anni, è stata rivolta particolare attenzione sia ai procedimenti meccanici, sia a fasi di alimentazione e gestione che tendessero a diminuire il potere inquinante delle deiezioni.

A riguardo è significativo ricordare i trattamenti per la fermentazione anaerobica realizzati negli impianti di biogas. In essi, la sostanza organica facilmente degradabile (acidi volatili, lipidi, emicellulosa) contenuta nei liquami, viene parzialmente trasformata in anidride carbonica e metano. Questi trattamenti sono in grado di fornire un importante contributo contro l’inquinamento, abbattendo parte del potere inquinante dei reflui e fornendo gas combustibile e fanghi digeriti ottimi come fertilizzanti.

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1.4.2 L’allevamento “en plein air”

Questa modalità di allevamento costituisce una delle nuove frontiere della moderna zootecnia, sensibile tanto alle esigenze ambientali quanto a quelle di benessere animale. Tutto ciò avviene salvaguardando la redditività dell’operazione imprenditoriale, che deve sempre di più soddisfare la richiesta dei consumatori alla ricerca di prodotti alternativi e di qualità.

Da oltre vent’anni, l’allevamento all’aperto del suino, basato su criteri intensivi o semi intensivi, rappresenta in alcuni Paesi del Centro-Nord Europa (Francia, Gran Bretagna, e Svezia), una quota non trascurabile della totale produzione suinicola. Si è stimato che circa il 20% degli allevamenti suini della Gran Bretagna, e poco meno del10% di quelli francesi, utilizzano il sistema all’aperto.

Le condizioni climatiche tipiche di questi Paesi, dove gli inverni sono rigidi e la piovosità è elevata durante tutto l’anno, non sembrano aver ostacolato il diffondersi di questo sistema di allevamento. In pratica, considerata l’esperienza acquisita da questi allevatori, sembra che gli effetti negativi legati al clima possano essere limitati da semplici accorgimenti tecnici e di gestione dell’allevamento.

Le ragioni che hanno condotto alla rapida diffusione dell’allevamento all’aperto in questi Paesi sono molteplici. In primo luogo, questa forma di allevamento consente un ridotto impegno di capitali rispetto al tipo tradizionale, in cui i costi finanziari e gli ammortamenti delle strutture possono penalizzare fortemente la redditività dell’impresa. Un ruolo positivo ha avuto anche l'abbondante disponibilità di terreni agricoli

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I vantaggi del sistema di allevamento en plein air, rispetto all'allevamento intensivo possono essere così riepilogati:

• Investimento per strutture: 1/ 6 rispetto all'allevamento intensivo. • Non esistono problemi si smaltimento dei liquami.

• Miglioramento delle condizioni di salute degli animali; minor utilizzo di vaccini e di medicinali.

• Minori costi di gestione.

• Rispetto integrale delle nuove disposizioni sul benessere degli animali.

• Le carni dei suini allevati all'aperto rispondono alle esigenze di un mercato che richiede sempre di più prodotti di alta qualità.

Qualora l’ allevamento sia orientato verso una produzione a ciclo chiuso la suddivisione delle aree può seguire due diverse tipologie: a settori squadrati o a raggiera.

Il sistema a settori squadrati-rettangolari si presta bene per corpi aziendali e branchi di piccole dimensioni. In ogni caso dovrà essere assicurata, attraverso la presenza di adeguati corridoi di movimentazione, una buona viabilità per lo spostamento degli animali e tutte le operazioni gestionali.

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Immagine 1.1 - Schema di suddivisione delle aree per un allevamento di circa 50 scrofe e lattonzoli, con il sistema dei settori squadrati.

Il sistema a raggiera risulta molto funzionale per la gestione della riproduzione, ma crea qualche problema per la coltivazione delle superfici a riposo (ideale in rotazione con prato polifita), oltre a richiedere un corpo di terreno di dimensioni certamente elevate anche per la costituzione di una unità produttiva di medie dimensioni (per un gruppo di 45-50 scrofe, lattoni ed animali in accrescimento sono necessari circa 5-6 ha per un allevamento convenzionale e almeno 10-12 ha per quello biologico.

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Immagine 1.2 – Suddivisione della aree di allevamento nel sistema a raggera (Le

nissage des porcelets en plein air)

In entrambi i casi, per quanto concerne i ricoveri è possibile distinguere tre tipi di strutture:

• ricoveri per la fase di parto-allattamento (per una sola scrofa con nidiata)

• ricoveri per le scrofe gestanti (strutturalmente simili a quelli utilizzabili per il ricovero dei suini allo stato brado nelle fasi di accrescimento-ingrasso);

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1.4.3 L’allevamento semibrado

Questa tipologia di allevamento ha preso piede soprattutto nel sud Europa e specialmente nel bacino Mediterraneo; il suo sviluppo in tale zona è probabilmente dovuto alle più favorevoli condizioni climatiche, che consentono un miglior adattamento.

L’allevamento semibrado ha portato alla realizzazione di prodotti lavorati di elevato valore economico derivanti da un insieme di pratiche agricole estensive, in cui l’interazione genotipo-ambiente influenza notevolmente la qualità di tutta la produzione. Generalmente, gli animali allevati con questo sistema appartengono a razze rustiche, dotate di una buona capacità di adattamento alle caratteristiche ambientali di tali zone; questi soggetti, infatti, risultano maggiormente resistenti alle malattie e sono in grado di procacciarsi buona parte dell’alimentazione loro necessaria, attraverso il pascolamento.

Diversamente da quanto avviene nell’allevamento brado, i suini vengono alimentati principalmente con miscele adatte ai diversi stadi fisiologici ed utilizzano il pascolo ( macchiatico nella maggior parte dei casi ) principalmente durante il periodo autunnale, in corrispondenza della presenza al suolo di abbondanti quantità di ghiande e castagne. Questo avviene principalmente per i soggetti all’ingrasso e suinetti già svezzati, mentre per le scrofe in gestazione è possibile il pascolo su erbai alla fine del ciclo produttivo. Terminato il periodo di gestazione ogni scrofa viene collocata in appositi recinti, di ridotte dimensioni, dotati di ricovero (archetta) e mangiatoia per evitare l’insorgenza di problemi durante la fase di parto e per far sì che la mortalità dei lattonzoli sia ridotta al minimo grazie alle più favorevoli condizioni ambientali.

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1.4.4 L’allevamento brado

La tecnica di allevamento del suino allo stato brado risulta poco diffusa perché abbisogna di una superficie di elevate dimensioni, preferibilmente caratterizzata da boschi ad alto fusto ed essenze in grado di produrre una buona quantità di alimento quali : querce, castagni, corbezzolo, ulivo, mirto ed altri frutti tipici della macchia mediterranea. La zona destinata al pascolamento, non deve essere sottoposta ad eccessivi carichi di animali, per evitare che si verifichino fenomeni di competizione alimentare fra i soggetti allevati, e che ciò determini l’insorgenza di danni alle piante ed al terreno come sentieramento, escavazioni e scortecciature.

Un adeguato dimensionamento dell’allevamento preserva quindi dall’insorgenza di eventuali danni a discapito dell’apparato radicale del patrimonio arboreo della zona. Infatti questi animali sono ghiotti di tuberi e radici che ricercano da soli mediante un’azione di grufolamento.

Oltre agli alimenti sopra citati, i suini si nutrono di ghiande e castagne, pertanto il pascolo autunno-vernino viene effettuato in particolare nei boschi di querce, roveri, lecci e castagni.

Qualora si renda possibile, la produzione spontanea viene integrata con la semina di erbai adatti al pascolo del maiale, applicando opportune tecniche di rotazione. In primavera il pascolo può essere attuato su prati, sui cereali in erba, sugli erbai di veccia e trifoglio incarnato, mentre in autunno sui campi di rape e sugli erbai di orzo e segale.

Sicuramente questo sistema di allevamento, ove possibile, porta numerosi vantaggi in termini ambientali, economici, di benessere animale e di qualità dei prodotti. Basti pensare alla quasi totale assenza di strutture fisse con un risparmio del 70-80% rispetto all’allevamento tradizionale, al fatto che i terreni utilizzati possano essere inseriti in rotazioni colturali ed alla quasi totale eliminazione del problema dello smaltimento dei liquami, direttamente smaltiti sul terreno. Ultimi, ma più importanti di tutti i vantaggi, sono senza dubbio un maggior rispetto del

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benessere animale ed il conseguente miglioramento dei prodotti carnei, che da esso deriva.

L’unico punto debole si riscontra nello stress da caldo a cui gli animali potrebbero essere sottoposti quando la temperatura raggiunge i 25-30° C, andando così incontro a possibili scottature e colpi di calore spesso causa della morte del soggetto. Per ovviare a questo tipo di inconveniente, è necessario dotare gli spazi adibiti al pascolamento di opportune zone ombreggiate e zone umide, dove gli animali possano rinfrescarsi durante le ore più calde della giornata.

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1.5 Le principali razze allevate

Nonostante le razze allevate siano un numero decisamente elevato e varino a seconda, sia della zona in esame che dei principali ceppi ivi presenti, è d’obbligo fare una generale distinzione sulle predisposizioni dei vari genotipi alle diverse tipologie di allevamento.

Infatti, sono presenti razze con una maggiore tendenza all’accrescimento che però mal si adattano all’allevamento brado a causa dell’eccessiva debolezza degli arti, diversamente esistono razze che manifestano una buona rusticità ma che non valorizzano le tecniche di allevamento di tipo tradizionale.

1.5.1 Le razze per l’allevamento intensivo

Large White

Razza di origine e selezione inglese, derivata dalla Yorkshire. Eccelle nella produzione del suino pesante. La sua principale caratteristica è data dall'alto grado di fecondità e prolificità, oltre l'ottima indole materna e lattifera delle scrofe, nonché la velocità di accrescimento a tutte le età e l'ottimo indice di conversione (accrescimenti elevati, dai 500 agli 800 g al giorno). Maiali di questa razza a 6 mesi superano anche i 100 kg che

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della carne. Prosciutti ben conformati e di giusto peso. In Italia domina numericamente su tutte le altre razze allevate, sia in purezza che come razza incrociante o incrociata, soprattutto con verro Landrace.

L'allevamento di questa razza ha avuto inizio alla fine del secolo scorso (1873), soprattutto nelle province di Reggio Emilia, Parma, Mantova e Cremona, assorbendo le razze locali e costituendo quella che per molti anni è stata chiamata razza Reggiana, che altro non è che la Large White italiana.

Landrace

La Landrace Danese (Danish Landrace) attuale è tra le razze più selezionate e più stimate al mondo, grazie anche all'organizzazione perfettamente efficiente delle Stazioni sperimentali danesi per il pig progeny testing, nonché per la severità con la quale viene regolata l'iscrizione al National Pig Book. L'attenta selezione e le buone cure di mantenimento permettono di ottenere, in genere, due parti all'anno. Il peso vivo medio dei suinetti alla nascita è di kg 1,3-1,5. Le scrofe

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15/16 anziché 13). Alta resa al macello, ottima sia per la produzione di suino pesante che per la produzione di carne magra da destinare al consumo diretto. Buona prolificità ed elevata attitudine materna. Per l'ingrasso la Landrace è allevata incrociata con la Large White (scrofa Large White e verro Landrace) e come tale popola la grande maggioranza degli allevamenti intensivi del Nord Italia per la produzione del suino pesante.

Petrain

Razza originaria del Belgio. E' stata ottenuta dall'incrocio e successivo meticciamento di suini di origine francese appartenenti ad una razza pomellata assai precoce, con suini Berkshire e Tamworth. Suino ipertrofico, con masse muscolari molto pronunciate che forniscono altissime rese al macello, con carni chiare quasi prive di grasso. Particolarmente adatta alla produzione del suino leggero. Questa razza è però caratterizzata da un'elevata suscettibilità allo stress, che determina alterazioni fisiologiche delle masse muscolari tali da compromettere l'attitudine alla trasformazione in prosciutti di qualità.

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Poland china

Razza suina di origine americana (Ohio), probabilmente derivata da incroci praticati tra razze autoctone con riproduttori di razza orientale. Il tipo primitivo, prevalentemente da grasso e da lardo (lard type), è stato poi trasformato in "dual type", cioè anche da carne, conservando la buona attitudine all'ingrassamento.

La carne prodotta è abbondante e soda. Molto allevata è anche la sottorazza Spotted Poland China (o Spot) con mantello pezzato bianco e nero, a macchie irregolari (di maggior mole della razza originaria e ritenuta più robusta e conveniente). E' la razza americana che ha avuto la più larga e duratura diffusione nel mondo. La prolificità è media e anche l'attitudine lattifera è generalmente ritenuta non particolarmente spiccata.

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Duroc

Razza originaria degli Stati Uniti. Deriva da un incrocio a tre vie tra Berkshire, suini Iberici e suini rossi africani della Guinea. E' la razza più diffusa nel Nuovo Continente. Di grandi dimensioni, è capace di fortissimi accrescimenti giornalieri (600-800 g), pari a quelli della razza Large White e Landrace. Elevata prolificità e attitudine materna. Usato in Italia prevalentemente come verro per l'incrocio nella produzione del suino pesante da salumificio. In purezza presenta alcuni difetti che lo rendono poco utilizzabile negli allevamenti industriali: la noce e la grassinatura in modo particolare. La prima è una noce di grasso che si rinviene nel prosciutto, la seconda riguarda un'accentuata marezzatura, entrambe non gradite dai trasformatori. Buona la prolificità e la robustezza generale.

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Le razze per allevamento brado e semibrado

Cinta Senese

Razza rustica, ottima pascolatrice, con spiccata attitudine materna e notevole capacità di allattamento. I maschi possono raggiungere ad un anno pesi superiori ai 150 kg e le femmine 140 kg. Notevole il deposito di grasso in generale e lardo dorsale in particolare (molto apprezzato per i produttori di lardo di Colonnata). Risulta indenne dai difetti quali il PSS, il PSE e la carne acida. Particolarmente adatta al pascolo e frugale. Per la salvaguardia e valorizzazione della razza Cinta Senese è stato costituito il Consorzio della Compagnia della Cinta Senese.

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grigio scura ) sul dorso e nelle aree esterne degli arti; rosea nell’addome e nelle facce interne dell’ avambraccio e delle cosce. Mantello nero focato con setole lunghe e robuste a punta divisa e rossiccia. Oggi la razza è ridotta a pochi esemplari concentrati in alcuni allevamenti, con elevati livelli di consanguineità.

Nel 1918 la popolazione di suini di razza Mora Romagnola in Italia ammontava a 335.000 capi. Nei primi anni Novanta erano rimasti soltanto 18 esemplari concentrati in un solo allevamento con elevati livelli di consanguineità. Successivamente il WWF Italia in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino ha deciso di attuare un piano di recupero della razza Mora Romagnola ed in seguito l’A.N.A.S. ha istituito il registro anagrafico delle razze autoctone italiane per tentare di tutelarle. Oggi esistono 46 allevamenti iscritti all’albo degli allevamenti di razza Mora Romagnola dell’A.N.A.S.

Suino nero delle Madonne

Detto anche Suino Nero dei Nebrodi o Nero Siciliano. Razza autoctona siciliana di origini antichissime. Oggi è presente un limitato numero di esemplari (circa mille scrofe pure e altre derivate) che continua ad essere allevato allo stato brado nelle Madonie e nei Nebrodi (Sicilia). Razza precoce e longeva, è caratterizzata da una interessante fertilità e vivinatalità (elevato numero di suinetti portati allo svezzamento).

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Resistente alle malattie, capace di valorizzare alimenti anche poveri e molto resistente alle avversità climatiche. Le sue carni sono utilizzate sia allo stato fresco che insaccate, ottenendo prodotti di alta qualità.

Casertana

È certamente la razza più precoce tra le razze italiane, in grado di produrre ingenti quantità di grasso. All'età di un anno può arrivare a pesare oltre 150 kg.

La situazione attuale della razza è critica in quanto sopravvivono soltanto pochi soggetti, alcuni dei quali non sono di razza pura. Rustica, ottima pascolatrice, frugale e precoce, possiede tutte le caratteristiche per essere allevata all'aperto. La prolificità è limitata con una media di 4-6 suinetti per parto ed un massimo di 10.

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Ibridi commerciali

Il miglioramento genetico che interessa questi animali è finalizzato a soddisfare sempre più le esigenze dell’allevatore; tale obbiettivo viene portato avanti mediante selezione ed incroci.

In Italia la maggior parte dei suini posti all’ingrasso è frutto dell’incrocio tra soggetti opportunamente selezionati; questo è dovuto principalmente ai benefici provenienti sia alla valorizzazione delle differenze genetiche tra le razze, sia dallo sfruttamento del fenomeno dell’eterosi o vigore ibrido. Gli animali così ottenuti risultano nettamente più resistenti rispetto ai soggetti di linea pura e più facilmente adattabili alle caratteristiche ed alla tipologia di allevamento. Nel caso specifico dello studio condotto, sono stati impiegati ibridi risultanti dall’incrocio di Large Wite x Duroc , i quali garantivano al tempo stesso buoni incrementi ponderali uniti ad buon adattamento alle caratteristiche dell’allevamento brado in bosco.

Altro fattore di grande importanza ai fini della prova è che questi animali presentano una bassissima variabilità all’interno del gruppo sia per quanto concerne gli incrementi in peso sia a livello morfologico. Questo porta un notevole giovamento in fase di studio in quanto diminuisce sensibilmente le variabili inerenti le eventuali differenze morfologiche.

Figura

Tabella 1.1- Andamento della popolazione suina in Europa (dati Eurosat, 2005)      1994 1995  1996 1997 1998  1999 2000 2001  2002 2003 2004  2005 EU (25 countries)  150.273.700 150.831.160  150.425.670 151.194.430 158.751.130  : : 152.902.470  154.356.340
Tabella  1.2  –  Produzione  di  carne  suina  a  livello  europeo  (%  sulla  produzione  totale  di  carne) (dati Eurosat)
Tabella 1.3 – Patrimonio nazionale suino al 1° giugno anni 2004-2 005 (capi in migliaia)
Tabella 1.4 - Razionamento e prestazioni del suino leggero (Assalzoo,1984)

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