• Non ci sono risultati.

2.3 Fisiologia dell’immersione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2.3 Fisiologia dell’immersione"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

2.3 Fisiologia dell’immersione

I Cetacei sono in grado di prolungare i tempi di apnea senza andare incontro a problemi circolatori come l’embolia, dovuti a sbalzi della pressione idrostatica (iperbaropatia). Ciò è possibile grazie all’elevata densità dei pigmenti respiratori reperibili nel sangue (emoglobina) e nel muscolo (mioglobina), che immagazzinano ossigeno nei tessuti che ne richiedono di più. Inoltre in immersione il battito cardiaco rallenta sensibilmente e gli organi non indispensabili alla vita vengono tagliati fuori dal circolo sanguigno grazie a meccanismi selettivi di vasocostrizione incrementando così l’irrorazione degli organi più importanti. Per evitare i problemi da decompressione le strategie messe in atto consistono nel limitare al minimo la quantità di aria gassosa portata in immersione, ciò è possibile grazie a diversi meccanismi fisiologici che si attuano insieme: la presenza di un volume polmonare ridotto rispetto alla mole corporea; il collasso alveolare dovuto alla pressione esercitata dall’acqua sulla gabbia toracica, estremamente flessibile, che interrompe gli scambi di gas respiratori tra il torrente circolatorio e i polmoni; e infine per mezzo di un complesso sistema circolatorio arterioso, la rete mirabile toracospinale, che cattura le bolle di azoto che eventualmente si dovessero generare durante l’emersione, e le libera poi tra un’immersione e l’altra.

I Cetacei devono anche essere in grado di regolare il loro equilibrio osmotico limitando al massimo l’ingestione di sali dall’esterno e continuando a eliminare quelli di cui non è stato possibile evitare l’ingresso nell’organismo, mediante processi escretivi. Questo compito è interamente svolto dal rene nei Mammiferi, aiutato negli Elasmobranchi dalla ghiandola rettale; da cellule dell’epitelio branchiale nei pesci ossei ecc. I Cetacei sono così in grado di produrre urina più concentrata dell’acqua di mare.

Inoltre durante le immersioni i Cetacei devono essere in grado di conservare le energie per il nuoto, ciò è possibile mediante modificazioni nella locomozione. I delfini sono in grado di volteggiare (Au and Weihs 1980; Blake 1983), cavalcare le onde (Williams et al., 1992) o mantenere un assetto routinario (Williams et al., 1993) e l’assetto verticale di immersione ed alternare questi tipi movimento per abbassare i costi locomotori nel momento in cui nuotano vicino alla superficie dell’acqua.

L’immersione impone una sfida unica alla locomozione a causa dei cambi di pressione che si hanno con la profondità. Specialmente per le immersioni lunghe i piccoli delfini ottengono un vantaggio da questi cambiamenti di pressione muovendosi con una propulsione alternata scivolamenti (Skrovan et al., 1999) riducendo il dispendio energetico anche del 50% (Weish, 1974; Videler e Weish, 1982).

(2)

Modi di nuotare energicamente efficienti per i mammiferi marini sono importanti durante il tuffo quando l’eccesso di ossigeno è limitato alle riserve catturate nei polmoni, nel sangue e nei muscoli (Kooyman, 1989). Bassi costi locomotori nel tuffo offrono anche il vantaggio di utilizzare parsimoniosamente le riserve di ossigeno e quindi di prolungare l’immersione. Durante la ricerca di cibo ciò è un vantaggio in quanto aumenta il tempo a disposizione per localizzare e catturare la preda (Dunstone e O’Connor, 1979; Kramer, 1988).

La necessità di conservazione dell’energia probabilmente dipenderà dalla durata e profondità del tuffo. I cetacei che si tuffano, come altri mammiferi marini, devono bilanciare l’eccesso di richieste metaboliche oltre la normale necessità per il nuoto con una limitata riserva di ossigeno (Castellini et al., 1985; Hochachka, 1986).

Tuffi di breve durata, rispetto a tuffi più lunghi, presumibilmente consentono una più grande variabilità nella velocità e maniera di nuotare perché l’impatto relativo sulla riserva di ossigeno è più basso. Tuffi più lunghi nei quali le riserve di ossigeno divengono limitate dovrebbero essere affrontati con strategie di conservazione dell’energia apposite (Williams et al., 1996), i delfini possono quindi impostare schemi di nuoto per accoppiare al meglio la maniera di propulsione, la velocità di routine e i costi energetici per ottimizzarli e compiere tuffi e immersioni più lunghe. In uno studio condotto da Williams, Haun e Friedl sono state studiate le variazioni del pH sanguigno, del lattato, della frequenza cardiaca e respiratoria e le pressioni di ossigeno ed anidride carbonica nel sangue in delfini che compivano un percorso rettilineo in immersione e in fasi di apnea sedentaria. E’ stato riscontrato che PO2 decresceva con la durata dell’apnea, al contrario

PCO2 aumentava linearmente con durate di apnea oltre i 225 s. Il pH del sangue era indipendente

dalla durata delle apnee che varavano da 60 a 405 s. I picchi di concentrazione di lattato venivano ottenuti dopo il completamento dell’immersione (Williams et al., 1993). La concentrazione di lattato nel plasma aumentava in maniera curvilinea con la durata della fase di apnea secondaria. La concentrazione di lattato nel plasma era 2-3 volte più alta dopo un’apnea di 30 s. Comunque i valori erano costantemente più bassi di quelli misurati per delfini in immersione attiva o in esercizio per periodi di apnea paragonabili.

In acque aperte la frequenza cardiaca media per periodi di 2 min prima delle immersioni meno profonde era 101.8±0.7 battiti/min, la percentuale prima delle immersioni più profonde era 111.3±2.2 battiti/min. Dopo l’immersione gli animali mostrano una bradicardia rapida e marcata. Anche se la risposta massima fu realizzata in approssimativamente 30 s durante le immersioni di 60 metri la bradicardia massima non si ebbe fino a quasi 60 s durante le immersioni di 210 metri. La risposta finale per la bradicardia differiva significativamente per le due profondità di tuffo. La frequenza cardiaca media alla massima profondità era 37.0±1.8 battiti/min per le immersioni di 60

(3)

metri e 30.0±2.2 battiti/min per le immersioni a 210 metri. La frequenza cardiaca mostrava anche una variabilità considerevole durante la fase di salita delle immersioni ad ambo le profondità. Questo potrebbe essere dovuto in parte ad una tachicardia anticipata durante la salita. La frequenza cardiaca media durante i primi 2 minuti che immediatamente seguono l’immersione era del 6-10% più bassa dei livelli pre immersione, sebbene i risultati non fossero significativamente diversi. Dopo l’immersione la frequenza cardiaca era 95.8±5.3 battiti/min per i tuffi di 60 metri e 101.1±4.2 battiti/min per tuffi di 210 metri.

La frequenza respiratoria media di delfini adulti che stazionano in superficie era 3.9±0.2 respiri/min, più alta durante il primo minuto dopo l’immersione. La frequenza respiratoria dopo le immersioni più profonde esaminate in questo studio era di 2.5 volte il valore per i delfini in riposo e raggiungeva la frequenza di massimo esercizio per i delfini che spingevano contro una cella di carico.

La concentrazione di lattato nel plasma era 1.94±0.14 mmol/l a seguito di immersione di 60 metri e non era significativamente diverso dai valori a riposo. Valori medi di lattato nel plasma aumentavano con la profondità di immersione ed erano significativamente diversi una volta che la profondità superava i 140 metri. La concentrazione di lattato aumentava di conseguenza a 3.76±0.52 mmol/l dopo un’immersione di 210 metri. Dopo l’immersione i livelli di lattato erano costantemente più alti di quelli di delfini in fase di apnea sedentaria a durata comparabile di apnea. Come osservato per delfini sedentari la concentrazione di lattato nel plasma aumentava con la durata dell’apnea nei delfini in immersione.

Gli andamenti di discesa e salita per i delfini in immersione variavano da 1.4 a 2.5 m/s. Per le due profondità esaminate gli andamenti di salita erano più 51% più veloci che il corrispondente andamento di discesa.

Osservazioni dirette e registrate da subacquei mostrarono che i delfini in immersione usavano di solito varie combinazioni di nuoto. Questo era specialmente evidente per immersioni più profonde. Il periodo di discesa iniziale era caratterizzato da un movimento dorso-ventrale continuo. Per immersioni a 210 metri i delfini nuotavano fermamente per più del 90% del tempo durante questo periodo iniziale. In contrasto, la discesa finale spesso includeva periodi di voga attiva seguiti da fasi di scivolamento, il 75% del periodo di salita finale di 210 metri era speso scivolando. La frequenza media di voga era 69.3±1.8 colpi/min durante periodi di voga continui per l’ascesa ed intervalli di discesa.

Le risposte fisiologiche di un mammifero devono dare conto degli effetti di apnea sovrapposti durante l’esercizio di nuoto (Castellini et al., 1985). Mentre una risposta promuove la conservazione di scorte di ossigeno, l’altra simultaneamente richiede la loro utilizzazione.

(4)

La durata dell’immersione piuttosto che il livello dell’esercizio in sé sembra dettare molte delle risposte cardiovascolari e respiratorie dei delfini bottlenose in immersione. La bradicardia finale in profondità è più bassa per immersioni più lunghe o apnee sedentarie che per immersioni a profondità minori.

Per i mammiferi marini in immersione gli effetti fisiologici di esercizio ed apnea sui sistemi cardiovascolari e respiratori possono essere primariamente manifesti durante il periodo di recupero post-immersione, in questo modo si riduce il tempo di recupero richiesto e si accorcia l’intervallo di recupero inter-immersione. Sia la frequenza cardiaca che la frequenza respiratoria dei delfini durante l’iniziale periodo di recupero post-immersione erano equivalenti o superavano i valori riportati per il nuoto. Le frequenze erano positivamente correlate con la profondità di tuffo e con la durata dell’immersione. La frequenza respiratoria durante il recupero delle immersioni più profonde raggiungeva il livello massimo riportato per i delfini (Williams et al., 1993).

Anche i cambiamenti nei parametri del sangue, soprattutto le concentrazioni di lattato nel sangue dei delfini bottlenose riflette gli effetti aggiuntivi di esercizio ed apnea. La fase di apnea sedentaria diede luogo a cambi immediati nei livelli di gas nel sangue seguiti da un cambio graduale nelle concentrazioni di lattato. Un calo lineare nel sangue di PO2 ed un aumento in PCO2 si aveva durante

i primi 225 s di apnea per i delfini fermi. I cambi conseguenti nelle concentrazioni di lattato durante questo periodo erano insignificanti. L’esercizio comportava valori di lattato più alti che un’apnea sedentaria. L’aumento graduale nel livello di lattato con l’aggiunta di esercizio è comparabile in scala con quello dei mammiferi terrestri in corsa (Seeherman et al., 1981) ed è evidente in delfini attivi senza considerare un continuo o interrotto accesso di aria. Poiché nell’immersione i delfini tendono a muoversi con velocità inferiori rispetto agli animali che nuotano, si deduce che le comparatamente alte concentrazioni di lattato risultano dagli effetti cumulativi di apnea ed esercizio.

I delfini nell’esercizio in studio non erano capaci di sostenere lavoro a questo livello anche se l’accesso all’aria era continuato. L’assalto dell’accumulo di lattato dopo immersione può essere predetto dal limite di immersione aerobio (ADL) dell’animale (Kooyman e Ponganis, 1998). Definito come il massimo di apnea che può essere sostenuto dalle riserve di ossigeno disponibili senza un aumento dopo immersione nel livello di lattato del plasma (Koouman, 1985), l’ADL è calcolato dividendo le riserve di ossigeno possedute per la frequenza metabolica.

Teoricamente, l’equilibrio complesso tra le risposte di esercizio e immersione contribuiranno a risparmi energetici durante l’immersione attraverso l’uso giudizioso delle scorte di ossigeno. La strategia per molte specie di mammifero marino sembra essere l’aderenza ad uno spazio di durate di immersione che è sostenuta da vie aerobiche e metaboliche (Dolphin, 1987; Feldkamp et al., 1989;

(5)

Kooyman, 1989; Kooyman et al., 1983; Ponganis et al., 1993; Marti net al., 1994; Shaffer et al., 1997). Effettivamente, la maggioranza delle immersioni cade all’interno di questo limite di immersione aerobia.

I calcoli basati sulle componenti metaboliche di nuoto adeguate alle componenti per salire e scendere indicano che le riserve di ossigeno del delfino avrebbero dovuto essere superiori del 28%. L’apparente ammanco energetico non fu compensato da una notevole risposta anaerobia quando venne comparato con i livelli di massimo esercizio. Piuttosto, gli animali in immersione cambiavano la loro maniera di nuotare. Mentre i delfini che nuotavano vicino alla superficie dell’acqua mantengono una voga costante, i delfini in immersione univano periodi prolungati di scivolamento e fasi di propulsione ininterrotti. Risparmi energetici associati con attività di petto e scivolamento (Weish, 1974; Blake, 1983) o semplicemente l’assenza di sforzo muscolare durante gli scivolamenti estesi probabilmente contribuiva al prolungamento osservato nella durata di tuffo. Fattori fisici associati al tuffo a profondità possono anche giocare un più grande ruolo nel conservare le scorte di ossigeno dei delfini. La compressione del polmone (Ridgway et al., 1969) e modifiche nella maniera di nuoto che risultano da cambi di forze per il galleggiamento (Skrovan et al., 1999) durante immersioni verticali profonde hanno potuto promuovere i risparmi.

Riferimenti

Documenti correlati

a.C.) narra di un delfino che, salvata una scimmia dopo un naufragio, la fa tuttavia affogare quando ha la prova che era una bugiarda spudorata; Plinio il Vecchio (23- 79 d.C.)

• o período de tempo máximo durante o qual os alimentos podem ficar em contacto com as peças do aparelho concebidas para este fim.. • a temperatura máxima permitida dos

Για μέγιστη ασφάλεια κατά τη χρήση σας συνιστούμε να βγάζετε την κατσαρόλα από τη φωτιά και να αφήνετε τα υγρά να κρυώσουν πριν τα χτυπήσετε στο μπλέντερ. •

In the case of a floppy epiglottis, a respira- tion therapy is frequently not possible because the continuous positive airway pres- sure presses the epiglottis onto the

The goal of treatment of OSA is to eliminate apnea and hypopnea, reduce snoring and arousal, and ultimately improve sleep and eliminate symptoms and conditions attributed to

Due sono i prodotti, pur a distanza di tanti anni fra loro, di questa sorta di rabdoman- zia, che aveva Delfini, per le degenerazioni etico-linguistiche: il già citato Fanalino del-

Nel primo caso (PREDITTIVO = ON nella sezione 2.5.1), quando si esegue il cambio miscela nel momento in cui viene richiesto durante la risalita, non si notano cambiamenti

Rilasciare il pulsante di velocità, lasciare che la lama si fermi e spegnere l'apparecchio, estrarre l'alimentazione cord from socket or shut off appliance power if need blend