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Uso socialista dell’inchiesta

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Academic year: 2021

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6. La fine e l’inizio.

Anche i torinesi hanno le loro buone qualità: sono seri, riflessivi, non parlano a sproposito.

Raniero Panzieri, 1959.

1.

Nel settembre del 1964, Panzieri interviene ad un seminario sull’inchiesta organizzato dai«Quaderni rossi» con un intervento pubblicato postumo dal titolo Uso socialista dell’inchiesta. 1 Ad un anno dal licenziamento dalla casa editrice, maturato a seguito della burrascosa vicenda editoriale legata all’inchiesta di Fofi sugli immigrati meridionali a Torino, Panzieri lamenta le persistenti diffidenze verso gli strumenti della sociologia e il loro uso a scopi politici: «voglio dire che ho l’impressione che alcuni compagni portino ancora verso la sociologia e l’uso di strumenti sociologici, diffidenze che a me non sembrano giustificate, che a me sembrano essenzialmente motivate dai residui di una falsa coscienza, cioè dai residui di una visione dogmatica del marxismo»2.

In anni più recenti, Goffredo Fofi ha elaborato una personale ricostruzione del progressivo impiego, a partire dagli anno ’50, degli strumenti sociologici nell’ambito della ricerca italiana3:

1 Raniero Panzieri, Uso socialista dell’inchiesta operaia in Id., Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, Einaudi, Torino 1976, pp. 88-96.

2 Ibidem, p. 88.

3 «Alla caduta del fascismo, l’Italia era tutta da scoprire e da raccontare. Se ne incaricò

il cinema, soprattutto, con opere egregie, e il neorealismo riuscì spesso a dare, con le sue storie di reduci, di disoccupati, di contadini, di marginali, di donne (mogli o prostitute, ma per la prima volta o quasi protagoniste di vicende socialmente significative), di bambini; più raramente di operai, di borghesi, di emigranti.

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Nell’editoria, la laica Laterza fu certo più presente di Einaudi, che entrò in campo molto più tardi, ma cui si dovette il libro chiave dei primi anni, il "Cristo" di Carlo Levi, la cui lettura fu fondamentale per molte vocazioni (fondamentale persino più di quella di "Fontamara", edito infine in italiano). Con la collana dei "Libri del tempo" - pamphlet, saggi e inchieste centrati sull’Italia e i suoi problemi più aperti, in cui pubblicarono Rossi, Calamandrei, Calogero, Battaglia eccetera - Laterza infranse a suo modo il tabù crociano sulla sociologia, che sul piano scientifico fu aggredito a Nord da Pizzorno e a Sud, in rapporto al mondo contadino, e con molto maggior peso politico, da Rossi-Doria e dal suo gruppo, primi tra tutti Scotellaro e Marselli. Essi seppero apprendere tutto ciò che loro mancava dagli americani venuti a studiare il Sud, che i comunisti si ostinarono per anni a considerare servi o agenti della Cia.4

Fofi riconosce poi a Panzieri il merito di aver realizzato «il primo tentativo di una collana di inchieste e saggi di impostazione sociologica o antropologica in ottica bensì politica lo si deve a Raniero Panzieri, nei primi anni sessanta, con "La nuova società", una collana di breve durata in cui sarebbe dovuto apparire anche il mio L’immigrazione meridionale a Torino.»5

Nel capitolo precedente si è visto come la pubblicazione del Diario di un operaio di Mothé avesse rappresentato per Panzieri l’occasione non soltanto per riflettere sulla condizione operaia nella fabbrica capitalista ma anche per proporre un modello di conoscenza del presente fondato sulla testimonianza diretta e «dal basso». Ma il caso di Mothé era particolare: egli si era trovato nella condizione di potersi esprimere scrivendo un libro per una prestigiosa casa editrice francese, essendo, oltreché un operaio, un vivace agitatore culturale coinvolto nella redazione di un giornale attivo e battagliero come «Socialisme ou

Nell’insieme un’immagine del "popolo" attendibile più e quanto di quella data dalla nostra letteratura realista a cavallo tra Otto e Novecento.» Goffredo Fofi Come fare inchiesta, «Lo Straniero», agosto-settembre 2005, p. 40

4 Ibidem, p. 41 La collana I libri del tempo a cui Fofi fa riferimento era stata inaugurata da Laterza nel 1951; essa aveva accolto importanti contributi al lavoro di inchiesta sul meridione italiano come Un popolo di formiche di Tommaso Fiore (1951), Contadini del sud di Rocco Scotellaro (1954), Banditi a Partinico di Danilo Dolci (1955). Per una rapida disamina di questa e di altre collane laterziane vedi Luisa Masella, Laterza dopo Croce, Laterza, Bari 2007.

5 Ibidem.

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barbarie.» Le persone comuni, fossero operai, studenti o contadini andavano invece interrogate e ascoltate: il metodo dell’inchiesta è per Panzieri «un riferimento politico permanente. […] Esso significa il rifiuto di trarre dall’analisi del livello del capitale l’analisi del livello della classe operaia».6

Come Panzieri, anche Solmi si dimostra da subito sensibile alle potenzialità conoscitive insite nel metodo dell’inchiesta:7 così, quando la casa editrice propone ad Augusto Livi, corrispondente da Mosca del «Paese» e di «Paese Sera», di scrivere un Lb sugli studenti universitari in Unione Sovietica, è Solmi a seguirne le fasi di realizzazione, impartendo all’autore consigli e indicazioni.8 In particolare Solmi propone a Livi la possibilità di integrare la sua narrazione con inserti «in forma di inchiesta diretta, facendo parlare, cioè, direttamente i personaggi in questione (come in certe inchieste di «Nuovi Argomenti» o di Danilo Dolci). Non so se la cosa sia…possibile, ma se lo fosse, non crede che potrebbe essere interessante e nuova, anche come applicazione di un metodo finora mai applicato alle cose russe?»9 La risposta di Livi è negativa: intanto perché, come scrive a Panzieri, «con il metodo dei colloqui (…) si corre il rischio di non trovare un centro, o una linea che raccolga insieme, i dati umani e sociologici»;10 ma soprattutto perché, come avverte Livi nella prefazione al libro, i colloqui confidenziali «non hanno mai fatto una società, e tanto meno la civiltà sovietica.» In un

6 Panzieri, Uso socialista dell’inchiesta operaia cit., p. 125.

7 Nel maggio del ’62, Solmi attira l’attenzione del Consiglio editoriale su uno scritto di Geissler «a metà tra il romanzo e l’inchiesta sociologica»; il Consiglio «decide che si chieda un giudizio a cases e che eventualmente si allarghino gli interessi dei LB a cose di questo genere». AE, Verbale della riunione editoriale del 16 maggio 1962.

8

Primo intermediario tra Livi e la casa editrice era stato Vittorio Strada. Il 27 febbraio 1960 viene inviata a Livi una proposta editoriale concreta: «il nostro amico e collaboratore Vittorio Strada ci ha parlato di Lei e della Sua presenza a Mosca, e ci ha scritto di recente a proposito di un progetto di volume sulla gioventù universitaria sovietica che Lei sarebbe, in linea di massima, disposto a curare per noi. La cosa ci sembra interessante, e naturalmente saremmo molto lieti di poter usufruire della Sua collaborazione. Strada ci ha esposto sommariamente quello che dovrebbe essere lo schema del volume (che dovrebbe uscire nella collezione dei “Libri Bianchi” e non dovrebbe quindi superare le 150-200 pagine di testo)». AE, incart. Livi.

9 AE, incart. Livi, 18 marzo 1960.

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regime dove la libertà di parola non è garantita, l’inchiesta sociologica non è applicabile come strumento di conoscenza.

L’indagine di Livi è connotata da un carattere di originalità del metodo che si delinea sin dalle prime pagine: proponendosi di raccontare la realtà quotidiana della gioventù sovietica evitando astrazioni troppo generiche, Livi trova «un punto d’appoggio» per la sua ricerca nel dibattito svoltosi sulle pagine di un giornale sovietico sul rapporto tra scienza e arte: «ecco dunque il documento: le lettere, circa cinquemila, che la gente ha inviato al giornale in risposta a un interveto dello scrittore Ilia Ehrenburg».11 Nella prima sezione del libro, Livi espone le argomentazioni di Ehrenburg e alcune delle riflessioni che i giovani lettori hanno inviato come risposta al giornale. La seconda parte del volume è invece dedicata al rito del passaggio dal mondo dell’università a quello del lavoro: in una società pianificata come quella sovietica la scelta individuale è subordinata alle necessità dello Stato12. Nella terza ed ultima parte Livi cede la parola ad alcuni giovani di cui ripropone i dialoghi serrati su questioni come l’importanza dello studio e della cultura («vedete –osserva una ragazza –non studiare è come non vivere»13 ) i progetti per il futuro, le occupazioni del tempo libero, i delicati equilibri tra le legittime aspirazioni personali e le esigenze della collettività che è fondamento dello Stato socialista.

Il libro è pubblicato con il titolo Inchiesta sulla gioventù sovietica e Solmi lo presenta ai lettori italiani come «testimonianza di nuovo tipo»:

11 Augusto Livi, Inchiesta sulla gioventù sovietica, p. 10. Il dibattito era stato avviato da una lettera aperta di Ehrenburg dedicata all’ «educazione dei sentimenti.» Si trattava, secondo le parole di Livi, di un tipico «dibattito sovietico di moralità: si sceglie un caso concreto e se ne discute il valore di principio.» Ibidem, p. 19. Ehrenburg aveva preso lo spunto dalla lettera di una ragazza che gli raccontava i contrasti morali e intellettuali con il fidanzato Iuri: «voglio domandarvi: che pensate dell’atteggiamento di Iuri? È vero che l’arte ha fatto il suo tempo, che nell’amore bisogna comportarsi semplicemente, come fa Iuri?» Ibidem, p. 26.

12 «La società li ha mantenuti agli studi, ed essi debbono pagare questo debito sociale, anche se non vi è nessuna sanzione formale a carico di chi non accetta la soluzione prospettatagli». Ibidem, p. 97. Per chiarire importanza di questo tema Livi si dilunga sulla descrizione di un film sovietico dal titolo emblematico: Il debito non pagato. 13 Ibidem, p. 121.

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Quasi tutto ciò che si scrive sull’URSS (da parte, beninteso, di stranieri, e al di fuori della letteratura scientifica e «di studio») rientra nella categoria del reportage giornalistico più o meno soggettivo, più o meno approfondito, ma sempre frutto d’un esperienza esterna e occasionale. Ciò implica per lo più un forte distacco dall’oggetto della descrizione, anche quando il viaggiatore simpatizza col paese che visita e ha una conoscenza preliminare dei problemi sovietici. Il libro di Livi nasce già, invece, da un’esperienza di nuovo tipo, più lunga, naturale e diretta, da una convivenza spontanea e radicata con l’ambiente sovietico.14

Solmi insiste sulla capacità dell’analisi di Livi «che assume qua e là l’andamento di un’ inchiesta “sociologica” (con tutti i limiti che l’applicazione di questo termine non può non incontrare nell’URSS)» di restituire al lettore italiano la dimensione dei problemi della società sovietica «quei problemi che si sono dispiegati e sono venuti in luce dopo il XX Congresso».15

Nel luglio del ’61 Livi sarà ricontattato dalla casa editrice per la pubblicazione, da inserire nella Piccola Biblioteca Einaudi, di uno «studio di carattere sociologico sull’Unione Sovietica»; l’autore è invitato ad attenersi alle «osservazioni e suggerimenti che il dottor Fortini vorrà farle, soprattutto allo scopo di rendere il libro adatto alla collana in cui dovrà essere inserito».16 Nel maggio del ’68 è invece Bollati a proporre a Livi un libro-inchiesta sulla tragedia del Vajont; Livi si dice rammaricato di non poter accettare perché impegnato in altre ricerche ma propone alla casa editrice «un reportage, ricco di molti dati politici, sociali e psicologici, su una serie dei Pasesi dell’est europeo, lungo l’arco di tre anni».17 Gli risponde Giulio Einaudi con una lettera

14 Nota editoriale a Inchiesta sulla gioventù sovietica.

15

Nell’aprile del 61 Lucio Libertini, recensendo il Lb di Livi ricordò ai suoi lettori che «circa un anno fa Augusto Livi scrisse da Mosca per Mondo Nuovo una corrispondenza appassionante nella quale narrava un tumultuoso dibattito che si era svolto nell’URSS tra i giovani sul primato dell’arte e della scienza. Come a volte accade quel “servizio” è diventato uno spunto per uno scritto più ampio, e ora l’editore Einaudi pubblica di Livi un agile volumetto che si intitola Inchiesta sulla gioventù sovietica e che costituisce una delle testimonianze più sincere e più acute su quella società nel nostro tempo». Lucio Libertini, La generazione di Gagarin, «Mondo Nuovo» 23 aprile 1961.

16 AE, incart. Livi, 14 luglio 1961. Il libro non sarà pubblicato.

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che ci interessa anche perché rappresenta uno dei rari documenti in cui si fa cenno esplicito alla fine della serie bianca:

Ho letto con interesse la sua lettera: e al tempo stesso con crescente rammarico, giacché d’un subito mi sono reso conto d’esser costretto a darle una risposta negativa. Ciò non perché il suo reportage non mi sembri della più viva attualità, ma per ragioni strettamente editoriali. Come lei certo avrà notato, noi abbiamo ritenuto opportuno concludere la serie dei “Libri Bianchi”, in cui era apparso anche un suo precedente volume e che ospitava libri legati anche al lavoro giornalistico o alla informazione diretta. 18

Il libro di Livi non può essere pubblicato perché non c’è una collana adatta ad accoglierlo. È questo un esempio che dimostra come la collanologia sia stata la struttura fondamentale non solo organizzativa ma culturale e mentale del lavoro editoriale targato Einaudi: la collana prima del libro, il libro scritto e pensato per la collana o il libro già scritto che, inserito in una determinata collana, assume un significato diverso, nuovo: un significato di contesto.

2.

Se il metodo dell’inchiesta sociologica non era applicabile alla realtà sovietica, restava difficile giustificare il mancato incontro tra metodologia sociologica e società italiana. Abbiamo visto come la realtà nazionale risulti sostanzialmente elusa nel discorso culturale che la casa editrice conduce in questi anni nell’ambito della serie bianca. In questo senso la pubblicazione del Lb di Michele Pantaleone, Mafia e politica, rappresenta un caso di eccezione che evidenzia le potenzialità della collana rimaste ancora inespresse. Il libro, destinato dal suo autore ad adempiere ad «un’alta funzione morale e sociale»,19 affrontava un

18 AE, incart. Livi, 28 giugno 1968.

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argomento di grande attualità ancora poco studiato: la sua pubblicazione rappresenta quindi un’occasione di approfondimento su un tema vivo del presente italiano; la casa editrice segue con passione intellettuale e civile la vicenda editoriale che si protrae dal 1958, anno in cui la raccolta è proposta, al 1962, quando viene pubblicato.

Mafia e politica raccoglie in volume una serie di inchieste giornalistiche già pubblicate da «L’Espresso», «Italia Domani» e «L’Ora» di Palermo che ricostruiscono la storia del fenomeno mafioso siciliano dall’Unità d’Italia al 1962. Pantaleone racconta la mitologia della mafia, il suo linguaggio cifrato, il codice d’onore dei suoi affiliati. Ma soprattutto fa luce sulla lunga connivenza tra sistema mafioso e sistema politico: dall’alleanza tra capi della mafia e separatisti di destra fino all’individuazione da parte delle cosche della Dc come interlocutore di fiducia, entro e oltre i confini della Sicilia, «la storia della mafia è per sua natura una storia di collusioni tra pezzi da 90 e uomini politici».20 Pantaleone constata amaramente come la lunga catena di omicidi politici rimasti impuniti non abbia comportato un moto di sdegno nell’opinione pubblica nazionale e una conseguente inversione di rotta nelle politiche amministrative e repressive adottate in Sicilia:

Purtroppo questo spaventoso stato di cose si verifica tra l’indifferenza generale, come se i fatti fossero avvenuti in altro Stato, lontano dagli interessi del popolo italiano. Purtroppo in Sicilia si muore e i direttori di molti quotidiani, da Napoli in su, non se ne meravigliano più ormai, perché rassegnati a considerare i siciliani vittime di una situazione sociale e politica di cui il paese apprezza il lato pittoresco, ma non sente la gravità morale.21

La pubblicazione del libro era stata sostenuta da Carlo Levi, che lo aveva proposto in Consiglio editoriale già nel luglio del 1958, e da Panzieri che conosceva Pantaleone dai tempi dell’ esperienza nel Psi siciliano.22 Per

20

Michele Pantaleone, Mafia e politica, p. 215. 21 Ibidem, p. 252.

22 Nel post scriptum ad una lettera datata 16 aprile 1959, Panzieri, che è appena stato assunto da Einaudi scrive a Pantaleone: «dovresti farmi sapere che ne è del tuo lavoro per Einaudi. Qui tutti ne chiedono –e non hanno saputo più nulla da te né da Chilanti.» Panzieri, Lettere cit., p. 194.

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tutelarsi dal rischio di querele giudiziarie la casa editrice decide di avvalersi della consulenza di un avvocato, Nino Sorgi, a cui l’autore dovrà sottoporre gli scritti che intende pubblicare.23 Un telegramma di Nenni del 14 novembre 1961 informa Einaudi che Michele Pantaleone arriverà a Torino «con manoscritto riveduto et integrato STOP te lo raccomando vivissimamente STOP».24

Il libro, la cui revisione è curata da Goffredo Fofi,25 esce in coincidenza con l’istituzione, nel dicembre del 1962, della prima commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia: «credo cha la commissione parlamentare dovrà richiamarsi più volte a questo documentatissimo libro», scrive Giorgio Moscon recensendo Mafia e politica sulle pagine de «Il Ponte».26

Il libro di Pantaleone rappresentava dunque un’occasione di ricerca e di dibattito su un tema della vita nazionale all’ordine del giorno. La realizzazione di progetti innovativi e coraggiosi come questo o come l’edizione dei Nuovi canti della Resistenza spagnola27 era subordinata ad una condizione: che l’equilibrio tra le persone che lavoravano insieme rimanesse saldo anche nelle situazioni più difficili e controverse. Nei casi sopra citati l’equilibrio aveva retto grazie alla collaborazione e all’impegno di tutta la redazione, venendo invece meno di fronte alle

23 AE, incart. Pantaleone, 12 settembre 1958. 24 AE, incart. Nenni, 14 novembre 1961.

25 AE, incart. Fofi 26 giugno 1962. Fofi ha ricordato così il suo ingresso nel mondo del lavoro editoriale: «io facevo bozze per Einaudi per arrotondare, e il primo lavoro importante fu l’editing di Mafia e politica di Michele, affidatomi da Ranieri». Testimonianza di Fofi in AA VV, Raniero Panzieri, un uomo di frontiera cit., p. 148. 26 Giorgio Moscone, Recensione a Mafia e politica, «Il Ponte», giugno 1962. 27

La pubblicazione dei Canti aveva avuto conseguenze pesanti per la casa editrice e in particolare per Giulio Einaudi: il 28 novembre 1962 Einaudi riceve una lettera del Direttore generale dell’Informazione spagnola, Carlos Robles Piquer, che lo accusa di aver pubblicato una raccolta di documenti falsi e diffamatori: «io non mi nascono affatto –gli risponde Einaudi il 15 dicembre –che i documenti da noi pubblicati sono in taluni casi eccezionalmente acri e violenti. Ma non basta fermarsi a questa constatazione e trarne motivo di sdegno e di scandalo; occorre piuttosto farne un punto di partenza per capire i motivi profondi che provocano tali manifestazioni.» Il 21 gennaio Einaudi riceve questo appunto: «il sequestro dei Canti della Nuova Resistenza Spagnola è avvenuto questa mattina presso il nostro magazzino di via Monginevro». (AE, incart. Einaudi). Einauudi, Liberovici e Straniero sono processati per «pubblicazione oscena», accusa dalla quale saranno poi prosciolti.

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argomentazioni polemiche mosse da Fofi nel suo libro sull’immigrazione meridionale a Torino.

3.

Il libro di Pantaleone è una raccolta di materiale già pubblicato: una prassi consueta per la collana dei Lb che, se da un lato aveva lo scopo di dare risalto a scritti ritenuti di interesse, dall’altro rischiava di appiattire l’attività culturale della casa editrice sui temi dettati dalla pubblicistica di giornali e riviste. La proposta di contributi inediti sui temi dell’attualità comportava per la casa editrice un investimento più alto di energie, anche economiche; ma rappresentava forse la sola strada per rafforzare un settore mai totalmente consolidato. La collana dei Lb aveva ancora un senso, a meno di decennio dalla sua inaugurazione? Le sue strategie di ricerca e documentazione dovevano rimanere invariate o era invece necessario ripensarle, aggiornandole agli sviluppi complessivi dell’editoria italiana? Case editrici concorrenti come Feltrinelli, Laterza o la più piccola Parenti di Firenze avevano avviato, in contemporanea con la serie bianca pubblicata da Einaudi, riusciti esperimenti di editoria per il presente.28

Nel 1961 Goffedo Fofi si apprestava a iniziare una ricerca sull’immigrazione meridionale a Torino che sarebbe stata proposta all’Einaudi con titolo I meridionali a Torino. Il materiale presentato da Fofi era totalmente inedito: le ricerche compiute dall’autore erano state sovvenzionate anche dall’Einaudi attraverso un anticipo di 40 000 lire sui diritti d’autore: una scelta inusuale per l’Einaudi che è indizio di una

28 Oltre alle già citate collane “I libri del tempo” (Laterza) e “Attualità” (Feltrinelli), l’editore fiorentino Parenti aveva inaugurato, nel 1957, la collana “Testimonianze nel tempo” che nel 1960 proponeva il volume Inchiesta alla Fiat curato da Giovanni Carocci. L’inchiesta era già stata pubblicata nell’aprile del 1958 dalla rivista «Nuovi Argomenti» e si proponeva «di indagare quelle che sono le condizioni politiche, nel senso più ampio della parola dei lavoratori della maggior fabbrica d’Italia» Inchiesta alla Fiat a cura di Giovanni Carocci, Parenti, Firenze 1960, p. 6.

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solida fiducia nelle capacità di Fofi e nell’interesse della casa editrice per il suo lavoro di ricerca. 29

Nel maggio del ’63 Panzieri informa il Consiglio editoriale che Fofi ha consegnato una prima versione del testo da pubblicare: «circa 400 pagine, pieno di dati, molto serio e scritto anche con vivacità. Andrebbe perfettamente nei Lb: sennonché c’è una grossa parte statistica cui l’autore tiene perché smentisce le statistiche precedenti».30

Correggendo le bozze, Solmi crede opportuno segnalare a Einaudi la presenza di alcuni punti delicati nella trattazione. Il 3 ottobre, dopo aver letto il dattiloscritto, Einaudi scrive a Fofi una lettera in cui senza giri di parole gli rende manifesta

L’impossibilità in cui mi trovo a erigermi in certo qual modo con lei a censore di istituzioni e di società e persone con le quali mi trovo quotidianamente a contatto, alle quali sono legato talvolta da rapporti di collaborazione e di lavoro (gli intellettuali che lei cita, ad esempio) e che non sta a me, sia pure tramite suo, giudicare, mentre ovviamente sento lecito e doveroso criticare ed analizzare in un contesto di ampio respiro quale il suo, gli strati sociali e le categorie che compongono il tessuto della nostra città.31

Gli ammonimenti di Einaudi sono netti quanto problematici: dove situare il confine tra ciò che è lecito «giudicare» e ciò che non lo è? E chi ne è responsabile: l’autore o l’editore? Le parole di Einaudi sull’impossibilità da parte sua di pronunciare un giudizio, sia pure attraverso la voce di Fofi, su persone e ambienti a lui vicini, rispecchiano quello che Luisa Mangoni ha definito «un processo di simbiosi» tra Einaudi e gli autori da lui pubblicati: un libro Einaudi diventava anche «un libro di Einaudi».32 Fofi acconsente a una parziale revisione del testo; ma la lettura del testo corretto convince l’editorie che il testo di Fofi soffra di «una fondamentale mancanza di equilibrio tra le parti di descrizione

29

Il 22 febbraio 1961 Fofi aveva redatto per Bollati un dettagliato piano dell’opera cui allegava anche un indice delle spese da sostenere. AE, incart. Fofi.

30 AE, Verbale della riunione editoriale dell’8 maggio 1963.

31 AE, incart. Fofi, 3 ottobre 1963.

32 Mangoni, Pensare i libri cit., p. 886. Luisa Mangoni cita una lettera non datata, ma del 1964, in cui Natalia Ginzburg scrive ad Einaudi: «quello che succede a te è questo: una volta che hai stampato un libro, la figura dell’autore passa nel regno delle ombre. […] Stampato un libro, ti metti in testa che il libro sia tuo».

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sociologica che sono diligenti e accurate benché talvolta troppo diffuse, e le parti di inquadramento e di giudizio, che si rivelano spesso di un livello troppo generico».33 Sono osservazioni che non sembrano intaccare la sostanza dell’analisi di Fofi cui Einaudi si rivolge ancora «per la sincera stima che ho di lei e per l’importanza del tema da Lei affrontato»:34 l’insoddisfazione dell’editore – il quale mai si era occupato così nel dettaglio dell’edizione di un testo – è piuttosto dettata dal metodo e dalla struttura dello scritto di Fofi.

Il carteggio tra quest’ultimo e l’editore avviene in contemporanea con un altro scambio di lettere, dai toni molto più accesi: il 24 ottobre Einaudi scrive a Panzieri una dura lettera in cui al vicenda del libro di Fofi è presa ad emblema di una divergenza più ampia, ormai incolmabile, tra l’editore e il collaboratore:

Questo del libro di Fofi –scrive Einaudi – non è che l’ultimo episodio in cui si manifesta una divergenza profonda esistente tra noi circa gli orientamenti e i metodi del lavoro editoriale. Le scelte a cui vengo posto di fronte con atteggiamenti che a volte sfiorano la provocazione, mi sembrano inaccettabili, soprattutto perché ad esse dovrei condizionare esplicitamente o implicitamente tutto l’indirizzo editoriale.35

Einaudi mette sotto accusa il lavoro editoriale svolto da Panzieri negli ultimi anni: «mentre sono sottoposto a critiche per il settore culturale, ho l’amarezza di constatare che quel settore, al quale anche tu collabori, è stato negli ultimi anni il più scarso, contradditorio e improduttivo dell’intera Casa editrice.» Einaudi giunge quindi alla conclusione che «ormai un dialogo costruttivo tra noi sul terreno delle scelte editoriali, sia diventato impossibile. Lascio a te trarre tutte le conseguenze di questa obiettiva constatazione, pronto tuttavia ad esaminare la concreta possibilità di una nuova collaborazione specifica». Ma Panzieri, pur intendendo che la sua esperienza di collaborazione con la casa editrice è giunta al termine, non si lascia intimorire: «le tue motivazioni –scrive

33 AE, incart. Fofi, 23 ottobre 1963. 34 Ibidem.

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all’editorie – una per una facilmente confutabili, non mi consentono di rinunciare ai compiti finora attribuitimi. Non prima almeno, di aver avuto con te (e non per lettera) quella esauriente chiarificazione che da tempo invano sollecito».36

Il «settore culturale» a cui Einaudi faceva riferimento nella lettera a Panzieri era quello dei Lb e di Ns ma anche dell’imminente collezione di scienze economiche, giuridiche e sociali che sarebbe stata inaugurata nel 1965 con il nome Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi. Nel progetto erano coinvolti, tra gli altri, anche Panzieri e Solmi, quest’ultimo con il ruolo di «responsabile del gruppo».37 Le parole di Einaudi erano dunque di critica per il passato ma anche di avvertimento per l’immediato futuro: qualcosa doveva cambiare nella gestione dei settori non letterari della produzione einaudiana.

Il 6 novembre, mentre Fofi si accinge a rispondere all’editore dicendosi consapevole degli squilibri e delle insufficienze del suo libro, ma non disposto a rifarlo integralmente,38 Einaudi scrive a Panzieri: «mi si è radicata ancor più l’opinione (certo confutabile a parole) che la Casa editrice è da te stata considerata prevalentemente come strumento per una battaglia ideologico politica, il che ti ha fatto troppo spesso dimenticare che la cultura è sempre rivoluzionaria».39 La cronologia delle lettere dimostra dunque che, in un momento in cui Einaudi pensa ancora che la pubblicazione del libro di Fofi sia possibile (non ha infatti ancora ricevuto la lettera scritta da Fofi il 6 novembre per rispondere all’invito dell’editorie alla sostanziale revisione del suo testo), la rottura con Panzieri si è già consumata.

Il 13 novembre 1963 viene convocato un Consiglio editoriale, presieduto da Norberto Bobbio, interamente dedicato al caso Fofi. Partecipano alla discussione Einaudi, Calvino, Venturi, Bollati, Strada, Mila,

36 Lettera a Einaudi del 5 novembre 1963, Ibidem, p. 389. 37

AE, incart. Steve, 14 maggio 1962.

38 Modificare integralmente la forma del libro, scrive Fofi, «richiederebbe un lavoro lungo, e la necessità di rinviarne la pubblicazione ad un momento in cui, molto probabilmente, avrebbe meno interesse di ora. Mi rimetto a lei, Solmi e Panzieri per ogni decisione». (AE, incart. Fofi).

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Castelnuovo, Caprioglio, Fonzi, Migliardi, Vivanti, Serini, Baranelli, Ponchiroli, Davico.

Partecipano alla riunione anche Solmi e Panzieri, entrambi consapevoli che non c’è alcuna possibilità non solo che il libro di Fofi sia pubblicato ma anche che loro stessi possano continuare a lavorare per la casa editrice: nel momento in cui si siedono al tavolo del Consiglio hanno entrambi in tasca la lettera di licenziamento che Einaudi ha fatto recapitare loro con un atto estremo che non aveva precedenti nella storia della casa editrice: «sono stato allontanato, contro la mia volontà, dalla casa editrice –ha ricordato Solmi molti anni più tardi –proprio nel momento in cui avrei potuto cominciare a rendermi pienamente utile ad essa ed esercitare, nel mio piccolo, una certa funzione di guida nella sua gestione e nella programmazione della sua attività».40 Il licenziamento di Solmi e Panzieri è accolto con turbamento e sorpresa da Bobbio che l’8 novembre scrive ad Einaudi:

Ho appreso che il caso di Fofi è stato l’occasione per il licenziamento di due collaboratori della casa editrice, Panzieri e Solmi, per i quali da tempo ho stima e amicizia. Per quanto non conosca esattamente le ragioni ultime che ti hanno indotto a questa decisione, non riesco a capacitarmi che un passo così grave fosse davvero necessario. Un Consiglio di venti persone ciascuna con la propria testa e magari con le proprie posizioni, non può essere un gruppo monolitico. La discussione è necessaria al nostro lavoro, come l’aria per respirare. E con la discussione il dissenso.41

La parole di Bobbio sono nette: pur ricordando di essersi trovato più volte dalla parte di coloro che non condividevano le proposte di Solmi e Panzieri «penso che sarebbe stato possibile superare anche questa crisi, con fermezza sì, ma senza giungere improvvisamente a soluzioni così drastiche. Abbiamo superato insieme la montagna di difficoltà dell’era staliniana. Mi sembra strano che non si possa superare la collinetta dell’era del centro-sinistra». La «montagna» dello stalinismo era stata superata nel 1956; ed era stata un’impresa collettiva in cui, come abbiamo visto all’inizio del nostro lavoro, erano confluite tutte le forze

40 Solmi, I miei anni all’Einaudi cit., p. 771.

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che si riconoscevano nel lavoro della casa editrice. Nel 1963 il caso Fofi mette in evidenza le profonde lacerazioni intellettuali ma soprattutto politiche che dividono il Consiglio editoriale.

La lettura politica elaborata da Bobbio della crisi interna alla casa editrice è condivisa anche da Giovanni Pirelli che scrive ad Einaudi: «guardando, come fo da tempo, all’indirizzo culturale della casa editrice, sono convinto che vi sono filoni di ricerca basati sul marxismo leninismo e fermenti di cultura rivoluzionaria che devono organizzarsi al di fuori della casa editrice e senza legami organici con essa».42

La discussione del primo Consiglio editoriale dedicato al libro di Fifi prende avvio con un aspro chiarimento tra Einaudi e Solmi sulla divisione di ruoli e responsabilità tra il Consiglio editoriale e la direzione.43 Solmi affronta poi direttamente il Consiglio editoriale: «occorre parlare esplicitamente delle ragioni di ordine politico ed economico generale che hanno messo in forse la pubblicazione stessa». Richiamandosi al valore della collegialità del lavoro che è sempre stata la forza della casa editrice, Solmi constata che mai, nel passato, il Consiglio e la Direzione si erano scontrate: «e ne siamo tutti responsabili», avverte Solmi. A Panzieri è affidato il compito di precisare la cronistoria del manoscritto:

Il libro venne commissionato per la collezione “Nuova società” con contratto. Una volta consegnato il manoscritto, questo venne presentato favorevolmente al Consiglio. Cessata la collezione “Nuova società”, il libro venne assegnato ai Libri Bianchi. Poi Solmi ne propose il passaggio nei “Saggi”, collana per la quale il libro fu poi composto.

La collocazione del libro di Fofi è quindi stata modificata una prima volta per ragioni di necessità (da Ns ai Lb), una seconda per ragioni di opportunità editoriale (il passaggio dai Lb a Ns, che aveva, nelle intenzioni di Solmi, il senso di una promozione del libro da un contesto

42 Ibidem.

43 Einaudi rivendica l’esclusiva competenza e responsabilità della direzione nell’ambito economico e legale dell’attività editoriale. «così precisata – risponde Solmi –posso accettare la posizione di Einaudi, che respingerei se fosse interpretata in senso più largo.»AE, Verbale della riunione editoriale del 13 novembre 1963.

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più specifico ad uno di maggiore rilevanza). Tocca quindi a Bollati completare la storia del libro proposto da Fofi:

Letto il libro in bozze, Solmi informò Einaudi che esso conteneva passaggi che potevano offendere persone vicine alla Casa editrice. A questo punto Einaudi chiese all’autore di eliminare o attenuare quei passaggi. Intanto si sviluppava una discussione all’interno della Casa editrice. Mentre Solmi sosteneva che il libro andasse attenuato, ma egualmente pubblicato, la direzione, avendone approfondito la lettura, giudico il libro di livello non adeguato alla pubblicazione; e nonostante le correzioni apportate da Fofi al suo testo, gli comunicò con un’altra lettera questo suo parere.

Bobbio apre la discussione sottolineando l’importanza del tema studiato da Fofi e distinguendo la parte documentaria «che è ben raccolta, sistematica» da quella interpretativa che Bobbio giudica «molto irritante»: «tre cose fanno andare in bestia Fofi: la Stampa, la FIAT, i Piemontesi. C’è un atteggiamento di aggressione preconcetta che compromette l’efficacia dell’indagine, anche se il libro è serio, fatto da una persona per bene, ricco di dati. […] Io penso che facendo uno sforzo comune il libro potrebbe essere corretto e pubblicato.» La moderazione di Bobbio innervosisce Mila che, pur ammettendo di non aver letto il libro, dichiara di augurarsi che le ragioni di diffidenza verso Fofi siano più sostanziose di quelle espresse da Bobbio44. Gli risponde prontamente Venturi che rivolge all’analisi di Fofi una critica più raffinata rispetto al tono generalmente battagliero che la discussione va assumendo: il fenomeno dell’inurbamento conseguente ad una rapida industrializzazione, spiega Venturi, è già stato oggetto di studi e discussioni: «non si può “scoprirlo” improvvisamente oggi a Torino, senza tener conto –almeno sullo sfondo –di fenomeni analoghi, di discussioni già avvenute. Non ci si improvvisa studiosi di un fenomeno così complesso.» Le argomentazioni di Venturi, prescindendo dalla loro validità, cristallizzano la contrapposizione in atto nella cultura italiana tra un metodo di ricerca antico e istituzionalizzato come quello

44 «Devo dire –argomenta Mila –che molte delle citazioni portate da Bobbio non suscitano in me alcuna indignazione. Trovo anh’io che la diffusione de La Stampa è “ossessiva”. Trovo anche che si può parlare di una piccola borghesia tipicamente torinese e influenzata dalla presenza di un’enorme industria come la Fiat, che pesa su tutta la vita cittadina.»

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storiografico e le più recenti discipline sociologiche: «se questa è sociologia, sarà –osserva Venturi – ma di comprensione storica non ce ne trovo». Interviene a questo punto Calvino che con piglio energico smonta il linguaggio e il contenuto del libro di Fofi giudicandoli superati: «le accuse poi che F. muove alle organizzazioni comuniste sono assurde e offensive. Siamo in questi ambienti ad un livello più rispettabile di…» Calvino è interrotto da Panzieri che esclama: «Non è un libro rispettabile, è chiaro». Lo redarguisce Bollati: «che cosa vuoi dire Panzieri? Per favore niente sarcasmi e provocazioni. Discutiamo civilmente.» Da questo momento, Panzieri tacerà mentre intorno a lui la discussione si fa sempre più accesa spaccando in due schieramenti la redazione editoriale: quando Calvino, che per la lunghezza del suo intervento verrà esortato da Bobbio a concluderlo in fretta, dice che nel libro «ci sono addirittura cose ridicole. Dice che le masse vanno a Roma attratte dalle raccomandazioni e dai provini», Solmi chiosa con un «scusa, tu perché ci vai?» che rischia di trasformare la discussione in una gara di provocazioni.45

Dopo l’intervento di Enrico Castelnuovo, che si dice favorevole alla pubblicazione del libro previa revisione del testo per appianare certi squilibri della trattazione, interviene Bollati: il suo è un intervento duro, nonostante avverta di conoscere Fofi dal suo arrivo a Torino e di ritenerlo persona onesta e generosa:

Fofi è un principiante, in politica come in sociologia. Questo si sente. Non posso tacere il grande fastidio che mi dà quella sua mistica d’una classe operaia pura, vaga e indistinta, la cui “carica rivoluzionaria” non si incanala in formule e in programmi politici, in azioni coordinate, in organizzazioni.

Interviene allora Vittorio Strada: «questo non è un libro di sociologia: è un libro populista. […] La sede adatta è secondo me la collana dei Libri bianchi.» La degradazione del libro di Fofi da studio sociologico a

45 Calvino conclude il suo intervento con una difesa delle aiuole che ha l’aria di essere solo una snervante provocazione: «io non sono poi d’accordo che si faccia tanta ironia sulle aiuole che dice lui sono care al sindaco e simbolo della rispettabilità borghese. C’è qualcosa anche nell’aspetto esterno d’una città che è noioso veder ironizzato con foga da ragazzino. A me le aiuole piacciono.»

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pamphlet populista si traduce, nell’ottica di Strada, nello spostamento dalla collana dei Saggi a quella dei Lb. Quest’ultima si configura così come collocazione meno autorevole e più adatta ad accogliere libri in cui una tesi è espressa con vigore ma con scarso fondamento scientifico: quello di Strada è un attacco diretto e non casuale al settore di cui sono responsabili Solmi e Panzieri. Dopo un rapido giro di opinioni tra chi ancora non si era espresso,46 interviene finalmente Panzieri: «voglio dichiarare una cosa: non sono un paladino estremista del libro. Quando arrivò espressi le mie riserve sulla sua impostazione. Queste riserve tuttavia sono quelle che facemmo anche su altri libri che dovevamo pubblicare.» Panzieri prende le distanze da una riduzione della discussione a scontro tra partigiani e nemici di Fofi: il libro può e deve essere criticato, in parte o nella sua totalità; tuttavia, non va sottovalutato il fatto che esso si muove in un terreno ancora poco conosciuto, quale è la sociologia in Italia: «c’è un settore in Italia –il settore sociologico – che è ancora sperimentale. Fatta questa premessa –chiosa Panzieri –il libro di Fofi è uno dei più validi finora ospitati in casa editrice» Si delinea, a questo punto della discussione, un conflitto tra nuovo e vecchio, tra conservazione e sperimentazione; un conflitto anche generazionale in cui vengono coinvolte generazioni lontane nel tempo come quella di «Politecnico». È Panzieri che, rivolgendosi a Calvino, fa riferimento alla rivista di Vittorini: «tu ti collochi ad un livello di ricerca dove c’era una certa sistematicità e che è ormai consumata. Questi dei giovani sono dei tentativi che vanno seguiti con amore, incoraggiati. Del resto è questa la tradizione della casa editrice. Il Politecnico era qualcosa…» «Non vogliamo ripetere gli errori di Politecnico», lo interrompe Bobbio. Panzieri entra allora nel merito del suo giudizio su Fofi:

Si può chiamare populista qualsiasi libro che si metta dalla parte degli sfruttati? Per quanto riguarda la polemica antisindacale, uno dei suoi dati principali è la rivelazione dell’insufficienza dei sindacati: fatta però non per appoggiare lo spontaneismo, ma per

46 Corrado Vivanti si dice «d’accordo perché si riveda il libro, benché lo trovi molto lacunoso e sbagliato come impostazione»; per Serini «Fofi dice cose ovvie» mentre Davico si schiera contro una revisione che risulterebbe inutile a correggere la superficialità del testo. Baranelli invece si schiera con Castelnuovo a favore della pubblicazione del libro e domanda a Bollati «se a una mistica della classe operaia preferisci una mistica dei partiti e dei sindacati.»

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contrastarlo, perché non si eluda la realtà della situazione. Fofi è andato nelle sezioni e non ci ha trovato quasi niente. Direi anzi che Fofi è molto cauto nella denuncia. Le proposte di Bobbio sono giuste, però non è un libro da rifare, non è neanche vero che non ha un punto di vista. Va preso come una testimonianza appassionata che, nonostante i suoi difetti, è molto importante.

La difesa di Fofi, della sua polemica contro le mancanze dei sindacati, del suo schierarsi all’interno del sistema della fabbrica con «gli sfruttati», della sua ideologia discutibile ma sincera, riecheggia i discorsi che Panzieri aveva tenuto per promuovere il libro di Mothé: in quel caso, il Consiglio editoriale aveva espresso immediatamente la sua approvazione alla pubblicazione del libro; nel caso di Fofi, invece, una riunione straordinaria per processare un libro e il suo autore non sarà sufficiente a decretarne il destino. Là, nel caso di Mothé, la Francia, la Renault; qui, l’Italia, la Fiat, l’istituzione, non soltanto economica, che prima di essere italiana è torinese. Ma Fofi, come già Mothé, critica la fabbrica e i suoi dirigenti ma anche i partiti e i sindacati che dovrebbero difendere gli operai migliorandone le condizioni di vita.

La discussione intorno al libro di Fofi rischia di trasformarsi in una resa dei conti in cui ciascuno è chiamato a rispondere delle proprie opinioni politiche. Così, a Solmi che contesta a Calvino e Bollati «di atteggiarsi a difensori dei partiti e delle organizzazioni di sinistra, che hanno lasciato nel ’56…», Bollati risponde piccato: «protesto. Non sono tenuto a dare spiegazioni autobiografiche».

Le ragioni per cui il libro di Fofi rischia di non esser pubblicato sono, secondo Solmi, evidenti e inconfutabili:

Questo libro sarebbe uscito senza obiezioni se non costituisse un duro colpo portato alla FIAT. Il motivo determinante della sua non pubblicazione è che non si vuole pubblicarlo per ragioni politiche ed economiche precise, di cui tutti sono qui a conoscenza. Se il libro non si pubblica, il nostro è molto più di un rifiuto: e come tale sarà giudicato da tutti quelli che sono fuori dalla casa editrice. Quanto alla questione della revisione, la parola spetta a Fofi. Io penso che Fofi si rifiuterà di tagliare quelle parti. Che contengono i motivi per cui non viene pubblicato il libro.

La risposta di Einaudi è inevitabile: non sarebbe un problema pubblicare un libro di critica alla Fiat, se si trattasse di in libro serio, motivato e documentato. Einaudi fa poi riferimento alla vicenda giudiziaria legata

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alla pubblicazione nella collana dei Lb dei Canti della nuova resistenza spagnola: «sarebbe bastato che qualcuno di noi si rendesse conto che la quartina incriminata doveva essere espunta dal libro per non indebolirlo e non indebolire la casa editrice.» Vi era dunque un precedente recente di guai giudiziari che Einaudi non voleva replicare.

Il dibattito si avvia alla conclusione: Bobbio ed Einadi deliberano che a Fofi sia proposto un ultimo intervento correttivo al suo scritto per poi poterlo pubblicare; Calvino e Davico si dicono invece totalmente contrari a qualsiasi tentativo di pubblicazione. Resta il giudizio amaro che Bollati pronuncia rivolgendosi direttamente a Solmi e Panzieri: «per la prima volta da che faccio parte del Consiglio si è parlato oggi di “noi” e di “voi”. Questa divisione in parti, in fazioni, è un fatto grave su cui richiamo l’attenzione dei colleghi perché vogliano eliminarlo».

La seduta si conclude con l’istituzione di un comitato di lettura incaricato di esaminare lo scritto di Fofi: vi partecipano Einaudi, Bobbio e Solmi. I risultati a cui il comitato perverrà saranno resi noti nella successiva riunione del Consiglio editoriale, convocata per il 27 novembre:47 è l’occasione, per Einaudi, di far stendere e diffondere, per la prima volta nella storia della casa editrice, uno «Statuto del Consiglio editoriale» nel quale sono esplicitamente definiti e regolati i meccanismi del lavoro editoriale. Era l’avvertimento che la fase di lavoro fondata su regole non scritte era definitivamente conclusa.48

47 Alla riunione partecipano: Einaudi, Bobbio, Mila, Ponchiroli, Panzieri, Migliardi,

Caprioglio, Fonzi, Strada, Bollati, Castelnuovo, Venturi, Vivanti, Calvino, Serini, Davico, Baranelli.

48

Documento non datato, AE, incart. Einaudi. Lo Statuto del Consiglio prevede: 1) che il Consiglio editoriale sia articolati in: consulenti, consulenti esterni, auditori. I primi hanno «pieni diritti, di voto, di cooptazione, di designazione di altri membri». 2) che «ogni volume pubblicato dalla casa editrice viene sottoposto da un consigliere o da un auditore al Consiglio stesso, che esprime parere dopo almeno aver sentito il parere su conoscenza di un proponente anche non facente parte del Consiglio ma il cui parere sia valutabile e di almeno un consulente e un auditore. A maggioranza dei 2/3 dei consiglieri presenti si approva un libro. La direzione nell'iter che intercorre dalla delibera alla pubblicazione può formulare al Consiglio le sue riserve per ragioni economiche, giuridiche, e di opportunità editoriale. Nel caso in cui il Consiglio, a maggioranza di 2/3 non approvasse la riserva formulata dalla direzione, questa è tenuta a manifestare entro 30 giorni la sua decisione definitiva che, se non approvata dal Consiglio, la autorizzano a esprimere anche pubblicamente il proprio dissenso, con un documento approvato a maggioranza di 2/3. Non sono ammesse invece dichiarazioni individuali di dissenso, mentre la direzione logicamente si riserva la facoltà di esprimere pubblicamente il suo punto di vista». Il numero dei consiglieri è fissato tra i 12 e i 18, quello dei consulenti è deciso a seconda delle esigenze, quello degli auditori,

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Al caso Fofi «che era poi, ormai è chiaro, un caso Panzieri e un caso Solmi»49, è dedicata la seduta del 27 novembre. Apre i lavori la lettura pubblica di una lunga lettera di Delio Cantimori in cui lo scritto di Fofi è definito un insieme di «insinuazioni non dimostrate, asserzioni di sospetti non definiti, denuncie a mezza voce sulle vere intenzioni del gran polipo monopolio mitizzato come diavolo con barba da Babbo Natale». Cantimori esorta quindi la casa editrice a proseguire il suo lavoro «tenendo presente l'unico metro di valutazione critica accettabile, quello del valore culturale di un'opera.»50

Sulla base delle osservazioni di Bobbio ed Einaudi da una parte, e di Solmi dall'altra, il comitato è arrivato a formulare due ipotesi: «una (Bobbio ed Einaudi) che prevede una revisione approfondita del lavoro di Fofi, segnatamente dei punti scientificamente deboli o ideologicamente poco chiari» l'altra (Solmi) «che limiterebbe l'intervento di Fofi alla correzione di aggettivi troppo polemici, di iperbole, ecc.»51 Solmi chiede a Mila se ha letto il libro, contando sulla sua autorevolezza di vecchio intellettuale torinese. Mila, pur trovandosi d’accordo con la diagnosi di Fofi del mondo torinese («che Torino sia una città in situazione di monopolio mi pare dimostrato proprio dalla perplessità di questa casa editrice se pubblicarlo o no») sostiene che il libro è debole sia nell'impostazione che nelle argomentazioni: «in conclusione mi trovo stiracchiato da due tendenze opposte: è un libro coraggioso, che si impone; e nello stesso tempo è un libro debole.) [...] Se non lo si pubblica per me sarà una delusione: una volta avevamo più coraggio.» Mila osserva infine che «un giudizio più negativo sarebbe più autorizzato se la casa editrice non avesse pubblicato in passato libri altrettanto deboli.» Gli risponde prontamente Venturi: «è vero che

tra 4 e 6. I consiglieri sono eletti su proposta di 3 membri, con approvazione della maggioranza dei 2/3; i consulenti possono non essere mai sostituiti ma possono decadere su richiesta di 3 membri del Consiglio approvata a maggioranza dai consiglieri in carica. Gli auditori decadono su richiesta della direzione. Consulenti esterni, auditori o altri possono essere eletti consiglieri, secondo quanto detto prima. 49 Mangoni, p. 908.

50 Parere editoriale di Delio Cantimoir (AE, incart. Cantimori, 27 novembre 1963). 51 AE, Verbale della riunione editoriale del 27 novembre 1963.

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abbiamo fatto altri libri deboli. Ma ricorda che questo di Fofi tratta non un problema qualsiasi ma uno dei massimi problemi italiani (Nord-Sud, industrializzazione ecc.), forse dovrei dire il problema italiano». Fautori ed oppositori di Fofi sembrano incontrarsi almeno su un punto: Meridionali a Torino affronta nodi cruciali della vita nazionale italiana, temi sui quali la pubblicistica, non solo einaudiana, è in costante ritardo. Di fronte a una lacuna tanto grave, alcuni, come Venturi esortano alla cautela e allo studio, altri, come Solmi e Panzieri, al coraggio e alla sperimentazione.

Il dibattito prosegue oltre la lunghezza lecita. Tutto diventa occasione di scontro, dal linguaggio impiegato da Fofi, al genere cui ascrivere il suo studio: a Solmi che dichiara l'urgenza di pubblicare il libro prima che esso sia superato –e abbiamo visto come questo tipo di richiamo fosse frequente per quanto riguardava i Lb) risponde un sospettoso Venturi: se quello di Fofi è un libro scientifico, allora dovrebbe resistere non tre mesi ma almeno qualche anno: «a meno che non si tratti d'un pamphlet politico». «Certo che è un pamphlet politico!» gli risponde Solmi. «Ma allora perchè lo avete presentato come un libro di sociologia?», domanda Venturi; il quale, avendo conferma da Solmi che si tratti di «un libro di denuncia», arriva finalmente ad una conclusione netta: «allora voto decisamente no, perché è un brutto pamphlet politico. Ho ormai i capelli bianchi e so per esperienza personale che per la sinistra il vero modo di rovinarsi è quello di fare le cose subito».

Panzieri invita gli altri redattori a schierarsi con altrettanta chiarezza: in quella che è la sua ultima riunione editoriale presso la casa editrice, è intervenuto solo una volta per ricordare a tutti che Fofi non è disponibile a ulteriori revisioni del testo. Solmi lotta fino alla fine, Panzieri no. A questo punto Einaudi indice il voto; ma fa presente che, nel caso in cui il Consiglio voti a favore della pubblicazione, lui si prenderà «qualche giorno di riflessione, per stabilire se la casa editrice potrà procedere o no alla stampa.»

La pratica del voto aveva un solo precedente, relativo alla vicenda editoriale del libro di Roberto Giammanco, Dialogo sulla società americana: sostenuto da Solmi, Panzieri e Bollati e invece criticato da

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Calvino, Venturi, Bobbio,52 il libro sarà pubblicato nel 1964 nella collana dei Saggi. Come ha scritto Luisa Mangoni «votare significava il venir meno delle capacità di mediazione e di autoregolamentazione che normalmente contraddistinguevano il Consiglio editoriale».53

Il Consiglio si esprime a maggioranza contro la pubblicazione di Meridionali a Torino. Il libro di Fofi sarà pubblicato da Feltrinelli nel 1964 anche grazie alla mediazione di Montaldi che dal ’61 era redattore presso la casa editrice milanese occupandosi soprattutto del settore sociologico. Come già nel caso di Edoarda Masi, possiamo oggi leggere il libro di Fofi rifiutato da Einaudi perché pubblicato da Feltrinelli: questa lettura rappresenta l’occasione necessaria ad una miglior comprensione delle motivazioni che spinsero la casa editrice torinese a non pubblicare un libro che ebbe, nel tempo, un duraturo successo.54

4.

«Negli ultimi dieci anni si è aggiunto un nuovo capitolo alla lunga storia delle migrazioni italiane: quello delle migrazioni interne».55 Così Fofi introduce la sua analisi che ha come oggetto di studio la condizione dell’immigrato meridionale nell’Italia del nord e in particolare a Torino.

52 Verbale del Consiglio editoriale del 16 gennaio 1963. 53 Mangoni, Pensare i libri cit., p. 903.

54Il libro sarà ripubblicato da Feltrinelli in edizione ampliata nel 1975. L’immigrazione meridionale a Torino è indicato come autorevole riferimento bibliografico in molti saggi di Storia contemporanea come: Michele Nani, Ai confini della nazione: stampa e razzismo nell’Italia di fine ottocento, Carocci, Roma 2006, p. 108; Saverio Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Donzelli, Roma 2004, p.207; Guido Crainz, Il paese mancato: dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Roma 2003, p.17; La città e lo sviluppo. crescita e disordine a Torino (1945-1970) a cura di Fabio Levi e Bruno Meida, Franco Angeli, Milano 2002, p. 126; Stefano Musso, Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento, Feltrinelli, Milano 1999, p. XI; Francesco Barbagallo, Storia dell’ italiana repubblicana, Einaudi, Torino 1994, p.437; Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana dalla fine della guerra agli anni Novanta, Marsilio, Venezia 1992, p. 233. Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 1989, p.300.

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Dopo un parte introduttiva in cui l’autore ricostruisce le coordinate storiche del fenomeno migratorio dal sud al nord d’Italia e in cui accenna brevemente alle linee di sviluppo industriale del Piemonte negli ultimi anni, Fofi ripercorre le tappe che l’immigrato meridionale compie dalla decisione di lasciare la sua terra natale al momento in cui, arrivato nella grande città industriale del nord, si confronta con la difficile condizione di vita in cui è costretto dalla sua indigenza.56 L’analisi è condotta «sulla base dei dati e del materiale raccolto attraverso interviste e analisi particolari sui vari aspetti di questo inserimento e sulla base dei colloqui condotti con gli immigrati stessi tra gli ultimi mesi del 1961 e i primi del 1962».57 Le conclusioni a cui l’autore giunge sono sostenute da una serie di dati statistici riprodotti in appendice al testo: sono dati che provengono per lo più da fonti ufficiali, e in particolare dalla Divisione statistica del Comune di Torino. L’edizione Feltrinelli dello scritto di Fofi ha una nota posta in calce all’appendice statistica in cui si dichiara che «l’autore non ha una preparazione specificatamente statistica, e dunque questo esame non poteva pretendere ad un rigore metodologico assoluto.»58 In tal modo, la casa editrice segnava i confini della ricerca condotta da Fofi, dichiarando esplicitamente ciò che essa era e ciò che non aveva la presunzione di essere.

Il racconto di Fofi restituisce un’idea viva e articolata della realtà immigratoria a Torino: l’autore ne indaga gli aspetti più noti, come il problema della casa che è «assieme a quello del lavoro il più immediato e scottante per l’immigrato»59, ma anche i più nascosti come i legami che si creano tra gli stessi meridionali o tra questi e i torinesi; i rapporti non solo affettivi tra emigranti e terra di origine, i luoghi di ritrovo e di svago.

Entrando nel merito delle questioni che avevano provocato le critiche della maggioranza dei redattori dell’Einaudi, esse sono affrontate da Fofi

56 La seconda parte del libro, intitolata I tempi dell’immigrazione, è suddivisa in quattro capitoli dedicati a «l’arrivo», «il lavoro», «le strutture ufficiali di accoglienza», «gli immigrati e gli altri».

57 Ibidem, p. 75.

58 Ibidem, p. 298. 59 Ibidem, p.178.

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senza giri di parole: «La Stampa», definita da Fofi «il portavoce ufficioso» della Fiat, è accusata di influenzare e determinare la vita e le opinioni dei torinesi sbandierando «un antifascismo sterile e di ricordi» e promuovendo una politica di riforme sociali fondato su «un paternalismo “illuminato” avvallato anche su piano nazionale grazie alle firme di rispettabili nomi della cultura e dell’antifascismo italiano».60 Per quanto riguarda la Fiat «non c’è a nostro parere , attività o situazione che possa non avere, direttamente o meno, rapporto con la politica Fiat, sia che si tratti di tacita acquiescenza, di inconscia o crescente integrazione o di scontro».61 Sugli operai meridionali pesa, anche fuori della fabbrica, «il clima Fiat, di paura e di silenzio».

Il giudizio sull’amministrazione comunale della città non è meno esplicito: «è stata sempre una semplice appendice del monopolio, un’appendice statica, inerte, con il compito di “non fare” o di fare soltanto quanto al monopolio fosse utile».62 Fofi fa riferimento, ad esempio, alle direttive del piano regolatore della città dettate, a suo giudizio, dagli interessi della Fiat e della speculazione privata: «la Fiat stessa detiene il 15% delle aree edificabili dell’intero comune»63, scrive Fofi.

Sono attacchi duri, polemici, non sempre suffragati da prove o documenti: ma lo spazio che occupano nel complesso dell’opera è quantitativamente molto minore di quanto potrebbe aspettarsi chi leggesse i verbali delle riunioni editoriali del 13 e 27 novembre 1963. La pubblicazione del libro non desta né scandali né proteste: sulle pagine de «La Stampa» Carlo Casalegno lo recensisce come contributo di studio che ha «due grandi meriti: raccoglie criticamente ed espone in una sintesi di piacevole lettura i risultati di tante indagini sporadiche e frammentarie; e dà vita al materiale documentario con le osservazioni

60 Ibidem, p. 69. 61

Ibidem, p.66-67. 62 Ibidem, p. 68.

63 Ibidem. A riprova di quello che afferma, Fofi propone stralcio di interviste come quella ad un operaio non della Fiat che afferma: «è come vivere sotto un tetto messo su dalla Fiat, mi ci sento sempre poco libero, non capisco, ma che c’è la Fiat che comanda come vuole lei, me ne rendo conto subito». Ibidem, p. 267.

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annotate in metodiche interviste a centinaia di immigrati».64 Per la prima volta, scrive Casalegno, «i meridionali esprimono direttamente delusioni e d entusiasmi, desideri e risentimenti, giudizi e pregiudizi».65 Un giudizio favorevole ed argomentato, Nonostante alcune considerazioni di Fofi siano ritenute da Casalegno ingenuamente manichee («il buon proletariato contro i cattivi ceti superiori»), la recensione apparsa sulle pagine del più importante quotidiano torinese è un atto di riconoscimento del valore e dell’importanza culturale dello scritto di Fofi.

La vicenda editoriale del ’63, «un episodio di censura e di autocensura» secondo le parole di Luca Baranelli, aveva provocato «drammatiche lacerazioni all’interno della casa editrice»:66 il 4 dicembre del ’63 Einaudi inviava ai membri del Consiglio editoriale una lettera in cui parlava di «un clima di “rottura” reso forse inevitabile dalla sostituzione di perentorie valutazioni ideologiche alla disamina persuasiva degli effettivi valori culturali»67 del libro in questione. Tuttavia rivendicava il diritto e il dovere della casa editrice di respingere «la calunnia o l’accusa non provata, il pamphlet non documentato, i “canti” non sempre scientificamente documentati come autentici, la letteratura di seconda scelta, la critica di seconda mano.» Il lavoro doveva serenamente continuare «al fine di una migliore organizzazione del lavoro di tutti e di ciascuno».

La ricostruzione dell’episodio che Fofi ha compiuto a quarant’anni dalla morte di Panzieri è pacata ma non serena:

Come non ricordare la passione con cui il libro venne difeso da Solmi e Panzieri, e come questo costasse loro il posto di lavoro e fosse certamente, come pensiamo io e tanti, una delle cause della morte di Raniero in così giovane età? La prima copia del libro in edizioni Feltrinelli il postino la consegnò a Strada Sei Ville il giorno stesso della morte di Raniero. […] Al funerale […] piangevo senza freni quando, all’ingresso

64

Carlo Casalegno, I meridionali a Torino «La Stampa» 7 ottobre 1964.

66 Luca Baranelli, Disavventure di immigrati a Torino. Un caso editoriale degli anni ’60…

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del cimitero incrociai, che arrivavano in ritardo, i due Giulio einaudiani, il cui disagio non dimenticherò mai.68

La vicenda editoriale del libro di Fofi e il conseguente licenziamento di Solmi e Panzieri conclude una fase della storia della casa editrice che era stata inaugurata dall’ «anno periodizzante» 1956. Lo stesso Giulio Einaudi ha riconosciuto, a distanza di anni, che «il caso Fofi è stato un pretesto. In realtà è stato uno scontro tra due modi di fare cultura, cui ha fatto seguito la disfatta, all’interno della casa editrice, di quella che potremmo definire la sinistra»;69 la presenza di Solmi e Panzieri permetteva alla casa editrice di proporre un certo tipo di libri «che poi non si sono più fatti», osserva Einaudi.70 Il quale sembra poi voler ammorbidire la sua posizione di allora: «direi che c’era una linea culturale seria e di approfondimento dei problemi della società; e un'altra che auscultava ogni fenomeno in germinazione, forse senza il necessario approfondimento». La prima linea culturale aveva come punti di riferimento, tra gli altri, Bollati, Bobbio e Calvino; la seconda, Solmi e Panzieri. Essa, ammette inaspettatamente Einaudi, «per la verità faceva parte della casa editrice e […] in fondo [la] condividevo».71

5.

Venuta meno la presenza di Solmi e Panzieri la collana dei Lb si trova improvvisamente senza una guida. Rimane soltanto l’eredità di una ricca anche se contrastata esperienza editoriale che aveva ridisegnato la fisionomia culturale della casa editrice nel suo complesso e che rischiava

68

AA VV, Testimonianza di Fofi in Panzieri. Un uomo di frontiera cit., p. 149. 69 Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi cit., p. 195.

70Ibidem.

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ora di venir censurata per non compromettere gli equilibri interni della redazione e dei vari collaboratori.

La collana sopravvivrà altri tre anni, con un ritmo decrescente di volumi pubblicati: quattro nel ’64, due nel ’65, solo uno nel ’66. Su un totale di sette volumi, due erano stati proposti da Solmi: il saggio di Saverio Tutino, intitolato Gollismo e lotta operaia72, concordato dall’autore con Solmi73 che ne aveva ricevuto il manoscritto il 14 ottobre 1963 e il libro del ’64 curato da Enrica Collotti Pischel e Paolo Calzini sulla disputa cino-sovietica, Coesistenza e rivoluzione che era stato presentato da Solmi alla riunione editoriale del 16 maggio 1962.74

Gli ultimi anni della storia della collana sono contrassegnati dal ritorno ad una gestione collettiva del piano editoriale: ai redattori e consulenti di vecchia data, tra i quali va segnalata la centralità della figura di Calvino, si aggiungono voci nuove come quelle di Luca Baranelli e Paolo Spriano. Di quest’ultimo l’archivio della casa editrice conserva una lettera non datata indirizzata all’«inimico» Raniero Panzieri per rivolgergli «un discorsetto sui vostri “libri bianchi”»:75 Spriano esorta Panzieri ad approfondire la ricerca di documentazione sul mondo socialista («a che punto è la “democrazia socialista” in URSS, quale dialettica si verifica tra rinnovatori e conservatori nei vari settori e livelli

72 Il libro consisteva in un’inchiesta di Tutino, corrispondente a Parigi de «L’Unità», sugli scioperi dei minatori francesi avvenuti in quei mesi: « a mano a mano che andavo avanti –scrive Tutino a Solmi – mi accorgevo che la materia era densissima e che si poteva delineare una cosa piuttosto viva e anche polemica. Basta tirare le fila del sindacalismo francese nel dopoguerra per avere la riprova di un incommensurabile deviazione politica della sinistra francese dai compiti di sua pertinenza. Di qui l’apparente abulia della classe operaia, il suo apparente disinteresse per la guerra d’Algeria, l’apparente spoliticizzazione di tutto il paese. Lo sciopero dei minatori è stato il primo grande episodio di riscossa, però necessariamente privo di sbocchi. Descrivere tutto questo è un compito appassionante e difficile. Io non smetterò.» AE, incart. Tutino, 29 maggio 1963.

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Solmi lo presentava così alla riunione editoriale dell’11 settembre 1963: « Tutino ha mandato il suo libro sullo sciopero operaio in Francia: degnissimo di essere pubblicato, e singolare perché per la prima volta un comunista militante vi scrive liberamente quello che pensa sulla Francia.» AE, Verbale della riunione editoriale.

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AE, Verbale della riunione editoriale.

75 «Non ti stupire –scrive Spriano –se tra tutti gli amici della casa editrice scelgo il più inimico per sottoporgli queste osservazioni che mi vien fatto di formulare dopo aver letto con passione il libro della Enrica Collotti Pischel sulla rivoluzione ininterrotta della Cina». La lettera non è datata ma il riferimento a La rivoluzione ininterrotta della Pischel la colloca intorno alla metà del 1962. (AE, incart. Spriano).

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