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Cap.1. Allevamento biologico

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Academic year: 2021

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Cap.1.

Allevamento biologico

1.1.Origine e nascita dell’allevamento biologico

L’evoluzione dell’allevamento animale e dell’ambiente di allevamento, l’introduzione e la diffusione di nuove tecnologie e i mutamenti nelle abitudini dei consumatori hanno portato ad una maggiore conoscenza dei sistemi di produzione animale (Gibon et al., 1999).

Lo studio dell’ecologia applicato alle produzioni animali evidenzia quanto poco ri-spettosa dell’ecosistema possa essere la zootecnia intensiva: essa infatti, al fine di ottenere il massimo profitto, utilizza sistemi che possono non tener conto né del benessere degli animali allevati, né della salvaguardia dell’ambiente (Halley et al., 1993).

L’allevamento intensivo è caratterizzato da un’elevata utilizzazione di energia sottoforma di elettricità e combustibili, nonché dalla massiccia creazione di inquinamento, da un aumento della sensibilità degli animali ai patogeni e ai parassiti, dall’utilizzo di farmaci di sintesi per gli animali e prodotti chimici per migliorare le produzioni agricole, con conseguente contaminazione di tutto l’ecosistema; esiste dunque una correlazione diretta tra il sistema agro-zootecnico e l’ambiente (Tartari e Battaglini, 1997). I modelli di sviluppo fondati su un elevato grado di intensificazione e conseguente forte impatto ambientale possono provocare inoltre anche vere e proprie incertezze sulla sicurezza alimentare da parte del consumatore, una diminuzione degli standard qualitativi, una sempre più pressante minaccia della biodiversità ed uno scarso rispetto per le condizioni di vita e del benessere animale (Nardone et al., 2000). Infatti, sono ormai all’ordine del giorno episodi di cronaca legati al grave danneggiamento dell’ambiente o di pericolo per la salute umana, come nel caso degli estrogeni ritrovati nelle carni di

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bovini trattati fraudolentemente dagli allevatori, della diossina nei mangimi e quindi nelle carni dei maiali, o dell’epidemia della BSE, originata dall’utilizzazione delle farine di carne di pecore ammalate nell’alimentazione dei ruminanti (Willer, 2002). Non si devono trascurare poi i gravi rischi per l’ecosistema dovuti alla dispersione di farmaci e dei loro metaboliti, come nel caso dei prodotti difficilmente degradabili utilizzati per sverminare gli animali; tali sostanze vengono ritrovate nelle feci e nei liquami utilizzati per la concimazione dei campi (Montanarella, 1999; Pau Vall e Vidall, 1999; Sensi, 1999; Nardone e coll., 2000) in quantità tali da superare la soglia di autodepurazione dell’ambiente ricevente (Marino, 1992) creando pericoli per la salute umana legati all’assunzione continua di molecole farmacologiche attraverso il consumo di carni di animali trattati (Strong et al., 1993). Inoltre, non sempre il rispetto dei tempi di sospensione, garantisce l’eliminazione completa delle molecole farmacologiche e soprattutto dei loro metaboliti dai tessuti dell’animale (Robertson, 1988). Per di più l’assunzione continua di farmaci ad azione antibiotica, o chemioterapici in genere, fa sì che si selezionino nuovi ceppi di patogeni e parassiti resistenti, che per essere distrutti hanno bisogno di farmaci sempre più potenti e sempre più nuovi, che funzionano solo per pochi anni prima di divenire anche loro inefficaci. I consumatori più accorti hanno iniziato però a dubitare delle produzioni provenienti da questo tipo di zootecnia, cercando alimenti “più sani” prodotti nel rispetto della natura e degli animali.

In questo quadro di eccessiva industrializzazione e serrata spinta produttiva, l’opinione pubblica si pone il problema della necessità di rivedere i sistemi produttivi al fine di pianificare un tipo di zootecnica non inquinante, rispettosa della natura, degli animali e dell’uomo. In questo contesto si inserisce perfettamente la realtà dell’allevamento biologico, le cui caratteristiche possono incarnare tali nuove esigenze, ponendo come obiettivo primario la salubrità e la sicurezza di prodotti ottenuti nel rispetto dell’ambiente.

Lo stesso Regolamento comunitario 1804/99 individua nelle produzioni animali un’attività che deve contribuire all’equilibrio dei sistemi di produzione agricola contribuendo a mantenere i rapporti di complementarità tra terra, produzioni agricole, allevamento ed impresa. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che i

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principi fondamentali del metodo biologico si rivolgono ad aziende che, in quanto tali, hanno come obiettivo la produzione di reddito derivante dalla vendita di prodotti (carne, latte e uova) ottenuti nel rispetto dell’ambiente, dell’animale e del consumatore mediante la trasparenza del ciclo produttivo lungo l’intera filiera. Dunque, alla base della diffusione della zootecnia biologica risiede la capacità di rispondere ad alcune esigenze sempre più sentite dai consumatori e dalla società (Polidori, 1996); infatti il mercato attuale sembra dominato dal bisogno di un’alimentazione sana, basata su prodotti privi di contaminazioni chimiche e di conservanti, dalla ricerca di prodotti di qualità, da una sempre crescente ricerca di sicurezza alimentare e genuinità dei prodotti, nonché dall’esigenza di processi produttivi eco-compatibili.

Inoltre la zootecnia biologica rappresenta una realtà funzionale ai processi di sviluppo rurale, assumendo particolare rilievo nelle aree marginali: essa infatti è in grado di valorizzare delle risorse locali che altrimenti sarebbero difficilmente fruibili (Polidori, 2002).

In questo ambito, la valorizzazione della zootecnia “da carne” rappresenta un importante tassello in quanto la diffusione dei metodi di produzione biologica può riaffermare la qualità della zootecnia europea la cui immagine è stata minata dai molti scandali precedentemente citati (Lunati, 2001).

La “bio-zootecnia”, quindi, è un settore in evoluzione, dotato pertanto di un certo dinamismo: esso infatti sta progressivamente assumendo una struttura sempre più organizzata in cui produzione e consumo costituiscono un circuito integrato. La dinamicità è legata soprattutto alla crescita della domanda a volte superiore ai ritmi produttivi, favorendo così l’espansione della produzione. Il mercato del biologico sta crescendo rapidamente. Basti pensare che, in base alle stime dell’International Trade Centre UNCTAD/WTO (ITC), il mercato mondiale delle vendite al minuto degli alimenti e delle bevande biologiche è passato dai 10 miliardi di dollari del 1997 ai 17,5 miliardi di dollari nel 2000 (Willer, 2002). Inoltre le aree convertite al metodo biologico sono cresciute ininterrottamente dalla metà degli anni ‘80 grazie anche al supporto della CE attraverso la politica delle sovvenzioni, all’implementazione del regolamento CE 2092/99 e all’attenzione degli allevatori per le produzioni alternative in conseguenza degli scandali

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alimentari. Al fine di ottenere una minima percentuale garantita convertita al regime biologico per tutti i Paesi dell’UE, traguardo che molti governi si sono prefissati, saranno necessari, comunque, ulteriori sforzi, incluso un pieno supporto politico per l’agricoltura biologica. Un così lungo periodo di esperienza e la competenza del settore privato sono un fattore chiave per la futura crescita e lo sviluppo dell’azienda biologica.

La zootecnia estensiva biologica risulta particolarmente funzionale ai processi di sviluppo rurale in aree marginali collinari e/o montane in quanto capace di valorizzare risorse locali altrimenti non usufruibili, o utilizzabili meno efficientemente (Polidori, 1996).

La crescita della zootecnia da carne risulta un importante passaggio in quanto la diffusione dei metodi di produzione biologica può validamente riaffermare la qualità della zootecnia europea (Lunati, 2001), partecipando attivamente anche ai processi di sviluppo rurale nei diversi territori. La dipendenza dalle risorse locali riveste quindi un ruolo cruciale nei processi produttivi biologici, per cui le tecniche di produzione risultano specifiche e dipendenti dalle caratteristiche economiche, sociali ed ambientali locali.

La ricerca per la zootecnia biologica deve quindi principalmente considerare gli agro-ecosistemi nella loro complessità con metodi interdisciplinari ed essere in grado di collegare le diverse discipline tra di loro. Fondamentale è la valorizzazione delle risorse genetiche locali: il recupero di specie e varietà vegetali e di razze animali locali in via di estinzione (Agostino, 1997). L’igiene degli allevamenti ed il benessere animale costituiscono inoltre altri campi di ricerca ed innovazione nella zootecnia biologica.

Nel “Documento del biologico italiano” stilato da AIAB (2002) si evidenziano i caratteri salienti su cui si basa la produzione biologica, in particolare si ribadisce come tale sistema sia di fondamentale importanza ai fini della crescita del mondo rurale: l’agricoltura biologica appare quindi come un modello di sviluppo sostenibile che affonda le sue radici su un metodo basato sui principi di salvaguardia e valorizzazione delle risorse, rispetto dell’ambiente, del benessere animale e della salute del consumatore (Campus e Rossi, 2001; Campus, 2006).

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Sulla base di tali considerazioni nei paragrafi successivi verranno esaminate nel dettaglio le componenti strutturali della zootecnia biologica.

1.2. Istituzioni e Normativa dell’allevamento biologico

La produzione biologica, soprattutto in Italia, ha interessato in un primo tempo le produzioni vegetali, mentre quelle animali ed i prodotti trasformati sono stati regolamentati più recentemente. Il metodo biologico inizialmente si sviluppa in modo spontaneo senza riferimenti normativi, quasi svincolato dalle leggi di mercato. Sotto la spinta di un mercato emergente la crescita del movimento sembra inarrestabile e negli anni Settanta si sviluppano i sistemi di controllo e di certificazione. Nasce quindi l’IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per. l’Agricoltura Biologica: tale istituzione sorge in Francia nel 1972 e riunisce oltre 500 gruppi di operatori del biologico a livello mondiale, per un totale di 90 nazioni.

Il primo quadro di “regole” normative specifiche delle quali si avvale la zootecnia biologica al fine di rafforzare le peculiarità dei processi e la qualità delle produzioni è rapresentato dall’insieme dei regolamenti comunitari sull’agricoltura biologica n. 2092/91 e quello sulle produzioni animali n. 1804/99. A questi si affiancano vari leggi e decreti nazionali e regionali.

Il riconoscimento ufficiale delle produzioni biologiche avviene attraverso gli organismi di certificazione (AIAB, Codex, Bioagricoop, Ecocert Italia, Suolo e Salute, CCPB, IMC, Bios, QC & I), alcuni dei quali aggiungono alla certificazione di processo che caratterizza tutto il sistema di controllo del biologico anche la certificazione di prodotto. Oltre agli organismi di certificazione esistono anche due associazioni nazionali (AIAB e Bioagricoop) che rilasciano appositi marchi collettivi privati alle aziende che rispettano disciplinari di produzione per l’agricoltura biologica più restrittivi rispetto ai regolamenti comunitari; in particolare uno di questi identifica commercialmente solo prodotti ottenuti con il metodo biodinamico. Nel corso del 2000 è nato anche un marchio comunitario (Regolamento CE 331/2000) che stabilisce le caratteristiche del logo comunitario.

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La politica di sostegno all’agricoltura biologica passa tramite il piano di Sviluppo Rurale proprio delle singole regioni italiane.

A livello nazionale prima del 24 agosto 2000 la materia era normata oltre che dai Disciplinari privati delle associazioni ispirate al movimento IFOAM anche dalle leggi emanate da alcune Province Autonome e dalle Regioni; fra queste, ad esempio, ricordiamo la L.R. n.54 della Toscana promulgata il 12 aprile 1995 dal Consiglio Regionale: "Norme per le produzioni animali ottenute mediante metodi biologici".

1.3. Alimentazione

Anche nella cura dell’alimentazione degli animali gli obiettivi dell’allevamento biologico, esposti nel Regolamento 1804/99, privilegiano la produzione di qualità ed il rispetto delle esigenze nutrizionali degli animali nei loro vari stadi fisiologici, piuttosto che la massimizzazione delle produzioni.

In generale vige il divieto dell’ alimentazione forzata e fattore fondamentale è il fatto che gli animali debbona essere alimentati con alimenti biologici. Tuttavia, come deroga temporanea, qualora l’allevatore non fosse in grado di procurarsi alimenti esclusivamente ottenuti con metodi di agricoltura biologica, questo è autorizzato, per un periodo transitorio, ad impiegare proporzioni limitate di alimenti convenzionali. La percentuale massima autorizzata di alimenti convenzionali nella razione giornaliera, fatta eccezione per i periodi di transumanza, è pari al 25 %, calcolata sulla percentuale di materia secca e del 10 % su base annua totale. In caso di perdita eccezionale della produzione foraggiera per avversità climatiche, le competenti autorità regionali possono autorizzare

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l’utilizzo di percentuali di alimenti convenzionali superiori alla quota prevista. Per quanto concerne la qualità del prodotto convenzionale utilizzato, viene riportato un lungo elenco di prodotti ammessi, che sono in genere rappresentati da prodotti vegetali non trattati con solventi e da alcuni prodotti animali (latte e suoi sottoprodotti, …), oltre alla lista delle sostanze minerali e degli additivi utilizzabili nella formulazione dei mangimi. E’ vietato l’uso di antibiotici, coccidiostatici, medicinali stimolanti della crescita o altre sostanze somministrate per lo stesso scopo. Inoltre, non possono essere utilizzati prodotti come vitamine, provitamine e sostanze di effetto analogo, enzimi, agenti leganti, antiagglomeranti e coagulanti. Si deve inoltre attestare che tutte le materie presenti per gli alimenti siano esenti da O.G.M.

Gli animali devono essere allevati preferibilmente con alimenti di provenienza aziendale e, laddove non sia possibile, con alimenti provenienti da altre aziende o imprese che si sono adattate alle disposizioni del regolamento sopra citato. Il decreto Mi.PA del 29/03/01 ha fissato al 35 % della sostanza secca la quantità di alimento che deve provenire dall’azienda o dal comprensorio, proprio per favorire il collegamento funzionale con i terreni; in tal modo essi diventano produttori di materie prime costituenti il mangime e, allo stesso tempo, bacino di smaltimento delle deiezioni animali.

E’ prevista inoltre la possibilità di impiego nella razione di alimenti in fase di conversione fino ad un massimo del 30 % in media della formula alimentare. Nel caso in cui gli alimenti in fase di conversione derivino da un’unità della propria azienda la percentuale può arrivare al 60 %. Per quanto concerne l’alimentazione di base dei vitelli questa deve avvenire con latte naturale di preferenza materno ed è previsto un periodo minimo di 3 mesi per lo svezzamento. Per la specie bovina i sistemi di allevamento devono basarsi in massima parte sul pascolo, tenuto conto delle disponibilità vegetazionali e della stagione. Almeno il 60 % della sostanza secca di cui è composta la razione giornaliera deve essere costituita da foraggi freschi essiccati o insilati (Reg. CE 1804/99). Lo sfruttamento dei pascoli è nella realtà mediterranea tecnicamente ed economicamente valido solo per bovini adulti e non per soggetti all’ingrasso. Infatti la variabilità della disponibilità quali-quantitative nel corso dell’anno, caratterizzata dai due periodi di stasi vegetativa

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invernale ed estiva e con una leggera ripresa delle produzioni dei cotici in autunno, non permette una regolare disponibilità di foraggio ad elevata digeribilità nel corso della stagione di pascolamento tale da garantire regolari performances produttive (Pauselli, 1998). Inoltre per i vitelloni da ingrasso l’utilizzo del pascolo impone seri vincoli da un punto di vista tecnico-produttivo: infatti oltre alle differenze di razionamento rispetto all’allevamento convenzionale si deve tenere in considerazione la maggiore attività fisica degli animali che comporta incrementi di peso nettamente inferiori rispetto alle razze da carne specializzate in allevamenti confinati. Per tale ragione nella fase di finissaggio dei bovini è concessa una deroga che consente di tenere gli animali in stalla per un tempo massimo di 3 mesi ed in ogni caso mai superiore ad un terzo della loro vita.

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1.4.Profilassi e cure veterinarie

Considerato il limitato numero di ausili terapeutici convenzionali che è possibile utilizzare, l’aspetto della prevenzione e del controllo integrato sono alla base della profilassi nella zootecnica biologica. Gli elementi basilari di questo modello sono i seguenti:

-scelta delle razze o delle linee e ceppi appropriati;

-applicazione di pratiche di allevamento adeguate alle esigenze di ciascuna specie che stimolino un’elevata resistenza alle malattie e cerchino di evitare infezioni; -uso di alimenti di alta qualità abbinato a movimento fisico regolare e accesso ai pascoli; tale condizione stimola le difese immunologiche naturali degli animali; -adeguata densità degli animali evitando così il sovraffollamento e qualsiasi problema sanitario che ne potrebbe derivare.

Oltre a rispettare le condizioni suddette, sarà comunque necessario effettuare tutte le vaccinazioni obbligatorie e i trattamenti ai locali di stabulazione con i prodotti consentiti (Reg. CE 1804/99).

L’uso di medicinali veterinari nell’agricoltura biologica deve essere conforme ad alcuni principi: i prodotti fitoterapici, omeopatici e gli oligoelementi sono da preferirsi ad antibiotici o medicinali allopatici, purché abbiano efficacia terapeutica per la specie animale e tenuto conto delle circostanze che hanno richiesto la cura.

Nel caso in cui l’uso dei suddetti prodotti non sia verosimilmente efficace o qualora la cura sia essenziale per evitare sofferenze o disagi all’animale, è consentito l’ utilizzo di antibiotici o medicinali veterinari allopatici sotto la responsabilità di un veterinario, anche isolando l’animale in appositi locali.

E’ altresì vietato l’uso di medicinali veterinari allopatici o di antibiotici per trattamenti preventivi, così come l’impiego di sostanze destinate a stimolare la crescita o la produzione, nonché l’uso di ormoni o sostanze analoghe destinati a controllare la riproduzione.

Fatta eccezione per le vaccinazioni, per le cure antiparassitarie e per i piani obbligatori di eradicazione attuati negli Stati membri, nel caso in cui un animale o un gruppo di animali sia sottoposto a massimo tre cicli di trattamenti con farmaci veterinari tradizionali in un anno (o a più di un ciclo di trattamenti se la sua vita

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produttiva è inferiore a un anno), questi o i prodotti da essi derivati non possono essere venduti come prodotti certificati a marchio biologico, se non dopo essere stati sottoposti ad un periodo di conversione sotto il controllo di un organismo addetto. Inoltre le informazioni relative al trattamento, dovranno essere annotate nei registri di allevamento del singolo animale o dei gruppi di bovini interessati ed essere rese note alle autorità competenti. L’utilizzo dei prodotti di sintesi deve sottostare a condizioni che assumono significato di garanzia maggiore per il consumatore, infatti i tempi di sospensione tra l’ultima somministrazione di un medicinale allopatico e la vendita di derrate alimentari biologiche deve essere di durata doppia rispetto alle prescrizioni di legge e, nel caso in cui non venga precisato, di almeno 45 giorni per le produzioni carnee.

Secondo il D.M. 4/8/2000 i trattamenti antiparassitari devono essere limitati a due nel corso dell’anno compresi quelli per gli ectoparassiti, somministrati per via parenterale e/o per applicazioni esterne. I prodotti utilizzabili per questi trattamenti devono rispondere a specifici requisiti: debbono infatti essere caratterizzati da un basso impatto ambientale, da una rapida metabolizzazione, da limitati effetti tossici e da tempi di sospensione inferiori ai dieci giorni.

Il ricorso alla medicina non convenzionale risponde all’esigenza di fornire un sistema diverso che utilizzi principi naturali rispetto a quello della terapia tradizionale basato su molecole spesso altamente inquinanti; ciò al fine di ridurre la presenza dei residui chimico-farmaceutici nei prodotti zootecnici e per far sì che le produzioni biologiche corrispondano veramente alle aspettative dei consumatori. Fra le medicine alternative disponibili l’omeopatia sembra quella che maggiormente riesca a dare garanzie di efficacia sia per la salute degli animali che per la salubrità delle derrate alimentari. L’omeopatia infatti è costituita da un corpo dottrinario volto alla salvaguardia del benessere sia umano che animale consolidatosi nel corso di due secoli di storia ed utilizza rimedi ad altissima diluizione, per il cui utilizzo non se ne riportano effetti collaterali e tossici, spesso associati all’impiego dei farmaci tradizionali. Il farmaco omeopatico è normato a livello nazionale da due leggi: la L. 110 del 17/3/95 che disciplina l’utilizzo dei medicinali omeopatici per uso veterinario (recepimento della Direttiva CEE 92/74)

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e la Legge n° 185 del 22 maggio 1995 che tratta la regolamentazione dei medicinali omeopatici per uso umano (recepimento della Direttiva CEE 92/73).

I medicinali omeopatici che abbiano una concentrazione di principio attivo pari o inferiore a una parte per milione sono da considerarsi atossici e non necessitano di tempi di sospensione.

Inoltre i medicinali omeopatici destinati agli animali da reddito che producono alimenti per l’uomo debbono sottostare alla registrazione completa come le molecole farmacologiche classiche. Per prescrivere questi prodotti è necessaria la ricetta veterinaria in triplice copia non ripetibile prevista dal D.L. 119/92. Attualmente mancano il supporto di una farmacopea ufficiale omeopatica, il riconoscimento ufficiale delle Scuole omeopatiche e l’insegnamento ufficiale dell’Omeopatia nelle Università italiane. Inoltre esiste un’effettiva difficoltà culturale e pratica nell’introduzione dell‘Omeopatia negli allevamenti. Per diffondere questi sistemi e metodi di cura è comunque necessario sensibilizzare al massimo i futuri utenti diffondendo i principi teorici basilari di queste medicine e dimostrando la loro reale efficacia nella cura degli animali. Allo stesso tempo è necessario che queste siano loro facilmente accessibili: vi deve essere, cioè, la disponibilità di veterinari naturopati esperti che possano seguire gli allevamenti e rendere facilmente reperibili i farmaci ed i rimedi che essi prescrivono.

Anche la fitoterapia rappresenta un’alternativa alla medicina convenzionale: essa si basa sull’impiego di principi attivi ottenuti dalle diverse parti delle piante. Questa trova i maggiori campi di impiego nella prevenzione e nella cura di varie forme infettive, dismetabolie e stress, sfruttando soprattutto gli effetti immunostimolanti dei principi attivi contenuti in alcune piante (Echinacea sp., Clorella vulgaris, Hydrasia canadensis, ecc..) e quello calmante ed anti-stress di altre (Valeria, Passiflora, Scutellaria, ecc..) (Cabaret et al., 2002).

1.5. Il benessere animale

Il rispetto e la cura del benessere degli animali è uno degli aspetti che dovrebbe contraddistinguere l’allevamento biologico dai sistemi di allevamento tradizionali sia intensivi che estensivi.

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Il biologico dovrebbe, quindi, rispondere anche alla richiesta del consumatore in merito al rispetto del benessere animale attraverso l’attenzione alle esigenze biologiche ed etologiche degli animali stessi. Vietando la stabulazione fissa, obbligando l’accesso a spazi esterni ed a pascoli, definendo basse densità di allevamento, prevedendo l’uso di lettiere e vietando le mutilazioni sistematiche viene posto, comunque, un primo passo verso il miglioramento delle condizioni di vita in allevamento.

In particolare, l’associazione Italiana per l’Agricoltura biologica (A.I.A.B., 2002) sostiene: “Nell’allevamento intensivo lo scopo principale è la massimizzazione delle produzioni contenendo al massimo i tempi e i costi di gestione. In un tale modello le esigenze fisiologiche, etologiche ed il benessere animale tendono ad essere quasi completamente ignorati così che gli animali sono allevati in condizioni estreme caratterizzate da spazi ristretti, con luce artificiale, lettiera non idonea, condizioni igieniche precarie, alimentazione spesso squilibrata e non adatta alle esigenze fisiologiche degli animali. Queste condizioni di stress si ripercuotono principalmente sulla salute del bestiame stesso, che manifesta perciò una maggiore suscettibilità alle malattie che obbligano a trattamenti preventivi e sistematici con forti dosi di farmaci veterinari di sintesi chimica”. Si pone quindi una maggior attenzione scientifica verso il rispetto del benessere animale, cui si affianca una crescente sensibilizzazione da parte dell’opinione pubblica verso questa tematica. In tale contesto, il metodo biologico si propone come modello di produzione il cui scopo è quello di ottenere un prodotto di qualità, rispettando l’ambiente e le sue leggi. L’allevamento biologico, quindi, adotta tecniche che prendono in considerazione le caratteristiche naturali degli animali allevati, cercando di garantire il rispetto delle condizioni di benessere. Ciò viene messo in atto basandosi sul principio secondo il quale un animale deve vivere e produrre nelle condizioni migliori, alimentato in modo bilanciato con prodotti sani e nel modo più naturale possibile.

In merito alle tematiche riguardanti il benessere animale esistono tutt’oggi delle controversie, infatti anche per la stessa definizione di benessere non è stato ancora trovato un accordo, pur essendo ormai presente da tempo nelle “linee

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guida” redatte da alcuni Paesi membri e in alcune normative della Comunità Europea compreso il Regolamento CE 1804/99.

In generale il benessere di un individuo può essere interpretato come lo stato in cui si trova in relazione ai suoi tentativi di far fronte al proprio ambiente (Broom, 1986). Tali tentativi includono il funzionamento dei sistemi di riparazione del corpo, le difese immunitarie, le risposte fisiologiche d’emergenza ed una varietà di risposte comportamentali. In sintesi il benessere animale è la misura di quanto l’animale riesce in un dato ambiente a soddisfare i propri bisogni (fame, sete, relazioni sociali, riparo, ecc.) evitando sensazioni sgradevoli (aspetto “mentale”: paura, sofferenza, noia, ecc.) e sfuggendo quindi dai possibili pericoli (predatori, parassiti, malattie).

1.6. Densità degli animali e benessere

Il numero di animali presenti in allevamento deve essere proporzionato alle dimensioni ed alla capacità produttiva dell’azienda, nel rispetto del benessere degli stessi animali e dell’ambiente.

È ormai noto che il sovraffollamento rappresenta un fattore condizionante lo scadimento delle condizioni sanitarie. Negli animali sottoposti a stress si verifica un abbassamento delle difese con una maggior tendenza a contrarre malattie. Oltre ai problemi sanitari della mandria un eccessivo carico di bestiame risulta incompatibile con un adeguato impiego delle loro deiezioni come fertilizzanti, poiché un’eccedenza dei liquami esita in una situazione di inquinamento ambientale. Nella parte generale del disciplinare A.I.A.B. (2002) si legge: “l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi è notevole se si considera il problema legato allo smaltimento dei reflui. In questi allevamenti, che non prevedono l’uso della lettiera, le deiezioni zootecniche sono rappresentate dal liquame, che praticamente privo di potere ammendante, distribuito nel terreno immette nell’agroecosistema sostanze ad alto potere inquinante soprattutto nei confronti delle acque sotterranee. Inoltre dato il modello di zootecnia poco razionale che sfrutta il pascolo compromettendo oltre alla produzione foraggiera, gli equilibri geomorfologici determinando il rischio di erosione dei terreni declivi. L’allevamento biologico, che propone un preciso divieto per l’allevamento senza

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terra, riscopre e ripropone l’importante ruolo di anello di congiunzione tra cicli nutritivi del sistema agro-biologico ricoperto dall’attività zootecnica. Le deiezioni zootecniche dell’allevamento biologico sono rappresentate dal letame che costituisce uno dei migliori condizionatori naturali della fertilità del terreno, inoltre il carico di bestiame consentito in un allevamento biologico sarà in relazione alla superficie disponibile per lo spargimento delle deiezioni, onde escludere danni ambientali ed evitare problemi legati al sovrapascolamento e all’erosione”.

L’allevamento biologico si basa sulla possibilità che l’azienda risulti autosufficiente per gli alimenti utilizzati e che la Superficie Agricola Utilizzata (S.A.U.), sia sufficiente per lo spargimento dei reflui aziendali. In tal senso risulta obbligatorio il rispetto di un carico di 2 Unità di Bovino Adulto (U.B.A.) per ettaro. Al fine di consentire una gestione integrata delle produzioni animali e vegetali, in modo da ridurre al minimo ogni forma di inquinamento del suolo e delle acque superficiali e sotterranee il Reg. CE 1804/99 stabilisce il carico massimo di animali per ettaro corrispondente a 170 kg di azoto per ettaro annui. Ne consegue una precisa relazione tra le varie categorie e il numero massimo di animali allevabili, riportata nella tabella n.1.

Tabella n.1. Massimo numero di animali per ettaro (equivalenti a 170/kg N/ha/anno) suddivisi per categoria di animali.

Categoria di animali Massimo N° di animali/ha

Vitelli da ingrasso 5 Altri bovini < 1 anno 5 Bovini maschi 1-2 anni 3.3 Bovini femmine 1-2 anni 3.3 Bovini maschi > 2 anni 2

Giovenche da

allevamento 2.5 Giovenche da ingrasso 2.5 Vacche da latte 2

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1.7. Strutture zootecniche e spazi destinati agli animali

Sempre in considerazione del benessere animale nei disciplinari di produzione viene posta particolare attenzione alle caratteristiche strutturali e dimensionali degli spazi destinati al bestiame.

Innanzitutto viene vietato l’allevamento intensivo e la stabulazione fissa permanente, vengono definite inoltre le superfici di allevamento, sia coperte che scoperte, da riservare a ciascuna categoria di animali. Fondamentalmente queste aree debbono essere abbastanza ampie da permettere agli animali di muoversi liberamente ed accedere con facilità ad acqua e cibo e debbono essere fornite di una buona ventilazione ed illuminazione naturale. Attualmente gli studi realizzati sembrano non aver ancora prodotto risultati unanimi riguardo la scelta delle superfici ottimali di allevamento in grado di assicurare il benessere agli animali; tuttavia basandosi sulle linee guida dettate dal “Codes of recommanadations for the welfare of livestock” del “Ministry of Agricolture Fishers and Food” (1998) del Regno Unito, è possibile fare delle concrete stime tentando anche di realizzare un compromesso tra i supposti fabbisogni degli animali e l’economicità dell’allevamento biologico. I risultati di tali studi, riportati poi nel Regolamento CE 1804/99, sono sintetizzati nella tabella 2.

Tabella n.2. Superfici minime coperte e scoperte ed altre caratteristiche di stabulazione previste per le differenti categorie di animali previsti dal Reg. CE 1804/99.

SUPERFICI COPERTE

(superficie netta disponibile per gli animali)

SUPERFICI SCOPERTE

(spiazzi liberi esclusi i pascoli)

Categoria Peso vivo

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Bovini da allevamento e destinati all’ingrasso Fino a 100 Fino a 200 Fino a 350 oltre 350 1.5 2.5 4.0 5 (con un minimo di 1 m2/100 kg) 1.1 1.9 3 3.7 (con un numero di 0.75 mq/100kg) Tori 10 30

I criteri strutturali di esecuzione degli impianti devono garantire la possibilità di riscaldamento e un’adeguata aerazione per favorire il ricambio dell’aria, mantenere bassi i livelli di polvere e garantire valori non nocivi di umidità relativa e concentrazione di gas. I locali adibiti ad aree di riposo dovranno essere confortevoli, posti su pavimento compatto e facilmente pulibile. Inoltre agli animali andrà sempre garantita una lettiera ampia, asciutta e realizzata con paglia o altri materiali idonei.

I fabbricati, i recinti, le attrezzature e gli utensili devono essere puliti e disinfettati per evitare la contaminazione e la proliferazione di patogeni. Le deiezioni e i residui alimentari devono essere rimossi con la necessaria frequenza al fine di limitare gli odori ed evitare di attirare insetti o roditori. Tutti i bovini devono sempre avere accesso al pascolo in modo continuativo; inoltre i pascoli e le aree di esercizio all’aperto devono garantire la presenza di ripari da pioggia, vento, sole e caldo eccessivo.

In questa tipologia di allevamento solo l’ultima fase, ovvero quella del finissaggio, può avvenire in stalla: i locali che saranno adibiti a tale compito dovranno essere sufficientemente spaziosi per consentire una libertà di movimento proporzionata alle esigenze comportamentali della specie.

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Infine i vitelli non dovranno essere allevati in box individuali ad eccezione del primo mese di vita.

1.8. Le razze

Nella scelta delle razze da impiegare in un allevamento biologico ci si deve basare sulla capacità degli animali di adattarsi alle condizioni ambientali locali, sulla loro vitalità e sulla loro resistenza alle malattie; ciò spiega l’utilizzo di razze rustiche, autoctone, naturalmente più resistenti a malattie specifiche o problemi sanitari. L’A.I.A.B. (2002) nell’introduzione al proprio disciplinare per le produzioni biologiche afferma: “La scomparsa di molte razze rustiche è un fenomeno in allarmante crescita. Queste razze, abbandonate a vantaggio di razze selezionate dalle alte performance produttive ma al contempo fortemente esigenti in termini di input esterni, sono state col passare degli anni abbandonate e sono rimaste in pochi esemplari nelle zone marginali dove spesso rappresentano l’unica possibilità di sfruttamento agricolo del territorio. L’allevamento biologico è da un lato il modo per valorizzare queste realtà produttive marginali, che rivestono un importante quanto irrinunciabile ruolo di salvaguardia ambientale, dall’altro riscopre l’allevamento di queste razze dalle produzioni più limitate dal punto di vista quantitativo ma spesso di notevole pregio qualitativo ed organolettico, dall’alta efficienza di trasformazione degli alimenti, dalla elevata resistenza alle patologie”. Pertanto nella scelta della razza si riconosce un vantaggio sanitario, con particolare riferimento alle malattie parassitarie. Tale concetto sarà ulteriormente approfondito nel capitolo del controllo integrato.

Molte razze di interesse zootecnico sono tradizionalmente allevate in determinate aree territoriali contribuendo, con le loro specifiche capacità, alla produzione di beni di qualità, alla valorizzazione del territorio ed allo sviluppo rurale vero e proprio. In alcuni sistemi locali è possibile infatti evidenziare un rapporto di causa-effetto tra i caratteri ambientali del territorio, le razze locali allevate, i beni ed i servizi prodotti dagli allevamenti che la zootecnia biologica può contribuire a valorizzare; quindi, riconosciuta l’importanza di tale rapporto sia per l’ambiente che per la comunità sociale, esso deve essere protetto e potenziato.

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“La zootecnia biologica è dunque un comparto di interesse per gli allevatori anche perché consente di costruire percorsi di valorizzazione di qualità delle razze e delle produzioni locali. Le caratteristiche di tipicità della razza possono trovare un moltiplicatore di valore aggiunto nella sicurezza del processo produttivo e nel ridotto impatto ambientale assicurato dai metodi di produzione biologica” (Lunati, 2001).

Figura

Tabella   n.1.  Massimo   numero   di   animali   per   ettaro   (equivalenti   a   170/kg N/ha/anno) suddivisi per categoria di animali.
Tabella   n.2.  Superfici   minime   coperte   e   scoperte   ed   altre   caratteristiche   di stabulazione previste per le differenti categorie di animali previsti dal Reg

Riferimenti

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