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Academic year: 2021

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(1)

CAPITOLO 3

3.1 REIRRADIAZIONE DA CORPI A GEOMETRIA PERIODICA

L’analisi della reirradiazione da parte di strutture periodiche può essere affrontata efficientemente mediante l’utilizzo del Teorema di Floquet e delle funzioni di Green periodiche.

Una struttura periodica è infatti caratterizzata dalla proprietà di reirradiare un campo periodico, di periodo pari a quello della struttura, anche quando il campo incidente è periodico. In questo modo il problema può essere ridotto allo studio del campo solo su un singolo periodo. In particolare, qualora il problema venga risolto mediante un’equazione integrale, la stessa espressione può essere ricondotta a quella che fa riferimento ad un solo periodo della struttura, ricorrendo al teorema di Floquet.

La soluzione dell’Equazione Integrale del Campo Elettrico (Electric Field Integral Equation EFIE) verrà determinata mediante il Metodo dei Momenti (MoM) il quale consentirà di ottenere le correnti indotte sulla struttura. Per poter applicare il MoM occorre innanzitutto discretizzare la struttura in un certo numero di elementi (patches) e questa operazione, grazie alla proprietà citata sopra e al teorema di Floquet, può essere compiuta solo sulla “cella di periodicità o cella base” ovvero, solo su quella cella dalla cui ripetizione si ottiene tutta la struttura.

Una volta determinate le correnti indotte dal campo incidente sulla cella di periodicità, per ottenere il campo reirradiato dall’intera struttura, occorrerà considerare non solo l’effetto prodotto dal generico elemento appartenete alla cella base, ma anche gli effetti degli elementi omologhi ad esso distanti multipli interi della periodicità.

Risulta quindi chiaro che dovremo essere in grado di calcolare il campo prodotto da un array di patches e questo sarà determinato sfruttando la conoscenza di una opportuna funzione di Green che tiene conto della periodicità della struttura in esame.

3.2 RICHIAMI TEORICI SUL TEOREMA DI FLOQUET

Il teorema di Floquet è il teorema fondamentale su cui si base tutta la teoria della reirradiazione da parte di strutture periodiche. Per illustrare tale teorema consideriamo la

(2)

propagazione del modo fondamentale TE in una guida d’onda riempita con un dielettrico 10 non omogeneo lungo la direzione di propagazione z avente costante dielettrica periodica data da

(

)

0 1

( )z cos 2 z p/

κ =κ κ+ π (3.2.1)

Le componenti di campo H ed x Hz del modo TE possono essere ricavate da 10

0 , 0 y y x z E E j H j H z x ωµ =∂ ωµ = −∂ ∂ ∂ (3.2.2)

D’altra parte E soddisfa l’equazione d’onda y

( )

2 2 2 0 2 2 z k Ey 0 x z κ  ∂ ++=    (3.2.3)

In particolare si può esprimere E come segue y

( )sin( / )

y

Ez πx a (3.2.4)

dove la funzione ψ( )z soddisfa la seguente equazione:

(

)

( )

2 2 2 0 1 0 2 cos(2 / ) 2 0 d z p k z dz a π κ κ π ψ   + + − =     . (3.2.5)

La periodicità della soluzione implica che se ψ( )z è soluzione di questa equazione, lo sarà anche ψ(z p+ ). Quindi, se nella relazione precedente cambiamo z in z+p otteniamo

(

)

(

)

2 2 2 0 1 0 2 cos(2 / ) 2 0 d z p k z p dz a π κ κ π ψ   + + − + =     (3.2.6)

(3)

2 ( ) 2 cos z p cos z p p π π  +    =         (3.2.7)

L’equazione (3.2.6) è una equazione differenziale del secondo ordine ed avrà due soluzioni indipendenti indicate con ψ1( )z e ψ2( )z ed anche ψ1(z p+ ) e ψ2(z p+ ) saranno soluzione della (3.2.6).

Poichè un’equazione del secondo ordine ha solo due soluzioni linearmente indipendenti, si può affermare che le altre devono risultare una combinazione lineare delle due soluzioni fondamentali. E’ perciò possibile scrivere

(

)

( )

( )

(

)

( )

( )

1 11 1 12 2 2 21 1 21 2 z p z z z p z z ψ α ψ α ψ ψ α ψ α ψ + = +   + = +  (3.2.8)

Nel caso particolare in cui ψi è periodica si ha (ψi z p+ )=ψi( )z e dunque risulta 11 22 1

α =α = e α1221 =0.

In modo simile la soluzione generale della (3.2.6) può essere scritta come

( )

1( ) 2( )

F z =Aψ z +Bψ z (3.2.9)

con A e B coefficienti da scegliere opportunamente. Dalle equazioni (3.2.8) e (3.2.9) si ottiene

(

)

(

) (

) ( ) (

) ( )

1 2 11 12 1 12 22 2

( )

F z p+ =Aψ z p+ +Bψ z p+ = Aα +Bα ψ z + Aα +Bα ψ z (3.2.10)

Se ( )F z rappresenta un’ onda che si propaga nella struttura è necessario che sia

(

)

p ( )

F z p+ =e−γ F z (3.2.11)

dove γ è la costante di propagazione. L’equazione (3.2.10) deve eguagliare la (3.2.9) moltiplicata per il fattore e−γp. Confrontando le due equazioni ricaviamo le seguenti relazioni

(4)

11 21 12 22 p p Ae A B Be A B γ γ α α α α − −  = +   = +  (3.2.12)

Una soluzione non nulla per i coefficienti A e B esiste solo se si annulla il determinante del precedente sistema. Esprimendo tale condizione troviamo una equazione quadratica le cui soluzioni esprimono i valori permessi della costante di propagazione γ

(

)

2

11 22 11 22 12 21 0

p p

e−γ e−γ α +α +α α α α = (3.2.13)

La soluzione per e−γp è la seguente:

(

)

1 2 2 11 22 11 22 11 22 12 21 2 2 p e−γ =α +α ±α +α  α α α α        (3.2.14)

Riorganizzando la precedente espressione possiamo arrivare alla seguente:

1 1 ln 2 2 p e−γ = ∆ e± +θ ∆ (3.2.15) con ∆ =α α11 22−α α12 21. In particolare risulta 11 22 1 2 1 2 2 11 22 2 1 sinh 1 2 coshθ α α α α θ +  =   ∆      + = −     ∆         (3.2.16)

con l’ovvia relazione cosh2θ sinh2θ = . 1

In generale la soluzione per γ può essere reale, immaginaria pura oppure complessa. E’ possibile dimostrare che se γ è una soluzione, lo è anche -γ . Possiamo indicare tale soluzione come

(5)

2

j n p

γ ± π (3.2.17)

dove n è un qualsiasi numero intero.

Definiamo ora φ

( )

z =e F zγz

( )

; possiamo ottenere la seguente la seguente espressione:

(

)

p z

(

)

z ( ) ( )

z p e e F z pγ γ e F zγ z

φ + = + = =φ (3.2.18)

Ciò mostra che φ è una funzione periodica di z con periodo p. Per questo motivo la soluzione generale della (3.2.3) è esprimibile nella forma

( )

( ) z ,

F z =e±γ φ z (3.2.19)

dove φ è una funzione periodica in z e γ svolge il ruolo di costante di propagazione. Questo particolare risultato rappresenta appunto l’ enunciato del Teorema di Floquet.

3.3 RICHIAMI TEORICI SUL METODO DEI MOMENTI

Grazie all’evoluzione dei moderni sistemi di calcolo con velocità tali da permettere l’esecuzione di grossi volumi di calcolo con tempi d’elaborazione in continua diminuzione, le tecniche numeriche sono ormai uno strumento consolidato per ottenere soluzioni molto vicine a quelle raggiungibili con metodi esatti.

I metodi numerici presentano l’ulteriore vantaggio di poter considerare problemi complessi che non sarebbero altrimenti risolvibili.

Il metodo dei momenti (Method of Moments – MoM) fornisce le tecniche matematiche di base per ridurre equazioni funzionali in equazioni matriciali, permettendo di ottenere la soluzione tramite una semplice inversione della matrice risolvente.

Con tale algoritmo, in particolare, è possibile ricondurre un’equazione integro-differenziale ad un sistema lineare le cui radici sono una soluzione approssimata del problema di partenza:

(6)

dove g è una funzione nota (eccitazione), L è un operatore lineare noto (integrale), f è l’incognita del problema e S è lo spazio di definizione.

La soluzione non è esatta per la presenza di due approssimazioni.

La prima approssimazione consiste nel considerare la funzione f sviluppabile nel dominio di L in una serie limitata di funzioni f1, f2, f3, … , fN(dette funzioni di base), cioè:

f ≈

= N n 1 (αn f n) (3.3.2)

dove gli αn sono dei coefficienti che rappresentano le coordinate dell’elemento nel sottospazio

S’ (individuato dalle funzioni di base) avente distanza minima dalla funzione f che stiamo considerando.

Se le funzioni di base della (3.3.2) fossero infinite, rappresenterebbero un set completo di funzioni e la soluzione che si otterrebbe dal procedimento numerico sarebbe esatta.

Sostituendo la (3.3.2) nella (3.3.1) e tenendo conto della linearità di L si ha:

=

N

n 1

[αn L(fn)] = g (3.3.3)

Ovviamente la (3.3.3) è vera solo in maniera approssimata per quanto detto sopra. La seconda approssimazione consiste nello scegliere, anche per il codominio di L, un set limitato di funzioni w1, w2, w3, …, wM (dette funzioni peso o funzioni test), con ciascuna delle quali venga svolto il prodotto interno (definito nell’appendice A) di (3.3.3):

( )

( )

( )

( )

( )

( )

( )

( )

( )

1 1 2 2 1 1 1 2 2 1 2 2 2 2 , 1 2 , , ... , , , , , ... , ... ... ... ... ... ... , , ... , N N N M M M M N w L f w L f w L f w g w g w L f w L f w L f w g w L f w L f w L f α α α          =               (3.3.4)

Se la matrice è non singolare, attreverso la sua inversione, si ottiene il vettore

1 2

( , , .... N) α = α α α

(7)

e, utilizzando la (3.3.2), si può risalire alla f.

La specifica scelta del complesso delle funzioni di base e delle funzioni peso influenza considerevolmente l’attendibilità dei risultati che si ottengono risolvendo il sistema lineare. In generale le funzioni fn dovranno essere tra loro linearmente indipendenti e tali da descrivere in modo sufficientemente accurato la funzione f. Analogamente, le funzioni wm dovranno essere linearmente indipendenti e la funzione g dovrà essere facilmente descrivibile attraverso esse

.

La scelta delle fn e delle wm, dunque, deve essere determinata considerando l’accuratezza che si desidera per la soluzione cercata, il livello di semplicità che si vuole nel calcolare gli elementi della matrice risolvente, la dimensione che si gradisce per la matrice stessa e la necessaria realizzazione di una matrice risolvente ben condizionata. Per tale motivo siamo costretti a raggiungere un compromesso tra la bontà dei risultati e la complessità del calcolo.

Come si è già detto, la base che consideriamo è non completa (cioè è costituita da un numero finito d’elementi

{ }

f

n nN=1), quindi genera un sottospazio S’⊆ S. Per questa ragione la soluzione sarà una soluzione approssimata, cioè si otterrà una f’∈S’ tale che il vettore errore (f – f’) appartenga a S e sia ortogonale a S’.

La determinazione delle funzioni di base, quindi, è tutt’altro che casuale e deve essere guidata dall’esperienza e dalla previsione del risultato.

E’ stato affermato che le funzioni fn devono appartenere al dominio dell’operatore L

( )

• ; in realtà è possibile comprendere anche funzioni per le quali l’operatore non è definito: infatti, per l’applicabilità del metodo, è sufficiente che esistano (e siano calcolabili) i coefficienti <wm, L(fn)>.

Questa possibilità risulta molto importante quando nell’operatore integro-differenziale compaiono derivate d’ordine superiore il secondo e si vogliono adottare, come funzioni di base, delle funzioni semplici come quelle di tipo triangolare, per le quali tali derivate non sono definite.

La determinazione, invece, delle funzioni peso, le quali condizionano la complessità di calcolo dei prodotti scalari presenti nella (1.1.4), è discussa da varie teorie; sostanzialmente sono scelte fra i seguenti due tipi:

( , )

m m m

wx x y y− − Point Matching

m m

(8)

Il metodo del Point-Matching consiste semplicemente nell’imporre la (3.3.1) in un certo numero di punti della regione d’interesse; quindi, perché le approssimazioni non siano troppo grossolane, sarà necessario un numero sufficientemente elevato di punti in cui imporre l’uguaglianza.

Se le funzioni sono definite solo su porzioni limitate (sottodomini) del dominio della funzione

f che si deve approssimare, allora si semplifica la valutazione dei coefficienti della matrice risolvente e si assicura l’indipendenza delle funzioni di base.

3.4 IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA NEL CASO DI CORPO

PERFETTAMENTE CONDUTTORE

Per un corpo perfettamente conduttore la condizione al contorno da imporre sui vari punti della superficie esterna è l’annullamento della componente tangenziale del campo elettrico totale che è dato dalla somma del campo elettrico incidente E e di quello scatterato i E s

0

t t t t

tot i s i s

E =E +E = ⇒ E = − E

La relazione che fornisce il campo elettrico generato da una qualsiasi distribuzione di corrente e di cariche è

( )

( )

( )

E r = −j A rω − ∇φ r (3.4.1)

nella quale A r

( )

è il potenziale vettore e φ

( )

r è il potenziale scalare.

Quest’ultimi sono legati alle distribuzioni di correnti e di cariche indotte sul corpo PEC dalle seguenti relazioni integrali

( )

( ) (

)

' ' , ' ' S A r =

∫∫

J r G r r dS (3.4.2)

( )

(

)

' , ' ' S r ρ G r r dS φ εµ =

∫∫

(9)

nelle quali G r r

(

, '

)

è la funzione di Green relativa al sistema in esame. Sfruttando la relazione J j ρ ω ∇ ⋅ = −

e sostituendo le (3.4.2) nella (3.4.1) si ottiene un’equazione integrale che lega le correnti indotte al campo elettrico incidente

( ) (

)

( ) (

)

' ' 1 ' , ' ' ' , ' ' t i S S t E j J r G r r dS J r G r r dS j ω ωεµ   − = − + ∇ ∇ ⋅

∫∫

∫∫

 (3.4.3)

Questa equazione è nota come Equazione Integrale per il Campo Elettrico (Electric Field Integral Equation – EFIE) e permette di mettere in relazione la causa, data dal campo elettrico incidente e l’effetto, dato dalla densità di corrente indotta. La soluzione della EFIE ci permette di calcolare quest’ultima e di conseguenza il campo da essa reirradiato nello spazio. Per poter valutare numericamente l’equazione integrale del campo elettrico, la superficie dell’oggetto conduttore viene suddivisa in elementi di dimensioni piccole rispetto alla lunghezza d’onda del campo incidente (almeno λ 10). Su ciascuno di essi viene definita una funzione di base, generalmente di tipo vettoriale, che approssima la distribuzione di corrente nei vari punti della superficie a meno di un coefficiente incognito generalmente complesso:

( )

( )

1 ' N n n ' n J r J f r = =

. (3.4.4)

Indicando con A e n φn le seguenti espressioni

( )

(

)

' , ' ' n n S A r =

∫∫

f G r r dS (3.4.5)

( )

( ) ( )

' ' , ' ' n n S f r r G r r dS j φ ω ∇ ⋅ = −

∫∫

(3.4.6) si ottiene

(10)

( )

( )

( )

1 1 N N t i n n n n n n t E r jω J A r J φ r = =   − = − − ∇

 . (3.4.7)

Le (3.4.5) e (3.4.6) rappresentano dei coefficienti complessi che dipendono esclusivamente dalla geometria della struttura. A questo punto occorre scegliere le funzioni di test ed effettuare il prodotto interno con ciascuno degli elementi della (3.4.7), avendo precedentemente definito come prodotto interno l’integrale esteso alla superficie dell’oggetto:

( ) ( )

( ) ( )

S

h r k r⋅ =

∫∫

h r k r dS⋅ . L’equazione (3.4.7) si modifica nel modo seguente:

( )

( )

( )

(

( )

( )

)

1 ' ' m m N t i m m m n n n t m n S S E r w r dS w r J j A rω φ r dS = ⋅ = ⋅

+ ∇

∫∫

∫∫

(3.4.8)

Questa espressione rappresenta un sistema lineare di N equazioni con N incognite, dove N è il numero di funzioni di base utilizzate. Esso può essere rappresentato in forma matriciale:

[ ] [ ][ ]

Vm = Zmn Jn (3.4.9) dove

( ) ( )

. m t m i m m S V =

∫∫

E r w r dS

( )

( )

'

( )

' m mn m n n m S Z =

∫∫

w r ⋅j A rω + ∇φ rdS . . La soluzione del sistema, cioè il vettore dei coefficienti

[ ]

Jn da associare alle funzioni di base, si ottiene moltiplicando il vettore dei termini noti

[ ]

Vm per l’inversa della matrice

[ ]

Zmn

(11)

3.5 DESCRIZIONE DELLA STRUTTURA PERIODICA

La classe di strutture periodiche alla quale è stata applicata la trasformazione della funzione di Green, è quella dei cilindri corrugati infiniti perfettamente conduttori. Tale scelta è stata dettata dai seguenti motivi:

- le proprietà di simmetria di queste strutture permettono l’ applicazione della teoria in maniera sufficientemente agevole

- esistono in letteratura esempi con cui confrontare i risultati

- le subroutine che sono state scritte per questa classe di strutture periodiche sono adattabili anche ad altri tipi di strutture

In figura 3.1 è rappresentato un esempio di cilindro corrugato a sezione circolare mentre in figura 3.2 è rappresentata la cella base considerata nelle simulazioni.

(12)

figura 3.2: cella di periodicità (o cella base)

La discretizzazione della cella base è mostrata in figura 3.3 dalla quale si nota come i patches siano di forma quadrangolare (quadrata o rettangolare) sulle superfici laterali esterne ed interna, e di forma trapezoidale sulle superfici laterali orizzontali e inferiore e superiore. Le basi superiore e inferiore vengono, invece, considerate aperte nelle simulazioni.

figura 3.3 : visione delle varie superfici e dei patches di una cella base discretizzata con 6 elementi lungo φ e 1

elemento lungo z e ρ per ogni superficie laterale

I parametri geometrici del cilindro e della corrugazione vera e propria sono mostrati nella figura 3.4 in cui Rex e Rin sono rispettivamente il raggo esterno ed interno del cilindro e W

(13)

indica l’altezza della cella base corrispondente anche alla peridicità degli array di patches che hanno come elemento di riferimento i patches della cella base come mostrato in figura 3.5.

Z Y X w ALTEZZA CORRUGAZIONE Rex Rin PROFONDITA’ CORRUGAZONE

(14)

figura 3.5: visione dell’array che si sviluppa dal generico patch della cella base

La scelta di usare patches quadrangolari per la discretizzazione permette di individuare semplicemente gli array che si sviluppano a partire da ciascun patch della cella base e inoltre di agevolare il calcolo degli integrali che determinano gli elementi della matrice delle impedenze.

Questa discretizzazione è stata ottenuta per mezzo del programma Ansys che fornisce all’ utente due files: il primo contiene l’identificativo di ogni patch e la lista dei nodi che lo delimitano, il secondo contiene le coordinate di ogni nodo.

Alternativamente ad Ansys sono state appositamente sviluppate due subroutine (una per cilindri lisci e una per quelli corrugati) per creare la discretizzazione della struttura. Queste subroutine consentono all’utente di scegliere, in base ai parametri geometrici della struttura e alla frequenza dell’onda incidente, il numero di elementi da avere lungo φ e su ognuna delle superfici laterali. Sia i files generati da quest’ ultime due subroutine che quelli prodotti da

(15)

Ansys, vengono elaborati da una routine che fornisce i dati geometrici relativi a ciascun patch. Tali dati sono l’area del patch, le coordinate del baricentro, l’angolo φ che questo forma con l’asse x e l’angolo α formato dalla normale alla superficie del patch in esame con l’ asse z come evidenziato in figura 3.6. Questi angoli possono essere sfruttati per la definizione delle funzioni di base e di test relative ai vari patches, consentendo la definizione delle stesse anche per eventuali patch appartenenti a superfici inclinate.

figura 3.6: parametri geometrici inerenti ad un patch

3.6 POTENZIALE VETTORE TRASFORMATO

Per ottenere l’espressione del potenziale vettore relativo ad un array di patches, occorre innanzitutto determinare l’espressione dello stesso per un array di dipoli elementari. Questa espressione viene ottenuta con un procedimento analogo a quello descritto nel paragrafo 1.1 con la sola differenza che ora si impone che le correnti sui dipoli abbiano stesso modulo e uno sfasamento tale da rendere la distribuzione di corrente in accordo di fase con un’ onda piana che si propaga nella direzione individuata dal versore sˆ=sxix +syiˆy +sziˆz .

Quindi la corrente sul q-esimo dipolo dell’array può essere scritta come

( )

l e j qWsz I

l

(16)

dove I è la corrente sull’elemento di riferimento, W è la periodicità dell’ array, 0 β la parte immaginaria della costante di propagazione γ =α + jβ e sz rappresenta, appunto, la proiezione lungo l’asse z del sistema di riferimento del versore che individua la direzione di propagazione dell’onda incidente.

Detta pˆ l’orientazione comune ai dipoli, il potenziale vettore prodotto dall’ array nel generico punto P

(

x,y,z

)

risulta

(

)

(

)

−∞ = − − = q q R z o R e qWs j dl I p z y x A q γ β π µ exp 4 ˆ , , (3.6.2) dove R2 x2 y2 (qW z)2 a2 (qW z)2

q = + + − = + − è la distanza al quadrato del punto di

osservazione dal q-esimo dipolo.

A questo punto si applica alla (3.6.2) la formula di Poisson

−∞ = ∞ −∞ = + = q n qt j F q T f t nT e ω0 ( ω0) ( ) (3.6.3) con T =2π ω0 ed

[ ]

( )

∞ ∞ − − = ℑ = f t f t e dt F(ω) ( ) jωt .

Per ottenere le due funzioni legate dall’operazione di trasformazione si utilizza [3] dal quale si ottiene: ( )

(

)

(

)

     − − ℑ = − + − + − 2 2 ) 2 ( 0 1 2 1 2 2 ) exp( 2 1 2 t a H j t j a e a γ ω ω ω ω ω γ . (3.6.4) Ponendo         = − = = = z s t T W z 1 0 0 2 ω β ω π ω

(17)

(

)

∞ −∞ =               + −             + − = n z z W n s a H W n s z j jW dl I p z y x A 2 ) 2 ( 0 0 exp 1 4 ˆ , , µ β λ β λ . (3.6.5)

valida nel caso di mezzo privo di perdite. Nella (3.6.5), (2)

( )

⋅ 0

H indica la funzione di Hankel di ordine zero del secondo tipo definita per mezzo delle funzioni di Bessel secondo la relazione (2)

( )

⋅ = 0

( )

⋅ − 0

( )

0 J jY

H .

Nel caso di mezzo con perdite l’argomento della funzione di Hankel diventa

2 2       + −       W n s j a z λ β γ β .

La precedente espressione del potenziale vettore trasformato è stata ricavata considerando l’elemento di riferimento (cioè quello che si ottiene per n = 0) dell’array posto nell’origine del sistema di riferimento; se esso, invece, è posto nel generico punto P'(x,y,z), per poter continuare ad usare la (3.6.5), basta lasciare il riferimento nell’origine e considerare come punto di osservazione RR' al posto di R . Da ciò il parametro z che compare nel termine di fase della (3.6.5) corrisponde alla differenza fra le altezze del punto di riferimento e di quello osservato, mentre nell’ argomento della funzione di Hankel si ha a2 =(xx')2 +(yy')2. Infine è possibile dimostrare che la (3.6.5) coincide con la (1.1.2) nel caso di sz =0; infatti con semplici passaggi algebrici si ottiene

(

)

=             − − = =

∞ −∞ = 2 ) 2 ( 0 0 exp( / ) 1 4 ˆ 0 , , , W n a H W zn j jW dl I p s z y x A n z λ β λ β µ =                   −             − =

∞ −∞ = 2 2 2 ) 2 ( 0 0 exp 2 2 2 4 ˆ W n a H W n z j jW dl I p n λ λ π λ π λ λ π µ =         −       − =

∞ −∞ = 2 2 ) 2 ( 0 0 exp( 2 ) 2 4 ˆ k W n a j H zn W j jW dl I p n π π µ

(18)

=       −       −       − =

∞ −∞ = 2 2 0 0 2 exp( 2 ) 2 4 ˆ k W n a K W n z j j jW dl I p n π π π µ        −       + − =

∞ −∞ = 2 2 2 2 0 0 exp( 2 ) 2 2 ˆ k W n y x K W n z j W dl I p n π π π µ

che corrisponde proprio alla (1.1.2).

Per quanto riguarda la convergenza della (3.6.5) sono state effettuate delle prove analoghe a quelle descritte nel paragrafo 1.3 dalle quali è emerso un comportamento analogo a quello della (1.1.2).

3.7 ESTENSIONE AL CASO DI ARRAY DI PATCHES

QUADRANGOLARI

La modellizzazione scelta per la simulazione della struttura cilindrica periodica ha portato ad avere un certo numero di array formati dai patches con cui è stata divisa la superficie laterale. L’ espressione trovata nel precedente paragrafo del potenziale vettore, può essere estesa anche al caso di array di elementi con distribuzione arbitraria di corrente.

Riprendiamo l’espressione del potenziale vettore prodotto dall’array di dipoli elementari

(

)

∞ −∞ =               + −             + − = n z z W n s a H W n s z j jW dl I p z y x A 2 ) 2 ( 0 0 exp 1 4 ˆ , , µ β λ β λ . (3.7.1)

La distribuzione di corrente sull’elemento di riferimento dell’array può essere interpretata come composta da una serie di filamenti di corrente come mostrato in figura 3.7.

(19)

Dalla precedente figura appare chiaro che si avrà a che fare con una densità superficiale di corrente J . s

Il contributo elementare al potenziale vettore risulta il seguente:

(

)

∞ −∞ =               + −             + − = n z z W n s a H W n s z j jW dS J p z y x A d 2 ) 2 ( 0 1 exp 4 ˆ , , µ β λ β λ . (3.7.2)

Per trovare il contributo totale, questa espressione dovrà essere integrata sull’elemento quadrangolare:

(

)

dS W n s a H W n s z j J jW z y x A n z z S

∫∫

=−∞              + −             + − = 2 ) 2 ( 0 1 exp 4 , , µ β λ β λ . (3.7.3)

Nella (3.7.3) J rappresenta la distribuzione di corrente sull’elemento di riferimento e in genere sarà una grandezza vettoriale.

Dalla (3.7.3) e mediante la

(

A

)

j A j E =− + ∇∇⋅ ωεµ ω 1

è possibile calcolare il campo elettrico irradiato dall’ array di patches come quello mostrato in figura 3.5.

3.8 IMPOSTAZIONE DEL CALCOLO DEGLI ELEMENTI DELLA

MATRICE DELLE IMPEDENZE

Nel paragrafo 3.4.è stato impostato il problema tipico della tecnica MoM per una struttura perfettamente conduttrice investita da un’onda elettromagnetica. L’equazione a cui si era giunti è la seguente:

{

(

)

}

t t i r j A r j A r E ( )= − ( )+ 1 ∇ ∇⋅ ( ) − ωεµ ω (3.8.1)

(20)

Sostituendo nella (3.8.1) l’espressione del potenziale vettore (3.7.3) si ottiene

( )

(

)

+         − = −

∫∫ ∑

∞ −∞ =       + − tan ' ) 2 ( 0 4 S n W n s z j t i J e H a R dS j j r E z ρ λ β β ω µ ω (3.8.2)

(

)

tan ' ) 2 ( 0 ' 4 1                 ⋅ ∇ ∇ +

∫∫

∞ −∞ =       + − S n W n s z j dS R a H e J jW j z ρ λ β β µ ωµε dove si è posto 2 1       + − = W n s Rρ z λ .

A questo punto occorre approssimare la distribuzione di corrente con un set di N funzioni di base nel seguente modo

( )

= = N l l l f r J J 1 ' (3.8.3)

e ricordare la definizione di prodotto interno precedentemente definita

( ) ( )

=

∫∫

( ) ( )

S dS r k r h r k r h , .

Quindi sostituendo la (3.8.3) nella (3.8.2) e applicando ad entrambi i membri della stessa equazione il prodotto interno si ottiene

( )

( )

(

)

( )

( )

+         ⋅ − = ⋅ −

∫∫

∫∫

∫∫

∞ −∞ =       + − tan ) 2 ( 0 ' 4 m z l m S m n l m l W n s z j S l S m m t i J e H a R f r w r dS dS j j dS r w r E ρ λ β β ω µ ω (3.8.4)

{

(

)

( ) }

( )

tan ) 2 ( 0 ' 4 1         ⋅ ∇∇ +

∫∫

∫∫

∞ −∞ =       + − m z l S m n l m l W n s z j S l e H a R f r w r dS dS J j j ρ λ β β ω µ ωεµ

(21)

che è valida per un determinato valore degli indici m e l. Per ottenere un sistema lineare di N equazioni in N incognite anche il set di funzioni di test w dovrà avere N elementi. m

Il primo membro della (3.8.4) corrisponde all’elemento m-simo del vettore dei termini noti e viene calcolato facilmente una volta nota l’espressione del campo incidente.

Il secondo membro della (3.8.4) può essere scritto più sinteticamente come

( )

( )

   = = ⋅ =

∫∫

N m N l dS r w r E Z m S m m lm 1... ... 1 ' ' (3.8.5) dove

( )

= −

∫∫∑



( ) ( )

⋅ +     + − l z S n l l W n s z j l e H f r dS J jW j r E ' 4 ' ' (2) 0 λ β ωµ

( ) ( )

∫∫

                ⋅ ⋅ ∇∇ +      + − l S l l n W n sz z j l e H f r dS J jW j 4 ' ) 2 ( 0 λ β ωεµ µ

rappresenta il campo irradiato dall’array che ha per ha come elemento di riferimento il patch l-simo. La (3.8.5) rappresenta, quindi, l’interazione fra un array infinito di patches che occupano la posizione l-sima di ciascun periodo e l’elemento m-simo appartenente allo stesso periodo (cella base) del patch di riferimento l-simo dal quale si sviluppa l’array.

L’ accoppiamento fra gli elementi l e m appartenenti alla cella base non è stato calcolato considerando l’eccitazione dell’array provocata dall’onda piana ma considerando la reazione dell’array, generato dall’elemento l, sull’elemento m-simo quando è quest’ultimo ad eccitare l’array. Occorre quindi dare un altro significato al parametro sz: come mostrato nella figura 3.8 esso rappresenta la proiezione lungo l’asse z del sistema di riferimento della congiungente fra l’elemento m-simo e il generico elemento dell’array.

(22)

figura 3.8

3.9 DEFINIZIONE DELLE FUNZIONI DI BASE E DI TEST

Per definire le funzioni di base e di test è stato considerato un sistema di riferimento cilindrico individuato dai versori ρ, φ e z . Per poter trattare qualsiasi tipo di polarizzazione e per tenere conto della depolarizzazione introdotta dalla struttura, sono stati definiti due tipi di funzione di base e di test su ogni elemento con cui è stata suddivisa la superficie esterna del corpo.

Le funzioni di base e di test di primo tipo sono definite nel seguente modo:

( )

ˆ ˆ ' 0 l l l l l z per f S verticale f r per f S orizzontale altrove ρ  ∈  = ± ∈  

( )

ˆ ˆ 0 m m m m m z per w S verticale w r per w S orizzontale altrove ρ ∈   = ± ∈   .

(23)

( )

   ∈ = altrove S f per r f l l l 0 ˆ ' φ

( )

   = altrove S w per r w m m m 0 ˆ φ .

In figura 3.9 sono rappresentati i due tipi di funzioni di base e di test sulle varie superfici del cilindro corrugato. Z X Y ORIZZONTALE INFERIORE VERTICALE INTERNA ORIZZONTALE SUPERIORE VERTICALE ESTERNA VERTICALE INTERNA ORIZZONTALE PRIMO TIPO SECONDO TIPO

figura 3.9: funzioni di base e di test sulle varie superfici del cilindro corrugato

3.10 COSTRUZIONE DELLA MATRICE DELLE IMPEDENZE

(24)

accoppiamenti fra funzioni di base e di test. Essa sarà, quindi, composta da 4 sottomatrici ognuna delle quali relativa ad uno dei 4 possibili accoppiamenti:

      = 22 21 12 11 Z Z Z Z Z . (3.10.1)

Il significato delle quattro sottomatrici nella (3.10.1) è il seguente:

11

Z : accoppiamento fra funzione di base e di test di primo tipo 12

Z : accoppiamento fra funzione di base di primo tipo e di test di secondo tipo 21

Z : accoppiamento fra funzione di base di secondo tipo e di test di primo tipo 22

Z : accoppiamento fra funzione di base e di test di secondo tipo.

Anche il vettore dei termini noti dovrà essere costituito da due sottovettori di cui, il primo, tiene conto dell’ interazione fra il campo incidente e le funzioni di test di primo tipo e il secondo dell’interazione del campo con le funzioni di test di secondo tipo.

Esso può quindi essere scritto come:

      = 2 1 V V V .

Risolvendo il sistema derivante dal metodo MoM otterremo pertanto un vettore dei coefficienti suddiviso anch’esso in due sottovettori: il primo conterrà i coefficienti complessi da associare alle funzioni di base di primo tipo mentre il secondo quelli da associare alle funzioni di base del secondo tipo.

Quindi su ogni patch la corrente indotta dal campo incidente avrà in generale due componenti non nulle, una lungo φˆ e una lungo zˆ o ρˆ a seconda della posizione del patch stesso.

3.11 CALCOLO DEL CAMPO REIRRADIATO

La risoluzione del Metodo dei Momenti consente di ottenere la distribuzione di corrente indotta sul corpo dall’ onda elettromagnetica incidente.

(25)

Il campo elettrico irradiato da una generica distribuzione di corrente J è dato da

( )

=

∫∫

( )

' ' ) ' , ( ' S dS r r G r J r E (3.11.1)

dove l’integrale è esteso a tutta la superficie del corpo e G

( )

r,r' rappresenta la funzione di Green. Relativamente al sistema in esame la funzione di Green che si deve usare nella (3.11.1) è quella ricavata nei precedenti paragrafi. Poiché gli effetti della periodicità della struttura sono tenuti in conto proprio nella funzione di Green, è possibile calcolare l’integrale che compare nella (3.11.1) solo su un periodo della struttura. E’ quindi possibile estendere l’integrale solo alla superficie della cella base per la quale è stata precedentemente ricavata la corrente indotta. La (3.11.1) diventa

( )

=

∫∫

( )

PERIODO dS r r G r J r E ' ( , ') '. (3.11.2)

La superficie laterale del cilindro è stata suddivisa in N elementi su ciascuno dei quali è stata definita una funzione di base che è costante su tutto il dominio di definizione. Questo permette di riscrivere la (3.11.2) come

( )

∑∫∫

( ) ( )

= = N n S l l l dS r r G r J r E 1 ' , ' (3.11.3)

la quale, considerando che dovranno essere calcolati i parametri di campo lontano, può essere semplificata ulteriormente sostituendo all’integrale la sua approssimazione ottenuta moltiplicando l’area del patch l-simo per il valore della funzione di Green nel centro del patch stesso. Pertanto l’espressione finale del campo reirradiato nel punto r risulta

( )

( ) (

)

= = N n l l G r r r J r E 1 ' , '

Figura

figura 3.3  : visione delle varie superfici e dei patches di una                  cella base discretizzata con 6 elementi lungo  φ  e 1
figura 3.4 : profilo e sezione della cella base
figura 3.5 : visione dell’array che si sviluppa         dal generico patch della cella base
figura 3.6 : parametri geometrici inerenti ad un patch
+3

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