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Breve storia di un caso letterario ovvero un “errore tattico sbalorditivo” Introduzione:

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Introduzione:

Breve storia di un caso letterario ovvero un “errore tattico sbalorditivo”

Nel febbraio del 1975 esce, dopo un lungo battage pubblicitario, Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo, pubblicato da Mondadori: il romanzo non ha vita facile fra recensori e critici, suscitando accese e opposte reazioni, per poi passare rapidamente in secondo piano e venire, poco a poco, dimenticato.

La prima stesura, avente per titolo La testa del delfino, richiede poco più di un anno (agosto 1956-novembre 1957) e poi viene rivista dall'autore senza lunghe pause ma con cali di attenzione ed entusiasmo; finalmente D'Arrigo entra in contatto con Vittorini, il quale, entusiasta dell'idea, gli propone di «tenerlo a battesimo nella rivista che prepara». Alcuni stralci del romanzo vincono il premio della Fondazione Cino del Duca per inediti e intorno al libro comincia ad addensarsi l'attenzione: Mondadori propone un contratto allo scrittore, e Vittorini ospita sul numero 3 del “Menabò” del 1960 due episodi titolati I giorni della fera1,

mentre il romanzo vero e proprio si chiama I fatti della fera.

Anche Einaudi, Garzanti e Feltrinelli si offrono di pubblicarlo, mentre su “L'approdo letterario”2 G e n o Pampaloni sostiene di essere “in

presenza di un vero scrittore” dotato di un “mondo poetico già a sufficienza significante e singolare per poterlo ritenere sin d'ora una acquisizione della nostra letteratura contemporanea”.

D'Arrigo intanto lavora alacremente, sostenuto da Arnoldo Mondadori 1 Il primo riguarda lo “spubblico” della fera da parte dei pellisquadre, il secondo il

traghettamento di Ciccina Circé.

2 G. Pampaloni, Un nuovo narratore «dialettale»: Stefano D'Arrigo, in “L'approdo

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che tiene particolarmente a questa pubblicazione (sembra la ritenesse il fiore all'occhiello con cui avrebbe concluso la sua carriera). Ma le cose non vanno come dovrebbero e dal settembre 1961 la consegna delle bozze corrette viene di volta in volta rimandata, fino al 1975. In questi quattordici anni le bozze dei Fatti della fera crescono, maturano e si trasformano in un libro molto diverso: Horcynus Orca3.

Dal 1973 la cura del libro era stata affidata a Giuseppe Pontiggia, che in un'intervista recente4 racconta di come si arrivò alla pubblicazione, dei

numerosi annunci di prossima uscita puntualmente smentiti e in generale di “un battage pubblicitario troppo commerciale, troppo prematuro e comunque eccessivo” che avrebbe influenzato negativamente la critica: la modalità del lancio era stata “troppo vistosa, troppo spettacolare”. Infatti l'accoglienza riservata al testo è controversa, i critici si schierano su posizioni radicalmente opposte: si levano voci che parlano di un capolavoro “grandioso, sofferto solenne” (Pampaloni sul “Giornale”5 e molti altri) altre invece affermano che “il capolavoro non

c'è; e neanche un ottimo romanzo” (Paolo Milano6). Lo stroncano anche

Enzo Siciliano7 e Pietro Citati:

3 Per le linee principali del cambiamento interno al testo cfr. I. Baldelli, Dalla Fera all'Orca, in

“Critica Letteraria” n. 7, 1975: pp. 287-310, G. Alfano, Gli effetti della guerra: su Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo, Luca Sossella Editore, Roma, 2000: pp. 95-147, S. Sgavicchia, Da «I fatti della fera» a «Horcynus Orca», in I fatti della fera, Rizzoli, Milano, 2000: pp. XLVII-LX, F. La Forgia, Note sull’espansione sintattica dalla Fera a Horcynus Orca, in Il mare di sangue pestato a cura di F. Gatta, Catanzaro, Rubbettino, 2002: pp. 159-174 e E. Giordano, Femmine folli e malinconici viaggiatori: personaggi di Horcynus Orca e altri sentieri, Edisud, Salerno, 2008: pp. 101-122.

4 Intervista a Giuseppe Pontiggia a cura di Cristiana de Santis, in Il mare di sangue pestato, cit. pp.

9-27.

5 G. Pampaloni, L'amore e l'addio, in “Il Giornale”, 22/02/1975. Per questo articolo e per i due seguenti cfr. E. Giordano, Horcynus Orca: il viaggio e la morte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1984: pp. 9-27.

6 P. Milano, Dovrebbe essere un capolavoro, “L'Espresso”, 02/03/1975.

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come un corpo inghiottito da un altro corpo […] sopra questo libro, inestricabilmente avvinghiato, mescolato e confuso ad esso, è cresciuto un altro libro, tanto mostruoso quanto il primo è di una straordinaria bellezza. Nulla ci viene risparmiato: leziosi fondali da opera dei pupi, manierismi del peggior Vittorini, frutta candita e torte siciliane per nozze, stilizzazioni falso-epiche, interminabili vaniloqui di pescatori e donne, episodi grotteschi che vorrebbero ricordare lo Ulysses; e una patina dialettale senza necessità né spessore, tanto che noi l'aboliamo leggendo, sostituendo mentalmente la parola siciliana con quella italiana.8

Il “caso” Horcynus Orca, però, si rivela un fuoco di paglia e nel giro di pochi mesi il libro finisce nel dimenticatoio:

Finito il rituale particolarmente frettoloso delle recensioni, il libro è stato rapidamente rimosso. Il mondo letterario ha convenuto di comportarsi come se non fosse mai comparso. Questo testimonia dei limiti del mondo letterario, che non sopporta se non i fenomeni che gli sono omogenei9.

Fra gli ultimi interventi si segnala un più equilibrato articolo di Carlo Bo, in cui auspica che il passare del tempo permetta giudizi più attenti sul libro:

il libro di D'Arrigo può aspettare, anzi deve aspettare. Se è quel capolavoro che è sembrato a molti, non ci sono dubbi, verrà il suo momento, sarà letto e compreso nel senso giusto: se invece non lo è, ci troveremo di fronte a un mostruoso abuso della fantasia e a un altrettanto mostruoso atto d'amore verso la letteratura10

Per spiegare queste reazioni non bastano gli “errori” commessi

8 P. Citati, Horcynus Orca, in “Il Corriere della Sera”, 04/03/1975.

9 A. Romanò, Note di lettura per Horcynus Orca, in “Paragone Letteratura”, 316, giugno

1976: pp. 94-104.

10 C. Bo, Storia di un mostro letterario, in “L'Europeo”, 15, 10 aprile 1975. L'articolo è citato in E. Giordano, Femmine folli, cit.: pp. 21-69

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durante la campagna pubblicitaria, tanto più che (come ammette Pontiggia stesso) altri libri annunciati come capolavori non hanno ricevuto gli stessi attacchi; Walter Pedullà sostiene che gli anni Settanta “avevano fretta” e il romanzo di D'Arrigo era troppo grosso e che forse il decennio precedente avrebbe accolto con maggiore serenità il suo sperimentalismo linguistico11. Una spiegazione più

articolata viene fornita nel primo capitolo di Horcynus Orca, il viaggio e la morte di Emilio Giordano12, in cui vengono discusse

anche nel dettaglio le caratteristiche del lancio editoriale di cui parla Pontiggia, oltre alla scomparsa del romanzo dopo il trambusto seguito alla pubblicazione. Giordano usa come fonti le Riflessioni su un «lancio» editoriale di Fiora Vincenti e Giovanni Raboni13 e l'analisi

di Alberto Cadioli14 sui sistemi di vendita messi in atto per Horcynus

Orca, delineando un quadro in cui la critica aveva giudicato frettolosamente il libro perché lo ritenevano figlio di un'operazione commerciale finalizzata solo alla vendita:

diversi critici e altri addetti ai lavori non sono stati al gioco, hanno rifiutato di unire la loro voce […] per non diventare complici di quello che appariva loro come un chiaro disegno di imbonimento del pubblico15.

11 W. Pedullà, Introduzione a I fatti della fera, cit.: pp. XIV e XVI. 12 E. Giordano, Il viaggio, cit.: pp. 9-28

13 F. Vincenti – G. Raboni, Riflessioni su un «lancio» editoriale, in Novecento: i contemporanei,

gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, a cura di G. Grana, vol. X, Marzorati, Milano, 1979: pp. 9246-9251.

14 A. Cadioli, L'industria del romanzo, Editori riuniti, Roma, 1981: pp. 154-8. Mentre

Cadioli non entra nel merito del valore del romanzo, sia Vincenti che Raboni, oltre a condannare i sistemi pubblicitari della Mondadori, esprimono grande perplessità circa il valore dell'opera.

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Insospettisce, in un senso e nell'altro, la tempestività dei giudizi: di fronte a un'opera dell'ambizione (o, più semplicemente, dell'estensione) di questo romanzo le recensioni si consumarono nel giro di due-tre mesi.

Queste motivazioni, però, non sono sufficienti a giustificare la caduta di interesse per il libro, una volta calato il polverone: pochi critici infatti si sono rivolti a Horcynus Orca con attenzione e serietà negli anni successivi, non c'è stato un dibattito di rilievo nel panorama letterario italiano; Giordano a questo proposito chiama in causa il nostro ambiente culturale:

In una situazione in cui, da vari anni, si va affermando che la Letteratura è morta (…); in una situazione in cui, in Italia, si va parlando di una Letteratura del silenzio (Francesco Leonetti) o di una Letteratura del risparmio (Angelo Guglielmi), l'uscita di un libro come quello di D'Arrigo che, con le sue 1257 pagine, non suggerisce certo l'idea del risparmio, e che, chiaramente, testimonia la fiducia dell'autore nella Letteratura, può dare, come puntualmente si è verificato, molto fastidio, perché esso viene a rimettere in discussione dei principi, delle convinzioni, dei giudizi che un certo establishment culturale credeva ormai assodati16.

Si potrebbe aggiungere che gran parte del battage pubblicitario si basava su un'immagine mitizzata dell'autore e della sua impresa, del suo sacrificio compiuto nell'isolamento dal mondo, in uno scontro eroico con l'Opera che nei tempi della “morte dell'autore” non dovevano risultare graditi. Non stupisce che una narrazione così viva e bruciante sia stata ignorata anche negli anni successivi, quando si sviluppò un'idea di letteratura come costruzione fittizia,

16 E. Giordano, Ripensando a Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo, in “Misure critiche”,

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come bricolage di elementi mescolati a freddo: in questo romanzo le fonti letterarie non sono assemblate meccanicamente ma vivono nell'opera una vita particolare, talvolta nascosta, sia che si tratti di rielaborazioni dantesche17 che di affioramenti che provengono da

Edgar Allan Poe18 – ma questa è un'analisi che richiederebbe ben

altro spazio.

La fine degli anni '70, comunque, vide “la fase d'avvio di una riflessione meno frettolosa e più ampia intorno al testo”19, come si vede

nei due interventi critici del 1978 di Orazio Cusumano20 e Claudio

Marabini21 e in alcuni articoli in rivista (per esempio: Ignazio Baldelli,

Dalla «Fera» all'«Orca»22 e Nemi D'Agostino, Prime perlustrazioni di

Horcynus Orca23 ecc).

Anche nel decennio successivo l'attenzione della critica resta costante ma non incisiva, mentre notizie sul libro e sul suo autore ricevono spazio sui giornali (sempre nell'ottica del “caso” letterario) in occasione delle rare interviste concesse da D'Arrigo, della riduzione per il teatro del romanzo o delle successive riedizioni24.

Negli anni '90 si segnalano due convegni dedicati all'autore: il 17 F. Della Corte, Combinatoria di citazioni in Stefano D'Arrigo. Un'ipotesi intertestuale sull'incipit di

«Horcynus Orca», in Il mare di sangue pestato, cit.: pp. 103-114.

18 E. Giordano, Il viaggio, cit.: pp. 47-100. 19 E. Giordano, Femmine folli, cit.: pp. 23-99.

20 O . Cusumano, Considerazioni letterarie simboliche etiche sull'Horcynus Orca, Naxos, Messina,

1978; ma non è stato possibile consultare il volume.

21 C. Marabini, Lettura di D'Arrigo, Mondadori, Milano, 1978. 22 I. Baldelli, Dalla «Fera» all'«Orca», art. cit.

23 N. D'Agostino, Prime perlustrazioni di Horcynus orca, in “Nuovi Argomenti”, 56,

ott-dic 1977: pp. 27-52.

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primo a Giulianova il 22-23 ottobre 1993 dal titolo Stefano D'Arrigo, il viaggio della scrittura, di cui non sono stati editi gli atti, il secondo, tenutosi a Zafferana Etnea il 20-21 settembre 2002, aveva come oggetto “Stefano D'Arrigo, un “caso” letterario del secondo Novecento”25.

Sembra invece che proprio negli ultimi dieci anni si possa registrare una nuova attenzione per il libro, con parecchie monografie dedicate, interventi in convegni, saggi inseriti in volumi miscellanei26; inoltre è in atto una riedizione dell'opera omnia

presso Rizzoli per i cui tipi sono già usciti I fatti della fera (2000), Horcynus Orca (2003) e Cima delle nobildonne (2006).

Anche la ricezione del libro da parte delle storie letterarie non è confortante , soprattutto se le riconosciamo come il “luogo concretamente simbolico di selezione e canonizzazione”, come nota Giordano. D'Arrigo sembra aver conquistato un posto stabile nella storia della letteratura siciliana (non solo del Novecento) ma, sebbene siano poche le storie della letteratura che omettono del tutto l'esistenza del romanzo27, la stragrande maggioranza non

dedica più che un rapido accenno al “caso” famoso o, nella migliore delle ipotesi, poche pagine; l'unico testo che dedica a Horcynus Orca ampio spazio è quello curato da Pedullà e Borsellino, uscito

25Gli atti sono stati pubblicati in Siculorum Gymnasium (Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania) 1, genn-giu 2003, pp. 191-233; l'informazione proviene ancora da E. Giordano, Femmine folli, cit., capp. 1 e 2.

26Per i quali cfr. la Bibliografia.

27Giordano cita i manuali di Letteratura italiana curati da Pazzaglia (1986), Dotti

(1991), Caretti-Tellini (1992), Bellini-Mazzoni (1994), Baldi-Giusso (2000) e Santagata (2006).

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nel 1999.

Secondo Antonio Moresco una parte dei motivi che escludono Horcynus Orca dall'interesse della critica risiede nella sua diversità dalla grande maggioranza delle pubblicazioni odierne:

Questo libro appare, anche da lontano, come qualcosa di fuori posto, un oggetto misterioso, una “lettera rubata” al centro della nostra letteratura contemporanea. Un libro di cui si parla pochissimo perché imbarazza tutti per la sua dismisura e grandezza, perché contraddice nel modo più radicale i piccoli parametri galateali della letteratura italiana. Uno strepitoso dispendio di forze, un “errore” tattico sbalorditivo, un esempio da manuale di come dissipare le proprie forze in un unico azzardo, così raro nel nostro paese e tanto più in questa nostra epoca, di come gettare via la propria vita sul piano dell'utilità e del ritorno di vantaggi che, anche solo per questo, meriterebbe rispetto.28

Non pare quindi che Horcynus Orca abbia mai guadagnato lo status di “capolavoro” e di “classico”, contrariamente a quanto sosteneva Jutta Bruto D'Arrigo in un'intervista piuttosto recente29;

sebbene la sua posizione sia migliorata rispetto ai primi tempi dopo la pubblicazione, la grandezza del libro è ancora non completamente riconosciuta. Se le teorie sulla morte del romanzo e sulla debolezza della parola hanno impedito una riflessione profonda su un libro che scommette così tanto sul potere di comunicazione e sul valore della letteratura è davvero questo il

28 A. Moresco, La grandezza, in L'invasione, Rizzoli, Milano, 2002, pp. 95-114.

29 “Che piaccia o no, Horcynus Orca è un classico che si studia nelle università, sul

quale sono state fatte centinaia di tesi” Cfr. Mio marito? Era un capolavoro, in “Sette”/“Corriere della Sera”, 06/11/2003 a cura di P. Carrano. Cfr. E. Giordano, Femmine folli, cit.: pp. 26-7.

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momento di riprendere in considerazione Horcynus Orca e valutarlo serenamente.

“La grandezza” è il titolo del saggio di Moresco sul romanzo di D'Arrigo e la grandezza è proprio la prima caratteristica che salta agli occhi; non solo, banalmente, il numero delle pagine, che oggi facilmente raggiunge anche uno dei tanti thriller dell'anno, ma l'ambizione, il respiro di un'opera che richiede, cattura l'attenzione del lettore senza risparmio. Sarebbe senz'altro interessante studiare questa opera tenendo conto di tutta la sua storia, dalla prima stesura del 1957 a quella definitiva del 1975, ma per non allargare eccessivamente il campo d'indagine h o scelto di utilizzare per la mia analisi il testo definitivo di Horcynus Orca30, e solo in alcuni casi

ho confrontato il romanzo con il resto della produzione darrighiana, soprattutto Codice Siciliano, in virtù del suo chiarissimo legame col romanzo.

La grandezza d i Horcynus Orca ha sua prima radice nella ricchezza e nella compattezza della creazione linguistica, che è forse il primo elemento che salta all'occhio del lettore31. Personalmente

sono stata colpita subito dalla vitalità di questa prosa, dall'efficacia

30 L'edizione di riferimento per tutte le citazioni è quella mondadoriana del marzo

1975, ma tengo conto delle modifiche che si possono leggere in quella uscita per Rizzoli nel 2003 come vengono elencate da Giordano in Una breve postilla, in Femmine folli, cit., pp. 119-121. Il romanzo è indicato in nota con la sigla HO.

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del lessico, dalla sua capacità di far crescere il significato dentro al significante fino a modificarlo; mi è parso quindi che alcune parole fossero insostituibili, soprattutto per parlare del libro stesso (per esempio “pellisquadre” o “straviamento”) e per questo le utilizzerò senza virgolette e con un brevissimo commento. D'altronde D'Arrigo stesso si sforzò di calibrare la sintassi del romanzo e di orientarla in modo da rendere evidente il significato di qualsiasi neologismo:

Ho costantemente cercato di fare coincidere i fatti narrati con l'espressione, la scrittura con l'occhio e con l'orecchio, rifiutando qualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo o assoluto. Non ho rinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partito dall'obiettiva sicurezza che i luoghi della narrazione – luoghi topografici e soprattutto luoghi del testo – restino un fondamentale punto d'incontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che ho adoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e “mirare” il vocabolo finché non giudicavo d'avere raggiunto l'espressione completa: fino al momento in cui guadagnavo la certezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura “parlasse”.32

La grandezza si esprime anche nel respiro dell'opera, nei grandi temi della morte mescolata alla vita, del viaggio e della guerra, è

32 Cfr. Stefano Lanuzza, Scill'e Cariddi. Luoghi di “Horcynus Orca”, Acireale 1985, pp. 134-135,

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data dalla creazione di “un prodigioso organismo che sconfina”33,

che si dilata quasi respirando e che sfugge a qualsiasi tentativo di ridurlo in una formula univoca.

Il racconto del viaggio che 'Ndrja compie per tornare a casa si espande a comprendere momenti della vita del marinaio e quindi della sua comunità, Cariddi; non si limita, però, rappresentare le “figurine da presepio”34 che abitano lo Stretto, ma racconta anche

lo sviluppo psicologico del protagonista verso la maturità, quel passaggio importantissimo in cui ciascuno deve combattere con la caduta dei propri miti infantili e per affermare la propria posizione nel mondo. 'Ndrja non riesce (o forse non vuole) accettare questa caduta e quindi resta bloccato fra la maturità e la giovinezza offrendo quasi spontaneamente la fronte al proiettile35. Il viaggio di

'Ndrja quindi è anche un impossibile ritorno alla madre e al liquido amniotico, elemento in cui, metaforicamente, la barca-bara lo sta portando: “dentro, più dentro dove il mare è mare”36.

La centralità dell'elemento mare è stata ampiamente commentata dalla critica, e così anche il tema della morte, su cui questo lavoro insiste poco perché gli elementi da cui sono partita per analizzare il romanzo, gli animali, sembrano risentire meno, rispetto agli esseri umani, dello stravolgimento dello Stretto – eccettuata naturalmente

33 A. Moresco, La grandezza, cit. p. 107.

34 Formula a mio parere discutibile utilizzata in F. Frasnedi, cit., p. 61.

35 Per questa interessante interpretazione del libro cfr. G. Alfano, Gli effetti, cit. e A.

Romanò, art. cit.: p. 99.

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l'orca.

La presenza di una così grande quantità di animali e soprattutto il ruolo che rivestono è straordinario in un romanzo del Novecento italiano: sono animali che pensano ma non parlano, cioè bestie la cui importanza nel romanzo non dipende esclusivamente dalla somiglianza con gli esseri umani. Certo, l'antropomorfismo non viene sempre evitato, ma si aggiunge ad altre connotazioni, creando delle figure miste di realtà e d'invenzione certamente insolite.

Inoltre è interessante il modo in cui questi animali si rapportano con gli esseri umani, e su questa rete di relazioni mi sono concentrata nel primo capitolo; lì ho cercato di portare alla luce e descrivere questo complesso di rapporti usando un concetto preso dall'ecologia, la biocenosi.

Nel secondo capitolo mi sono concentrata sul legame che unisce esseri umani e animali, sia da un punto di vista linguistico che da un punto di vista narrativo. Nel primo caso ho evidenziato alcune tecniche retoriche, quali l'uso di metafore e di similitudini o di particolari serie aggettivali; nel secondo caso, invece, mi sono concentrata sulla comune origine che l'umanità e gli animali sembrano condividere, come ci mostra l'esempio delle sirene. Inoltre ho cercato di individuare alcuni luoghi del testo in cui il legame fra le specie non si limitasse ai corpi ma potesse istituirsi anche a un livello psicologico-emozionale. Infine, ho dedicato un breve paragrafo alle fonti del romanzo e al modo in cui queste

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vengono inserite nel fluire della narrazione.

Il terzo capitolo si concentra sull'analisi delle presenze animali di cui ho detto sopra e si apre con alcune considerazioni preliminari sul modo in cui gli animali si presentano in letteratura; quindi si possono trovare i paragrafi dedicati ai singoli animali. Infine, in appendice, si trova il repertorio che raccoglie in ordine alfabetico tutte le presenze animali citate nel romanzo.

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