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o Struttura imprenditoriale dell’Umbria prima della pandemia

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Academic year: 2022

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Conferenza Regionale dell'Economia e del Lavoro (CREL)

“UMBRIA – ECONOMIA E SOCIALE ALLA PROVA DELLA PANDEMIA.

IDEE E PROPOSTE PER IL FUTURO”

Resoconto Stenografico 9 giugno 2021

Presidenza del Presidente dell’Assemblea legislativa Marco SQUARTA INDI

della Vicepresidente dell’Assemblea legislativa Paola FIORONI

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INDICE

Squarta, Presidente Ass. legisl. Umbria...3 Saluti istituzionali...3 Squarta, Presidente Ass. legisl. Umbria...3-8 L’economia dell’Umbria all’epoca della pandemia. Nodi strutturali e andamento congiunturale...8 Sartini, Responsabile Banca d’Italia Perugia...8-14 Squarta, Presidente Ass. legisl. Umbria...8,14 Informazioni statistiche sull’emergenza sanitaria e la ripresa nell’Umbria: struttura delle imprese e resilienza alla crisi...14 Valentini, Dirigente regionale Istat….14,15-20-74 Squarta, Presidente Ass. legisl. Umbria...14,15 Fioroni, Vicepresidente Ass. legisl. Umbria...20 (Ri)pensare l’Umbria dopo la pandemia:

vecchi problemi, nuove opportunità...20 Campi, Commissario straordinario AUR...20-28 Fioroni, Vicepresidente Ass. legisl. Umbria...28,29 Il riposizionamento dell’Umbria sulle catene del valore...30 Michele Fioroni, Assessore allo Sviluppo economico innovazione e semplificazione Regione Umbria………...30-37

Fioroni, Vicepresidente Ass. legisl. Umbria...37 Interventi programmati...37 Fioroni, Vicepresidente Ass. legisl. Umbria….. 37 40,43,45,48,50,51,53,56,59,60,64,66,70,73 Alunni, Presidente Confindustria Umbria....37-40 Sciurpa, Amministr. Unico Sviluppumbria..40-43 Marcelli, Segretario reg.le CISL Umbria…..43-45 Ricci, Presidente Legacoop Umbria...46-48 Bendini, Segretario gen.le UIL Umbria…….48-50 Agabiti, Presidente Coldiretti Umbria...50,51-53 Mele, Presidente CAL Umbria...53-56 Bonne, Presidente Commissione regionale ABI Umbria ……….……….57-59 Franceschini, Presidente Confartigianato Imprese Umbria...59-60 Granocchia, Presid. Confesercenti Umbria...61-64 Ciaramella, Coord. regionale Casartigiani....64-66 Borghesi, Consigliere provinciale Perugia....67-69 Grechi, Presidente Centro Pari Opportunità Regione Umbria...70-73 Sospensione...29 Allegato 1

Allegato 2

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Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro (CREL)

“UMBRIA – ECONOMIA E SOCIALE ALLA PROVA DELLA PANDEMIA.

IDEE E PROPOSTE PER IL FUTURO”

Perugia, 9 giugno 2021

La Conferenza inizia alle ore 11.02.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Buongiorno a tutti.

Iniziamo questa Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro, che abbiamo deciso, all’unanimità di tutte le forze politiche presenti in Assemblea legislativa, di intitolare: “Umbria: economia e sociale alla prova della pandemia. Idee e proposte per il futuro”.

Come molti sanno, la Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro nella scorsa legislatura fu fatta una sola volta; nelle precedenti mi pare che ne fosse fatta una ogni legislatura e mezzo circa. Tutto il Consiglio presente oggi, tutte le forze politiche, nonostante ci siamo insediati un anno e mezzo fa, durante il quale abbiamo avuto una pandemia mondiale, abbiamo deciso di farla. Credo che questo sia un segnale molto importante, da parte di tutte le Istituzioni e le forze sociali presenti a questa Conferenza – che abbiamo dovuto fare per ovvie motivazioni normative in modalità video – e credo che possa rappresentare un punto importante di partenza per porre le basi per la rinascita economica e sociale della nostra regione. Noi abbiamo avuto un dramma dal punto di vista sanitario, tantissimi morti; da quel punto di vista, grazie alle vaccinazioni, stiamo vedendo la luce alla fine del tunnel, però la situazione economica e sociale è drammatica, io ritengo, alla stessa maniera di quella sanitaria.

Quindi, tutte le forze politiche hanno ritenuto di fare questa Conferenza, proprio per gettare le basi per dare una prospettiva economica e sociale alla nostra regione.

Prima di iniziare con il mio intervento e con i saluti istituzionali, saluto le Vicepresidenti dell’Assemblea legislativa, la Vicepresidente Paola Fioroni, alla mia destra, e la Vicepresidente Simona Meloni, alla mia sinistra. È presente il professor Campi, vedo già collegati quasi tutti i soggetti invitati, in particolar modo i relatori.

Quindi ci sarà un mio saluto iniziale, istituzionale, poi ci saranno le tre relazioni.

Prima di iniziare la seduta della Conferenza, vorrei invitare tutti coloro che non parlano a spegnere i microfoni, in maniera tale da avere una qualità audio-video

“decente”. Se nessuno dei presenti qui, ma anche e soprattutto in video, è contrario, noi avviamo la registrazione dell’incontro. C’è qualche contrario a registrare l’incontro? No. Per la seduta di domani invieremo un nuovo link.

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Saluti istituzionali

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro: “Umbria: economia e sociale alla prova della pandemia. Idee e proposte per il futuro”. Il tema centrale della Conferenza è ambizioso. Mi sforzerò il più possibile di stringere i tempi del mio intervento per un gradito saluto istituzionale, utile a introdurre alcuni argomenti sul tavolo degli autorevoli ospiti, che si susseguiranno fino al pomeriggio e anche domani.

Soltanto per rinfrescare a me stesso la memoria, elenco i tre assi strategici, condivisi a livello europeo, che guidano l’azione di rilancio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, vale a dire lo strumento che dovrà dare attuazione in Italia al programma Next Generation EU. I tre pilastri sono: la digitalizzazione e l’innovazione, la transizione ecologica, l’inclusione sociale, anche se sono davvero temi caldi al centro del dibattito, per citarne alcuni, la giustizia, il fisco e la concorrenza. Riuscire a ottenere i fondi europei non sarà un’impresa facile. Proprio per questo ci vuole consapevolezza a proposito dell’enorme posta in gioco, che incide direttamente sulla qualità delle nostre vite e, inevitabilmente, su quella delle prossime generazioni.

Il digitale e l’ambiente sono la strada obbligata per la crescita. La ripresa si è lentamente avviata, iniziamo ad accorgercene ormai da qualche settimana, con settori vitali per il nostro Paese, come quelli del turismo, dell’abbigliamento, dei trasporti e della ristorazione; in altre parole, tutti quelli cui il lockdown ha inflitto lo stop più grave. Il Piano di Ripresa e Resilienza, da tutti conosciuto come PNRR, è prodigo di progetti che vanno nella direzione dell’informatizzazione e della sostenibilità. Spetta anche alle imprese, in particolare alle PMI, innescare il cambio di marcia che dovrà accompagnarci verso l’uscita dalla crisi. Come? Si dovrà intervenire sui modelli organizzativi, ma anche su quelli di produzione. Niente sarà facile, niente ci verrà regalato.

Personalmente ritengo questa crisi che stiamo vivendo molto diversa rispetto alle altre crisi finanziarie con le quali abbiamo dovuto fare i conti nel passato recente.

Stiamo venendo fuori da una crisi di domanda e offerta più tipica delle guerre, dei conflitti bellici; una crisi prodotta dal blocco forzato del lockdown, che ci ha costretto per interi mesi a starcene chiusi in casa. Nei fatti, le restrizioni ci hanno impedito di produrre e di consumare, come avremmo fatto abitualmente in condizioni di normalità. Il risultato è stata la paralisi totale del mercato.

Il PNRR definito dalla Giunta regionale dell’Umbria prevede di riversare oltre 3 miliardi di euro nella nostra regione, tra il 2021 e il 2026; finanziamenti articolati in 45 linee di intervento. Si tratta, nel complesso, di una quantità di denaro pubblico mai vista, che senza dubbio può aprire nuove prospettive alla nostra economia. Ed è una sfida politica e amministrativa determinante, che si sviluppa nell’ambito di una crescita che deve essere duratura, quanto sostenibile. L’indirizzo degli investimenti, è chiaro, non potrà prescindere da una visione adeguata agli obiettivi. Il compito è

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arduo, in quanto bisognerà individuare in questa fase il sentiero, non privo di ostacoli, che il Paese Italia e l’Umbria, in particolare, dovranno percorrere per ripartire in questo imminente dopoguerra, prestando però straordinaria attenzione, poiché siamo tutti consapevoli che perdere terreno è questione di pochi attimi. Ecco perché accelerare la ripresa, per impostare progetti di crescita sostenibile e non di sopravvivenza. Crescita, lo ricordo a me stesso, significa investire sull’innovazione, indipendentemente dal settore di appartenenza delle aziende e dalle dimensioni.

Lo dicevo prima, ambiente e digitale sono stati individuati come le due rette.

Investire nel digitale non deve e non può essere concepito come un semplice investimento in quella che una volta chiamavamo informatica, quindi un qualcosa da ricondurre ad acquisti di macchine più potenti, tablet di ultima generazione, oppure agli investimenti nel campo. La transizione digitale non è più una forma di apprendimento e arricchimento tecnologico di un’azienda, ma diventa parte sostanziale, come non lo è mai stata fino a ora. In altre parole, il digitale non è la cravatta da indossare sopra la camicia, ma d’ora in avanti assume l’importanza della giacca. Significa letteralmente ripensare daccapo le aziende attorno ai dati, all’interno del proprio mondo di appartenenza. Sono convinto che la trasformazione digitale richieda, se non una vera e propria rivoluzione, quanto meno una rivisitazione organizzativa, che buona parte delle aziende deve ancora impostare per rivedere i processi aziendali e armonizzare i diversi settori, quali la produzione, il commerciale, la comunicazione, la ricerca, lo sviluppo, sempre orientando l’azione verso i clienti.

La forza straordinaria della tecnologia digitale, infatti, ora ci porta ad avere in tempo reale i dati che riguardano i clienti, che ci dicono cosa li soddisfa, cosa li gratifica, quanto cercano i prodotti, perché li vogliono, più tutte le altre informazioni sui fornitori e i loro sviluppi aziendali. Attorno a ciascuna azienda si crea un prezioso ecosistema di dati. Il digitale porta dunque a ripensare le aziende, riorganizzando il loro business mediante processi agili, guidati dal grado di soddisfazione del cliente che, nei fatti, orienta la nostra economia.

In Umbria, ricordiamo che nella prima fase della pandemia quasi la metà delle imprese ha perduto oltre la metà del fatturato. Le aziende che in tempo di Covid hanno deciso di riconvertirsi, hanno autonomamente sfruttato le potenzialità del digitale, senza neanche esserne consapevoli. Sono state molto abili nell’identificare quelle inaspettate aree di mercato, ricondotte immediatamente, in alcuni casi, perfino nel giro di pochissimi giorni. Talvolta anche la fantasia e l’ingegno hanno rappresentato il valore aggiunto a processi produttivi inediti e funzioni dedicate all’innovazione.

Due parole sull’ambiente, perché il digitale da solo non può bastare. Un futuro di crescita passa attraverso un percorso sostenibile e gli incentivi economici contemplati nel PNRR sono un segnale forte, oltre che un’opportunità da non perdere. L’obiettivo indicato è ambizioso, ma non irraggiungibile. Entro il 2030 l’emissione di carbonio nei processi produttivi dovrà ridursi del 55-60 per cento, anche grazie all’identificazione di aree di sostenibilità nei materiali da utilizzare e nell’impiego di energie rinnovabili, elementi cruciali per stimolare i consumi. Proviamo a pensare a cosa accade nel

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settore automobilistico, con le auto elettriche e determinate scelte adottate da aziende di moda, che preferiscono utilizzare materiali sostenibili, coinvolgendo i propri clienti nella missione di un ambiente più sano.

È tutto integrato, non si fa digitale solo nel ramo della comunicazione, ma anche in quello della ricerca, dello sviluppo e della produzione. Vi ho portato due esempi facili, ma intuitivi. Quelle quote di mercato ci siamo accorti che stanno diventando dominanti. Diciamocelo in maniera franca: rinunciare a innovare le aziende in sostenibilità e digitale significa avere la certezza di perdere progressivamente quote di mercato, erose dai concorrenti che si muovono in questa direzione.

Il mio ragionamento, a questo punto, non può che riallacciarsi al ruolo della politica.

L’innovazione, che abbiamo visto rendere possibile la crescita della produttività, passa inevitabilmente attraverso la collaborazione strategica tra il settore privato e il Governo. Un salto di qualità deve verificarsi nelle politiche disegnate dal Piano, certamente, ma anche nelle regole del gioco, che con ogni probabilità necessitano di ulteriori e nuovi provvedimenti sulla governance. I tre assi strategici del PNRR – transizione digitale, ecologica, Mezzogiorno – sono perciò la grande chance per costruire la collaborazione pubblico-privato per l’auspicato cambiamento strutturale.

Nell’immediato presente, per la ripresa, in questo mondo interconnesso e altamente competitivo, confidiamo in due cose: nella vaccinazione di massa e nel PNRR. Dicevo prima che gli effetti della pandemia sui bilanci di molte imprese, sulle libertà personali, sull’organizzazione del lavoro e sul PIL sono del tutto paragonabili a quelli di un’economia postbellica. È necessario ricostruire, per offrire un futuro alle nuove generazioni. Per fare questo non serve solo una sterzata, ma serve una sterzata giusta.

Rispetto a un anno fa, maggiori conoscenze favoriscono l’analisi del problema sanitario e inducono un sottile ottimismo verso il futuro, anche per i concreti progressi della campagna vaccinale.

In Umbria, compatibilmente con le dosi a nostra disposizione, le somministrazioni hanno portato a risultati concreti e positivi: siamo tra le sette regioni ad aver tagliato per prime il traguardo della zona bianca. Il Covid, però, ci ha insegnato che questa battaglia non si vince tanto facilmente, né rapidamente e neppure da soli, perché ci troviamo a fronteggiare un fenomeno globale, che deve essere affrontato con un approccio multilaterale.

Nel corso del mio intervento, come ho anticipato, tocco vari punti sui quali si focalizzeranno con maggior merito gli illustri relatori che mi succederanno in scaletta.

I superstiti economici del Covid: una recente indagine sulla condizione delle famiglie italiane ha evidenziato come soltanto le misure di sostegno abbiano potuto mitigare il calo dei redditi che ha colpito un terzo dei nuclei familiari; una frenata determinata per lo più dalla crisi, con un impatto che anche da noi ha colpito soprattutto le donne, i giovani e le categorie più fragili. La gradualità con cui le misure di sostegno verranno inevitabilmente abbandonate nel tempo è un concetto cruciale per limitare la portata dell’impatto. La mano pubblica ha dunque il compito di migliorare, attraverso le riforme da tempo attese – giustizia e burocrazia su tutte – l’ambiente economico dove si realizza l’attività imprenditoriale. Per riuscirci sono necessari due

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percorsi paralleli: la digitalizzazione del Paese, che deve andare di pari passo con la formazione delle persone. A questi temi vanno affiancate le politiche di bilancio, fondamentali per contenere gli effetti economici della pandemia, la cui onda lunga richiederà svariato tempo per esaurirsi. Insomma, serve flessibilità, ma anche cautela, per tentare di ritrovare una nuova normalità. Il blocco dei licenziamenti e le moratorie sono altre due incognite che pesano, e neanche poco, sul futuro. In un Paese che tende a invecchiare, non possiamo sottovalutare gli aspetti demografici.

Certo è che un ambiente economico sano e capace di incentivare lo sviluppo delle attività economiche è la miglior garanzia per il futuro. Esattamente per questo motivo la trasparenza e i controlli devono saper premiare la competenza e l’onestà, una luce più forte a difesa della legalità.

Concludo parlando di lavoro e di turismo, due temi cui tengo particolarmente e che non sono neppure così lontani. Non credo che la dignità di chi lavora si rispetti nelle casse integrazioni a perdere, quanto nell’accompagnamento attivo a una nuova occupazione. Il lavoro, non dimentichiamolo mai, è un diritto e una necessità, come lo è la salute. Per questa ragione assume un ruolo centrale la sicurezza sui luoghi di lavoro. Mi torna in mente la drammatica esplosione avvenuta a Gubbio nelle scorse settimane, ma purtroppo non solo quella. In Umbria, nei primi mesi del 2021, gli incidenti mortali sono aumentati del 7% rispetto all’anno precedente. Il ruolo della persona merita sempre di essere valorizzato, anche a svantaggio del profitto. La percezione del rischio deve essere sempre tenuta alta, in particolare nei cantieri edili, dove purtroppo, ancora troppe volte, assistiamo a una serie di infortuni gravi, quando non mortali.

Il turismo affossato dal Covid: pesano ancora tantissimo le limitazioni, ma le compagnie e i gestori degli hotel intravedono i primi spiragli di luce. Nel 2020, l’Italia ha perduto circa 50 miliardi per lo stop al turismo. Gli albergatori sono concordi nell’esprimere un concetto forte nella sua semplicità: il turismo resta fermo se non aprono le frontiere. Per questa seconda estate la maggior parte degli italiani rimarrà dentro i confini nazionali per le vacanze estive, a vantaggio della nostra economia.

Sarà perciò un’estate italiana, tra la voglia di libertà, il desiderio di sostenere l’economia nazionale e l’incertezza delle regole. Non starò qui a soffermarmi sull’enigma dei tamponi, le quarantene e il Green Pass. Affinché sia una ripartenza vera, ci vogliono regole precise.

L’anno scorso, come sottolineato peraltro dalla Federazione turismo organizzato, è stata una falsa ripartenza. Federalberghi stima che l’89% degli italiani quest’anno si muoverà entro i confini dell’Italia. Secondo la ricerca BVA Doxa, un italiano su due è convinto che scegliere l’Italia, in questa fase, sia una scelta ideologica per aiutare il Paese. Rispetto all’estate 2020, aumenteranno del 10% circa gli italiani che hanno in programma una vacanza, vale a dire il 54%. Giusto investire nella comunicazione.

Bisogna farlo sempre più, per promuovere l’immagine dell’Umbria. Secondo le statistiche Doxa, la gran parte degli italiani sceglierà il mare come destinazione, ma è sul rimanente che si gioca la nostra partita. Infatti, il 22% punta sulla montagna e la collina, il 15% farà una vacanza itinerante, il 13% continuerà a preferire le città d’arte

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e il 10% i piccoli borghi. La nostra enogastronomia stimola un turismo di lusso. Ecco perché ci aspettiamo molto.

L’Umbria, al centro dell’Italia, si trova in una posizione ottimale per ospitare turisti da nord a sud. Siamo moderatamente positivi. Il turismo delle città d’arte è un turismo ricco, disposto a spendere molto. In tal senso noi abbiamo molto da offrire, come Umbria. Abbiamo molto da offrire anche in termini di lontananza dal rischio assembramenti, perché abbiamo sempre rispettato i principi della sicurezza. Il PNRR punta a valorizzare il Trasimeno, a realizzare ampie piste ciclabili. È già in piedi il progetto di valorizzazione della Via di Francesco, uno dei primi e degli ultimi atti pre-pandemia, nati su iniziativa del Consiglio regionale che ho l’onore di presiedere.

Riqualificare i parchi e i sentieri, potenziando i percorsi religiosi e, con riferimento al turismo, i piccoli borghi, oltre che le infrastrutture viarie.

Paragoni tra gli anni? Siamo lontanissimi dal 2019, speriamo lontani dal terribile 2020, quando abbiamo registrato un calo medio del 55 per cento. La ripresa definitiva, probabilmente, l’avremo nel 2022. Il prossimo anno, infatti, speriamo, con l’apertura delle frontiere e i divieti aboliti, perderemo qualche italiano, ma avremo tanti stranieri liberi di tornare in Italia e a visitare la nostra bellissima Umbria. La strada – ci ha insegnato la pandemia – è lunga e tortuosa. Uniti, però, sono convinto che ce la faremo. Buon lavoro a tutti.

Ora, come da programma che tutti voi avete, iniziamo con le relazioni introduttive.

Iniziamo con la dottoressa Miriam Sartini, responsabile filiale di Perugia Banca d’Italia: “L’economia dell’Umbria all’epoca della pandemia. Nodi strutturali e andamento congiunturale”. Dottoressa Miriam Sartini, possiamo darle la parola.

“L’economia dell’Umbria all’epoca della pandemia.

Nodi strutturali e andamento congiunturale”.

Miriam SARTINI, Responsabile filiale di Perugia Banca d’Italia.

Buongiorno a tutti. Mi sentite?

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Sì, la sentiamo bene.

Miriam SARTINI, Responsabile filiale di Perugia Banca d’Italia.

Perfetto. Buongiorno a tutti. Ringrazio il Presidente Marco Squarta per aver invitato la Banca d’Italia a intervenire a questa Conferenza Regionale dell’Economia e del Lavoro, che rappresenta una preziosa occasione di confronto e di dibattito, da cui auspico scaturiranno idee e proposte, come cita il titolo, ma soprattutto azioni concrete per il rilancio dell’economia regionale dopo la pandemia.

Nella mia relazione partirò dalle connotazioni di fondo dell’economia umbra, per fornire poi qualche anticipazione sul più recente andamento congiunturale, su cui ci soffermeremo maggiormente nel rapporto sull’economia dell’Umbria, che è in fase di

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ultimazione e che presenteremo venerdì 25 giugno, alle ore 11.30, in modalità virtuale, purtroppo, come lo scorso anno.

Come sappiamo, la diffusione in tutto il mondo del Covid-19 ha causato una pesantissima emergenza sanitaria e la più grave crisi economica dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nel nostro Paese, che è stato colpito dalla pandemia già a febbraio 2020, nel primo semestre dell’anno il PIL è diminuito di quasi il 12 per cento e dell’8,9 per cento in tutto il 2020, e questo grazie alle misure di sostegno e alla capacità di ripresa dell’economia. Anche per l’Umbria le stime indicano un calo del PIL nel 2020 del 9 per cento, quindi in linea più o meno con l’Italia.

Nel breve periodo permane un’elevata incertezza, legata all’evoluzione della pandemia, al ritmo diseguale delle vaccinazioni tra le diverse aree del mondo, e questo potrebbe determinare delle marcate divergenze nell’andamento delle economie. In un mondo fortemente interconnesso è chiaro che dalla crisi si potrà uscire, sia sul piano sanitario, sia su quello economico, solo se i progressi riguarderanno tutti i Paesi.

Come è stato detto, l’Umbria vive una fase di declino che ha radici profonde e lontane, la cui intensità è stata solo enfatizzata dalla crisi pandemica. Il dato di sintesi che fotografa questa situazione è rappresentato dal PIL regionale. Quello del 2020 è paragonabile in termini reali ai livelli toccati alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Quello dell’Italia, invece, è simile a quello della vigilia degli anni Duemila; per l’Unione europea, a quello del 2016. Questo significa che l’economia umbra mostra un ritardo nello sviluppo di circa dieci anni rispetto al Paese e di venticinque anni rispetto all’Unione europea.

I dati provinciali evidenziano come la fase di declino riguardi tutto il territorio regionale, anche se è più marcata nel ternano, che da tempo fatica a individuare una nuova identità. Comunque, anche la provincia di Perugia mostra un andamento peggiore della media nazionale.

La spesa per investimenti, che è la leva fondamentale per supportare la crescita di un territorio, è crollata negli ultimi dodici anni, in termini reali, del 43 per cento, nel settore privato e in quello pubblico, a fronte di un calo del 24 per cento dell’Italia e del 20 per cento del centro Italia.

Fino alla crisi finanziaria globale, l’economia umbra teneva il passo con quella nazionale, pur con qualche difficoltà. Dal 2008, invece, la distanza si è progressivamente ampliata e i ritardi strutturali hanno iniziato a produrre i loro effetti. Da qualche anno, la filiale di Perugia della Banca d’Italia sta concentrando le proprie analisi economiche sulle debolezze strutturali dell’economia dell’Umbria. Nei rapporti dei due anni scorsi abbiamo trattato i nodi riguardanti la bassa produttività e la scarsa propensione a innovare. La bassa produttività rappresenta ancora il ritardo principale da colmare. È stato anche il tema, tra l’altro, della precedente Conferenza regionale del 2018, che partiva dall’approfondita analisi dei professori Bracalente e Montrone.

Nell’approfondimento dello scorso anno abbiamo confrontato l’andamento del PIL pro capite umbro negli anni Duemila con quello di un gruppo di 20 regioni europee

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simili per popolazione, struttura produttiva e reddito pro capite. In base a tale raffronto, dal 2000 in poi l’Umbria ha perso ogni anno, in media, due punti percentuali rispetto a questo gruppo di confronto. Il PIL pro capite umbro è sceso dal 119 all’83 per cento della media UE, a causa della bassa produttività totale dei fattori, che misura l’efficienza con cui vengono utilizzati gli input produttivi.

Per quanto riguarda la propensione a innovare, l’investimento in ricerca e sviluppo degli operatori pubblici regionali e ancor più di quelli privati è storicamente più contenuto rispetto alla media italiana e a quella europea. In Umbria, negli anni più recenti, l’ammontare si è mantenuto intorno all’1 per cento del PIL, contro l’1,4 per cento in Italia e il 2,1 per cento della media UE.

Un terzo aspetto di debolezza è rappresentato dalla ridotta internazionalizzazione.

Dal 2009 al 2019 l’export umbro è cresciuto di oltre il 40 per cento in termini reali, che è un risultato molto positivo, migliore di quello nazionale; però va rilevato che a esportare sono solo poche imprese, che lo fanno molto bene, a dire il vero. Inoltre, il rapporto tra export e PIL è rimasto molto basso. Nel 2019 è stato pari al 18,9 per cento, contro il 26,4 per cento italiano.

Nel rapporto sull’economia dell’Umbria di prossima uscita troverete anche analisi dedicate ad altre due tematiche di fondo, che sono la digitalizzazione e le dinamiche demografiche, come ha detto il dottor Squarta. Nell’attuale contesto, la digitalizzazione è un fattore indispensabile per sostenere l’innovazione e la competitività del sistema produttivo, ma anche per promuovere le competenze e l’inclusione sociale della popolazione. Si tratta di una leva di sviluppo che sta assumendo un’importanza crescente.

Come l’Italia, che si colloca tra i Paesi digitalmente più arretrati all’interno dell’UE, anche l’Umbria ha molta strada da fare, in particolare con riferimento alle competenze digitali, alla connettività, alla copertura delle reti, ma anche a livello di investimenti da parte delle imprese. Nell’attuale fase pandemica, tali carenze sono emerse in tutta evidenza, traducendosi in ostacoli al lavoro agile, alla didattica a distanza, all’utilizzo degli strumenti e dei servizi finanziari online.

Nel nostro rapporto troverete anche un’analisi di lungo periodo sull’evoluzione della popolazione umbra negli anni Duemila, con l’intento di esplorare un fenomeno che ha impatti diretti sulla crescita del territorio. L’invecchiamento della popolazione si riflette, infatti, negativamente sui livelli di produttività. La Banca d’Italia, da ultimo, nelle considerazioni finali del Governatore, ha più volte evidenziato che l’allungamento della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro delle donne, dei giovani e l’innalzamento dei livelli di istruzione potrebbero avere un impatto positivo rilevante sulla crescita del reddito pro capite nel lungo periodo, compensando gli effetti negativi della riduzione della popolazione in età da lavoro attesa nei prossimi vent’anni in Italia, ma anche in Umbria.

Ai fattori elencati si aggiunge, poi, la perdita di quella capacità attrattiva che aveva caratterizzato l’Umbria fino alla metà del decennio scorso. Negli ultimi anni questo è diventato un territorio che non riesce più ad attirare la popolazione giovane dall’estero e da altre regioni, ma che presenta, anzi dei tassi crescenti in uscita di

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giovani umbri che hanno un alto tasso di preparazione scolastica. Su tutti questi aspetti abbiamo posto la situazione umbra a confronto con quella italiana e del gruppo di regioni europee simili e, nel rapporto in uscita, ci soffermeremo sui risultati emersi.

Per quanto riguarda l’andamento congiunturale, cercherò di delineare le linee di fondo, riservandomi di tornare più diffusamente in argomento, con l’illustrazione dei dati, il prossimo 25 giugno, insieme ai colleghi che hanno curato le analisi.

Vado per punti.

Il 2020 ha fatto segnare per l’economia dell’Umbria una caduta senza precedenti, che supera, per intensità, il crollo registrato nel biennio 2008-2009. Le esportazioni evidenziano un calo significativo, più pesante rispetto al Paese. Tutti i settori hanno fatto segnare una flessione delle vendite, tranne il chimico-farmaceutico, che è rimasto stazionario. L’edilizia ha interrotto quella fase di faticoso recupero che si era avviata nello scorso biennio. Comunque, di recente, il settore sembra aver riavviato un sentiero di crescita, grazie sia agli effetti dei provvedimenti di snellimento burocratico per la ricostruzione post terremoto, sia al rafforzamento degli incentivi fiscali. Tuttavia, anche in Umbria, l’impulso che potrebbe arrivare, ad esempio, dal Superbonus è stato finora frenato dagli onerosi adempimenti burocratici richiesti.

Nel settore terziario, la crisi dei consumi ha colpito in misura severa il turismo e il commercio al dettaglio non alimentare. Le perdite dei flussi turistici accumulate nei mesi di chiusura delle strutture ricettive sono state in parte, solo in parte, compensate dall’impennata di visitatori italiani della scorsa estate. Nel complesso del 2020, i flussi si sono dimezzati; comunque il recupero avvenuto in estate testimonia che la regione può rappresentare una meta d’elezione per un nuovo tipo di vacanza e di turismo, che va attratto e va attirato con adeguate campagne di promozione, con la sinergia di tutti gli operatori pubblici e privati coinvolti.

I piani di investimento, che erano già deboli all’inizio del 2019, sono stati rivisti al ribasso da un’ampia porzione di aziende, in particolare nel settore dei servizi.

Nell’industria è prevalso un atteggiamento di attesa da parte delle aziende, che comunque sono pronte a far ripartire i piani una volta che il quadro generale diventerà più disteso.

Nel mercato del lavoro l’impatto della crisi sulle posizioni meno stabili è stato considerevole. La flessione, infatti, ha riguardato la parte più vulnerabile del sistema, ovvero i servizi, le donne e i giovani. Tra questi ultimi, in particolare, vi è un preoccupante incremento di coloro che non sono impegnati in attività di studio e di lavoro. I Neet, infatti, nel 2020 sono saliti a 35 mila, +25% rispetto al 2019. Sempre riguardo ai giovani, nel nostro rapporto ci sarà un focus sul livello di preparazione degli studenti diplomati, da cui emerge come una quota elevata di studenti che escono dalle scuole superiori abbia competenze inadeguate.

Sul fronte del credito, dalla metà del 2020 si è arrestata la contrazione dei prestiti alle imprese, che aveva caratterizzato i due anni precedenti. Infatti, i finanziamenti con garanzia pubblica hanno determinato una ripresa della richiesta di prestiti, soprattutto da parte delle piccole imprese. A fronte di tale fenomeno, si è associato un

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incremento delle disponibilità liquide. Infatti, l’accentuato livello di incertezza sulle prospettive ha indotto le imprese a mantenere sotto forma di depositi una buona parte delle risorse ottenute. Il flusso dei nuovi crediti deteriorati è rimasto molto basso per gli effetti dei provvedimenti di sostegno delle Autorità governative di vigilanza, ma presumibilmente la qualità del credito conoscerà un peggioramento nel prossimo futuro, quando si manifesteranno appieno gli effetti della crisi in atto sul sistema produttivo. Per gli accantonamenti operati di recente dalle banche, i primi dati del 2021 sembrano andare già in questa direzione.

Nel capitolo della finanza pubblica del nostro rapporto verrà dedicato un ampio spazio al tema della Sanità, che è stato un tema centrale, ovviamente, durante la l’emergenza. Anticipo che organizzeremo nel prossimo mese di settembre una specifica iniziativa, insieme alla Scuola umbra di Pubblica Amministrazione, per un focus proprio su aspetti di finanza pubblica, di interesse degli enti pubblici territoriali.

Circa le prospettive dell’economia regionale, lo scenario più recente induce comunque a un cauto ottimismo. L’economia umbra, come quella italiana, infatti, ha dimostrato di avere significative capacità di recupero, con segnali di ripresa più robusta nel 2021. Come è stato sottolineato in più occasioni, anche dalla Banca d’Italia, questo dimostra il carattere sano del tessuto produttivo. Gli imprenditori, soprattutto quelli che operano nella manifattura, sono persuasi che, nel momento in cui si riuscirà a segnare una svolta nel controllo dei contagi, la ripartenza sarà più vigorosa rispetto ai segnali attuali. Gli indici di fiducia delle imprese sono migliorati, anche se permangono diversi fattori di incertezza. Di recente, ad esempio, si è assistito in diversi comparti all’impennata del costo delle materie prime, dovuta a diversi fattori, tra cui uno squilibrio tra la domanda e l’offerta, oltre che a fenomeni speculativi.

Un elemento di preoccupazione è rappresentato dal possibile aggravarsi del divario tra le imprese umbre, perché le aziende che avevano saputo, già nel recente passato, innovare e irrobustirsi patrimonialmente, managerialmente e agganciare la ripresa sembrano pronte a un rimbalzo rapido, anche foriero di ulteriori acquisizioni di quote di mercato. Invece, la parte più debole e meno strutturata del sistema produttivo, che purtroppo in Umbria è di gran lunga prevalente, ancorata anche a produzioni e tecnologie tradizionali, potrebbe subire ripercussioni molto pesanti dall’attuale crisi.

Questi timori sono destinati a diventare realtà, qualora la sopravvivenza di queste imprese fosse legata solo a misure governative di supporto alla liquidità e non sarà accompagnata da un processo di irrobustimento patrimoniale e di riallocazione delle risorse verso attività e produzioni che offrano maggiori margini reddituali e migliori opportunità di crescita.

Mi avvio alle conclusioni. L’Umbria è una regione da troppo tempo immersa in una crisi dalla quale, anche prima della pandemia, faceva fatica a tirarsi fuori. Le debolezze strutturali di cui ho parlato sono analoghe a quelle dell’Italia, anche se più accentuate. Le misure di politica economica adottate dal Governo hanno permesso di contenere le ripercussioni della pandemia sulle famiglie e sul sistema produttivo; ma, come ha detto il Governatore recentissimamente, con l’attenuarsi dell’incertezza,

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l’intervento pubblico dovrà diventare più selettivo, concentrandosi sui settori con difficoltà legati esclusivamente alla crisi sanitaria e cercando di evitare di sussidiare imprese prive di prospettive, pur garantendo il sostegno all’occupazione.

Il programma Next Generation EU, che è la principale risposta dell’Unione europea alla crisi pandemica, offre la possibilità, l’opportunità, di migliorare il funzionamento dell’apparato pubblico, stimolare l’iniziativa privata, modernizzare l’economia. Dal successo delle riforme e degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che dà attuazione al programma del Next Generation EU nel nostro Paese, dipenderanno le opportunità che l’Italia potrà offrire alle nuove generazioni, che coinvolgono tutti i livelli di governo territoriale.

Senza soffermarmi sui contenuti del PNRR, cito nuovamente un passo delle considerazioni finali: “Al di là delle diverse visioni sul suo ruolo di Stato, Regioni ed Enti locali nel dare corso agli interventi, bisogna trovare soluzioni valide per assicurare che questi siano efficaci. Vanno tenuti sotto osservazione costante progettazione, esecuzione e risultati, definendo precise responsabilità di intervento per ovviare a insufficienze e ritardi, evitando così di ripetere gli errori del passato, quando le risorse disponibili non hanno sempre trovato pieno e adeguato utilizzo”.

Il Governatore mette inoltre in evidenza che un piano efficacemente eseguito potrebbe elevare la crescita potenziale annua di quasi un punto percentuale nella media del prossimo decennio, consentendo quindi di tornare a un tasso di incremento del prodotto non conseguito da anni. Perché il Paese – e quindi anche l’Umbria – imbocchi nuovamente il sentiero della crescita occorre, oltre ovviamente al controllo dei contagi e al proseguimento dei ritmi di vaccinazione, uno sforzo collettivo, volto ad assicurare agli interventi del PNRR concretezza, velocità di esecuzione, efficacia e trasparenza. A questo sforzo tutti sono chiamati a partecipare con convinzione, impegnandosi a risolvere le fragilità che frenano la crescita.

Io però voglio soffermarmi, tra i tanti, su alcuni aspetti strettamente interconnessi. Il primo: occorre creare un contesto favorevole all’attività di impresa, con buone regole, servizi pubblici efficienti e di qualità, una giustizia più veloce, un’azione dello Stato complementare, non contrapposta a quella delle imprese, come dice il Governatore.

Le imprese, a loro volta, devono, nel loro stesso interesse, rafforzarsi sul piano dimensionale, patrimoniale e manageriale e devono effettuare investimenti in formazione interna, per elevare le competenze anche nell’uso delle nuove tecnologie.

Ciò consentirebbe di innalzare la domanda di lavoro qualificato, offrendo quindi opportunità ai giovani che più credono nella loro formazione, trattenendoli sul territorio o attirandoli sul territorio.

È necessario anche un innalzamento della qualità dell’istruzione, ma le famiglie e gli studenti devono a loro volta comprendere l’importanza di investire in conoscenza, indirizzandosi anche verso quei percorsi di studio che possano garantire soddisfacenti opportunità d’impiego e, nel contempo, consentire di colmare quelle richieste delle aziende di figure con competenze qualificate, che oggi hanno difficoltà a reperire. La Banca d’Italia ha ripetutamente sottolineato il ruolo fondamentale della

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formazione continua e della conoscenza per costruire una società più consapevole, inclusiva e competitiva.

Concludo con parole che non vogliono essere di ottimismo retorico. Siamo di fronte a un’occasione unica e decisiva per far ripartire il Paese e i suoi territori. Si tratta di una straordinaria sfida, ma la rotta è stata tracciata con chiarezza. Anche l’Umbria può tornare a essere attrattiva e competitiva, valorizzando i suoi punti di forza e le sue tante eccellenze e affrontando senza esitazione le sue debolezze. Solo con determinazione, unità d’intenti e consapevolezza da parte di tutti – Istituzioni, operatori economici, parti sociali e cittadini – la regione potrà uscire dalle secche, riprendere la via della crescita e imboccare veramente la strada per il futuro. Ne ha tutte le potenzialità.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Grazie, dottoressa.

Adesso abbiamo il secondo intervento, del dottor Alessandro Valentini, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica: “Informazioni statistiche sull’emergenza sanitaria e la ripresa dell’Umbria: struttura delle imprese e resilienza alla crisi”.

Dottor Valentini, è collegato?

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Buongiorno. Sì, ci sono.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

A lei la parola.

“Informazioni statistiche sull’emergenza sanitaria e la ripresa nell’Umbria:

struttura delle imprese e resilienza alla crisi”.

(cfr. Allegato n. 1)

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Grazie, Presidente. Ringrazio in particolar modo per l’invito, ma ringrazio ancora di più per l’attenzione che state mettendo ai dati statistici, in particolar modo ai dati statistici ufficiali che guidano quelle che, poi, devono essere le scelte della politica.

Ho preparato una breve presentazione. Provo a condividerla. Non so se si vede.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

No.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Avevo chiesto aiuto all’assistenza, prima.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Dei nostri Uffici?

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Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Sì. Non si vede niente.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

No.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Riprovo. Altrimenti vado a braccio, ovviamente.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Mi dicono che è un’operazione che deve fare lei, sul suo computer, perché i nostri tecnici non possono aiutarla.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Va bene. Inizio così, intanto. Poi vediamo.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Va bene.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

La mia presentazione si struttura su due parti. Una prima parte riguarda qualche flash sulla struttura imprenditoriale dell’Umbria prima della pandemia; è una fotografia che ci è utile per capire, poi, nella seconda parte, la situazione e la prospettiva delle imprese umbre, proprio con riferimento all’emergenza sanitaria, per dare alla fine un quadro sintetico sul rischio d’impresa.

Forse si sta vedendo qualcosa. Ancora no. Va bene.

L’analisi riguarda le imprese con tre e più addetti operanti nei settori dell’industria e dei servizi. Cercherò di focalizzarmi sull’Umbria, facendo, però, anche qualche confronto con alcune delle regioni vicinali: la Toscana, le Marche e l’Abruzzo, tralasciando il Lazio.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Noi iniziamo a vedere. Può ampliare lo schermo? Ci compare lo schermo più piccolo.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Ora dovreste vedere tutto.

Marco SQUARTA, Presidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Adesso sì. Prego.

Alessandro VALENTINI, Dirigente regionale Istituto nazionale di statistica – ISTAT.

Bene, grazie. Mi scuso per l’attesa. Inizio subito con l’aspetto relativo alla fotografia delle imprese prima della pandemia.

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Prima della pandemia, l’ultima fotografia è stata scattata con riferimento al censimento permanente delle unità economiche del 2018, che ha visto in Umbria circa 17 mila imprese, per 166 mila addetti; una variazione negativa rispetto al 2011 di circa l’8%. È una variazione abbastanza alta, significativa, che non si riscontra nelle regioni vicinali, se non in parte in Umbria.

Quali sono stati i settori che hanno trainato questa riduzione? I settori delle attività manifatturiere, in particolar modo delle costruzioni. In controtendenza, quindi in crescita, le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, anche se con una dinamica più bassa rispetto al dato nazionale.

Qualche informazione di tipo strutturale sulle imprese: la struttura dimensionale dell’Umbria è caratterizzata da imprese prevalentemente medio-piccole, quelle fino a 9 addetti, che sono l’82%. Ci sono invece soltanto 21 imprese con oltre 500 addetti, le quali però occupano il 13,3% degli addetti; è una struttura abbastanza concentrata, che ritroviamo in Toscana e, in parte, in Abruzzo.

Qualche dato sulla gestione delle imprese: le imprese a gestione familiare, in Umbria, prevedono che per oltre il 75% dei casi la gestione venga fatta dall’imprenditore stesso o da un socio, mentre il ricorso a un manager esterno vale per una percentuale inferiore rispetto al 5%. Quindi c’è una conduzione prevalentemente di ordine familiare.

Qualche dato, poi, sugli aspetti relativi agli obiettivi strategici delle imprese prima del Covid. Prima del Covid, le imprese si sono orientate verso un incremento dell’attività lavorativa in Italia, verso la difesa della propria posizione competitiva, tralasciando invece, in Umbria, l’aspetto relativo alla crescita dell’attività sui mercati esteri. Questo lo si vede anche con riferimento alle traiettorie di sviluppo degli investimenti. Dove hanno investito le imprese umbre, negli anni immediatamente precedenti la pandemia? Hanno investito prevalentemente nel capitale umano e formazione, nella tecnologia e digitalizzazione. C’è un po’ di ritardo delle imprese umbre rispetto alle altre regioni in due ambiti, che invece risultano essere fondamentali, anche alla luce di quanto hanno detto precedentemente il Presidente e la dottoressa Sartini, ovverosia: la ricerca e sviluppo e l’internalizzazione, dove, lo ripeto, le imprese umbre hanno investito di meno rispetto alle imprese di altre regioni vicinali.

Quali ostacoli hanno trovato le imprese dell’Umbria relativamente alla gestione delle risorse umane? Ce ne sono sostanzialmente di due tipi: costo del lavoro considerato troppo elevato e, specificamente per l’Umbria, un’incertezza sulla sostenibilità futura dei costi delle nuove risorse.

Questo quadro complicato delle imprese umbre prima della pandemia lascia spazio, poi, allo shock esogeno derivante dalla pandemia. Pandemia che, iniziata a febbraio dell’anno scorso, a ondate successive, come sappiamo bene, ha in questo momento colpito 4.235.000 italiani, circa il 7%. L’Umbria è stata toccata un po’ meno dalla pandemia, specialmente nella prima fase, ma complessivamente il 6,5% della popolazione è stato contagiato.

In questo contesto della fase pandemica, l’Istat ha continuato, nelle varie ondate, a produrre informazione statistica per il Paese. Mi ha fatto molto piacere che il

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Presidente, nella sua relazione introduttiva, abbia citato i risultati di una delle nostre indagini proprio sulla situazione relativa alle famiglie nella fase pandemica. Sono continuate anche le indagini sulle imprese e ora vado a fornirvi informazioni su un’indagine specifica, relativamente al comportamento delle imprese a seguito della pandemia da Covid. Sono state fatte due successive ondate di rilevazione, una prima edizione a maggio del 2020, quindi in fase d’uscita dalla prima ondata, e una seconda edizione tra ottobre e novembre dell’anno scorso, al rientro nella seconda ondata.

Abbiamo ottenuto tutta una serie di elementi conoscitivi, che risultano essere, a mio avviso, molto importanti per capire il posizionamento strategico delle imprese dell’Umbria e le problematiche che le stesse hanno riscontrato e stanno riscontrando ora per l’uscita dalla crisi.

Ovviamente, l’effetto della pandemia è legato alla specializzazione nei vari settori produttivi. L’Umbria ha una specializzazione forte nel settore tessile, di forte intensità sono i coefficienti di localizzazione, e una specializzazione media nel commercio e ristorazione. È meno specializzata nel turismo e nelle attività culturali, ma anche questi settori fortemente colpiti dalla pandemia, ovviamente, hanno avuto per l’Umbria, così come per le altre regioni, delle ripercussioni importanti.

Prima informazione derivante dalla pandemia: qual è stata la variazione del fatturato delle imprese rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente? Nella prima fase pandemica (lo trovate indicato con i quadratini), c’è stato da parte di circa la metà delle imprese il dimezzamento del fatturato rispetto all’anno precedente. Questo vale per l’Umbria così come per tutte le altre regioni. Nella seconda fase della pandemia, invece, le imprese hanno reagito, sono state resilienti rispetto alla crisi, tant’è che, per esempio, in Umbria, circa tre imprese su dieci sono riuscite a mantenere fermo il proprio fatturato, nonostante la pandemia, o addirittura ad accrescerlo.

Ciò nonostante, le previsioni circa la dinamica e la variazione del fatturato chieste alle imprese proprio nella seconda fase della pandemia sono previsioni negative, poco rosee. Il 19 per cento delle imprese umbre sostiene che il fatturato sarebbe diminuito di più del 50 per cento; il 16 per cento, che questo sarebbe rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. Quindi, le previsioni sono molto prudenziali, se non di ordine pessimistico.

Qual è stato l’impatto economico della pandemia sulle misure sanitarie adottate da parte delle imprese? Le misure sanitarie che hanno consentito a molte delle imprese di rimanere operative hanno avuto un costo; un costo considerato molto rilevante, in particolar modo per la sanificazione degli ambienti di lavoro, da parte del 60-70 per cento delle imprese dell’Umbria, così come delle altre regioni. Non sono state ritenute adottabili o adottate altre misure sanitarie, come per esempio l’esenzione dalla presenza, e il 40 per cento delle imprese non ha effettuato tamponi o test sierologici per i propri dipendenti, o quanto meno li ha considerati come rilevanti dal punto di vista economico.

La gestione del personale è stata uno dei punti critici durante la fase della pandemia.

Le misure di gestione hanno riguardato per quasi la metà delle imprese l’utilizzo della cassa integrazione guadagni. Si è fatto ricorso in maniera massiccia da parte di

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circa un quarto delle imprese anche alle ferie obbligatorie, mentre molto meno marcato è stato il ricorso allo smart working, che ha riguardato meno del 10 per cento delle imprese dell’Umbria. È stato richiesto alle imprese quali fossero gli effetti del lavoro a distanza: qui il giudizio è un po’ controverso. C’è una serie di valutazioni di ordine positivo per quanto riguarda il benessere del personale, che poi è uno degli asset fondamentali per lo sviluppo; un aspetto positivo relativamente all’adozione di nuove tecnologie, ma nel contempo le persone fanno delle valutazioni negative circa la produttività e l’efficienza gestionale dei processi. Quindi c’è una valutazione un po’

ambigua, relativamente all’impiego dello smart working nelle imprese private.

L’impulso alla digitalizzazione da parte dello smart working e, più in generale, da parte della fase pandemica è stato un impulso fortissimo in tutti i settori, sia i settori organizzativi interni che i settori della commercializzazione dei prodotti, che quelli relativi ai canali di vendita. È stato molto forte in Umbria, così come in tutte le altre regioni. Per esempio, l’impiego della videoconferenza riguardava soltanto il 10%

delle imprese in fase pre-pandemica, siamo arrivati al 35%; c’è stato un impulso fortissimo verso l’utilizzo di reti mobili e quant’altro.

Ma purtroppo la pandemia ha portato tutta una serie di criticità. In quali ambiti?

Intanto nell’ambito relativo alla vendita: la metà delle imprese umbre sostiene che ci sono criticità nelle vendite di prodotti, in particolar modo sui mercati interni; criticità, quindi, nella pianificazione delle proprie attività e criticità molto forti sull’aspetto finanziario, sulla liquidità e sui piani di finanziamento. Questo comporta una serie di rischi e fragilità per le imprese: i rischi si traducono in una riduzione della domanda per le imprese, relativamente alle conseguenze dell’emergenza sanitaria, una riduzione della domanda diretta, ma anche indiretta; una serie di rischi operativi di sostenibilità della situazione di criticità e poi, ancora, rimarco, seri problemi di liquidità lamentati da parte delle imprese.

Quali sono stati gli strumenti cui le imprese hanno fatto ricorso per far fronte alla complessa situazione finanziaria? Sostanzialmente, la strategia principale è stata quella di ricorrere alle attività liquide in bilancio, laddove possibile, ma anche quella di accendere nuovi debiti bancari. Questo ha riguardato circa il 40% delle imprese, compromettendo una situazione già complessa, per gli aspetti che abbiamo visto in precedenza.

Mi avvio verso la conclusione, andando a esaminare anche le strategie che l’impresa sta adottando, o ha adottato durante la pandemia, per cercare di gestire la situazione.

Cosa hanno fatto le imprese? Verso quali asset si sono spostate per cercare di fronteggiare l’emergenza? In primo luogo, sono andate verso la ricerca di nuove produzioni, in particolar modo nuove produzioni non connesse con l’emergenza sanitaria, che quindi avessero anche una permanenza più ampia, una strategia più ampia. Sono andate anche verso la modifica o l’ampliamento dei canali di vendita e verso la riorganizzazione di processi e spazi di lavoro. Purtroppo, però, non si può fare a meno di notare che circa il 40% delle imprese, in fase di pandemia, nonostante la crisi, non ha adottato nessuna strategia per far fronte a questa situazione.

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Gli investimenti hanno avuto una serie di ripercussioni di tipo negativo, tant’è che un quarto delle imprese ha sostenuto che ci sarebbe stata una variazione per più del 20%, e qui l’Umbria guida la graduatoria tra le regioni che abbiamo esaminato. Ciò nonostante, ci sono due punti a vantaggio dell’Umbria, laddove gli investimenti dell’Umbria in tecnologia e digitalizzazione e gli investimenti verso la responsabilità sociale e la sostenibilità ambientale sono più alti rispetto a quelli di altre regioni.

Questi sono punti importanti, in quanto risultano essere anche dei pilastri del già più volte citato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Quindi, nonostante la crisi, nonostante la riduzione degli investimenti, le imprese umbre sono state, da questo punto di vista, lungimiranti nell’indirizzare di più gli investimenti verso una serie di settori trainanti.

Prima di chiudere il mio intervento, un breve quadro sintetico che l’ISTAT ha effettuato relativamente ai profili di rischio delle regioni. Sono stati identificati quattro profili di rischio, dalle imprese ad alto rischio alle imprese a basso rischio, tenendo conto del comportamento delle imprese nella fase di emergenza sanitaria.

Quali sono le imprese ad alto rischio? Quelle che hanno avuto una riduzione di fatturato, non hanno mostrato nessun tipo di strategia e prevedono seri rischi operativi. Viceversa, le imprese a basso rischio sono quelle che non hanno avuto variazioni significative nel fatturato, hanno adottato qualche strategia e non prevedono rischi operativi. Ecco il risultato, riportato nel cartogramma di sinistra: in Umbria le imprese, mediamente, risultano avere un alto livello di rischio operativo, proprio perché molte delle imprese hanno lamentato una serie di problemi o, quanto meno, non hanno posto in essere strategie di resilienza.

La situazione non è omogenea sul territorio nazionale, ovviamente, tant’è che poi è stato elaborato dall’Istituto nazionale di statistica anche un indicatore di rischio di impresa per i vari sistemi locali del lavoro dell’Umbria e del resto d’Italia (lo trovate nel cartogramma sulla destra): in questo caso, c’è un indicatore che mostra alta fragilità per il distretto di Norcia e Cascia, mentre ci sono dei livelli di fragilità media per altri distretti, quelli di Orvieto, Narni, Amelia e Terni. Il resto della regione, sostanzialmente, presenta livelli di criticità più bassa.

Permettetemi, prima di restituire la parola al Presidente e di ringraziarlo ancora per lo spazio che ci ha dedicato, di esprimere qualche considerazione conclusiva sulla base dei dati che ho mostrato. Il sistema produttivo dell’Umbria affronta la pandemia già in una situazione di debolezza, di cui ci ha parlato ampiamente la dottoressa Sartini.

Questa debolezza riguarda specialmente le traiettorie di sviluppo, le incertezze sulla sostenibilità dei costi, sullo scarso impiego di risorse e quant’altro. È arrivata la pandemia, che ha impattato in maniera pervasiva su tutti i territori, ma ha impattato di meno laddove le regioni fossero già pronte ad affrontare la crisi, laddove ci fosse già una maggiore predisposizione verso l’internazionalizzazione e l’high-tech, cosa che ha riguardato un po’ meno l’Umbria. Ma in Umbria ci sono comunque degli elementi di positività importante, di cui bisogna tener conto, come, per esempio, l’attenzione alla transizione digitale, l’attenzione alla responsabilità sociale e alla

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sostenibilità ambientale; elementi importanti che immagino possano essere poi oggetto delle successive discussioni, nell’ambito della Conferenza di quest’oggi.

Grazie ancora per la vostra attenzione.

Paola FIORONI, Vicepresidente Assemblea legislativa Regione Umbria.

Grazie, dottor Valentini, per il suo intervento e il suo contributo. I dati sono fondamentali per i policy maker, per orientare le proprie scelte in un ambito di condivisione e di confronto con tutti i protagonisti del territorio.

Ora lascio la parola al dottor Alessandro Campi, Commissario straordinario dell’Agenzia Umbria Ricerche. Prego, dottor Campi.

“(Ri)pensare l’Umbria dopo la pandemia: vecchi problemi, nuove opportunità”.

Alessandro CAMPI, Commissario straordinario Agenzia Umbria Ricerche – AUR.

Grazie, Presidente. Buongiorno. Un saluto a tutte le persone collegate e un doppio e doveroso ringraziamento, innanzitutto, al Consiglio regionale, nella persona del suo Presidente, Marco Squarta, e dei due Vicepresidenti, Paola Fioroni e Simona Meloni, per aver organizzato e aver voluto all’unanimità, quindi con il concorso responsabile e convinto di tutte le forze politiche, questo appuntamento. Credo che, alla vigilia dell’inizio di un processo molto delicato, relativo all’implementazione e attuazione del PNRR nazionale, un confronto tra gli operatori economici sia particolarmente utile. C’è da sperare che appuntamenti di questo tipo vengano anche ripetuti con frequenza, nel prossimo futuro.

Il secondo ringraziamento riguarda, invece, l’opportunità che è stata offerta all’Agenzia Umbria Ricerche, che ho l’onore di rappresentare, di intervenire come relatore principale a questa Conferenza, subito dopo Banca d’Italia e Istat.

Gli effetti economico-sociali negativi che la pandemia ha prodotto in Umbria, in particolare nel corso del 2020, hanno confermato un trend discendente che durava in realtà dal 2008, come mostrano tutti gli indicatori statistici, compresi quelli che sono stati appena illustrati nelle due precedenti relazioni di Bankitalia e di Istat e quelli contenuti nell’ultimo rapporto AUR, di imminente pubblicazione, che abbiamo dedicato proprio ai drammatici contraccolpi prodotti dall’emergenza sanitaria su tutti i principali indicatori economici.

Il picco negativo fatto registrare dall’Umbria nel 2014 era stato, in effetti, seguito da un timido percorso di recupero, che aveva riportato il PIL regionale ai livelli già bassi in realtà del 1995. Ma la crisi sanitaria iniziata nel febbraio-marzo del 2020 ha annullato questo sforzo. Tutte le previsioni dicono, quindi, che il PIL dell’Umbria raggiungerà, alla fine del primo semestre di quest’anno, il livello probabilmente più basso dell’ultimo quarto di secolo, per quanto alcuni timidi segnali di ripresa, nell’imminenza della stagione estiva, cominciano in effetti a vedersi e anche se, alla luce di quello che abbiamo appena sentito da Banca d’Italia, rispetto ad alcune valutazioni catastrofiste, in realtà, la riduzione del PIL umbro è perfettamente in linea con quella del PIL nazionale.

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La crisi in corso presenta dunque per l’Umbria un carattere particolarmente grave, nella misura in cui uno shock esogeno globale si è drammaticamente sommato a difficoltà e ritardi strutturali di lungo periodo, che sono, come più volte ripetuto, specifici della nostra regione. Tale crisi ha investito la gran parte dei settori produttivi e l’intero mondo dei servizi e del terziario, specie quello più tradizionale, legato al turismo e alle attività commerciali; ambiti che erano stati invece relativamente risparmiati dalla crisi finanziaria del 2008. Al tempo stesso, tale crisi ha innescato cambiamenti talmente profondi e repentini negli stili di comportamento, nelle abitudini di consumo, nei modelli gestionali e organizzativi, dalla scuola alle aziende, da rendere difficilmente immaginabile, una volta terminata l’emergenza sanitaria, un ritorno alle tradizionali forme di vita sociale e ai modelli economico-produttivi del recente passato.

Basta guardare al ruolo sempre più decisivo e condizionante assunto dalla sfera tecnologica in ogni possibile ambito. La pandemia ha prodotto una spinta crescente a digitalizzare l’economia, in particolare le attività commerciali; ha cambiato in profondità il modo di lavorare, spezzando la classica distinzione tra sfera domestica e sfera produttivo-professionale; ha introdotto forzatamente nuove modalità di erogazione della didattica a tutti i livelli; ha inoltre impattato sull’organizzazione dei trasporti e della logistica; ha imposto anche una nuova visione degli spazi urbani e delle forme aggregative pubblico-collettive; ha fatto infine esplodere la sensibilità collettiva per i temi legati al cambiamento climatico e alla salvaguardia ambientale, da affrontare, nell’ottica cosiddetta della transizione ecologica, proprio attraverso l’uso innovativo delle risorse tecnologiche già oggi disponibili.

È nella prospettiva di queste profonde trasformazioni che l’Unione europea, con una scelta politicamente assai coraggiosa, ha varato nei mesi scorsi il grandioso programma di investimenti e riforme basato su sei grandi missioni strategiche, finalizzate in particolare ad accelerare la transizione ecologica e digitale, e dunque a modificare sostanzialmente l’attuale modello produttivo tardo-industrialista; a migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, e dunque a rendere meno traumatici i cambiamenti in corso nel mercato del lavoro; a conseguire infine una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale, il che significa provare a rimuovere i tre fattori che più di altri rappresentano fonti di squilibrio e diseguaglianza nelle società odierne.

All’interno di questo processo si tratta ovviamente di capire in che modo, con quali risorse e quali strumenti, e soprattutto con quali obiettivi e traguardi, l’Umbria può inserirsi, tenuto conto sia dei suoi peculiari fattori di debolezza, che caratterizzano ormai da troppo tempo il suo sistema socio-economico, sia delle sue obiettive e non sempre ben sfruttate potenzialità.

La Regione Umbria, come tutti sapete, ha presentato nelle settimane scorse un suo ambizioso e articolato documento, contenente le linee di intervento e i progetti operativi, alcuni dei quali di indubbio rilievo strategico, che si vorrebbero realizzare nell’ambito del Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa messo a punto dal Governo.

Ancora non si conosce, in realtà, quale ruolo nella realizzazione di questo Piano verrà

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assegnato alle Regioni e, in generale, al sistema delle Autonomie locali. Ne sapremo di più nei prossimi giorni.

Al momento sembra di capire che ci sarà una governance centralizzata, posta in capo alla Presidenza del Consiglio e alla cabina di regia da quest’ultima presieduta, con le Regioni che dovrebbero operare in prevalenza da soggetti attuatori dei progetti di loro più diretta competenza territoriale, dalla gestione dei bandi all’assegnazione dei lavori, dalla loro realizzazione alla rendicontazione finale. È fatta salva la possibilità per le Regioni di partecipare esse stesse ai bandi nazionali o di vedere inseriti alcuni dei loro progetti – pochi, ma altamente innovativi – all’interno delle linee strategiche operative previste dal Piano governativo.

Per l’Umbria, quale che sarà l’ammontare reale delle risorse che essa potrà gestire in forma diretta o indiretta, si tratta di un’occasione unica e al tempo stesso assai impegnativa. Non c’è solo da mettere a punto la macchina tecnico-organizzativa in grado di rispettare o far rispettare i tempi stringenti imposti dall’Europa; bisogna anche approfittare delle misure di sostegno comune previste dal Next Generation EU, che in prospettiva, come alcuni sostengono, potrebbero diventare strumenti finanziari stabili e tutt’altro che eccezionali, per capire quali siano i reali nodi strutturali che l’Umbria deve provare a sciogliere, dopo un decennio di lento e inesorabile declino, e quali siano, di conseguenza, i fattori di forza sui quali invece puntare e il nuovo modello di crescita e sviluppo che si intende costruire, già a partire dai prossimi mesi e anni.

Ed è proprio su questo sovrapporsi o affiancarsi di sfide e opportunità, di problemi di lungo periodo e di ricerca di soluzioni innovative che vorremmo, soffermarci brevemente, non senza aver prima però richiamato l’attenzione su una questione che avrà un peso decisivo, come appena accennato, per il lavoro che le Regioni saranno chiamate a realizzare nell’ambito del PNRR nazionale. Ci riferiamo in particolare alla questione dei tempi effettivi di completamento delle opere pubbliche. Il fatto che da qui ai prossimi cinque anni l’Italia e l’Umbria saranno impegnate nella realizzazione di un complesso insieme di opere infrastrutturali, sottoposte a precisi vincoli, sia amministrativi, sia in particolare temporali, pone infatti il problema, che in realtà non riguarda soltanto l’Umbria, di come attrezzarsi affinché l’ingente mole di fondi destinati a investimenti pubblici possa essere effettivamente impegnata, spesa e rendicontata secondo le scadenze già fissate. L’esistenza su questo versante di eventuali criticità impone che esse vengano immediatamente affrontate e superate.

Come Agenzia Umbria Ricerche – e di questo ringrazio i nostri due ricercatori senior, Mauro Casavecchia ed Elisabetta Tondini – abbiamo dunque realizzato uno studio, che proprio questa mattina abbiamo recapitato alla Presidente Tesei e che presto sarà nella disponibilità dell’opinione pubblica, per stimare l’andamento storico della spesa in opere pubbliche in Umbria e per calcolare, quindi, i tempi medi di realizzazione di tali opere, tenendo conto, per cominciare, che si tratta di una spesa, nel caso dell’Umbria, molto polverizzata.

Solo nell’ultimo triennio è stato gestito mediamente un ammontare complessivo annuo di 710 milioni di euro, attraverso circa 2.600 procedure di gara. È una spesa

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caratterizzata, altresì, in prevalenza da bassi importi. Oltre tre gare su cinque si riferiscono a cifre non superiori ai 50 mila euro e nove su dieci stanno sotto la soglia del mezzo milione di euro, sempre con riferimento all’ultimo triennio.

Quello che si evince dallo studio, che in questo contesto mi limito a riassumere a grandi linee, è che in Umbria la durata che intercorre tra l’inizio e la fine della realizzazione di un’opera infrastrutturale è mediamente pari a 4,2 anni. Il dato nazionale è di 4,4. Tale durata presenta un’ampia variabilità, che dipende soprattutto dalle classi di costo. Si va da 2 anni e 7 mesi per le opere con un valore unitario inferiore ai 100 mila euro, sino a raggiungere un tempo di quasi 14 anni per progetti tra i 20 e i 50 milioni di euro. I tempi medi inferiori registrati per importi che oltrepassano i 50 milioni nel caso dell’Umbria sono scarsamente indicativi, vista l’esiguità dei casi che ci riguardano. In generale, la regione tende ad allinearsi ai tempi medi nazionali per le opere di piccola taglia, mentre per i progetti al di sopra di 500 mila euro presenta delle performance leggermente peggiori.

Dai dati, entrando ancora più nello specifico, si evince altresì che, riguardo alle tre fasi in cui tradizionalmente si sviluppa un’opera pubblica (la progettazione, l’affidamento e l’esecuzione dei lavori), la prima ‒ la progettazione ‒ presenta in Umbria durate medie variabili tra 1,5 e 7,7 anni; la fase di aggiudicazione dei lavori oscilla tra 6 e 20 mesi circa; la realizzazione dei lavori varia da 7 mesi a quasi 7 anni.

Si è, poi, operato un confronto territoriale con le altre regioni italiane, in chiave comparativa, cercando di calcolare quelle che vengono definite tecnicamente le

“durate temporali nette”, che sono tali in quanto indipendenti dalle caratteristiche delle opere e influenzate soltanto da fattori strettamente legati al territorio: le condizioni socioeconomiche, le capacità amministrative, le condizioni orografiche, climatiche eccetera. L’esito di tale operazione di confronto colloca l’Umbria complessivamente in una posizione mediana. Questo credo sia un dato interessante e importante. Il tempo netto medio per l’Umbria, in questo caso, oscilla su un valore di 4,3, molto vicino alla media nazionale di 4,4.

Osservando, poi, le singole fasi, l’Umbria risulta la regione più veloce nella progettazione. Scende, ahimè, tra le posizioni di coda nella realizzazione delle opere.

Diventa terzultima considerando, invece, l’affidamento dei lavori; anche se quest’ultima, pur essendo la performance peggiore, è anche quella che, come si sa, incide di meno nell’intero percorso di attuazione di un’opera.

C’è da aggiungere una cosa molto importante: una cosa è la realizzazione dell’opera, altra cosa è la realizzazione della spesa. Sapete bene che ci sono vincoli temporali molto stringenti imposti dal Next Generation EU, che includono, in realtà, anche la chiusura finanziaria delle opere previste e finanziate. Per ricevere i fondi europei, è dunque necessario aver completato non solo i lavori, ma anche le procedure di rendicontazione, il cui perfezionamento, per definizione, è sempre successivo alla chiusura dei cantieri. Il tempo che intercorre tra la fine dei lavori e la chiusura finanziaria dell’opera è mediamente un anno, in Umbria come in Italia, ma anch’esso è sensibile al valore economico dell’opera. Quindi, si va da un minimo di 10 mesi per

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