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Adempimento e sveltimento dei processi

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Academic year: 2022

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Adempimento e sveltimento dei processi

La riforma del Codice di Procedura Civile, l’insediamento del Giudice di Pace e l’attribuzione al suo ufficio delle cause di risarcimento danni da incidenti stradali che sono la maggior parte del valore fino a £. 30.000.000, non sembrano aver portato finora un sensibile accorciamento ai tempi della giustizia.

Il Pretore di Milano, qualche tempo fa, ha fissato l’udienza per la comparazione delle parti ad un anno di distanza; un Giudice Istruttore ha rinviato le parti avanti il Tribunale per la discussione della causa ormai completamente istruita al marzo del 2000.

L’elaborazione e la diffusione di criteri per la liquidazione della principale appostazione di danno alla persona, il danno biologico, che insieme al danno morale è dalla legge lasciata al libero apprezzamento del giudice, non raggiungeranno lo scopo fino a quando la loro disattenzione non verrà in qualche modo sanzionata.

Mi riferisco alla necessità che la materia del contendere cessi e le cause vengano abbandonate quando il Giudice Istruttore abbia pronunciato l’ordinanza prevista dall’art. 186 quater o quando il responsabile abbia dato compiuto adempimento alla sua obbligazione.

Per indurre le parti all’abbandono e per arrivare in tal modo ad alleggerire i ruoli, serve stabilire l’ottica con la quale il giudicante organo collegiale o monocratico dovrà valutare la congruità del risarcimento attribuito dall’istruttore con la ordinanza o corrisposto spontaneamente del debitore;

non dovrà essere quella di restare nel solco dei criteri che sta applicando nel giorno in cui decide, magari al di fuori delle regole generalmente adottate, ma piuttosto quella più elaborata ma più proficua di riportarsi al momento in cui è stata pronunciata l’ordinanza o è stato spontaneamente eseguito il pagamento, per giudicare con il metro degli schemi allora ritenuti di prevalente applicazione.

Con il primo metodo sarà gratificato il creditore che, confidando nella mutazione delle regole o nella trasgressione di quelle in uso, conta sul tempo e sui lunghi rinvii, gravando in tal odo con il suo intento speculativo sulla gestione e sui costi dell’amministrazione; con il secondo sarà invece compensato ed incoraggiato il debitore diligente che, non appena ha potuto avere nozione dell’ammontare della sua obbligazione, ha dato alla stessa compiuto adempimento, ovviamente nei limiti del danno previsto e prevedibile.

A questo proposito soccorre l’art. 1225, che, al pari dell’art. 1224 non è richiamato dall’art.

2056, ma che analogamente va preso in considerazione dalla giurisprudenza, oltre che per gli scopi che ci stiamo prefiggendo, perché espressione di un principio generale dell’ordinamento, che prescinde dalla differenza tra i due tipi di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale.

Nel Commentario del Codice Civile diretto da Piero Schlesinger (Giuffrè, 1987, art. 1218, pag.

36) si argomenta che il mancato richiamo dell’art. 1225 nella sede dell’illecito non è necessariamente l’effetto di una consapevole scelta legislativa, atteso che il mancato richiamo legislativo di altri principi in tema di responsabilità nell’uno o nell’altro settore non ha sempre funzionato da deterrente per la giurisprudenza quando questa ha ravvisato una identità di ratio e, quindi, la mancanza di giustificazione di un differente disciplina.

E’ significativo, in tal senso, l’indirizzo giurisprudenziale che applica l’art. 2236 CC anche alla responsabilità professionale extracontrattuale (cfr., per tutte, Sez. Unite 6 maggio 1971, n. 1282, in Giur. it. 1971, I, 1, 1396), ancorché non richiamato nel titolo relativo ai fatti illeciti.

Già nel Commentario del Codice Civile a cura di Antonio Scialoja e Giuseppe Branca (Zanichelli-Foro Italiano, 1971, XX, 119) Adriano De Cupis a proposito del mancato richiamo

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dell’art. 1225 da parte dell’art. 2056, dopo aver rivelato come sia inoppugnabile che esiste una correlazione tra la gravità della colpa e l’entità del danno risarcibile e che tanto la coscienza comune quanto il giudice siano portati istintivamente a considerare con maggior severità i danni causati con dolo che non quelli causati da semplice colpa, argomenta che “l’art. 1225 appare sorretto da ragioni di logica giuridica e di equità” per chiedersi “ed allora, ciò dato, come si giustifica che la correlazione tra colpa e quantità del danno risarcibile, accolta dalla responsabilità contrattuale, sia esclusa dalla responsabilità extracontrattuale?”

La risposta che il commentatore si dà è nel senso che al momento dell’insorgenza dell’obbligazione nell’illecito le previsioni del danno sono imprecise, per pervenire, attraverso la critica dell’ostacolo, all’auspicio che la correlazione sia determinata con un diverso e più congruo, adottato il quale, “la non estensione di essa ai fatti illeciti sarebbe veramente priva di seria giustificazione”.

Per l’applicazione dell’art. 1225 anche all’illecito è il Bianca (Stesso Commentario, 1979, libro IV, 380) il quale, a proposito dell’articolo di legge commentato, osserva che nella formula del codice civile abrogato la prevedibilità del danno era riferita al “tempo del contratto” (art. 1228); la norma in esame fa invece riferimento al danno che poteva prevedersi “nel tempo in cui è sorta l’obbligazione”. La modificazione del dettato è stata giustificata dall’esigenza di tenere conto anche delle obbligazioni che non hanno la fonte del contratto.

L’interesse preminente della nuova formula consiste tuttavia nel fatto che essa non esclude un’interpretazione del momento della prevedibilità del danno.

L’interpretazione comune è quella che induce il tempo della prevedibilità del danno al tempo in cui ha inizio il rapporto obbligatorio. Questa proposizione ripropone in realtà inconsapevolmente una regione originaria della norma che non è più sussistente, in quanto sono mutate le sue giustificazioni.

“Rimane allora l’incongruità di una interpretazione che ha perduto l’originaria giustificazione e che deve essere adeguata ad un sistematico fondamento della norma”.

Anche secondo la Visentini (nel Commentario Giuffrè cit. pag. 37) “La nuova dizione consente più agevolmente di estendere la regola anche nell’area extracontrattuale, oltre che nell’area degli inadempimenti ad obbligazioni ex legge, perché cancella la traccia dell’originaria formulazione della teoria della imprevedibilità del danno, che, al suo sorgere, era stata elaborata con riguardo alle sole obbligazioni di garanzia nella vendita, e poi, estesa con il codice civile (art. 1150) alle obbligazioni convenzionali in genere”.

Per la dottrina più autorevole dunque la responsabilità aggravata ex art. 1225 per i danni imprevedibili trovava la sua giustificazione in una condotta del debitore particolarmente grave, una condotta tale da integrare un illecito doloso, tale da influire sul rapporto obbligatorio.

Senza la configurabilità del dolo, non vi è ragione di estendere l’obbligazione ai danni non prevedibili.

Dolo e colpa interverrebbero dunque come scriminante per differenziare l’intensità dell’obbligazione, comportando, quando ricorra il primo, un rafforzamento del risarcimento del danno.

“Tutto ciò serve a dire che ricorrono ragioni penetranti che possono suggerire l’estensione della disciplina dettata dall’art. 1225 anche all’area extracontrattuale” (Visentini, op. cit., 38).

Alla luce di quanto sopra e dai sia pur scarsi precedenti giurisprudenziali (App. Firenze 21 febbraio 1972 in Giur. Tosc. 1962, 138), nonché della insoddisfazione dimostrata dalla dottrina (Barbero, Sistema del Diritto Privato Italiano, II, n. 632, 68) “emerge la necessità di riferire il preventivo apprezzamento del debitore ad un momento che sia tendenzialmente coincidente con

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quello in cui al debitore si pone la scelta tra esatto adempimento e inadempimento” (Bianca, ivi, 381).

Il momento nel quale possa essere circoscritta la responsabilità ai soli danni prevedibili dal debitore, può essere correttamente stabilito in quello in cui sorge come attuale l’obbligo della prestazione.

Recepito tra le norme che regolano le obbligazioni da fatto illecito l’art. 1225, come già è stato fatto per gli artt. 1224 2236 o semplicemente precedendo l’azione di presenza della norma e le considerazioni che essa comporta, il momento della prevedibilità nel fatto illecito può essere quello del compiuto accertamento in sede giudiziaria o extragiudiziaria delle conseguenze dannose, cosicché l’obbligazione del debitore resta fissata entro i limiti della nozione del danno che si possa avere in quel momento.

Il debitore che abbia prontamente corrisposto il risarcimento nel momento stesso in cui il suo ammontare sia stato determinabile, dev’essere approvato nel suo proponimento con sentenze che giudichino positivamente il suo operato, sollevandolo da ogni ulteriore esborso o spesa e con implicito incoraggiamento ad operare in quella direzione.

Per contro, il creditore che non si acquieta alla liquidazione attuata dal Giudice Istruttore con l’ordinanza prevista dall’art. 186 quater cpc o al pagamento spontaneamente eseguito dal debitore usando i criteri comunemente praticati all’epoca dalla totalità o dalla maggior parte dei giudici, non va premiato con il favore delle spese o magari anche con adozione di criteri inusitati o sopravvenuti.

Soltanto queste certezze e la consapevolezza che la coltivazione di una vertenza nella quale, con ragionevole previsione, ogni ragione di contendere è cessata, tale consapevolezza può contribuire a ridurre il contenzioso e ad accelerare i empi della giustizia.

Avv. Carlo Bretzel

Tagete n. 1-1997 Ed. Acomep

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