FRATERNITÀ IL PENSIERO DI CRISTO
*Presentazione di Giacomo B. Contri
Ai miei figli
Abbiate in voi quel pensare che è anche in Cristo Gesù:
lui che, avendo iniziato in forma di Dio, non ha trattato l’essere uguale a Dio come una proprietà privata da riservare solo a sé come un avaro.
Touto fronéite en umìn o kài ev Kristò Iesoù:
òs en morfè zeoù upàrkon ouk arpagmòn eghésato tò èinai ìsa zeò Filippesi 2, 5-6
* Pubblicato sul sito www.fraternita-pensierodicristo.com
Gia como B . C ontri – I l Pen sie ro d i Cristo
Sommario
1. Notizia ... 4
2. Inizi ... 6
3. Dedica ... 7
4. Autorità... 8
5. Cristo il moderno ... 9
6. Ragione... 10
7. Resurrezione. Fede ... 11
8. Io. Ebreo ... 13
9. Non Greco ... 15
10. Salus-salvezza-salute psichica di Cristo. Soddisfazione e iniziativa ... 17
11. Il Cristuccio dipinto dantesco e il Supercristo michelangiolesco... 18
12. Docetismo. Utopia ... 20
13. Salute aut essere/istinto ... 21
14. I sessi nel pensiero di Cristo ... 24
15. Innocenza ... 30
16. Fede e religione ... 31
17. La salute di Cristo. Cristo il moderno ... 32
18. Chi! è. In principio erat/aut il tamburo di san Paolo ... 35
19. Padre ... 37
20. Modo di produzione ... 38 21. Serie di note ancora più sparse ... 38 22. In piazza ... 41 23. Esempio di lemmario del pensiero di Cristo: salute, amore, mistero, pensiero, causa, patologia, peccato, essenza... ... 42 24. Pensiero e battesimo ... 46 25. Il talento di Cristo: il pensiero cattolico ... 47 26. Sovranità del pensiero di Cristo. Un pensiero giuridico non ontologico 49 27. “Amore” ... 51 28. Chiusa. Il pensiero del Padre: generare non creare. Uomo-donna: riuscita o fallimento di Dio ... 53 29. Poscritto. Risposta a una medesima obiezione proveniente da parti opposte ... 56
1. Notizia
In questo 4 novembre 2001, a sessant‟anni, e dopo avere provato di tutto, do notizia di questa iniziativa che ho preso: una Fraternità, denominata “Il pensiero di Cristo”.
Dopo di ciò, e il pensiero di natura che coltivo da anni, non ho più niente da fare benché sì da lavorare. Penso alle parole “Ora lascia che parta…”
Sulla vita futura di questa iniziativa non ho potere, programma, fantasie. Ci vuol altro. Idem quanto al sapere.
So solo che il pensiero di Cristo è quasi disertato, benché sia un bene già in nostro possesso, come un capitale: infatti la frase di Paolo –
“Abbiamo il pensiero di Cristo” – è una costatazione, non un‟esortazione.
Dalla coltivazione di questo pensiero non mi aspetto studi, ma effetti quanto a sostanza di rapporti: ecco la ragione di una Fraternità.
Di questa pietra scartata, il pensiero di Cristo, mi preme stabilire un punto di memoria. Se Cristo è la pietra scartata, il suo pensiero ne è il cuore, come motore e affetto. Il motore è il pensiero; l‟affetto è del pensiero.
Si tratta di memoria di qualcuno presente. C‟è presenza solo di qualcuno, e qualcuno è presente solo nel suo pensiero. Senza questo c‟è cadavere, o debilità assoluta. E il pensiero è tale perché è consultabile (non comanda).
La storicità stessa dei Vangeli è legata al loro restituire un pensiero in atto, non un archetipo.
Cristo si espone con il proprio pensiero.
Così come con il proprio pensiero si era già esposto Dio all‟inizio per due volte (Gen. 1, 26-27). La prima (Gen. 1, 26-27) nel pensare l‟uomo – uomo e donna – “a propria immagine e somiglianza”, eccezione nella creazione, anzi ormai neppure più creazione anzitutto.
La seconda (Gen. 2, 18) nel pensare la differenza sessuale in funzione della partnership uomo-donna, con-sorti a ogni buon fine, subordinando il successo nel fine al successo della partnership (“non è bene che l‟uomo sia solo”). Anche in questo caso non è più creazione.
Possiamo commentare che si esponeva al rischio della propria confutabilità perché il fallimento, qualora non contingente ma necessario, della loro partnership sarebbe ricaduto su di lui come suo fallimento. Vedremo che il pensiero di Cristo ne tiene accuratamente conto, come d‟altronde aveva fatto il Diavolo. Sappiamo troppo bene che la storia dell‟umanità ha remato contro.
Pensiero non è Teoria (anche una parata militare è Teoria, sfilata):
quello genera rapporti, questa comanda esecuzioni, in tutti i significati anche brutali di questa parola, e anche quello apparentemente mite dell‟esecuzione musicale.
Dio mi è testimone: in un “Paradiso” tutto musicale, o tutto contemplativo, o un mix dei due – esecuzione in ambedue i casi – non ho voglia di andare: è l‟inferno. E Dio stesso ne sarebbe solo l‟abitante in alto loco, vertice o centro, sommo Fuehrer, quello di Gott mit uns.
Ci siamo sbagliati sull‟inferno. Non è fiamme: è congelamento del pensiero, angoscia pietrificata. Tutto ciò unito a deprivazione sensoriale, paralisi motoria, assenza di rapporti e mortificazione dell‟universo umano ridotto a universo fisico (frigido per definizione).
L‟inferno è il paradiso di un pazzo. Perversione.
Se questo è “Dio”, no e senza grazie.
Posta la distinzione benedettina tra orare e laborare, la cura per tale pensiero sta dalla prima parte, ossia verte sull‟efficacia personale proprio per il fatto di investire in esso le proprie risorse. La
“preghiera” è un composto benché non chimico, un atto che con-pone il proprio pensiero con il pensiero già posto da un altro che feconda il mio non inerte.
Il proprio pensiero può essere vuoto – vuoto ma solo di pretese che sono Teorie, comandi –, ma il pensiero resta sempre attivo (anche nel bambino piccolo). Le parole di Cristo, “Estote parati”, si riferisce anche e anzitutto al pensiero, dell‟adulto come del bambino: la prontezza è attività, non tabula rasa.
Preghiera come consultazione-scoperta del pensiero di Cristo. Posto il pensiero di Cristo – posto da lui, e come pensiero positivo come si dice “diritto positivo” cioè posto –, pregare è consultarsi con esso.
Una Fraternità serve anche a risparmiarsi deliri e allucinazioni interiori.
Del resto è il pensiero come tale, in quanto non ha causa ossia è libero, ad avere struttura di preghiera, rapporto di domanda-offerta per l‟efficacia produttiva.
Sul laborare vedremo.
2. Inizi
Questa Fraternità data dal 1997.
Ne informai epistolarmente Mons. Luigi Giussani, che me ne dette ricevuta con questo biglietto:
“Carissimo Giacomo, prendo notizia solo ora della tua comunicazione circa la ragione sociale della tua nuova Fraternità. Quando il mio corpo me lo permetterà, ti ringrazierò. Come pure spero di poter fare per tutto ciò che sento di te: grazie!” (ricevuto il 5.9.1997).
Grato per queste sue righe, lo sollevo però da ogni responsabilità per queste pagine: imputabile di esse è la mia persona.
Ma se non è stato lui a indicarmi tanto esplicitamente la via regia del pensiero di Cristo, tuttavia non me ne ha precluso il posto, lasciandomelo libero: ne posso dedurre che era in lui presente. É buona cosa che un padre abbia lasciato posto a un lavoro di figlio.
Ricordo però di averlo sentito pronunciare una frase come questa: se Cristo fosse qui ora sarebbe uno di noi.
Di lui mi è facile testimoniare il massimo rispetto pluridecennale per i miei passi – psicoanalisi, politica, ora questo –, il che è raro nel nostro mondo. Nel suo parlare – sempre personale in tutti i casi e qualunque cosa se ne pensi – si è esposto fino a pagare di persona.
Vorrei un giorno, forse su queste stesse pagine, dare ulteriore e più completa testimonianza su Mons. Giussani, che ascolto da quando ero
quindicenne. Potrei dire così di lui, e non sembri semplice: ha fatto del cristianesimo qualcosa dell‟ordine del mangiare, perché è col pensiero che si mangia, prima che con la bocca, come sappiamo dall‟anoressia in cui, ammalato il pensiero, non si mangia più.
Lo ha fatto con ripugnanza a fare del cristianesimo una teologia, una filosofia, una religione, una morale.
Penso che questa sua ripugnanza trasmessami sia stata per me libero e fecondo terreno per coltivarvi il pensiero di Cristo, cui per primo ripugna la propria riduzione a teologia, filosofia, religione, morale.
Mi è poi stato facile apprezzare sant‟Agostino, per il quale non c‟è questione che di Città (non spezzata tra teologia, morale eccetera), ossia di abitanti – in casa propria –, cittadini. Pensiero e Città sono solidali.
Per quattro anni la vita attiva di questa Fraternità si è ridotta alla modestia di due brevi e effimeri incontri serali con alcune persone, e a due pagine che riprodurrò in appendice a questi punti scarni.
Nel marzo 1999 ho avuto l‟onore di essere invitato al Monastero di Valserena, dalla mia Amica e Badessa di Valserena, Madre Monica, per una testimonianza, di cui ho fatto una redazione pro manuscripto (con il titolo Il pensiero di Cristo. L’unità di vocazione e lavoro) in cento esemplari di cui ho fatto omaggi personali, e che è riproposta in questo sito.
3. Dedica
Seguiranno tra breve delle note sparse riguardanti il pensiero di Cristo, non un tentativo di Regola né di Statuto, meno ancora un programma.
Ma prima desidero dedicare questa iniziativa.
La dedico ai miei figli perché sappiano che genere di padre hanno.
Penso sia bene che mi abbiano così. Se mi apprezzeranno in questa veste, con habitus laico, saranno anche più figli perché non secondo
quei “carne e sangue” che, lasciati a sé stessi, cioè la sola realtà corrente della famiglia, producono solo danni. Gesù aveva semplicemente ragione quando domandava retoricamente: “Chi sono mio padre, mia madre, i miei fratelli?”.
Per non dire della celebre scenata da lui fatta a padre e madre in quel momento in cui essi erano stati tentati di far valere carne e sangue (notiamolo, gli ha tolto la tentazione, proprio quella di cui si dice nel Padre nostro: dunque verso padre e madre ha agito da Padre).
Rammento che anche Eva era sine labe originali, non sto dunque contraddicendo l‟ “Immacolata”.
4. Autorità
Ancora una precisazione: circa l‟ autorità ordinaria della Fraternità.
La sede ne è vacante. Per ora ne è lapalissianamente supplente la mia persona in quanto iniziatore (affido a una nota fuori campo qualche notizia personale1). Vi ho titolo per ragioni di cronaca: è a me che è
1 I miei titoli scientifici non sono mondanamente spregevoli ma qui non contano. Il fatto di essere psicoanalista (=freudiano) invece sì, perché non è un titolo mondano benché nel mondo. Come pure il fatto di essere stato il redattore del pensiero di natura come il pensiero dell‟uomo sano, o anche di ciò che fa dell‟uomo un uomo (ho dovuto difendermi più volte dal falso merito attribuitomi di essere l‟autore di una Teoria detta “pensiero di natura”: non è una Teoria, come non lo è il pensiero di Cristo che è non una Teoria bensì una soluzione). Con tale titolo esso ha preso forma in supporto cartaceo in due successive edizioni (Sic Edizioni 1994, 1998), e ora (2001) on line. É nella prefazione alla seconda edizione che ho individuato nel pensiero di Cristo una fonte d‟eccezione del pensiero di natura. L‟eccezione è individuata nell‟innocenza (in-nocenza) ossia nella perfezione della salute in ogni significato della parola latina salus, il che non può essere detto di nessun altro.
Intorno agli anni dell‟elaborazione del pensiero di natura, e nel corso di essi, andavano elaborandosi le tre mie raccolte presentate on line su questo sito, in cui la mia cura per il pensiero di Cristo andava confermandosi: SanVoltaire, rubrica prima settimanale poi quindicinale su “Il Sabato” dal 1988 al 1993, edito su carta da Guaraldi, 1994; Il pensiero di Cristo, due conferenze tenute nel 1999 alle Monache trappiste di Nostra Signora di Valserena, Guardistallo Pisa, edito su carta pro manuscripto da me stesso; Enciclopedia, rubrica mensile su “Tracce” dal 1994 a oggi, e di prossima edizione su carta presso Sic Edizioni.
Questi scritti figurano su questo sito per il loro riferimento esplicito al pensiero di Cristo. Ve li colloco perché ne ammetto un qualche valore introduttivo. Non
capitato di iniziare a riconoscere il pensiero di Cristo nella sua forma mobile – forma di legge di moto –, nei primi anni in cui andavo redigendo – non a caso – il “pensiero di natura” come legge di moto 2. In tale supplenza non sono solo: ho la compagnia di diverse persone, dal fare le cui lodi esse mi esonerano.
5. Cristo il moderno
Ha ora inizio una successione di note, come si sono venute raccogliendo negli ultimi mesi, senza pretesa d’ordine. E anche senza la pretesa di una mano sempre ferma: le anima il desiderio di aprire, riaprire, la strada.
Esse si aggiungono al già ricordato: Il pensiero di Cristo.
Mi scuso per imperfezioni, ripetizioni, lacune, errori che spero correggibili.
Questa asserzione – Cristo è il moderno – è tra le principali in queste note. Lo si vedrà.
Se ciò è vero, lo era già a quei tempi.
L‟asserzione sovverte per se stessa gran parte dell‟approccio
“moderno” a Cristo, tra avaro e invidioso.
Almeno un cenno: Cristo attualizza per l‟universo l‟alternativa tra
“amici” o “servi”, pensiero o comando, diritto o imperativo, collocandosi da uno dei due lati. L‟amico lo è perché co-produttore con amici nella produzione quotidiana della Costituzione, o legislazione universale. “Amicizia” non è sentimento o affetto privato, personale sì: quando la persona – quella detta “fisica” – è giuridica non è più privata.
riconosco, qui, un peccato di presunzione: semplicemente, da qualche parte bisogna pur cominciare, come dalla tommasiana palea.
2 Vedi la nota 1. La coltivazione del pensiero di natura è ciò cui si dedica l‟entità di Scuola - o “Idea di una Università” - Chiamata “Studium Cartello”, dove parlo da miscredente quanto più possibile. Ma se il pensiero di Cristo rinvia al pensiero di natura, le due entità – lo Studium e questa Fraternità – non si vincolano reciprocamente.
6. Ragione
Cristo ha ragione, nient‟altro.
Ma ne risulta subito la questione, e questione nuova: se ha ragione, che c‟entra la fede? Vedremo che c‟entra in modo tale che per altre
“fedi” è miscredenza, perché questa “fede” è in uno che ha ragione.
Sarà dunque bene farla finita con le vecchie storie di “ragione e fede”, o “scienza e fede” (come abbiamo potuto cascarci?).
Su questa via mi sono stati di aiuto alcuni autori ebrei che, esaminando il pensiero di Cristo, gli hanno dato torto: ma per dare torto a qualcuno bisogna avergli riconosciuto che ha ragione, una ragione (non esiste “la” ragione: ne esiste più d‟una). Allora può nascere la distinzione tra chi alla ragione di tale pensiero dà…
ragione, e chi le dà torto. Solo a un pazzo o un debile – senza pensiero – non si dà torto né ragione. Da secoli Gesù è trattato come un pazzo, o un debile sublime.
Ricordo quel film di Eduardo su un paranoico dal titolo “Ditegli sempre di sì”: è un‟idea diffusa di “fede”, quella in un Dio pazzo…
d‟amore, ossia in uno totalmente inaffidabile. Capisco che tanti abbiano “perso” la fede, o semplicemente si siano stancati (non si perde la fede: si perde la voglia).
Cristo ha ragione, ma questa è una sola cosa col suo pensiero: non è diviso tra un‟istanza superiore e comandante, la ragione, e un‟istanza inferiore obbediente inclusiva del pensiero, né tra spirituale e psichico (quest‟ultima distinzione è una pecca – segnalata già da san Paolo:
“l‟uomo psichico” –, e una patologia, non una normale struttura umana). In Cristo pensiero e ragione, pensiero e psicologia coincidono anzi sono la medesima realtà. É il momento peggiore della nostra
“modernità” ad avere distinto pensiero e ragione, ragione e psicologia.
7. Resurrezione. Fede
(in questo punto è riprodotto il mio contributo settimanale alla rivista Tracce, settembre 2001, nella rubrica “Enciclopedia”, in cui vado incontro alla domanda precedente: “se ha ragione, che c’entra la fede?”)
Dedicato alla Casa di Gudo, dove ne ho conversato con gli altri.
É narrato che Gesù, a poco dalla morte, ha gridato: “ELI ELI LEMA SEBACTANI”, comunemente tradotto: “Signore Signore perché mi hai abbandonato?” Che significa? Che ha detto?
La forma della frase, che veicola un dispiacere, un cordoglio, un dolore, non è necessariamente interrogativa: potrebbe essere “Ecco che (lema) mi hai abbandonato”. In ogni caso, la causa del dispiacere è un abbandono.
Ma non è convincente la spiegazione che si tratterebbe del grido umano, “creaturale”, di un morente perché morente, che formula con angoscia l‟imminente morte come abbandono da parte di Dio in cui pure crede.
Peraltro Gesù non ha fede, semplicemente perché non ne ha bisogno:
già conosce bene suo Padre, e quell‟altro suo partner che è lo Spirito;
né ha bisogno di fede – anche se si fida dei suoi partners – per la certezza della propria resurrezione.
Che aveva appena predetto a un compagno di supplizio: di lì a poco si sarebbero ritrovati in migliore compagnia. L‟imminenza della morte poteva semmai darsi sotto il profilo del sollievo, e non poteva in alcun modo affliggere Gesù (S. Francesco lo riprenderà in “sorella morte”).
Dunque nessuna “angoscia di morte”.
Ciò che qui preme è una scoperta, fattibile facilmente e con non stuporoso stupore. Scoperta e sorpresa che potrebbero riorientare un‟infinità di nostri pensieri.
La frase descrive un abbandono: A abbandona B, A si separa da B.
Chi sono A e B? Facile risposta catechistica, Dio e uomo: Dio si separa dall‟uomo per il fatto che l‟uomo muore.
Eccoci alla scoperta. L‟esperienza personale di Cristo è stata l‟incarnazione, l‟essere uomo come Dio: ebbene, la morte dell‟uomo ha interrotto tale esperienza, e ciò gli è dispiaciuto, e ha protestato.
Essere uomo gli stava bene, ci aveva preso gusto: l‟interruzione anche breve dell‟esperienza gli faceva male, era dolorosa e sgradita.
Allora il grido di Cristo – per contrasto: dicendo ciò che non vuole dice ciò che vuole – è un‟asserzione entusiastica: desidero – dice con voce forte e non povera – che l‟esperienza non si interrompa, che io continui a essere uomo come Dio. Cristo risorge con ragione, non per dovere professionale divino.
É a questo dire di Cristo che si oppone il “docetismo”, l‟eresia primaria (oggi dominante): Dio si sarebbe incarnato solo per un
“amoroso” superiore fine educativo, rivestendosi di una fastidiosa inferiore apparenza (dokéin) umana, come un audiovisivo didattico, per poi filarsela a missione compiuta abbandonando la carcassa umana – un “paradosso” cioè una contraddizione – nel cimitero degli audiovisivi divini. Ma Cristo dice che Dio non si è fatto uomo per pedagogia, né tantomeno lo è rimasto per questo: in Cristo Dio si piace uomo, con il compiacimento dei suoi due partners, e per compiacersi della partnership con gli altri uomini (“coeredi”: Paolo).
La sua asserzione è entusiasmante anche per me, noi. Correttamente, è
“povera” la voce che “chiede l‟eternità”: povera di una ragione che ne faccia un desiderio capace di sostenersi. Voce, non ancora detto. Il cuore della fede non è la relazione logica tra la premessa dell‟onnipotenza divina e la conseguenza della resurrezione, né l‟informazione che Dio ha realmente applicato a sé questa deduzione (di fedi ne uccide più la deduzione che la spada). Il cuore (“entusiasmo”) della fede è l‟assumere la ragione non paradossale di Cristo nel volersi e piacersi uomo tanto da risorgere ossia riprendere come tale. Il deciso desiderio di riprendere come uomo è prima suo che mio: la fede ne è la trasmissione, ecco il “donum fidei”, non una telepatia divina. Entusiasmo, o cuore, per ragione ricevuta come
“grazia ricevuta”.
(alla parte che precede si aggiungono queste note)
Nella morte di Cristo non c‟è interruzione di una astratta “vita”, che in Cristo è uno pseudoconcetto non meno che quello di “divinità” (per Cristo esiste il Padre, non “Dio” come precedente sia pure verbale, logico o concettuale): quando dice “Io sono la vita”, la frase va letta con enfasi su “io”: “Io!, sono la vita”, non c‟è vitalismo in Gesù, come non c‟è essenzialismo.
Notevole che Dio abbia preso gusto a essere un uomo fino a asserirne con certezza il desiderio. Il Buddha non era affatto di questa idea: vero però che veniva prima.
Il Pensiero di natura in Cristo è perfectus perché con certezza un pensiero(-desiderio) non affermabile da altri con certezza. Un desiderio è un pensiero mobilitante: ma allora “desiderio” nell‟uomo sano e… salvo è semplicemente un nome del pensiero.
Per la questione di una tale certezza era già passato l‟Ulisse omerico, nella sua oscillazione da scommessa pascaliana tra accettare o non accettare l‟immortalità. Anche l‟Achille omerico sta in questa oscillazione.
Il fatto che Cristo ha messo, della sua resurrezione, non soltanto la realtà (potenza divina) ma anche il desiderio, ha previsto il rischio comico per tutti i risorti di doverci poi ripensare, fino a farsi buddisti in “Paradiso” per sostituire al desiderio non la morte ma il Nirvana.
Cristo compreso. Comica teologale.
Nel suo pensiero Cristo non è seguace della Teoria platonica dell‟immortalità dell‟anima, automatismo di programma. Questa Teoria ci ha fuorviati: non è per questa via che passa il pensiero di Cristo. E in generale, il pensiero di Cristo non ha Teorie, contemplazioni platoniche. Lo dice nel deserto: è il Diavolo a chiedergli di adorarlo cioè di avere un oggetto di contemplazione. Se Dio dicesse platonicamente “Contemplami!”, il Diavolo sarebbe lui.
8. Io. Ebreo
Il pensiero di Cristo lo è, pensiero: logicamente, metafisicamente, … , nella pienezza e versatilità del significato della parola “pensiero” in
tutta la storia del pensiero.
Il pensiero di Cristo era già moderno – concetto storiografico – al suo primo apparire: noi diciamo “Cristo il moderno”. Ciò vale per credente e miscredente.
É un pensiero privo di paradossi.
Gli ripugna la distinzione, produttrice di servitù, tra sapere teorico e sapere volgare.
Un pensiero che non ha nulla del greco e nulla da ricevere da esso.
Invece ha tutto di un ebreo libero pensatore che ha detto la sua (“io”, come cogito): la sua conclusione dell‟inventario intero dell‟esperienza ebraica – con le sue contraddizioni –, inclusa l‟esperienza recente e attuale, allora, dell‟annessione all‟ Impero romano, che poneva a portata di mano l‟universo umano non più in termini di vicinato sensibile con nemici o amici.
Il cogito cioè “io penso” – con sviluppi diversi da quelli cartesiani – non lo ha inventato Descartes ma Cristo. Posiamo dire che è il suo primo verbo.
Ripeto: non ha preso in considerazione altri fattori se non quelli dell‟esperienza ebraica. Lo ha fatto spingendosi fino a proporre, come soluzione, di cambiare la Costituzione (concetto moderno). Per la soddisfazione (come si dice “dare soddisfazione”) o conclusione.
Proprio per il fatto di avere detto la sua si è esposto, su piazza, a ogni legittima confutazione, compresa quella, chiamiamola un po‟ cruda, consistita nella pena capitale. Non sarà stato il primo né l‟ultimo rivoluzionario (non ne prevale qui il concetto marxiano – la “Teologia della rivoluzione, o della liberazione” non mi ha mai tentato –, : si tratta del concetto moderno e kelseniano di cambiamento della Costituzione) ad averci rimesso la testa (mi interessa Marx, non la Teologia su Marx che avrebbe fatto arrabbiare Marx). La testa, non il pensiero.
Rammento due battute di Cristo nel dialogo politico con la Samaritana:
1° nella disputa tra noi Giudei e voi Samaritani, abbiamo ragione noi e avete torto voi,
2° ma a buon conto, propongo che avvenga una nuova riunione (“i
veri adoratori”), né da noi né da voi ma in altro luogo e modo (“adoreranno il Padre in spirito e verità”). Una contraddizione si risolve con una soluzione impensata (impossibile in quanto impensata).
Conclusione-soluzione-soddisfazione sono tre sinonimi che convengono al pensiero di Cristo
9. Non Greco
Gesù è Costituzionalista, o meglio Costituente, ri-Costituente, non predicatore dell‟essere, e tanto meno lui è un predicato, o peggio espressione o peggio emanazione o emergenza dell‟ “Essere”.
Non possono esserci dubbi che fosse intellettualmente alleato di tutto quell‟ebraismo pre- e post-cristiano che ha rifiutato la Bibbia grecizzante dei “Settanta”, specialmente nel passo celebre (Esodo 3, 14) in cui lo spirito greco metteva in bocca al Signore la risposta “Io sono l‟Essere”. Hanno ragione gli Ebrei anche di oggi a volere tradurre “Io sono chi sono!” (forse anche con una venatura comico- piccata verso la dura cervice di Mosè in quel passo, dato che insiste a domandare al Signore il suo nome allorché questi si era già esaurientemente qualificato come il Signore dei suoi padri).
Per Cristo – ma è lo stesso che dire: per il pensiero di Cristo – solo Chi! è: non c‟è “essere” che di Chi! (solo in questo senso si può chiamarlo “l‟essere”: come un soprannome al limite del gergale di Chi!, e conosco qualcuno che usa questo soprannome). Non c‟è essere che di Chi!, e che le “cose” si mettano in coda! (è in ciò che Suarez – e molti dopo di lui – ha sbagliato tutto).
Gli ripugna l‟idea antica di un essere già dato nella natura: nella natura non c‟è alcun essere se non risultante grazie a un lavoro, la cui prima conseguenza è la produzione di una materia prima (frutto) su cui un altro continuerà fino a una meta soddisfacente. Come tale il lavoro è libero (parabola dei gigli, e con scorno di Kierkegaard), contrariamente al pensiero greco che pensa anzi impone il lavoro
come servo. Il Padrone non lavora ma agisce, comanda, a partire dall‟affermare che “l‟essere è” e basta, ossia comanda (il “non essere”
che “non è” è il servo). Il pensiero di Cristo non è affatto d‟accordo.
Ciò è chiaro nella parabola dell‟ albero di fico che non fa fichi (in versione non equivoca in Luca 13), in cui dice che se l‟albero non fa frutti – “l‟albero si riconosce dai frutti” – tanto vale tagliarlo ossia trasformarlo in qualcosa d‟altro (legname, legna da ardere), e questo è un esempio del pensiero metafisico di Cristo. Egli rifiuta di riconoscere l‟essere alla “cosa” che sarebbe l‟albero di fico – ossia gli rifiuta di considerarlo un “ente” ossia avente “essere” – finché non abbia prodotto frutto. L‟essere dipende dalla produzione ossia dal lavoro (non è affatto la distinzione aristotelica tra potenza e atto). Fino a prima non c‟è ente ma solo ante, ante-fatto. É la distinzione tra creazione (l‟essere è in sospeso) e la generazione. L‟essere, uno se lo deve guadagnare, con un lavoro che non è quello del sudore della fronte, bensì un lavoro da libero. C‟è un lavoro che è costituzione di rapporti, premeditazione di rapporti. É a partire da qui che si può parlare di amore: l‟amore è l‟incontro di due premeditazioni favorevoli.
Il pensiero greco è a premessa schiavista e a deriva occultista. Trovo corretto, quand‟anche superfluo, chiamare il pensiero di Cristo
“metafisico”, è scorretto chiamarlo “teologico” (né è vero che S. Paolo avrebbe aggiunto la “Teologia” al pensiero di Cristo): e ciò semplicemente perché Cristo ha sostenuto che il Padre non è Padre perché è Dio, ma che Dio è Dio perché è Padre, senza di che la parola
“Dio” è un puro suono privo di significato. Tutt‟al più potremmo chiamarlo “patologico” ma mi sembra una pedanteria.
Quando Cristo dice che il Padre esiste fa della rivelazione; quando dice che Dio è Dio perché è Padre fa della logica.
Ed è Padre non per l‟attributo di una astratta “paternità” (con i suoi sottoattributi: amore, misericordia, perdono, bontà, accoglienza eccetera), ma perché ha un figlio. Che a sua volta è figlio perché è erede – concetto giuridico – del reale di competenza del lavoro del Padre.
Che Gesù dica che suo Padre lavora – “sempre” cioè come suo statuto
–, dice che la creazione è la minore delle sue occupazioni, come con la mano sinistra, ante-fatto non ancora ente-fatto (nel pensiero di Cristo non c‟è ontologia naturale, come non c‟è teologia naturale). “A immagine e somiglianza” non è creazione o semplice antefatto, è generazione. É già per Cristo che l‟essere non è nella natura, e che – semplice commento di S. Paolo – “la creazione geme – attende il suo essere come consistenza universale – nell‟attesa della rivelazione dei figli”.
10. Salus-salvezza-salute psichica di Cristo Soddisfazione e iniziativa
Mi servo qui di facili e comuni riferimenti. Tutti hanno potuto constatare che nella storia del cinema Cristo è regolarmente presentato come un malato psichico: secondo i casi, schizofrenico, paranoico, megalomane, delirante, allucinato, masochista, isterico, ossessivo, e naturalmente debile (potrei passare in rassegna una dozzina di film noti a tutti). Se aggiungiamo certi vangeli gnostici figura anche come perverso (in particolare sadico, oppure idiota). Anche certi psichiatri tra ottocento e novecento lo hanno variamente diagnosticato come sopra.
Ma è logico: ricusato il pensiero – Cristo con pensiero scartato: ecco la pietra scartata – c‟è psicopatologia.
Comunque, sempre meglio che presentarlo come un santone o uno
“spirituale”, figure inventate apposta per sfuggire alla coppia sano/malato camuffandola. Cristo non è stato ammazzato perché faceva il santone: lo è stato perché ha detto la sua (nulla a che vedere con i balletti teologici su “la parola”).
Se malato allora non c‟è salvezza: come fidarsi? Un Dio pazzo d‟amore è inaffidabile. E dov‟è l‟innocenza (non-nuocere: la psicopatologia nuoce)?
Tutti questi appunti non fanno che dire della salus indivisa di Cristo:
grazie al suo pensiero su nient‟altro orientato che sulla soluzione, anzi
il cui nome è “soluzione”. C‟è stretta prossimità di questa parola con conclusione e soddisfazione, se non sinonimia, e soddisfazione significa concludere in quanto portare a buon termine [gutmachen in tedesco], con la quale definizione Cristo può essere chiamato principe della soddisfazione.
É più propria del pensiero di Cristo la parola “soddisfazione” che l‟ambigua parola “felicità” che, oltre alle sue alterne ambigue vicende nella storia del pensiero, potrebbe benissimo designare anche uno stolido stato stuporoso, senza pensiero, o una fissazione irreversibile, come nell‟innamoramento. Ve lo vedete Cristo innamorato? Sommo Romeo, Romeo Celeste?, della serie “Piccoli Cristi crescono”, la piccoloborghesia in Paradiso. Fa il paio con “Sommo Fuehrer”.
Cristo è uomo perché ha il pensiero sano dell‟uomo, il che significa anche pensiero in-nocente, non viziato da delitto e patologia: caso unico, non raro.
E ciò a partire da una iniziativa presa. L‟iniziativa designa la salute, come l‟inibizione (dell‟iniziativa) designa la patologia.
11. Il Cristuccio dipinto dantesco e il Supercristo michelangiolesco
Una testimonianza personale ma non privata. Ho incontrato Luigi Giussani in quinta ginnasio, all‟età di quindici anni, l‟ho seguito fedelmente e gli sono rimasto fedele amico.
Nei primi anni, quelli liceali, arrivai autonomamente alla conclusione personale (poi altre) che se il cristianesimo avesse dovuto essere quello di Dante, non avrei né voluto né potuto rimanere cristiano (medesima conclusione per il cristianesimo di Manzoni).
Alcuni dei punti (circa Dante):
la dottrina perversa dell‟amore per la donna: il poco cortese “amor cortese”, la feticistica contemplazione dell‟Ideale di “La Donna”
astratta,
poi teologicamente trasferita nell‟amore contemplativo per Dio:
dottrina esposta da Beatrice come “Teologia”,
la dottrina generica dell‟essere con cooptazione di Dio nel genere
“essere” (il “mar dell‟essere”: il manicomio anche per Dio, o l‟ansiolitico universale),
la correlata dottrina dell‟istinto naturale, tutti ripugnanti al pensiero di Cristo.
Ma è specialmente nel finale del Paradiso – anche sorvolando sulla rappresentazione della Trinità more geometrico, in cui Dante tenta di iscrivere l‟ortodossia di generazione (del Figlio) e processione (dello Spirito) – che il rigetto del pensiero di Cristo, ossia della sua presenza, diventa perfino chiassoso tanto è muto, come si dice che qualcosa
“brilla per la sua assenza”. Egli scrive: la “circulazion” (il cerchio) della seconda Persona “Mi parve pinta della nostra effige”. Docetismo a parte, con l‟alibi della propria modestia (“Ma non eran da ciò le proprie penne”) Dante rende non modesto ma modestino Cristo. Cristo è “incontrato” – ma appunto, non c‟è nessun incontro – come un Cristuccio dipinto e evanescente: sembra scusarsi con l‟Islam di osare la rappresentazione di Dio (ma si era già scusato col mezzo geometrico, molto islamico). Tanto l‟ortodossia quanto l‟arte della fiction di allora come di oggi gli avrebbe consentito benissimo di inventarsi che Cristo – senza più sdoppiamento tra cerchio contenente e effige contenuta, ossia lo schema del contenitore, il sepolcro, esecrato da Gesù – gli andasse incontro e gli dicesse qualcosa:
dopotutto, Cristo aveva già incontrato gente di ogni risma. Magari avrebbe potuto poi ricorrere all‟espediente della dimenticanza per inadeguatezza delle “penne” della propria memoria.
Pochi secoli dopo gli farà sarcastica eco per contrasto il Supercristo michelangiolesco del Giudizio nella Sistina, un Superman o Marcantonio anabolizzato, respinto dalla Donna e odiato dai suoi, a partire da un furibondo San Bartolomeo che brandisce il coltello del proprio supplizio indirizzandolo verso il suo ventre. Gli altri “suoi”
non sono da meno in furia, rimprovero, accigliatezza.
Fa eccezione il solo San Sebastiano, che per una volta non è rappresentato come il solito omosessuale e masochista, bensì come un serio professionista (della guerra) che prepara attentamente le armi per riprendere la sua strada, senza neanche star lì a rammentare la vicenda precedente (atteggiamento anche più grave degli altri: non gioca più, come peraltro farà la modernità).
Il Giudizio della Sistina è un processo a Gesù, al Gesù dal pensiero scartato: nella Sistina Michelangelo pensa da inconsueto riformatore cattolico ciò che resta di Gesù quando ne è rinnegato il pensiero.
La Commedia dantesca è ironicamente “divina”, nella scissione tra un‟ortodossia ossessivamente asseverata, e l‟assenza del pensiero di Cristo, così bene rappresentata dalla coppia Cristuccio dipinto/Superman.
12. Docetismo. Utopia
Il pensiero di Cristo rimane oggi l‟unica eccezione in una civiltà, la nostra, del trionfo del “docetismo”: quell‟eresia-guida che voleva che l‟iniziativa di Dio o incarnazione fosse tutta una sembianza, un‟operazione educativa, un pacchetto formativo, un training, una finzione in veste umana presto dismessa, una specie di audiovisivo prodotto da un‟alta agenzia governativo-educativa per addestrare gli uomini intorno al divino, mettergli qualcosa nella dura cervice.
Qualcosa sì, ma non troppo, quanto bastava perché obbedissero al
“divino” – orribile parola, o il “numinoso”, anche peggio – come regime del comando.
Che non è il regime del pensiero di Cristo. É la premessa dell‟Utopia,
il regime del puro comando: rinata, molto dopo Platone, in partibus fidelium, e un‟Utopia la cui durezza abbiamo poi conosciuto realizzata soltanto nel XX secolo (nell‟Utopia di Thomas More ci sono anche i campi di concentramento).
Dal primo docetismo, quello su Cristo come finzione, si è poi passati al docetismo sull‟uomo come anch‟esso finzione: le due finzioni sono connesse, anzi sono la medesima.
Oggi tutto il mondo è formazione: il primato della formazione sulla forma, della pedagogia sul pensiero, della ragione – distinta dal pensiero ossia Kant – sul pensiero, del metodo sul pensiero. Nel pensiero di Cristo il metodo è il pensiero stesso (è lavoro). Non c‟è metodo senza merito.
13. Salute aut essere/istinto
Il pensiero di Cristo:
a. è connotato da salute psichica. La prima prova che ne abbiamo è di portata immensa, e specialmente valida nei nostri anni. A dodici anni - nel celebre episodio (Lc 2, 41-52) in cui, durissimo, dichiara ai genitori che, se si comporteranno ancora così, tra lui e loro non ci sarà più nulla – è passato direttamente da bambino a adulto senza passare per l‟adolescenza (salvo un certo e breve momento biologico), ossia quell‟epoca che quanto più è lunga – oggi è lunghissima – tanto più è periodo di incubazione del peggio psicopatologico. Gesù, giovane uomo a partire da quell‟età, non dalla fine del Master o del PhD, non è tipo da idealizzare “la gioventù” (catastrofica per tutto il XX secolo, esemplare non unico la Hitlerjugend). Lui è privo di ideali, ha soltanto reali e pensiero: se dev‟esserci imitatio Christi, che sia anzitutto questa;
b. non si è mai piegato all‟idea – un‟idea greca da Parmenide, cinque secoli prima di Cristo, a Suarez quindici secoli dopo Cristo – che vi sarebbe “essere” nella natura (“essere” = ciò che tiene in comune l‟universo, che lo fa uni-verso). Nella parabola del fico – facile in Luca 13, non in Marco 11 –, l‟essere nella natura è una variabile
dipendente del lavoro produttivo, ossia che il fico faccia frutto:
l‟albero di fico non è un albero di fico se non fa frutto (nulla a che vedere con il “non-essere” di Parmenide). La natura non ha essere se non via lavoro-frutto (il principio del Padre è il lavoro: “Mio Padre lavora sempre”, si intende lavoro libero non servile);
c. “non esiste” (bella espressione corrente) che l‟uomo – e Cristo è uomo – sia guidato da istinti. Cristo, uomo completo, non ha istinti, ciò è palese (uno psichiatra un po‟ affrettato dell‟800 ne ha dedotto che Cristo era un tipo frigido perché non aveva istinti sessuali).
L‟uomo può invece essere guidato da errori (tra i quali la Teoria dell‟
avere istinti), o peccati, non da istinti (e “istinto” altro non è che il nome di una Teoria che si è imposta imperativamente al pensiero come un invasore occupa un territorio). In lui desideri effettivi (per esempio alimentari) non nascono da una meccanica presupposta nella natura: sono umanamente posti (come accade in un uomo sano o normale, quando ve n‟è uno) non naturalmente presupposti.
Dopo il deserto, e soddisfatto (ha perfino regolato i conti con il Diavolo, quelli rimasti in sospeso fin dalla tentazione originaria) proprio per questo Gesù mangia. Come peraltro con le sue amiche, con le quali non c‟è dubbio che si trova in buona compagnia ossia è soddisfatto. Ecco il significato di “non di solo pane vive l‟uomo”:
almeno in Cristo è chiaro che non vi sono due sfere, una inferiore confusamente biopsichica (mangiare, e magari fare sesso), e una superiore e spirituale. Cristo non ha istinti alimentari, né sessuali – conservazione individuale, conservazione della specie (non voglio pedantizzare citando Schopenhauer) –, e se ha il gusto del mangiare è perché questo fa la sua comparsa nel campo di un regime di soddisfazione (“paterno”).
Conosco questa come la massima verità psicologica, contro l‟anoressia alimentare e di altra specie, anche sessuale, e anche e soprattutto intellettuale. Se non fossimo invasati di inconsapevole pornografia cioè la delirante credenza nell‟esistenza della “sessualità”
in natura, capiremmo che il gusto sessuale ha la medesima fonte. Ma poiché invasati siamo, forse è davvero meglio “farsi eunuchi…” (vi tornerò subito).
Ma prima che sui sessi sarà meglio concludere sulla tentazione nel deserto (Mt 4, 1-11, Lc 4, 1-13). Questa storia della tentazione, o non
ha né capo né coda o ne ha. Infatti: che senso ha che il “Diavolo”
(ingannatore, calunniatore, avversario) tenti Cristo nel momento stesso in cui sa già che è Figlio di Dio?, ossia che con lui non può competere? É una storiella stupida? Non lo è: è una storia logica anzi dialettica, è una disputa tra civiltà, o tra ciò che è e ciò che non è civiltà.
1° le prime due tentazioni sono dei se-allora, delle inferenze: se sei figlio di Dio, allora puoi manipolare la natura (tu o tuo padre:
trasforma le pietre in pane, buttati e non ti succederà niente).
Insomma: comanda!, la tentazione a buttarsi nel regime del sommo comando,
2° la terza tentazione: “Rendimi omaggio!”. Ossia il Diavolo stabilisce ancora la relazione di comando: obbedisci! Ma poiché sappiamo già che lui sa che Quello è figlio di Dio, sappiamo che sa che Quello non gli obbedirà. E allora? E allora scopriamo il nocciolo della tentazione:
si tratta dello scenario di un conflitto cosmico. Al Diavolo non importa di essere lui il Capo piuttosto che di ramazza, ossia di essere il sovrastante piuttosto che il sottoposto: a lui importa che ogni rapporto sia un rapporto di comando (padrone-servo, comandante-soldato), a costo di farsi servo pur di vincere logicamente. Se vincesse nel nocciolo logico, avrebbe vinto. Cristo risponde di no al rapporto come rapporto di comando, e in ultima analisi dice di non al non-rapporto perché non c‟è rapporto nel comando (l‟istinto, alto o basso, è un comando: e chiunque vede bene dolorosamente che non fa rapporto, specialmente tra i sessi).
Le risposte di Cristo sono chiare: 1° io non opero per comandi alla natura (“miracoli”): magari qua e là ne faccio qualcuno perché non sono un tipo astratto e qualche volta va bene così, ma io non lavoro comandando al creato (si veda poi la distinzione tra generazione e creazione), 2° non tanto io non obbedisco al tuo comando: è che il mio regime non è un regime di comando, e non mi piego al tuo regime che capisce solo il comando. Adorerai Dio che e perché non funziona come te (anzi: non “funziona” e basta, non è funzionalista, ossia la bestemmia contro Dio e l‟uomo del XX secolo, perché è ormai chiaro che funzione significa comando).
É ovvio che a Cristo non poteva importare di essere il Messia, posto che “Messia” significasse il Capo che mette a posto le cose con il comando.
Dopo questo soddisfacente regolamento di conti con il “Diavolo”, Gesù mangia: ratifica materialmente la soddisfazione ottenuta per il fatto di “vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Non diversamente per la vita sessuale: i sessi non soddisfano affatto – l‟umanità lo sa da millenni, ma tant‟è – ma possono – contingenza – ratificare sensibilmente la soddisfazione ottenuta da altrove. Non solo ratificare ma onorare. Quante volte nella storia totale dell‟umanità – chiedo – è successo qualcosa di questo genere? Bisogna essere dei Salomoni e delle Regine di Saba perché i sessi vivano dell‟onore reso al corpo dell‟altro dopo soddisfazione ottenuta. La sovranità del pensiero è la condizione perché ne decada il populismo straccione della Teoria dell‟istinto (vedi la pornografia populista di Orwell).
14. I sessi nel pensiero di Cristo
Il pensiero di Cristo sui sessi. Lo possiamo enucleare bene vedendone l‟impostazione logica, che risulta nella sua presa di posizione sul divorzio e nella successiva classificazione degli eunuchi.
La sua posizione sul divorzio non è quella del cattolico “moderno”, che passa una vita diffratta in cento battaglie (divorzio, pornografia, aborto, bioetica, razzismo, diritti civili, volontariato, ambiente, carceri, povertà, pace, globalizzazione…), e che al referendum sul divorzio stringe i denti e vota contro. Lui non tanto vota contro il divorzio (in seconda battuta) quanto (in prima battuta) vota per il successo del rapporto uomo-donna, perfino contro i propri seguaci che, nel testo, concludono che allora per l‟uomo non conviene il legame con una donna ossia, aldilà anzi aldiqua del divorzio, lo anticipano rinnegando il legame.
A rinforzo, il successivo discorso sulle tre specie di eunuchi, in cui è indubbia la ripugnanza del pensiero di Cristo per la produzione delle prime due specie (produzione violenta, una hard l‟altra soft, una
materiale l‟altra psichica). Ora, “eunuco” significa fallimento – per ragioni oggettive o soggettive – del rapporto o legame uomo-donna.
Fin qui c‟è conferma della sua asserzione della possibilità di successo di tale rapporto, che nell‟epoca di civiltà che stiamo attraversando è una presa di posizione unica: per questa civiltà (letteratura, cinema, poesia, canzone, musica perfino, ma lo sostenevano già Dante e, da un‟altra posizione, Leopardi; si aggiunga l‟irresistibile impatto a ogni livello del pensiero gay) la relazione uomo-donna può soltanto fallire salvo, come ironizzava un mio maestro, episodi più o meno felici di co-it-erazione. Quando si regge malgrado tutto, è soltanto per dignitosa pateticità, rammento la canzone: “Je t’aime moi non plus, Ti amo neanch‟io”.
In fondo la riuscita del rapporto uomo-donna è anche una tesi pro domo sua: infatti, non è stato proprio Lui, come Verbo co-produttore con suo Padre, che “uomo e donna li creò”? Il fallimento di uomo- donna è un fallimento teologale. E il cristianesimo fallisce (ora e escatologicamente) se fallisce uomo-donna. Se il Diavolo esiste, è questo il suo punto di aggressione tattica nel peccato originale: nel racconto del quale la parte giocata da Adamo è quella di dare la colpa alla donna, cioè di rompere il rapporto (divorzio). É attaccando i sessi che si attaccano insieme – simultaneità non solo cronologica ma logica – Dio e uomo (uomo-donna). Se ne accorgeva sant‟Alberto Magno, che tra le forme di verginità individuava anche la “verginità diabolica”, home made.
Ma ecco che Cristo fa piombare sulla terra, anche come sasso nello stagno, la terza specie di eunuchi, quella che ha messo in crisi ogni ermeneutica. É la specie di chi si fa tale, di propria iniziativa, “per il regno dei cieli” (che per definizione è il mondo del successo, dell‟andar-bene, del portare a buon termine o soddisfazione, anche tra uomo e donna). É una soluzione, e perfino un consiglio (di cui è facile pensare Cristo come primo praticante).
Che sia vero che è pazzo? Contraddizione?, tanto più in un pensiero come il suo che non cede mai sul principio di contraddizione (nel pensiero di Cristo non ci sono paradossi).
L‟epilogo del discorso, “Chi ha orecchie per intendere intenda”,
mostra che sa cosa dice, e che sa che difficilmente troverà orecchie e menti preparate, paratae come lo sono le giovani nubende della parabola.
Quale pensiero implicito, e non contraddittorio, inferirne? Eccolo.
In uno senza istinto come lui – non senza sesso –, se non si è troppo servi della superstizione che esistano “istinti” (che è una superstizione schiavista: la Teoria che la natura ci renderebbe schiavi di istinti, eccolo un delirio, comunissimo d‟altronde), è facile ricavarlo: fatevi eunuchi della superstizione stessa, dell‟”istinto” sessuale, cioè
“castrate” (come l‟eunuco) il vostro pensiero non il vostro corpo, tagliatene via la falsa Teoria causale della vita sessuale in cui il preteso “istinto” consiste, e al quale è stato dato per esempio il nome tradizionale “concupiscenza” (o in greco epizumìa). O anche, fatevi eunuchi della “sessualità”, che è solo un altro nome, non di una causalità naturale (che porrebbe in atto la relazione tra i sessi) che semplicemente non esiste, ma di una Teoria che corrompe, prima che i costumi, il pensiero (e l‟universo).
Alla “sessualità” come Teoria e errore segue poi, logicamente (maestro Platone: l‟amore platonico), l‟omosessualità (secondo l‟adagio stoico: ex vero sequitur verum, ex falso sequitur quod libet) addotta come specie di un genere – la “sessualità” – di cui l‟eterosessualità sarebbe un‟altra specie. Da decenni la dottrina morale cristiana, sulla base della fallacia dell‟avere ammesso da tempo la
“sessualità” o l‟ “istinto sessuale” come natura, non sa come cavarsela con l‟omosessualità (l‟errore è plurisecolare). In fondo il movimento gay fa il verso – poco gaio – al vecchio errore: in quanto la secolarizzazione non lo è di idee cristiane bensì di errori dei cristiani.
Dunque: eunuchi non dei sessi ma di una pretesa (Teoria) giustificata come “natura”. De Sade e il tardo “libertinismo” l‟hanno detta lunga su questa pretesa, ricordo il “diritto al godimento” del corpo dell‟altro.
Tra le anomalie (zizzanie) della storia del cristianesimo, c‟è la non individuazione dell‟errore di pensiero in quanto tale, e anzitutto di questo (eppure il caso sarebbe formalmente previsto: “peccavi … cogitazione” cioè nel pensiero). In generale, ha dello sbalorditivo il fatto che nella dottrina morale plurisecolare, e nella pratica del
confessionale, non figuri la perversione. Forse la pecca storica del cristianesimo è tutta qui (la “zizzania”). E dev‟essere cominciata proprio dall‟oscuramento posto sul pensiero di Cristo: del resto, che altro è la perversione se non il rinnegamento del pensiero?
Dunque: i peccati sono anzitutto di pensiero, data la praticità del pensiero (“premeditazione”). Del resto, è il caso primario del peccato originale, che è una Teoria (del “bene” e del “male” come coppia di valori astratti: alto/basso, sinistra/destra, rosso/nero, superficiale/profondo, +/-, 0/1, bene/male) riferita anzitutto a Dio:
sarebbe Dio a voler tenere per sé – avarizia – l‟albero del bene e del male, a volersi come principio di comando.
Non l‟astinenza dall‟atto ma dall‟errore del pensiero, ecco ciò che Gesù suggerisce nel terzo eunuco, e come purità. O come “verginità”
riferita a ambedue i sessi: la caduta dell‟errore riguardante i sessi.
Notevole torna a essere la parabola delle vergini: che tali sono non per sottrazione all‟atto, ma per non avere fatto del proprio sesso la fonte di una pretesa autonoma fondata sul sesso (Teoria-istinto), ossia di una possibile obiezione al “Signore” che può venire. “Verginità” è il fatto che i sessi fanno silenzio in capitolo (nel capitolo dei rapporti, nel capitolo del pensiero), e ciò e solo ciò li rende vivibili. Una pretesa- obiezione, fondata su una Teoria, che “normalmente” sta alla base sia delle morali che dei comportamenti sessuali, e che è la premessa dei disastri amorosi che costellano la vita di uomini e donne come conseguenze del pensiero appunto disastroso che hanno del loro rapporto. Non stupisce che ne risultino disastrati anche i figli.
Nella storia alcuni uomini e donne hanno spinto soluzione e consiglio fino a farne ciò che in certe “vocazioni” si chiama un “voto”. Lo chiamerei un caso di esercizio non obbligatorio della logica:
dalla premessa che non c‟è tempo che basti per la correzione universale di quell‟errore, per ognuno come per l‟universo umano (la guerra di Troia ne ha preso inizio),
alcuni possono concludere di tenere in sospeso quell‟iniziativa (non causata proprio perché iniziativa cioè iniziante) che afferirebbe a questo punto di gusto, fino a nuovo ordine (“Regno dei cieli”). Gusto, quale? A onorare anche con questo mezzo il corpo dell‟altro. Di solito
lo si disonora, poi ci si giustifica dandone la colpa all‟istinto cioè rinforzando la Teoria, continuando a disonorare così anche il proprio pensiero.
Il pensiero di Cristo non comporta rinuncia se non a ciò che comporta rinuncia. A comportare rinuncia sono anzitutto gli errori del pensiero (Ideali, Teorie tra le quali quella dell‟istinto e della sessualità). Il peccato è anzitutto cogitatione, a partire da quello originale. Cristo non ha mai rinunciato a nulla – il deserto non è stato rinuncia bensì regolamento di conti e poi riattivazione del modo di produzione dell‟appetito –, e la croce non è stata rinuncia ma prezzo pagato per farla finita con la causalità della rinuncia (“peccato”).
La vita sessuale, nulla la causa e nulla la proibisce. Penso allora di potere prestare al pensiero di Cristo una battuta (logica, come ogni battuta): “Ma se non avete istinti cioè una causalità naturale per la vita sessuale, come farete a far‟lo‟?” senza il peccato sessuale cioè la Teoria dell‟istinto?
Salvo – ma qui c‟è un‟altra ripugnanza del pensiero di Cristo – attribuirgli un pensiero utopico (come nell‟Utopia di Moro o La città del sole di Campanella), secondo il quale “lo” si fa per comando dei Capi, o almeno con la loro condiscendenza. In questo caso il comando prende il posto di un‟assente causalità naturale.
Acquista allora un senso nuovo Mt 5, 28: “Chi guarda una donna per desiderarla /‟concupiscenza‟) ha già peccato nel suo cuore” (“cuore”:
il modo in cui è costituito il suo desiderio, bene o male). Almeno per rispetto del nostro intelletto, non continuiamo nella cattiva civiltà dell‟attribuire a Cristo un pensiero da cattivo Rettore di collegio per educandi.
Attribuire a Cristo la pur minima svalutazione della vita sessuale è improponibile: lui ha proposto una Civiltà in cui non si concepisca più l‟idea falsa di uno stato di natura dei sessi. Nel pensiero di Cristo non c‟è posto per uno stato di natura comunque inteso.
Ma se non c‟è istinto cioè desiderio bruto presupposto nella natura (il desiderio presupposto è un errore del pensiero), allora il pensiero si può aprire a un altro e nuovo pensiero: quello del desiderio non più come presupposto al rapporto, bensì come prodotto dal rapporto, la
sua prima fecondità. La donna già bersaglio del non-rapporto (“concupiscenza”) passa da oggetto – d‟uso o di contemplazione, ciò è secondario – a partner con il quale nessuna iniziativa possibile è esclusa, a eccezione di quella che lo abolirebbe come partner (si vede come sono qui riuniti il 5° e il 6° Comandamento: “impuro” è l‟atto che uccide la partnership nel corpo del partner).
Dio stesso cessa finalmente di essere un oggetto, l‟Oggetto finale di una concupiscenza alta dopo “La donna” come oggetto transitorio. E che come tale deve morire per l‟Oggetto finale dopo esserne stata un‟allusione ideale. Dio torna libero – finalmente – dall‟essere incatenato al posto dell‟Oggetto della contemplazione come sorta di istinto o concupiscenza superiore. O anche: la si fa finita con la concezione feticistica di Dio. La frase di Cristo allora ha potenza logica più ampia: “Anche chi guarda o concepisce Dio con concupiscenza ha già peccato”.
Il carattere perverso (feticistico) della pura contemplazione dell‟oggetto si estende dunque dalla donna (astratta e asessuata: amor cortese) a Dio (reso non meno astratto e, in Cristo, asessuato:
dovremmo forse inventarci la “carità cortese” come la virtù del Paradiso?)
Da un punto di vista logico potremmo pensare, con le stesse parole del Padre nostro, che è per non indurci in tentazione perversa che Dio si mantiene nell‟invisibilità fino a nuovo ordine: un nuovo ordine in cui la perversione non sia più possibile. Fino allora preferisce non farsi…
vedere, prima, per non rischiare di farsi contemplare, poi.
La “concupiscenza” o istinto o desiderio presupposto non è soltanto un errore quanto al sesso: è un errore quanto al rapporto, perché lo abolisce.
Non è paradossale bensì logico che nell‟esperienza millenaria la prima conseguenza della Teoria dell‟istinto sessuale sia la ripugnanza – nonché l‟angoscia – per i sessi in quanto differenti. L‟omosessualità ormai teorizzata (cultura gay anticipata da Platone), la perversione a ogni livello, sono i giudici non innocenti dell‟errore millenario.
La “verginità”, o il terzo eunuco, è tagliare via non i sessi ma l‟artificio della Teoria della loro legge naturale (“istinto”). Che è
l‟”impurità” designata dal 6° comandamento. Alla quale presiede l‟8°, quello della menzogna pubblica (“falsa testimonianza”).
Una tale verginità si oppone a ogni altra pretesa - e patologica - verginità.
La verginità in Cristo è la ianua della possibilità stessa della vita d‟universo di uomini e donne, confermati tali in ogni loro possibilità:
e proprio in quanto esclude l‟esistenza di pretese sessuali nella natura.
Bisognerebbe ridisegnare tutte le mappe morali.
(Vedo che questa nota è lunga, ma è sempre più breve della lentezza dei millenni almeno su questo punto. Cristo ha cercato di imprimere un‟accelerazione, ma non abbiamo ancora ben meditato sul senso del fatto che restiamo ancora nel regime della lentezza. Chi aveva detto che siamo nel mondo dell‟accelerazione?).
15. Innocenza
Chissà, mi chiedo, che la dimenticanza (della pietra scartata) non sia però anche una involontaria difesa esercitata con la tecnica del rinvio, e l‟errore protratto una lunga marcia in vista di un sapere non ingenuo:
penso alle parole di Cristo su colombe e serpenti, ossia alla novità moderna e perfino ipermoderna che consisterebbe nel passaggio dall‟ingenuità (che significa corruttibilità: l‟ingenuità è la premessa naturale del peccato originale) all‟innocenza.
Del sapere non ingenuo – cioè il sapere intorno all‟errore – parla Agostino verso la fine del De civitate. Che appunto si intitola “Città”, cioè il “Regno” per il quale Cristo lavora con la sua nuova Costituzione e con il suo terzo eunuco come articolo silenzioso della stessa Costituzione. Il concetto è quello di una Civiltà, e una Civiltà colta, con tutti i fattori di una Civiltà.
16. Fede e religione
Circa fede e religione, nel pensiero di Cristo non c‟è primato del pensiero classificatorio greco che distingue tra genere e specie, un primato però poi prevalso nella storia del cristianesimo:
un pensiero classificatorio secondo il quale vi sarebbe il genere religio poi suddiviso in specie, tra le quali la specie della vera religio;
idem per la fides: prima il genere, poi la specie particolare della vera fides cristiana;
ma in fondo il medesimo principio classificatorio si è applicato a Dio:
prima il genere Dio (genere che sarebbe ecumenico), poi la specie Dio-rivelato inclusiva di Cristo;
diviene evidente il ruolo classificatorio giocato dall‟”essere” come genere: parola predestinata a ricoprire la totalità della classificazione, i cui elementi sarebbero gli enti di un‟ontologia naturale di cui è implicita la deriva panteista, e occultista (Suarez, Swedenborg).
Un simile primato ripugna al pensiero di Cristo: la “fede” - e neppure menziono la religione, che nel lessico di Cristo non mi sembra trovare posto: mentre sì a una riunione di persone, una realtà sociale, detta anche “chiesa”, con un connotato giuridico di “popolo” sul quale sono state fatte troppe chiacchiere teologiche – nel suo caso è unica, singolare, imparagonabile nella sua definizione stessa: “Non chi dice Signore Signore (religione), ma chi lavora come mio Padre”.
Osservo che anche in ciò Cristo pensa da ebreo: l‟Ebraismo di allora come di oggi non si pensa come specie di un genere, bensì come unico, singolare, imparagonabile.
Questo fatto è perfino esaltato nell‟Ebraismo di oggi, successivo alla II guerra mondiale e allo sterminio degli Ebrei: esso si asserisce, con successo, a livello mondiale, nella sua unicità eccetera, anche nelle sue varianti interne e perfino grazie a esse, senza ricorrere come principio di individuazione alla fede né alla religione, ammesse come varianti.
17. La salute di Cristo Cristo il moderno
“Pietra angolare” o, più tardi, “di volta” o “di colmo”: elemento costruttivo distinto che fa da chiave di volta (appunto di una volta, o un arco). É stata coltivata l‟abitudine teorica di risolvere-dissolvere ciò che riguarda Cristo in una logica, o una geometria - inclusive dell‟onnipotenza e onniscienza divine come teoremi -, scartando la sua costituzione personale:
- partner di partners, che estende il suo desiderio di partnership a tutti gli uomini. Le parole non sono indifferenti: senza il concetto di partnership universale ossia una costituzione di produttori- beneficiari (“Città di Dio”) si rimane nell‟amore astratto per l‟
“umanità”, filantropia),
- innocenza, senza ingenuità cioè attaccabilità (tentabilità, corruttibilità),
- dunque salvezza: ma non da un delitto o “peccato” che lo avrebbe attaccato e gli sarebbe rimasto attaccato, come agli uomini, bensì come salute personale già esistente e incessantemente intrattenuta senza cadute né ricadute. Ma con scienza intorno a caduta e ricaduta. “Salute” sia rispetto alla dottrina medioevale dei vizi – viziata essa stessa: lo abbiamo visto a proposito di Teoria dell‟istinto o “sessualità” come Teoria –, sia rispetto alla patologie psichiche – così simili ai vizi medioevali –, che non sono in-nocenti perché nuocciono. In altri termini, in Cristo la salus è indivisa: né tra fisica e spirituale, né, dividendo lo “spirituale”, tra psichica e spirituale.
Cristo ha la certezza della salus senza ricorrere alla mediazione di idee intermedie (“essere”) da cui dedurre la salus come predicato dell‟idea stessa (o anche, la felicità dedotta dall‟essere: sono dunque sono felice). Semmai potremmo dire: cogito – senza limitazioni ossia inibizioni – ergo valeo cioè sto bene (a Descartes non sarebbe nemmeno venuto in mente).
Non è superuomo, né superdotato, né “con una marcia in più”, salvo
una facoltà di desiderare già tutta risolta nel senso di apprezzare il tenersi come uomo (“eternità”), caso unico. Ho già detto dell‟obiezione buddista, che non avrebbe difficoltà a risolvere l‟essere greco nel Nirvana “beato” del non desiderare, e a risolvere Cristo nel Buddha.
Cristo è moderno rispetto all‟antico perché va diritto alla salus (indivisa), con la ripugnanza più grande ad ammettere un qualsivoglia
“essenziale” anteriore alla e distinto dalla salus. E lo fa dichiarando tutti competenti quanto al giudizio “salute”. O ben-essere del beneficiario, che è un concetto economico. Il Nemico dirà sempre che prima dell‟economia viene l‟essenza, ossia la menzogna del Nemico delle origini che distingue bene/male da economia (“economia” è quel registro in cui tutti sono musicisti, non fosse che per la busta-paga, e i soldi non sono la sola paga). Nel pensiero di Cristo non c‟è essere che come benessere, e con il rifiuto sistematico della suddivisione sistematica ontologia/etica: la facoltà universale di giudizio (sull‟esserci o non esserci benessere) precede questa sistematica.
Sottolineo quell‟andare “diritto” alla salute indivisa, con ripugnanza per ogni mediazione teoretica, con un pensiero che integra benissimo in sé il principio di non contraddizione (è incalcolabile il danno, ossia peccato, procurato da chi ha espropriato il pensiero in tutti dal principio di non contraddizione come facoltà di tutti, non specialistica). Un pensiero che è tutto nella coppia pensiero-salute indivisa cioè già inclusiva del corpo. Facendo una concessione all‟uso astratto-classificatorio delle parole, dovremmo dire che il pensiero di Cristo è più e meglio che realista: è corporalista.
Anche un miscredente (ma lo sono anch‟io, perché ho fede solo in Cristo ossia uno che ha ragione: un musulmano sarebbe corretto nel qualificarmi miscredente, mentre lo sarebbe meno un ebreo nel qualificarmi goi) dovrebbe essere intellettualmente sorpreso dalla certezza di Cristo nel desiderio di risorgere, ossia come corpo in relazione con l‟universo dei corpi (è “corpo” solo quello umano).
Ossia dal riscontrare un pensiero unico, singolare, imparagonabile:
capace di avere la certezza del successo dei corpi (soddisfazione) dopo la loro resurrezione. Il nocciolo della fede (in Cristo) è questa certezza