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La salute di Cristo. Cristo il moderno

“Pietra angolare” o, più tardi, “di volta” o “di colmo”: elemento costruttivo distinto che fa da chiave di volta (appunto di una volta, o un arco). É stata coltivata l‟abitudine teorica di risolvere-dissolvere ciò che riguarda Cristo in una logica, o una geometria - inclusive dell‟onnipotenza e onniscienza divine come teoremi -, scartando la sua costituzione personale:

- partner di partners, che estende il suo desiderio di partnership a tutti gli uomini. Le parole non sono indifferenti: senza il concetto di partnership universale ossia una costituzione di produttori-beneficiari (“Città di Dio”) si rimane nell‟amore astratto per l‟

“umanità”, filantropia),

- innocenza, senza ingenuità cioè attaccabilità (tentabilità, corruttibilità),

- dunque salvezza: ma non da un delitto o “peccato” che lo avrebbe attaccato e gli sarebbe rimasto attaccato, come agli uomini, bensì come salute personale già esistente e incessantemente intrattenuta senza cadute né ricadute. Ma con scienza intorno a caduta e ricaduta. “Salute” sia rispetto alla dottrina medioevale dei vizi – viziata essa stessa: lo abbiamo visto a proposito di Teoria dell‟istinto o “sessualità” come Teoria –, sia rispetto alla patologie psichiche – così simili ai vizi medioevali –, che non sono in-nocenti perché nuocciono. In altri termini, in Cristo la salus è indivisa: né tra fisica e spirituale, né, dividendo lo “spirituale”, tra psichica e spirituale.

Cristo ha la certezza della salus senza ricorrere alla mediazione di idee intermedie (“essere”) da cui dedurre la salus come predicato dell‟idea stessa (o anche, la felicità dedotta dall‟essere: sono dunque sono felice). Semmai potremmo dire: cogito – senza limitazioni ossia inibizioni – ergo valeo cioè sto bene (a Descartes non sarebbe nemmeno venuto in mente).

Non è superuomo, né superdotato, né “con una marcia in più”, salvo

una facoltà di desiderare già tutta risolta nel senso di apprezzare il tenersi come uomo (“eternità”), caso unico. Ho già detto dell‟obiezione buddista, che non avrebbe difficoltà a risolvere l‟essere greco nel Nirvana “beato” del non desiderare, e a risolvere Cristo nel Buddha.

Cristo è moderno rispetto all‟antico perché va diritto alla salus (indivisa), con la ripugnanza più grande ad ammettere un qualsivoglia

“essenziale” anteriore alla e distinto dalla salus. E lo fa dichiarando tutti competenti quanto al giudizio “salute”. O ben-essere del beneficiario, che è un concetto economico. Il Nemico dirà sempre che prima dell‟economia viene l‟essenza, ossia la menzogna del Nemico delle origini che distingue bene/male da economia (“economia” è quel registro in cui tutti sono musicisti, non fosse che per la busta-paga, e i soldi non sono la sola paga). Nel pensiero di Cristo non c‟è essere che come benessere, e con il rifiuto sistematico della suddivisione sistematica ontologia/etica: la facoltà universale di giudizio (sull‟esserci o non esserci benessere) precede questa sistematica.

Sottolineo quell‟andare “diritto” alla salute indivisa, con ripugnanza per ogni mediazione teoretica, con un pensiero che integra benissimo in sé il principio di non contraddizione (è incalcolabile il danno, ossia peccato, procurato da chi ha espropriato il pensiero in tutti dal principio di non contraddizione come facoltà di tutti, non specialistica). Un pensiero che è tutto nella coppia pensiero-salute indivisa cioè già inclusiva del corpo. Facendo una concessione all‟uso astratto-classificatorio delle parole, dovremmo dire che il pensiero di Cristo è più e meglio che realista: è corporalista.

Anche un miscredente (ma lo sono anch‟io, perché ho fede solo in Cristo ossia uno che ha ragione: un musulmano sarebbe corretto nel qualificarmi miscredente, mentre lo sarebbe meno un ebreo nel qualificarmi goi) dovrebbe essere intellettualmente sorpreso dalla certezza di Cristo nel desiderio di risorgere, ossia come corpo in relazione con l‟universo dei corpi (è “corpo” solo quello umano).

Ossia dal riscontrare un pensiero unico, singolare, imparagonabile:

capace di avere la certezza del successo dei corpi (soddisfazione) dopo la loro resurrezione. Il nocciolo della fede (in Cristo) è questa certezza

di successo, che io non ho. Una certezza di successo che non deduco affatto dall‟essere divino (poiché Dio allora…) ma che riconosco inerire alla sua esperienza (“incarnazione”).

Qui la frase della “fede” è: lui lo sa, io no, però so che lo sa con ragione (è la frase di Pietro: “Tu solo hai parole che tengono, risolutive”), e una ragione non schizofrenica rispetto all‟esperienza.

Ancora, è decisivo il carattere unico, indiviso del concetto di salute:

nessuno ha neppure provato a concepire, né a sperare, un‟esperienza definitivamente priva di quelle malattie della libertà che chiamiamo

“psicopatologie”. Malattie che, essendo della libertà, non hanno nulla da attendersi dal miracolo come intervento sulla natura fisica, né dalla donazione dell‟Oggetto quantunque sommo, il che equivale a proiettare in Dio i malefizi dell‟innamoramento ossia dell‟amore come comando (“a me gli occhi!”: è malocchio), e comando senza relazione.

Non a caso, nelle elucubrazioni di un “Paradiso” che tenga si è affiancata allo schema dell‟innamoramento una variante, la Teoria di beatitudini musicalmente pietrificate in Schiere di beati su comando.

Non è poi una grande alternativa ai poco credibili e poco appetibili Paradisi delle diverse religioni.

Le Utopie nascono sempre in… Paradiso come genere: in esse, come in tanti Paradisi, Cristo è assente (e lo sapevano: dipinto lassù lassù).

Cristo non deduce la certezza della propria felicità dalla propria essenza divina (funziona perché funziona). In Cristo Dio sperimenta di stare bene nella sua pelle (“sua” di uomo).

Affermare con certezza la resurrezione è affermare la producibilità perenne di soluzioni a ogni questione umana sorgente in una comunità di uomini, di cui Cristo, come uomo, farebbe parte (soluzione significa anche non angoscia). É di ciò che Cristo parla con la sua

“fontana zampillante”.

Se qualcuno diagnosticasse Gesù come folle proprio per avere voluto risorgere da uomo, sarei sì contrario, tuttavia manterrei come ragionevole l‟osservazione-base, quella del carattere davvero esorbitante della certezza della soddisfazione permanente, come uomo, che la resurrezione comporta. E come promessa fatta a tutti da lui che si comprende fra i tutti.

Esplicito ulteriormente la questione. L‟esperienza che da un secolo noi abbiamo poco o tanto della guarigione, nostra o altrui – come esperienza laica di salus indivisa rispetto a malattie che sono malattie della libertà – ci autorizza a considerare desiderabile con certezza che la vita individuale non si estingua? (magari grazie non a un Dio bensì a una fontana dell‟eterna giovinezza inventata dal progresso della scienza, associata a un qualche comunismo ragionevolmente realizzato). Dico “con certezza”, non con un ragionamento da scommessa pascaliana che suonerebbe così: meglio dire di sì perché se dicessi no e sbagliassi perderei, mentre se dicessi sì e poi il risultato fosse almeno accettabile, vincerei. Nel peggiore dei casi mi resterebbe il Nirvana (osserviamo che il pensiero di Cristo non è pascaliano né buddista).

Nella resurrezione il pensiero di Cristo chiama – è ec-citante, da

“chiamare” – a andare diritti alla salute-salus-salvezza, in somma soddisfazione, lasciando che “i morti seppelliscano i loro morti”.

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